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Argomento: Nelson - Recensione di Marco S. (09/03)
Copertina Nelson - L'uomo che sconfisse Napoleone di Terry Coleman, Mondadori, 2003, pagg.425
Il volume in oggetto non si dilunga sul Nelson noto al grande pubblico degli appassionati, attraverso le sue famose vittorie (Capo S.Vincenzo, Aboukir, Copenhagen e Trafalgar) Intendiamo il Nelson geniale tattico navale. Intendiamo il Nelson ufficiale energico ed irriducibile, come forse di più non si potrebbe concepire. Intendiamo il Nelson grande capo, in possesso della miracolosa virtù di trasmettere ai suoi sottoposti il suo stesso entusiasmo. Questo Nelson è noto e lo si ritrova in tutti i libri di storia navale. E' il Nelson che appariva ai suoi marinai ed ai suoi sottordini, il Nelson noto al grande pubblico, che il volume lascia sullo sfondo, senza pretendere di sminuire o smentire (anche se , qua e là, qualcosa cerca di fare in tal senso). Non si troveranno quindi, in questo volume, minute descrizioni delle citate battaglie, che invece sono a malapena sfiorate. Il libro si dilunga invece sull'altro lato della medaglia della personalità di Nelson, quello che appariva a coloro che avevano l'onore e l'onere di rapportarsi con lui nella vita di tutti i giorni: i parenti e gli amici, i colleghi ed i superiori. In breve, la tesi dell'opera è che l'incredibile energia mostrata da Nelson sul campo di battaglia, si sosteneva soprattutto su un bisogno quasi maniacale di successo e di fama.

"Un uomo divorato dalla vanità.." l'avrebbe definito l'amm. Jervis, quando se lo vide comparire davanti, dopo il Nilo, coperto come un albero di Natale di tutte le numerose decorazioni britanniche, napoletane, turche e quant'altro, più o meno conferitegli o promessegli, alcune anche piuttosto bizzarre. Il giudizio risale al periodo in cui i rapporti tra i due cominciavano a raffreddarsi, ma è sicuramente giusto, nel contesto di tutti gli altri elementi che emergono nel libro. Il desiderio di fama è stata forse l'unica passione di Nelson, l'unico suo motore: tutto il resto, affetti e denaro, appaiono in secondo piano. Anche la famosa passione amorosa per Lady Hamilton, come vedremo, non può comprendersi se non come sottoprodotto della sua passione principale, per se e per la sua fama. Malgrado si potesse considerare uno degli ufficiali della Royal Navy più appoggiati della sua epoca (all'inizio dallo zio controllore del Consiglio della Marina, poi da Hood e da Jervis, questi ultimi pigmalioni acquisiti, va detto, anche grazie alle sue eccezionali qualità professionali), la sua vita quotidiana è scandita da continue lettere di lamentela da lui rivolte all'Ammiragliato, che reclamano (spesso con incredibile arroganza) riconoscimenti e comandi per sè oppure che si lamentano di analoghi riconoscimenti e comandi riconosciuti agli altri, quando ritenuti come sottratti a lui. La psicologia "nelsoniana" può essere significativamente sintetizzata dall'abitudine di scrivere di sè in terza persona: "Nelson è tanto al di sopra di comportamenti scandalosi o meschini, quanto i cieli al di sopra della terra", scrisse una volta di se al Commissario degli Approvvigiamenti, in merito a certe insinuazioni su un certo "affarismo" dei commissari di bordo dei suoi vascelli.

