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USA Order of Battle
(by D. P.)
CSA Order of Battle
(by D. P.)
Relative Strength of
the Opposing Forces (by D. P.)
Map (by D. P.)
Passarono i mesi del 1861 senza alcun movimento, mentre l’armata confederata di Joseph E. Johnston schierata nell’area di Manassas stava ferma a guardare, ma andò anche peggio nei primi mesi del 1862, quando gli Yankees spedirono tre piccole armate nella Valle dello Shenandoah, ove con una serie di battaglie, fra marzo e giugno, il confederato “Stonewall” Jackson le sconfisse, salvando la Confederazione. Ciò aumentò la pressione su McClellan: il “Piccolo Mac” doveva attaccare la capitale confederata Richmond.
Una delle più dolorose ironie della guerra civile colpì la Confederazione nel 1862: nel corso della guerra solo tre comandanti di armata furono messi fuori combattimento: due di essi vestivano il grigio, caddero nella stessa primavera e si chiamavano Johnston. Peraltro ancorché l’ironia della sorte sia evidente, le somiglianze fra gli eventi terminano qui. La discussione sull’impatto della morte del comandante confederato Johnston sulla battaglia di Shiloh può proseguire senza fine, ma per quanto poco sia durato il suo periodo di comando, per quanto sia stato caratterizzato da indecisione, per quanto nessuno possa dire come si sarebbe comportato nel prosieguo degli eventi, pure non vi è alcun dubbio che quelli che gli successero nel travagliato teatro occidentale furono di gran lunga meno capaci. Invece la fine di Joseph E. Johnston, per quanto sia stata per lui sfortunata, fu un grande vantaggio per la Confederazione. La scheggia di granata che lo ferì al petto il 31 maggio 1862 cambiò letteralmente il corso della guerra, perché fece spazio al più grande generale confederato: Robert E. Lee.
Johnston avrebbe potuto essere l’eroe della Prima Battaglia di Manassas, ma nei mesi successivi alla battaglia mise in luce una serie di tratti caratteriali che lo dimostrarono poco idoneo a comandare un’armata. Prese a discutere con il Presidente Davis su argomenti relativi a grado ed anzianità, subì l’influenza del suo subordinato Beauregard [#2], divenne estremamente sospettoso nei confronti del governo di Richmond tanto da rifiutare di partecipare i propri piani al War Department, se pure ne aveva qualcuno. Inoltre rivelò indecisione ed esitazione, nonché scarso desiderio di assumersi responsabilità ed un’assoluta ottusità nel comprendere le istruzioni del Presidente Davis. Quando l’inverno 1861-62 stava per terminare, la fiducia di Davis in lui era ormai seriamente compromessa ed i rapporti, ancorché formalmente improntati ad educazione, erano sempre più formali e caratterizzati da reciproco sospetto.
Con una serie di piccoli scontri e schermaglie ripulì la regione delle scarse truppe confederate e, sebbene gli scontri fossero stati condotti dai suoi subordinati, McClellan ne ricevette il merito, che non esitò a prendersi. Naturalmente la sconfitta del Bull Run fece sì che Washington e l’intera nazione chiedessero a gran voce che egli tornasse ad est. L’Unione aveva il disperato bisogno di un eroe mentre si dibatteva nella serie di rovesci che avevano caratterizzato l’estate del 1861, e McClellan era tutto ciò di cui poteva disporre Lincoln. Tre anni dopo i successi di McClellan nel West Virginia avrebbero colpito assai meno l’opinione pubblica, facendogli guadagnare non più che una lettera di congratulazioni da parte del Presidente ed il ringraziamento del Congresso, ma negli oscuri giorni che avevano seguito la prima sconfitta di Manassas, naturalmente, essi gli valsero il comando supremo dell’Armata del Potomac e, poco dopo, la designazione a Comandante supremo di tutte le armate federali.
Questo avrebbe potuto essere troppo per un uomo di soli 34 anni, e Lincoln lo capiva, tanto che gli chiese se non si trattava di una responsabilità eccessiva. Tuttavia, dimostrando quel carattere che gli sarebbe valso il soprannome di “giovane Napoleone”, egli replicò con estrema sicurezza in sé stesso “posso farcela!”.
Certamente egli fece molto nei giorni che seguirono la sua nomina: ereditata l’armata sfiduciata di McDowell, la preparò, la riorganizzò e potenziò, trasformandola in qualcosa di nuovo, l’Armata del Potomac. Lavorò senza sosta per equipaggiare gli uomini con le migliori uniformi ed armi, fornendoli delle migliori razioni disponibili, e si impegnò per ricostruirne il morale e la fiducia in sé stessi, prendendo a modello i propri tratti caratteriali; in cambio ottenne ammirazione ed affetto reverente. Contemporaneamente organizzò una struttura di comando che aveva una fedeltà incondizionata alla sua persona, per cui oggi si può sostenere che conseguì dei risultati miracolosi che forse nessun altro nell’Unione avrebbe potuto raggiungere.
