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Argomento: Marine Nationale - Recensione di Recensione di Marco S. (10/04)
Les Marins de Napoleon di Auguste Thomazi, Napoleonienne-Tallandier Editions, Paris 2004-pagg.368, (25 euro) (reperito presso Hoepli-Milano)
Un diffuso stereotipo, almeno tra coloro che non sono andati a fondo alla questione, è che Napoleone Bonaparte trascurasse molto la "Marine Nationale", la politica navale e la strategia navale e che questo fatto sia stato una delle cause delle sconfitte navali subite dalla Francia nel periodo considerato o, addirittura, tout-court, della sconfitta finale di Napoleone. Se ritenete necessario curarvi da questo rozzo pregiudizio, una delle migliori medicine è senz'altro la lettura del volume in questione.
Si tratta di un volume scritto dall'ammiraglio Thomazi che, dopo la I Guerra Mondiale, aveva abbandonato gli alti comandi per diventare un prolifico storico navale. Questo libro, pubblicato postumo per la prima volta solo nel 1978, è considerato un lavoro magistrale, almeno a voler credere all'occhiello di presentazione in dorso di copertina.
Il sottoscritto comunque condivide il giudizio, con qualche riserva marginale che specificheremo più avanti e che non inficia affatto il valore dell'opera.
Diciamo innanzittutto che il titolo del volume non rende giustizia al contenuto.
Infatti sarebbe illusorio pensare che "les marins", ai quali l'autore vuole alludere, siano i marinai francesi in genere e che in questo volume si trovi un esame approfondito della vita e dell'organizzazione della "Marine Nationale" napoleonica, partendo dalle oscurità del primo ponte di batteria, passando per il cassero, fino alle barre dei controvelacci.
Niente di tutto questo. La storia navale del periodo, l'organizzazione e le condizioni di vita a bordo dei "vaisseau" tricolori, sono lasciate invece sullo sfondo, ancorchè ben delineate e con il necessario approfondimento per inquadrare l'insieme.
"Les marins", ai quali Thomazi allude, sono invece gli ammiragli che hanno servito Napoleone nelle sue campagne principali (Egitto, Boulogne, Trafalgar), che vengono "riportati in vita" dall'autore attraverso una narrazione piacevole, sostanzialmente imperniata su centinaia di dispacci scambiati tra essi ed il "grande corso", più qualche brano di memorialistica.
Ne esce una galleria di ritratti di ammiragli (tra cui citiamo a caso Allemand, Brueys, Ganteaume, Decres, Missiessy, Villeneuve...) sorprendentemente analoga alle più note gallerie di ritratti che la pubblicistica storica ha diffuso sui marescialli di Napoleone. Medesimo anche il trattamento tributato loro dal "capo" (vale a dire un trattamento da "minus habens" : ), con l'aggravante che Napoleone non poteva essere per i suoi ammiragli quello che rappresentava per i suoi marescialli, cioè il comandante in capo "sul campo", ma era invece un capo tanto remoto, quanto esigente e a volte poco decifrabile. Sarebbe però ingiusto dire che Napoleone, in cuor suo, non si rendesse conto della sua inesperienza navale e dei limiti intrinseci della situazione. Infatti egli cercherà di avere in marina un suo "alter ego" nella persona del fratello Girolamo Bonaparte, che venne avviato alla carriera navale ma che, malgrado la certa prospettiva di rapida promozione fino ai vertici, non riuscirà mai ad adattarsi alla vita del marinaio ed alla fine sarà reindirizzato su ben altra strada.
Su queste premesse si svolgono le varie campagne navali, la cui "grande strategia" e la cui "strategia operativa" viene spesso impostata in prima persona dallo stesso Napoleone come ben illustrato dall'autore, basandosi sulla citata impalcatura dei dispacci e dei giudizi memorialistici. L'autore tende a presentare Napoleone come ben versato per le decisioni navali (del resto, sin dai tempi di Brienne, è un "marinaio fallito", no?!), ma poco sostenuto dai suoi ammiragli. Lo vediamo invitare un adorante e tremebondo ammiraglio Brueys ad entrare con le sue navi nel porto di Alessandria d'Egitto, dove non sarebbe stato esposto all'attacco di Nelson, come lo fu invece restando ad Aboukir, e dove avrebbe risolto più facilmente i suoi gravi problemi di rifornimento. Certo c'era quel piccolo problemino di poche decine di centimetri di franco d'acqua sotto la chiglia, per passare la barra di sabbia all'imboccatura del porto egiziano, ma cosa era mai?) Altrettanto azzeccata viene considerata la sua decisione di istituire la flottiglia di Boulogne, reputata decisiva nell'obbligare l'Inghilterra alla pace di Amiens del 1802. Inutile dire che la macchinosa (ancorchè non disprezzabile) strategia impostata da Napoleone per la campagna navale del 1804-1805 viene invece reputata un colpo di genio ed il suo fallimento è imputato solo all'incredibile pavidità dimostrata dall'ammiraglio Villeneuve a Finisterre, che crea le premesse per la storica sconfitta di Trafalgar.