Ma la sua brama di fama non era solo un punto di forza, ma alla lunga doveva rivelarsi anche un punto debole. Nelson aveva a suo tempo sposato Fanny (Lady Frances Nelson, nata Woolward), una giovane vedova dalla quale, pur non avendo avuto figli (cosa di cui non risulta Nelson abbia mai fatto una malattia, tanto era concentrato su sè stesso), aveva tutte la qualità per essere una valida compagna di un ufficiale così ambizioso: una "Penelope" fedele e paziente, capace di seguire gli affari di famiglia, di fare da infermiera al vecchio padre di Horatio conquistandone affetto e stima, come anche dotata di quel giusto grado di mondanità, da partecipare senza farlo sfigurare ai ricevimenti della regina (al punto che venne anche proposta per diventare dama di compagnia della sovrana). Eppure, come è noto, Nelson finì per diventare succube di una avventuriera, Lady Hamilton, la giovane moglie dell'ambasciatore britannico a Napoli. I romantici guardano con simpatia a questa passione di Nelson e quasi dicono: "Finalmente vediamo il grande ammiraglio innamorato "di brutto" e quindi, per una volta, concentrato con tutte le sue energie su un'altra persona, diversa da se!" In realtà bisognerebbe essere ciechi per non vedere come Lady Emma Hamilton abbia letteralmente condotto Nelson per il naso, utilizzando il sesso ma, soprattutto, l'adulazione per diventare padrona della sua vita. Fanny, che lo conosceva sin da quando era un giovanissimo "post captain" con la "faccia da ragazzino", anche volendo, non sarebbe stata altrettanto credibile nel celebrare in poesia ed in "prosa" le imprese di quello che era diventato il grande eroe della "Britannia"! Inoltre, tramite Emma, Nelson aveva avuto l'illusione di essere entrato come protagonista e non come pedina, nel grande gioco della diplomazia: un'opportunità che Fanny non avrebbe certo potuto aprirgli. Nel periodo napoletano di Nelson, ricco di episodi controversi se non negativi (gli eventi relativi alla resa dei giacobini ed alla condanna dell'amm.Caracciolo...) è evidente l'influenza (o il potere?) di Lady Hamilton (e quindi della regina di Napoli, Maria Carolina, di cui la prima era amica intima), sulle decisioni di Nelson. Lord Keith, all'epoca comandante britannico della flotta del Mediterraneo e quindi superiore diretto di Nelson, rilevò senza troppa ironia che il comando delle navi là dislocate era ormai nelle mani di Lady Hamilton. Solo i meriti acquisiti da Nelson ed i suoi appoggi in Ammiragliato gli evitarono, in questa circostanza, una fine ingloriosa (Se lo stesso Keith avesse avuto mano libera, disponeva dell'autorità e dei motivi per "polverizzarlo", come soldato e come uomo).

Credo che però, più di ogni critica, sia illuminante un giudizio espresso da Lady Hamilton su Nelson: "Sotto molto aspetti è un grand'uomo, sotto altri è un bambino". A conclusioni analoghe erano giunti Lord Keith, l'amm. Jervis ed anche il futuro Duca di Wellington, malgrado la frequentazione di quest'ultimo con Nelson sia stata ridotta ad una mezz'ora di conversazione, facendo anticamera presso il principe di Galles (quello di Wellington è un aneddoto illuminante, che ben sintetizza la grande forza ed i gravi limiti della personalità del più grande ammiraglio della storia). Cosa concludere? Crediamo innanzitutto che il presente volume vada letto avendo anche una buona conoscenza del Nelson combattente, reperibile da un'ampia letteratura, perché se ci si limita a questa lettura, si rischia di domandarsi cosa mai ci fosse stato veramente di grande in quest'uomo. D'altra parte, questa lettura ci permette di confrontarci con i limiti della natura umana. Infatti, non possiamo nemmeno auspicare un Nelson meno "bambino", senza il rischio di perdere con esso pure il Nelson "grande uomo". Perché, come già detto, il desiderio patologico ed infantile di continui e sempre maggiori riconoscimenti, è stato la molla che ha spinto Nelson ad affrontare e superare pesanti sacrifici (andava in mare pur essendo molto cagionevole di salute e soggetto al mal di mare), rischi, malattie e gravi mutilazioni, senza mai deflettere di un millimetro dalla sua proverbiale edindomabile energia.
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