Il tempo era un importante fattore di successo ed i Confederati non ne approfittarono: dopo la vittoria del Bull Run, il conflitto ad est degli Appalachi procedette senza scosse, esso più tardi sarebbe stato ricordato come “la guerra fasulla”: praticamente non accadde nulla fino all’inverno. Il timoroso Johnston non sfruttò la situazione e temporeggiò, il frustrato Beauregard chiedeva un trasferimento all’ovest, e McClellan sfruttò questi mesi che essi gli regalarono per perfezionare sia la sua armata che la sua pianificazione. Ciò si sarebbe rivelato alla fine un danno perché, abituato a disporre di tutto il tempo necessario, McClellan avrebbe perduto la capacità di agire con rapidità, prima che tutto fosse stato predisposto secondo i suoi desideri.
Più il tempo trascorreva, più emersero i lati negativi del carattere di McClellan. La sua arroganza si rivelava sempre più offensiva, non accettava discussioni né che qualcuno non fosse d’accordo con le sue idee e giunse ad indicare Lincoln come “un babbuino ben educato” e “un idiota”. Ben presto prese a considerarsi al di sopra del popolo, dell’Esercito, e perfino del Congresso e del Presidente.
Credendo di aver di fronte una massa nemica così consistente, McClellan si sentiva giustificato nell’impiegare tutto il tempo necessario per pianificare la sua inevitabile offensiva e, secondo la sua ottica, sviluppò una pianificazione corretta. Nell’indignazione che aveva seguito la prima sconfitta di Manassas, il Nord voleva una celere avanzata verso Richmond, la capitale della Confederazione, nella convinzione che tale cattura avrebbe soffocato la rivolta; McClellan doveva fare i conti con tale stato d’animo, anche se non desiderava uno scontro frontale.
Infatti egli propose un piano che avrebbe posto termine al conflitto attraverso una manovra strategica, con pochi rischi per la sua Armata del Potomac ora forte di circa 120.000 uomini, che non avrebbe dovuto dirigersi a sud, per respingere Johnston dalle sue difese nell’area di Manassas. Ciò infatti avrebbe solo spinto gli avversari verso Richmond, rendendo necessario l’attraversamento di una serie di fiumi, ognuno dei quali costituiva una buona barriera difensiva. McClellan propose di imbarcare le sue truppe su una flotta di trasporti, discendere il Potomac fino alla baia di Cheasepeake e raggiungere Fort Monroe, una robusta fortificazione dotata di casematte in muratura, all’estremità della penisola forma dai fiumi James e York. Questa struttura era l’unico pezzo di Virginia che non era caduto in mano confederata, ma l’ampiezza dei fiumi non permetteva alle artiglierie del forte di battere completamente il settore, vietando il transito dei battelli confederati. Il fiume James conduceva direttamente a Richmond, 75 miglia a NE, mentre lo York scorreva quasi parallelo a Nord del James, verso West Point, circa 30 miglia ad Est della capitale. Da qui il Pamunkey, un piccolo, ma navigabile corso d’acqua, scorreva a NO della sua origine, direttamente a Nord di Richmond. I corsi d’acqua determinavano una penisola non più ampia in genere di 15 miglia, e poco più di 5 in punti come Yorktown.
Fiducioso del fatto che le proprie linee di rifornimento, attraverso Cheasepeake e Fort Monroe, non sarebbero state minacciate, McClellan propose di avanzare a nord lungo la penisola, caratterizzata da terreno di facile percorribilità, direttamente su Richmond. I confederati sarebbero stati obbligati a muovere la propria armata della Northern Virginia per arrestarlo, eliminando così ogni minaccia su Washington ed abbandonando le ben munite fortificazioni: se avesse potuto muovere con velocità – doveva superare due soli piccoli torrenti – McClellan sarebbe giunto a Richmond prima che il nemico avesse avuto il tempo di predisporre delle efficaci difese campali. Qualora invece Johnston fosse stato in grado di ammassare le proprie truppe per tempo, i federali avrebbero potuto predisporre le proprie difese, obbligando i ribelli ad attaccare sul terreno da essi scelto in precedenza. Inoltre i due fiumi principali avrebbero protetto i fianchi dell’Armata del Potomac, e potevano essere utilizzati – in caso di avanzata – quali linee di comunicazione per i rifornimenti, più celeri di ogni itinerario terrestre. Vi erano dei rischi nel piano, ma se fosse stato eseguito celermente esso offriva consistenti margini di successo.