Di fronte a quella che riteniamo una sopravvalutazione delle capacità strategico-navali di Napoleone, l'autore presenta però correttamente i limiti del personale di una marina "ex rivoluzionaria", una marina sorta dalle ceneri della vecchia "Marine Royale" dell'Ancient Regime, letteralmente "buttando via il bambino assieme all'acqua sporca", vale a dire molti esperti ufficiali aristocratici ed un corpo degli equipaggi tecnicamente preparato, ma troppo fedele al re. Una marina dove si aprivano larghi spazi per persone "rampanti", ma spesso prive del necessario tirocinio d'esperienza per il grado raggiunto.
Quello che invece ci convince di più dell'opera è la valutazione molto positiva sulla politica navale di Napoleone. Egli tende a superare in maniera energica limitazioni che la marina militare francese si trascinava irrisolti sin dai tempi di Richelieu, che pure ne era stato il grande fondatore.
Napoleone riforma l'organizzazione navale della Francia, creando le Prefetture Marittime, che vengono affidate ad ufficiali provenienti dalla vita operativa, togliendo di mezzo i vecchi "ufficiali di penna", burocrati che nella marina reale avevano in mano tutta l'amministrazione a terra e spesso avevano limitato, per incompetenza, le iniziative di molti brillanti comandanti in mare. Viene anche istituito, presso il governo, il Consiglio della Marina, la cosa più simile all'Ammiragliato britannico che si fosse mai vista in Francia prima di allora. Per tacere ovviamente dell'istituzione di scuole, dell'accademia e dell'ordinamento militare degli equipaggi.
Napoleone dimostra anche una chiara percezione della irrisolta e secolare questione politico-navale che aveva tormentato la Francia nella sua storia, vale a dire la mancanza di idonee basi navali sulla costa della Manica. Una limitazione che aveva influenzato per secoli la strategia navale francese contro la Gran Bretagna e l'Olanda e che si anche ritiene la causa più remota della grave sconfitta di La Hogue nel 1692. L'imperatore si impegna quindi, con la massima determinazione, nei lavori costruzione di una gigantesca diga foranea, per chiudere e fortificare la grande rada aperta di Cherbourg e far diventare questa città la terza base navale di Francia, dopo Brest e Tolone. Per gli stessi motivi si impegna a rivitalizzare Anversa, la città marinara fiamminga di antica grandezza, da due secoli e mezzo offuscata dalla ascesa di Amsterdam e poi di Londra. Anversa è oggetto di intensi lavori di dragaggio e costruzione, per la realizzazione di chiuse, fortificazioni e del più importante arsenale navale dell'impero francese. Niente può farci escludere che, avendo avuto il tempo necessario per realizzare queste opere, Napoleone non potesse venir annoverato anche come un grande riformatore navale, oltre che politico e militare. Solo la mancanza di tempo fece si che Anversa, dopo questa intensa parentesi, ritornasse ad essere una "vecchia signora" dei mari ormai decaduta, e fece si che la grande diga foranea di Cherbourg venisse completata solo all'epoca del Secondo Impero di Napoleone III.
In conclusione, quello che risulta dall'opera in questione, è un Napoleone I costantemente interessato allo sviluppo della marina ed al suo impiego. Lo vediamo "trovare la testa" per trattare di questioni navali persino durante i tragici momenti della ritirata di Russia. Egli comprende benissimo che solo con una marina forte potrà battere l'Inghilterra e quindi, fino all'ultimo, "ci crede". I "suoi" ammiragli cercheranno di assecondarlo come possono ed otterranno un implicito riconoscimento del loro sforzo quando Napoleone, ormai diretto a Sant'Elena, dirà: "Non ho assolutamente fatto abbastanza per la marina".
