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Argomento: Sbarco in Normandia - Recensione di Haydn (06/06)
Copertina D Day di Stephen E. Ambrose, Rizzoli 2002 (9,22 Euro)
I libri di Ambrose sono l'espressione più completa di tutti i pregi e i limiti di opere storiche basate essenzialmente (e molto fieramente e patriotticamente, nel caso di Ambrose e dei suoi seguaci) su memorie di reduci. La minuziosa ricostruzione in presa diretta di episodi di guerra, la guerra vista attraverso il crudo racconto del reduce anziché soltanto filtrata e depurata attraverso i documenti e i resoconti ufficiali, sono interessanti e significativi. Più come fatto culturale che per la loro quantomeno dubbia oggettività. Ma oltre ai limiti comuni a tutti i libri che adottano una simile tipologia di ricerca - "l'orizzonte degli eventi", per prendere non casualmente a prestito un termine di astrofisica, ristretto a pochi metri intorno alla buca del soldato, o giù di lì; la difficile, a volte impossibile, verifica della veridicità di quanto affermato; l'inevitabile distorsione della rappresentazione dei fatti, dovuta all'età, al punto di vista personale, a pregiudizi e ingenuità; la tenace persistenza di luoghi comuni, banalità e propaganda del tempo di guerra nella testa dei vecchietti intervistati, di loro Ambrose e compagni aggiungono una retorica patriottarda fragorosa e ampollosa, un "chest-beating" come dicono laggiù, tutta innestata sul concetto che la democrazia è meglio, funziona meglio delle dittature non solo eticamente ed economicamente, ma anche militarmente. Voci come quella di Niklas Zetterling, che ha sommessamente ricordato come a volte statistiche ed analisi, tra l'altro proprio per la Normandia, proiettino una luce un po' diversa sul confronto, sono ormai isolate nel concerto generale di lodi sperticate agli Alleati e denigrazione implicita o esplicita delle qualità militari dei tedeschi. Evidentemente scottati per anni dalle comparazioni tra Auftragstaktik e Befehlstaktik, tra professionalità tedesca e mediocrità americana, tra elan e firepower, Ambrose & C. (penso anche al recente libro di Tom Brokaw sulla "generazione migliore della storia americana") si sfogano presentando il soldato-cittadino americano (corrispettivo militare del buon cittadino mite, operoso ma molto incazzato quando viene offeso, il protagonista di tanti film, spina dorsale etica e sociale della nazione) come una macchina da guerra molto più efficiente del nazista, ma naturalmente tutt'altro che guerrafondaio e desideroso unicamente di tornare alla fattoria nel Wisconsin, non prima di aver ammazzato, in genere con qualche soddisfazione, un bel po' di tedeschi, però. Adoperando con maestria i racconti dei reduci, che certo non sono portati, in media, alla riflessione storica e alla collazione dei dati, il quadro viene molto nitido e pulito, e perfettamente in linea con i presupposti ideologici del libro.
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