McClellan trascorse il mese in un inseguimento assai fiacco, riferendo di continuo a Washington che le forze nemiche aumentavano e che egli correva il pericolo mortale di veder distrutta l’Armata, cosa che – metteva ripetutamente in chiaro – non poteva senz’altro essergli addebitata; quando finalmente raggiunse il Chickahominy, alla fine di maggio, giunse a dire che sarebbe morto con i suoi uomini, se fosse stato necessario. Si trattava di smargiassate, naturalmente, ma ora egli fronteggiava un pericolo vero, perché l’esercito di Johnston raggiungeva i 75.000 uomini, gran parte dislocati nei pressi della stazione di Fair Oaks, sulla Richmond & York River Railroad e del vicino villaggio di Seven Pines. Ad aggravare la situazione vi fu la scelta di McClellan di dividere la propria armata, dislocandone circa la metà, 40.000 uomini, lungo la riva sud del Chickahominy; le piogge, durate tutto il mese, avevano gonfiato il corso d’acqua che ora era attraversabile solo in corrispondenza di alcuni ponti, pertanto il fianco sinistro di “Little Mac”, sulla stessa riva delle truppe confederate, era vulnerabile. In seguito la nottata particolarmente piovosa del 30 maggio fece salire così tanto il livello del torrente da rendere impraticabili gran parte dei ponti: se Johnston avesse attaccato rapidamente, avrebbe potuto sopraffare facilmente metà dell’Armata di McClellan, ma per sfortuna dei confederati, il loro comandante condusse una battaglia inconcludente a Fair Oaks/Seven Pines il 31 maggio. Attacchi confusi e disordinati, unità in marcia verso direzioni sbagliate e la completa assenza di coordinazione dimostrarono che Johnston aveva tratto ben poco profitto dalla sua esperienza alla Prima Battaglia di Manassas ed il suo Aiutante in Capo, il Colonnello E. Porter Alexander definì l’intera faccenda “maldiretta in modo fenomenale”.
Il Presidente Davis era sul campo di battaglia durante lo scontro e si portò subito al fianco del ferito, dimenticando gli attriti in forza dello spirito di cameratismo che li univa. Fortunatamente il sole stava tramontando, mettendo fine ai combattimenti, per cui mentre il comandante confederato veniva trasportato a Richmond, il comando delle unità passò al più anziano presente, il Maggior Generale Gustavus W. Smith. Tuttavia più tardi, durante la notte, appena il Presidente fece ritorno nella capitale, informò il suo capo dei consiglieri militari che il giorno dopo avrebbe assunto il comando dell’Armata della Northern Virginia. L’ufficiale cui Davis stava parlando era Robert E. Lee.
Vi erano molti nella Confederazione che non nutrivano eccessiva considerazione per il 52enne Lee. Sebbene avesse servito in uniforme, senza interruzione, dal 1829 e avesse acquisito meriti e promozioni durante la guerra contro il Messico, mettendosi in luce fra i favoriti di Scott, aveva trascorso quasi tutta la carriera nel Genio e non aveva guidato soldati in battaglia sino al 1859, quando aveva condotto il contingente di marines che aveva accerchiato e catturato il rivoluzionario abolizionista John Brown ed i suoi seguaci ad Harper’s Ferry. La sua anzianità ne aveva fatto automaticamente uno degli ufficiali confederati più elevati in grado non appena aveva avuto luogo la secessione, subito dopo Sidney Johnston e davanti a Joseph E. Johnston (ciò era stata la fonte dell’ultima lite fra questi ed il Presidente Davis). Nelle prime fasi della guerra il suo comportamento non era stato degno di menzione: aveva avuto un comando nella Western Virginia, dove i dipendenti lo avevano deriso, quindi aveva diretto la costruzione delle difese costiere in South Carolina, riscuotendo ulteriori critiche e derisioni, ed il soprannome di “Asso di Zappe”. Il Governatore della South Carolina Francis W. Pickens aveva avvertito i propri amici che Lee “non meritava la reputazione che aveva”, piuttosto “Lee non era convinto assertore della causa confederata, oppure è solo un uomo comune, che sa apparire bene, ma è troppo cauto per una vera Rivoluzione”. Ma Davis aveva visto in Lee cose che gli altri non erano stati capaci di scoprire e nel Marzo 1862 l’aveva condotto a Richmond quale capo dei suoi consiglieri militari e de facto generale in capo, ancorché Davis non avesse mai permesso alcuna importante decisione senza la propria personale partecipazione. A differenza di Johnston e Beauregard, Lee sapeva come trattare con il Presidente ed accettava il ruolo subordinato delle autorità militari rispetto a quelle civili, inoltre non si lamentò né discusse mai, tenne Davis costantemente informato e fece in modo di lusingarlo, quando necessario. La diplomazia al di fuori del campo di battaglia poteva essere altrettanto utile dell’abilità tattica, e Lee dimostrò capacità in entrambi i settori.
Assai intelligentemente Lee non assunse immediatamente il comando, la battaglia non era ancora decisa e Smith conosceva il terreno meglio di lui, ma non appena il 1° di giugno Smith ebbe un collasso, sovrastato dall’impegno e dalla fatica, egli assunse la piena responsabilità della situazione.