Pertanto raccomando la lettura di questo libro (per chi legge il francese, anche male, come il sottoscritto : ). Ne ho evidenziato quelli che ritengo i limiti ma, comunque, esso è ampiamente meritevole di lettura e di un posto in biblioteca, come lo meritano tutti i libri di lettura divertente, portatori di una originale e ben fondata visione storica.
A questo si aggiunge la splendida appendice, relativa ai dati anagrafici e agli stati di servizio di tutti gli "ammiragli di Napoleone", elencati in ordine alfabetico, da Allemand a Willaumez.
Si tratta di un volume scritto dall'ammiraglio Thomazi che, dopo la I Guerra Mondiale, aveva abbandonato gli alti comandi per diventare un prolifico storico navale. Questo libro, pubblicato postumo per la prima volta solo nel 1978, è considerato un lavoro magistrale, almeno a voler credere all'occhiello di presentazione in dorso di copertina.
Il sottoscritto comunque condivide il giudizio, con qualche riserva marginale che specificheremo più avanti e che non inficia affatto il valore dell'opera.
Diciamo innanzittutto che il titolo del volume non rende giustizia al contenuto.
Infatti sarebbe illusorio pensare che "les marins", ai quali l'autore vuole alludere, siano i marinai francesi in genere e che in questo volume si trovi un esame approfondito della vita e dell'organizzazione della "Marine Nationale" napoleonica, partendo dalle oscurità del primo ponte di batteria, passando per il cassero, fino alle barre dei controvelacci.
Niente di tutto questo. La storia navale del periodo, l'organizzazione e le condizioni di vita a bordo dei "vaisseau" tricolori, sono lasciate invece sullo sfondo, ancorchè ben delineate e con il necessario approfondimento per inquadrare l'insieme.
"Les marins", ai quali Thomazi allude, sono invece gli ammiragli che hanno servito Napoleone nelle sue campagne principali (Egitto, Boulogne, Trafalgar), che vengono "riportati in vita" dall'autore attraverso una narrazione piacevole, sostanzialmente imperniata su centinaia di dispacci scambiati tra essi ed il "grande corso", più qualche brano di memorialistica.
Ne esce una galleria di ritratti di ammiragli (tra cui citiamo a caso Allemand, Brueys, Ganteaume, Decres, Missiessy, Villeneuve...) sorprendentemente analoga alle più note gallerie di ritratti che la pubblicistica storica ha diffuso sui marescialli di Napoleone. Medesimo anche il trattamento tributato loro dal "capo" (vale a dire un trattamento da "minus habens" : ), con l'aggravante che Napoleone non poteva essere per i suoi ammiragli quello che rappresentava per i suoi marescialli, cioè il comandante in capo "sul campo", ma era invece un capo tanto remoto, quanto esigente e a volte poco decifrabile. Sarebbe però ingiusto dire che Napoleone, in cuor suo, non si rendesse conto della sua inesperienza navale e dei limiti intrinseci della situazione. Infatti egli cercherà di avere in marina un suo "alter ego" nella persona del fratello Girolamo Bonaparte, che venne avviato alla carriera navale ma che, malgrado la certa prospettiva di rapida promozione fino ai vertici, non riuscirà mai ad adattarsi alla vita del marinaio ed alla fine sarà reindirizzato su ben altra strada.
Su queste premesse si svolgono le varie campagne navali, la cui "grande strategia" e la cui "strategia operativa" viene spesso impostata in prima persona dallo stesso Napoleone come ben illustrato dall'autore, basandosi sulla citata impalcatura dei dispacci e dei giudizi memorialistici. L'autore tende a presentare Napoleone come ben versato per le decisioni navali (del resto, sin dai tempi di Brienne, è un "marinaio fallito", no?!), ma poco sostenuto dai suoi ammiragli. Lo vediamo invitare un adorante e tremebondo ammiraglio Brueys ad entrare con le sue navi nel porto di Alessandria d'Egitto, dove non sarebbe stato esposto all'attacco di Nelson, come lo fu invece restando ad Aboukir, e dove avrebbe risolto più facilmente i suoi gravi problemi di rifornimento. Certo c'era quel piccolo problemino di poche decine di centimetri di franco d'acqua sotto la chiglia, per passare la barra di sabbia all'imboccatura del porto egiziano, ma cosa era mai?) Altrettanto azzeccata viene considerata la sua decisione di istituire la flottiglia di Boulogne, reputata decisiva nell'obbligare l'Inghilterra alla pace di Amiens del 1802. Inutile dire che la macchinosa (ancorchè non disprezzabile) strategia impostata da Napoleone per la campagna navale del 1804-1805 viene invece reputata un colpo di genio ed il suo fallimento è imputato solo all'incredibile pavidità dimostrata dall'ammiraglio Villeneuve a Finisterre, che crea le premesse per la storica sconfitta di Trafalgar.