Nelle tre settimane successive Lee usò zappe e cervello, mentre McClellan sostava, certo che i suoi 105.000 uomini si trovassero ancora in inferiorità numerica. L’Armata del Potomac era divisa in 5 corpi, di dimensioni pressoché equivalenti, tutti diretti da generali di professione dell’Old Regular Army come Erasmus D. Keyes, Samuel P. Heintzelman e William B. Franklin, veterani della prima battaglia del Bull Run. L’anziano Edwin V. Sumner era il più vecchio del gruppo, mentre Fitz-John Porter era il più giovane, sulla trentina, molto legato a “Little Mac”. Nessuno aveva in precedenza dimostrato talento particolare ed alcuni si sarebbero ritirati nel dimenticatoio prima della fine del conflitto, ciononostante essi comandavano unità nella più bella organizzazione militare mai vista sul continente, che sfortunatamente il comandante supremo non era molto disposto ad impiegare. Per ben due settimane McClellan sostò per pianificare, dopo lo scontro di Seven Pines, la propria mossa successiva e, nel rispetto della sua indole, decise di sfruttare soprattutto l’artiglieria per costringere Lee a ritirarsi, procedendo, successivamente, a bombardare anche Richmond per costringerla alla resa. Era un piano che non doveva costare sangue alla sua Armata del Potomac e rischi alla sua persona. Oggi la critica negativa delle scelte di McClellan appare semplice, ma considerati i bagni di sangue che venivano determinati con le tecnologie e le tattiche disponibili, forse la sua ricerca assillante per soluzioni “a basso costo” può trovare una certa, seppur minima, comprensione. Tre problemi lo avrebbero assillato: uno era la sua lentezza e timidezza, l’altro era il terrore che animava Washington. Lincoln, terrorizzato che i ribelli potessero sfruttare la posizione di McClellan nella peninsula per inviare forze, via terra, contro la capitale trattenne gran parte del Corpo comandato da McDowell a difesa della linea del Potomac. McClellan non aveva davvero bisogno di questi 25.000 ultimi, ma la loro assenza gli dette un ulteriore pretesto per rappresentare a Lincoln, che si lamentava del suo ritardo nel completare la campagna, che nel caso di una sconfitta “la responsabilità non poteva essere gettata sulle sue spalle”.
Il terzo problema era Robert E. Lee. Parte del timore di Washington derivava dalla brillante campagna nella Valle dello Shenandoah condotta in primavera dal Maggior Generale “Stonewall” Jackson che aveva messo in fuga tre piccole armate federali con le sue sole tre divisioni, non più di 17.000 uomini, che ora erano padrone dell’area. Lee pensò inizialmente di fissare con poche forze McClellan, per inviare un grosso contingente a Jackson ed organizzare una contro-invasione dell’Unione. Naturalmente il prode “Stonewall” e i suoi soldati erano esausti, e una tale impresa non era ipotizzabile, tuttavia essi potevano ancora combattere, così cambiò idea e ordinò a Jackson di muovere verso est per unirsi al grosso dell’Armata della Northern Virginia. McClellan gli stava offrendo una occasione invitante e Jackson avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo nel suo sfruttamento.
Dopo Seven Pines McClellan operò solo delle piccole modifiche al proprio schieramento ed alla terza settimana di giugno il corso del Chickahominy tagliava ancora la sua armata in due parti. Spostando solo alcune unità a sud del torrente, egli aveva lasciato isolato il V° Corpo di Porter sulla riva settentrionale, in una posizione rischiosa che riteneva garantita in quanto pensava che, via terra, sarebbe giunto il Corpo di McDowell per unirsi a quello di Porter. Sfortunatamente l’eccellente comandante della cavalleria Confederata “Jeb” Stuart aveva condotto un fulmineo raid intorno al Corpo di McDowell, scoprendo la posizione esposta di Porter ed informandone Lee. I 30.000 uomini di Porter erano schierati lungo un tributario del Chickahominy, chiamato Beaver Dam Creek, vicino a Mechanicsville. Essi erano separati dal resto dell’Armata, e già questo li rendeva un obbiettivo appetibile. Inoltre McClellan stava rifornendo le proprie truppe dalla base logistica di White House, sul Pamunkey, ad est di Porter: se Lee avesse respinto Porter, egli avrebbe potuto occupare quella base, la cui conquista avrebbe costretto gli Yankees a ritirarsi verso il sud della peninsula in cerca di una nuova base per i rifornimenti, alleggerendo la pressione su Richmond, oppure ad accettare la battaglia per tenere White House. Per far ciò McClellan avrebbe dovuto far attraversare il Chickahominy agli altri Corpi dell’Armata, sui pochi ponti disponibili, dritto contro i cannoni confederati, che avrebbero avuto ragione di loro potendoli affrontare uno dopo l’altro.
Tutto ciò dipendeva da come avrebbero agito i suoi comandanti di divisione, a lui per ora in gran parte sconosciuti e nessuno in possesso di grande esperienza, eccetto Jackson. Il Generale Longstreet aveva partecipato marginalmente alla Prima Manassas, A. P. Hill era stato promosso Maggior Generale solo da poco dopo le operazioni di Yorktown e Seven Pines, ma aveva poca dimestichezza con il comando di una divisione. Il Maggior Generale Daniel H. Hill della North Carolina aveva preso parte ad una delle prime piccole battaglie della guerra, nel giugno 1861, e servito sotto Johnston nella peninsula, ma era virtualmente uno sconosciuto per Lee. Ciononostante il comandante supremo confederato avrebbe utilizzato questi giovani comandanti in una complessa offensiva vincolata a tempi ristretti e necessità di un perfetto coordinamento. Egli avrebbe lasciato le due piccole divisioni dei Generali John Magruder e Benjamin Huger a sud del Chickahominy, fronteggiando con 22.000 uomini i 75.000 federali, mentre con le divisioni dei due Hill e di Longstreet, unite alle truppe di Jackson – in tutto circa 60.000 uomini – avrebbe investito il Corpo di Porter a nord del torrente. Era un grande azzardo: se Lee poteva sommergere Porter, era altrettanto vero che McClellan poteva fare lo stesso nei confronti di Magruder e Huger, aprendo la strada per Richmond.
Jackson doveva cadere sul fianco settentrionale di Porter, mentre le altre truppe confederate attraversavano il Chickahominy, spingendo l’avversario verso il Beaver Dam Creek, ma se i tempi d’intervento fossero stati errati la manovra avrebbe ottenuto ben poco. Il rischio accettato dimostrava due aspetti dell’uomo che aveva il comando da sole poche settimane dell’Armata della Northern Virginia: innanzitutto egli aveva ancora molto da imparare sulla gestione di una consistente massa di truppe, che non poteva essere mossa così rapidamente e facilmente sul terreno come avveniva sulla carta del quartier generale. Gli attacchi complessi e coordinati, durante questa guerra, colsero difficilmente il successo.
Il secondo aspetto che fu rivelato era che “Zappe” Lee era ormai una cosa del passato. Questo generale, a differenza di Johnston, avrebbe combattuto senza scuse né ritardi.
Consultatosi con Jackson, in movimento dalla Valle dello Shenandoah, Lee apprese che l’azione offensiva poteva iniziare la mattina del 26 giugno, ma gli eventi precipitarono e fecero iniziare gli scontri il 25, quando una ricognizione Yankee nella zona di Seven Pines degenerò in una schermaglia selvaggia nell’area di Oak Grove. McClellan aveva inviato due divisioni di Heitzelman in direzione di Richmond, per rendere sicura un’area che egli intendeva occupare a premessa dell’attacco con le artiglierie sulle linee di Lee: egli era venuto a conoscenza dell’arrivo di Jackson ed aveva inondato Washington di messaggi pieni di ferali predizioni di sconfitta, lavandosi le mani di ogni responsabilità, dopo che aveva finalmente deciso di non determinare ulteriori ritardi con un attacco che – anche per lui – doveva iniziare il 26 giugno. Se avesse continuato nell’azione ed anticipato Lee, ne avrebbe potuto seriamente compromettere i piani, sebbene vi siano pochi elementi che permettono di dire che egli avrebbe saputo capitalizzare l’iniziale vantaggio, invece, appena noti gli spostamenti di “Stonewall” cancellò l’attacco del 26 giugno e si limitò a rinforzare le difese di White House ed a mettere in allarme Porter, poi si sistemò nelle retrovie e lasciò a Lee l’iniziativa per il resto della campagna.
Sfortunatamente non si udì il rumore dei cannoni di Jackson: questo è rimasto uno dei grandi misteri della Guerra Civile. Jackson era noto per aver sempre preteso degli ordini scritti, e per essersi ad essi attenuti con scrupolo quasi maniacale, e di certo questa volta aveva ordini scritti ed assai precisi, eppure al sorgere del sole non mosse. Davanti a lui vi era della cavalleria nemica, ma per le sue tre divisioni era un ostacolo di ben poco conto, la vegetazione non era inoltre di grande impedimento per sperimentati combattenti come quelli del suo Corpo capaci di percorrere venti miglia al giorno per poi essere ancora in grado di combattere. Ma forse la ragione, in fondo, è assai più semplice: nei precedenti tre mesi le sue truppe avevano marciato e combattuto troppo. Durante la campagna della Valle dello Shenandoah avevano coperto circa 400 miglia a piedi, ed ora erano soltanto giunti al termine delle loro risorse. Di certo comunque, se Jackson lo avesse chiesto, essi sarebbero stati capaci di muovere, ma egli non lo fece. Esausto come i suoi uomini, l’indomabile “Stonewall” cessò di funzionare. Stanchezza, disorientamento ed apatia lo privarono della sua ben nota disciplina ferrea. Si era fermato nella notte precedente all’attacco a 6 miglia prima del punto stabilito, ed era rimasto sveglio a pregare, invece di concedersi un po’ di riposo, per cui alla fine aveva preso ad avanzare verso il Corpo di Porter più tardi di quando stabilito. A parte un messaggio diretto a Lee per comunicare che stava muovendo in ritardo, non trasmise sue notizie a nessun altro ed alle 0500 era ancora distante 3 miglia dalla linea di battaglia. Qui fece bivaccare i suoi uomini e si mise a dormire, per cui per l’intera giornata i suoi uomini non spararono un colpo. Purtroppo questo non fu il suo unico errore della campagna nella Peninsula.
Con Jackson apparentemente fuori causa, toccò ad A. P. Hill iniziare il combattimento, dopo che per tutta la mattinata aveva atteso inutilmente che “Stonewall” desse il via all’azione. Hill assunse l’iniziativa solo nel tardo pomeriggio, anche perché l’azione di comando di Lee non fu di grande aiuto: questi si limitò ad attendere, come se non fosse in grado di prendere decisioni finchè Jackson non avesse avviato l’attacco. Lo può giustificare il fatto che era la sua prima vera battaglia, e che con lui si trovassero presenti il Presidente Davis ed altri personaggi di rilievo della Confederazione. Pochi mesi dopo Lee sarebbe stato in grado di improvvisare, piuttosto che compromettere una parte del piano o rischiare il suo completo fallimento, ma questa volta rimase inattivo ed A. P. Hill decise di attraversare il fiume, spingendosi verso Mechanicsville.