Di fronte a quella che riteniamo una sopravvalutazione delle capacità strategico-navali di Napoleone, l'autore presenta però correttamente i limiti del personale di una marina "ex rivoluzionaria", una marina sorta dalle ceneri della vecchia "Marine Royale" dell'Ancient Regime, letteralmente "buttando via il bambino assieme all'acqua sporca", vale a dire molti esperti ufficiali aristocratici ed un corpo degli equipaggi tecnicamente preparato, ma troppo fedele al re. Una marina dove si aprivano larghi spazi per persone "rampanti", ma spesso prive del necessario tirocinio d'esperienza per il grado raggiunto.
Quello che invece ci convince di più dell'opera è la valutazione molto positiva sulla politica navale di Napoleone. Egli tende a superare in maniera energica limitazioni che la marina militare francese si trascinava irrisolti sin dai tempi di Richelieu, che pure ne era stato il grande fondatore.
Napoleone riforma l'organizzazione navale della Francia, creando le Prefetture Marittime, che vengono affidate ad ufficiali provenienti dalla vita operativa, togliendo di mezzo i vecchi "ufficiali di penna", burocrati che nella marina reale avevano in mano tutta l'amministrazione a terra e spesso avevano limitato, per incompetenza, le iniziative di molti brillanti comandanti in mare. Viene anche istituito, presso il governo, il Consiglio della Marina, la cosa più simile all'Ammiragliato britannico che si fosse mai vista in Francia prima di allora. Per tacere ovviamente dell'istituzione di scuole, dell'accademia e dell'ordinamento militare degli equipaggi.
Napoleone dimostra anche una chiara percezione della irrisolta e secolare questione politico-navale che aveva tormentato la Francia nella sua storia, vale a dire la mancanza di idonee basi navali sulla costa della Manica. Una limitazione che aveva influenzato per secoli la strategia navale francese contro la Gran Bretagna e l'Olanda e che si anche ritiene la causa più remota della grave sconfitta di La Hogue nel 1692. L'imperatore si impegna quindi, con la massima determinazione, nei lavori costruzione di una gigantesca diga foranea, per chiudere e fortificare la grande rada aperta di Cherbourg e far diventare questa città la terza base navale di Francia, dopo Brest e Tolone. Per gli stessi motivi si impegna a rivitalizzare Anversa, la città marinara fiamminga di antica grandezza, da due secoli e mezzo offuscata dalla ascesa di Amsterdam e poi di Londra. Anversa è oggetto di intensi lavori di dragaggio e costruzione, per la realizzazione di chiuse, fortificazioni e del più importante arsenale navale dell'impero francese. Niente può farci escludere che, avendo avuto il tempo necessario per realizzare queste opere, Napoleone non potesse venir annoverato anche come un grande riformatore navale, oltre che politico e militare. Solo la mancanza di tempo fece si che Anversa, dopo questa intensa parentesi, ritornasse ad essere una "vecchia signora" dei mari ormai decaduta, e fece si che la grande diga foranea di Cherbourg venisse completata solo all'epoca del Secondo Impero di Napoleone III.
In conclusione, quello che risulta dall'opera in questione, è un Napoleone I costantemente interessato allo sviluppo della marina ed al suo impiego. Lo vediamo "trovare la testa" per trattare di questioni navali persino durante i tragici momenti della ritirata di Russia. Egli comprende benissimo che solo con una marina forte potrà battere l'Inghilterra e quindi, fino all'ultimo, "ci crede". I "suoi" ammiragli cercheranno di assecondarlo come possono ed otterranno un implicito riconoscimento del loro sforzo quando Napoleone, ormai diretto a Sant'Elena, dirà: "Non ho assolutamente fatto abbastanza per la marina".
Pertanto raccomando la lettura di questo libro (per chi legge il francese, anche male, come il sottoscritto : ). Ne ho evidenziato quelli che ritengo i limiti ma, comunque, esso è ampiamente meritevole di lettura e di un posto in biblioteca, come lo meritano tutti i libri di lettura divertente, portatori di una originale e ben fondata visione storica.
A questo si aggiunge la splendida appendice, relativa ai dati anagrafici e agli stati di servizio di tutti gli "ammiragli di Napoleone", elencati in ordine alfabetico, da Allemand a Willaumez.
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