Alle 1500 o poco più tardi iniziò il fuoco della fucileria, non appena i 16.000 di Hill presero a muovere. Giunti al villaggio trovarono i Federali ben trincerati dietro la riva opposta del Beaver Dam Creek, un miglio più avanti, e ben presto la battaglia fu fuori controllo. Due brigate di Hill investirono il fianco destro del Corpo di Porter, ed un reggimento attraversò il torrente che era largo non più di 3-4 metri, ma aveva rive ripide e cespugliose che si prestavano bene alla difesa, dalle quali i Federali inviavano feroci scariche. Un’altra brigata di A. P. Hill attaccò nei pressi di Ellerson’s Mill, nella zona centrale destra dello schieramento di Porter, e presto una brigata della divisione di D. H. Hill superò il Chickahominy per fornire il proprio supporto, e finire nella bolgia.
Solo in cadere della notte pose fine allo scontro, conclusosi con un insuccesso di Lee, in quanto, invece di forzare Porter, per manovra, a ritirarsi dal torrente, si era trovato costretto a combattere ed aveva perso. Non si erano impegnati né Jackson, né Longstreet, né D. H. Hill, ed A. P. Hill aveva portato avanti lo scontro praticamente da solo, perdendo circa 1.400 uomini ed infliggendo non più di 360 perdite al nemico. Alla fine della giornata Porter aveva tenuto e Lee non aveva altro da mostrare che le ferite ricevute.
Porter iniziò ad abbandonare le sue posizioni alle 0300 del 27 giugno, spostandosi verso la Boatswain’s Swamp, 4 miglia indietro, nei pressi di Gaines’ Mill sul Powhite Creek. Qui Porter si stabilì, con la sinistra appoggiata nel punto ove il Chickahominy riceve le acque del Powhite, fronteggiando un’area paludosa (la Boatswain’s), stendendo la linea verso nord, fino a Old Cold Harbor. La sua fronte formava un arco convesso di 2 miglia, dandogli il vantaggio di poter manovrare per linee interne, con il ponte di Grapevine alle spalle, sul Chickahominy, che gli avrebbe consentito di ripiegare verso McClellan. Era una posizione forte ma Lee, in atteggiamento offensivo come la sua armata, non rinunciò a ripetere l’attacco e, dimostrando di non aver compreso gli errori commessi da Jackson, predispose una nuova manovra che si basava principalmente sull’intervento degli uomini di “Stonewall”. Hill doveva muovere lungo l’itinerario di ripiegamento di Porter, Longstreet doveva procedere parallelamente, fra Hill ed il Chickahominy, mentre Jackson doveva investire il fianco destro avversario come avrebbe dovuto fare il giorno precedente, e D. H. Hill doveva compiere un movimento aggirante sulla sinistra, porsi sul fianco di Jackson e costituire l’estremità sinistra dell’Armata, per colpire le truppe di Porter alle spalle o intorno ad Old Cold Harbor, tagliando la via di ritirata verso White House. Ancora una volta Lee dette troppa fiducia a piani e dipendenti: pensava che Longstreet avrebbe minacciato la sinistra di Porter mentre si sviluppava l’attacco principale da destra, e naturalmente – se questi avesse indebolito la sua destra per respingere l’attacco principale – il suo divisionario avrebbe portato a fondo la propria azione. Era ancora tutto troppo complesso, ed ancora una volta Jackson fallì per quanto attiene ai tempi ed alla località dell’azione affidatagli. Il suo inspiegabile ritardo si ripeté, ed ancora una volta fu A. P. Hill a dare il via al combattimento, lanciando le sue stanche unità in avanti intorno alle 1500, superando Gaines’ Mill per piegare leggermente a sud e colpire sulla destra del settore centrale dell’arco costituito dalle truppe Federali. Per quel momento D. H. Hill era in posizione, ma Jackson tardava e sembrava anche disorientato, perché il fianco di Porter non era dove si riteneva che fosse, per cui invece di un vulnerabile fianco esposto, e i suoi uomini finirono dritti contro i cannoni avversari. L’errore parve ulteriormente disorientare Jackson che arrestò la marcia, incerto sul da farsi, anche se udiva la tempesta di fuoco che si era scatenata nel settore investito da A. P. Hill, a non più di un miglio sulla sua destra.
Hill stava lottando disperatamente presso Old Cold Harbor, come il giorno precedente la posizione dei Federali era ottima, dietro la riva di un torrente, mentre i suoi uomini dovevano procedere allo scoperto, in un acquitrino. I Virginiani erano in azione da prima dell’alba, quando avevano iniziato ad inseguire le truppe di Porter, ed erano ormai esausti quando si trovarono sotto una pioggia di pallottole e granate d’artiglieria, inoltre avevano avuto perdite pesanti nella giornata precedente, mentre Porter godeva del lusso di alcune brigate fresche. 25.000 Federali ebbero l’opportunità di scatenare il proprio fuoco su circa 13.000 Confederati, prima che Jackson e le altre unità venissero in aiuto di A. P. Hill. L’area paludosa e boscosa trasformò la lotta in una serie di scontri assai confusa, che sfuggì dal controllo del Generale confederato: le sue brigate attaccarono e si ritirarono, per ripetere gli assalti con maggiore o minore caparbietà, in relazione al fuoco nemico ed alla determinazione dei comandanti, alla fine il Generale Porter aveva in mano il successo e verso le 1600 stava avanzando lungo l’intera linea. Solo allora Lee, resosi conto dell’inattività di Jackson, ordinò a Longstreet di supportare sulla destra A. P. Hill, mentre una delle divisioni di Jackson, d’iniziativa, ne sosteneva la sinistra, pertanto, ancorché la situazione rimanesse drammatica, la linea Confederata tenne. Finalmente, alle 1800 circa, Lee incontrò di persona Jackson che entrò in battaglia. Visto fallire il piano del mattino, Lee ordinò un attacco generale, che iniziò alle 1900 e consentì di guadagnare terreno, mentre la resistenza di Porter agli oltre 50.000 confederati che lo stavano investendo prese a diminuire visibilmente. Accortosi che il momento era favorevole, Lee raggiunse il Generale John B. Hood – che conosceva da tempo avendo servito prima della guerra insieme – che era al comando della brigata del Texas, e gli chiese “Sei in grado di rompere questa linea?”. Hood replicò “Posso provarci!” e lanciò i suoi uomini all’assalto, superando la linea avanzata e quella principale con una carica feroce, raggiungendo il centro del dispositivo dei Federali, che crollarono ma non furono messi in rotta. Porter infatti, sfruttando i rinforzi inviatigli da McClellan, ripiegò verso il ponte sul Chickahominy, e prima del cadere della notte aveva rischierato le sue unità al di là del fiume, perdendo fra caduti, feriti e prigionieri 6.800 uomini, contro i 9.000 confederati, quasi tutti appartenenti alla divisione di A. P. Hill.
Mentre la battaglia procedeva per ben due giorni, McClellan teneva virtualmente inoperosi oltre 70.000 uomini a sud del Chickahominy, convinto che le truppe di Magruder che lo fronteggiavano gli fossero superiori. Questi in effetti aveva marciato avanti e indietro, acceso fuochi di accampamenti sterminati, compiuto ardite ricognizioni ed utilizzato ogni trucco per far credere di avere molto di più dei 22.000 uomini che in effetti componevano il suo dispositivo. Così fra i trucchi di Magruder e gli attacchi mal diretti, ma incessanti di Lee, “Little Mac” era stato sconfitto, pur non perdendo la proverbiale megalomania, in quanto seguitava a dichiarare in una lettera al Segretario per la Guerra Edwin Swanton “ho perso perché la mia forza era troppo limitata … non sono responsabile di ciò”. Aggiungeva inoltre che con solo altri 10.000 uomini freschi avrebbe ancora potuto vincere, a dispetto del fatto che disponeva di ben altri 4 Corpi che non avevano combattuto, più di 60.000 uomini “freschi”, concludendo che “se salverò l’armata non dovrò ringraziare né a te né a nessun altro a Washington. Avete fatto del vostro meglio per sacrificare queste truppe”.
A dire il vero anch’egli stava già facendo del suo meglio per ottenere quel risultato.
Il giorno seguente non vide alcuno scontro significativo: Lee era incerto sui movimenti dell’avversario, finché Stuart non lo informò che la base logistica di White House era stata abbandonata e tutto ciò che non poteva essere trasportato era stato distrutto. Le unità di Franklin, Heintzelman e Sumner rimanevano però davanti a Magruder e Huger, e ciò lo lasciava perplesso perché egli era convinto che l’azione verso White House avrebbe provocato una completa ritirata o un attacco. Vedendo che i Federali erano inattivi, Lee non poteva prevedere cosa McClellan si predisponesse a fare, ovvero ripiegare verso sud e creare una nuova base logistica sul James ad Harrison’s Landing, dopo aver abbandonato ogni proposito offensivo, peraltro finché 3 corpi minacciavano le 2 divisioni di Magruder e Huger e la capitale egli non poteva che restare nel dubbio. I Federali così guadagnarono un giorno, tempo vitale nella corsa per evitare un nuovo attacco dei ribelli.
Il mattino del 29 Lee scoprì che le truppe nemiche si erano ritirate dalle fortificazioni di fronte a Magruder ed Huger, il mistero si era risolto: McClellan era in ritirata verso il James. Egli aveva già formulato un piano per mettere in marcia le sue 9 divisioni, sfruttando tutti gli itinerari disponibili, taluni semplici piste e sentieri, per provare ad intercettare il nemico prima che potesse fruire del fuoco di copertura delle cannoniere che navigavano sul fiume. Ancora una volta la pianificazione si rivelò troppo complessa, essa avrebbe richiesto il favore delle circostanze, cosa che non si verificò mai durante la campagna. Molte delle sue divisioni erano stanche, si disponeva di poche buone carte e le strade, dopo le piogge primaverili, erano in uno stato disastroso, inoltre comandanti come Longstreet, D. H. Hill e Huger non conoscevano la Virginia.
Le truppe confederate agganciarono il nemico verso le 1000, 3 miglia a sud del Chickahominy, a Savage’s Station sulla linea ferroviaria “Richmond e York River”. Ancora una volta Jackson fallì nel prendere posizione sul fianco sinistro al momento giusto e Magruder, che stava per lanciare l’attacco, dovette rinviarne l’inizio fino alle 1500, anche perché le truppe di Huger che dovevano sostenerlo sull’altro fianco erano anch’esse in ritardo. La situazione si era complicata anche perché non vi erano indicazioni stradali e Lee non aveva pensato a fornire guide locali alle unità. A Longstreet toccò la sorte peggiore: doveva muovere all’estrema destra, per tagliare la ritirata yankee verso sud, muovendo lungo la Darbytown Road, ma egli, non conoscendo la zona e gli usi locali (la strada prendeva il nome da una fattoria i cui occupanti si erano definiti “Darby”) poiché originario della South Carolina, perse tempo prezioso per trovare la strada giusta ed A. P. Hill, che aveva l’ordine di seguirlo, fece lo stesso. In definitiva il solo Magruder, sostenuto da poche altre unità, dette avvio alla battaglia, affrontando 3 divisioni dei corpi di Sumner e Franklin. Egli era stanco, dopo tre giorni di tensione trascorsi ad ingannare il preponderante schieramento avversario, e non fornì un grande rendimento quel giorno: il suo attacco non fu mai portato a fondo ed alcune unità federali quasi non lo avvertirono, proseguendo ordinatamente il ripiegamento, per cui Lee perse, o almeno si convinse di ciò, l’opportunità per tagliar fuori l’armata federale dal James.
Provò ancora il 30 giugno, nei pressi di Glendale, questa volta lanciando 7 divisioni contro le 4 che costituivano la retroguardia di McClellan, il quale stava facendo defluire rifornimenti ed il grosso dell’armata verso il James. Anche questa volta il piano fallì, perché solo Longstreet ed il combattivo A. P. Hill riuscirono a raggiungere il luogo dell’azione, lanciando nell’arco del pomeriggio una serie di attacchi violenti che inflissero all’avversario dure perdite, respingendolo, ma costarono ai Confederati circa 3.500 uomini, senza che fosse stato conseguito l’obiettivo di Lee. McClellan intanto aveva del tutto abbandonato i suoi uomini, praticamente senza dare altri ordini, imbarcandosi su una comoda cannoniera sul James per organizzare una nuova base logistica, peraltro la sua assenza influì probabilmente in misura positiva sul successo dei Federali che furono in grado di impedire che Lee conseguisse i risultati prefissati.
Fu un disastro. L’artiglieria Federale mise a tacere le batterie Confederate, facendo sì che venisse meno la condizione per la carica della Brigata Armistead, mentre Lee dimenticava di revocare l’ordine di attacco. Avvenne così che i tiratori scelti Federali iniziarono a muovere verso Armistead, che li respinse ed iniziò ad inseguirli. Magruder, giunto in quel momento con in mano l’ordine di seguire la carica di Armistead ed all’oscuro del fallimento dell’artiglieria amica, informò Lee che Armistead sembrava stesse procedendo senza problemi, determinandolo ad ordinare l’attacco. Le unità di Magruder iniziarono ad avanzare poco prima delle 1700, ma l’artiglieria le falciò come il grano, giunse subito dopo D. H. Hill dalla sinistra e sentendo la fucileria e le grida, obbedì all’ordine di Lee e lanciò le sue brigate dritte contro Malvern Hill. Huger fece lo stesso e solo il cadere della notte pose pietosamente fine al massacro e forse alla peggiore manovra di Lee dell’intera guerra. Fu un macello, circa 5.500 Confederati rimasero feriti o uccisi, mentre i Federali ne persero la metà. Il Generale D. H. Hill, particolarmente critico, disse che l’attacco a Malvern Hill “non è stata guerra, è stato un omicidio”. Con il cadere della notte Lee interruppe i tentativi per bloccare la ritirata di McClellan. In sette giorni di continui combattimenti, che dettero il nome alla battaglia, aveva perso circa un quarto dell’armata fra morti e feriti, e non aveva distrutto – come aveva sperato – McClellan, che aveva completato la sua ritirata su Harrison’s Landing dove non poteva più essere attaccato. Lee comunque aveva ottenuto un risultato: la minaccia su Richmond era stata eliminata, almeno per il momento, e McClellan aveva comunque subito 10.000 perdite, ricevendo un duro colpo alla fiducia accordatagli dal Presidente Lincoln ed al prestigio, inoltre, per quanto ancora presente nella Peninsula, non avrebbe più montato un’offensiva.
[#2] che sarebbe diventato ministro della Difesa della Confederazione ed era stato vice Presidente dell’Unione.
George B. McClellan. “McClellan Own Story”, New York, 1877
E. P. Alexanders. “Military Memoirs of a Confederate”, New York 1907
Clifford Dodley. “The Seven Days”, Boston 1964
Buel and Johnson. “Battles and Leaders”
William C. Davis. “Rebels and Yankees. The Battlefield of the Civil War”, London 1999