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Argomento: Guerra Civile Americana - Recensione di Davide Pastore (12/02)
Copertina Storia della guerra civile americana di Raimondo Luraghi, Torino, Einaudi, 1966, ora Milano, Rizzoli (Superbur Saggi)
Per il lettore italiano che si accosta alla American Civil War la SdGCA è, da ormai quasi quarant'anni, l'opera standard di riferimento. In genere, è anche l'unica opera che il medesimo lettore mai leggerà in vita sua, per assenza di traduzioni.

Commenti positivi sulla SdGCA:

Luraghi ha l'indubbio merito di aver innanzi tutto scritto un libro sulla ACW in italiano. Sembra banale, ma non lo è. Per questo sforzo io - partito, come tutti, dalla lettura della SdGCA - lo ringrazio. Fine dei commenti positivi.

Commenti negativi sulla SdGCA:

Per cominciare, lo stile è insopportabile: epico, agiografico, retorico, pomposo. In questa mia preferenza so di essere in forte minoranza tra la massa dei lettori, che in genere sembrano incapaci di terminare la lettura di un saggio storico se l'autore non lo camuffa da poema cavalleresco.

Quali possano essere i difetti della forma, sono poca cosa rispetto a quelli del contenuto. La SdGCA illustra una visione molto distorta della realtà storica, che il lettore italiano medio normalmente accetta come oro colato. In sintesi: Luraghi è filo-sudista in maniera imbarazzante, e va inserito nel filone della Lost Cause (famiglia che raggruppa gli scrittori del Sud post-1865, il cui pensiero in genere si può riassume con "abbiamo perso, ma meritavamo di vincere!").

Luraghi inizia con un affresco del periodo prebellico, frettoloso e superficiale, descrivendo una romantica Arcadia meridionale popolata da gentili filosofi patrizi, dediti alla contemplazione ed al quieto vivere, francamente rammaricati dal fatto che la popolazione negra dovesse - per il suo bene - essere mantenuta in una benevola cattività, e giustamente preoccupati dall'ascesa dello spietato Moloch industriale nel Nord, che minacciava le loro agresti consuetudini e li strangolava economicamente. Contro il mostro essi si sarebbero infine levati, a malincuore, combattendo una battaglia gloriosa pur sapendo di averla persa in partenza (molto romantico questo) e sarebbero infine scomparsi, stritolati dalla Macchina. Il Poeta vaga sulle loro tombe, piange, e li canta.

Il suddetto mondo, ahimè, esiste solo nelle opere come Via col Vento (generalmente riferite in senso ironico come "Moonlight and Magnolia School"), nei ricordi miopi di una aristocrazia terriera abituata al dominio ma costretta ad adattarsi ad una nuova realtà, e nella fervida fantasia di un certo tipo di storici.

Innanzi tutto la fauna sudista più diffusa presentava caratteri poco ammirevoli: allergica ad ogni forma di cultura, portata alla violenza ed ammiratrice della medesima, ipersensibile ad ogni provocazione vera o presunta, zeppa di ipocrisie; il quadro d'insieme ricorda in modo sorprendente gli aspetti più macchiettistici dell'Uomo d'Onore tipico di certe nostre rive mediterranee. Per un quadro completo, vedere "Southern Honor: Ethics and Behavior in the Old South" di Bertram Wyatt-Brown.

Il fenomeno della schiavitù era semplicemente indegno di un paese che si dice civile, ed il bassissimo profilo tenuto dalla Lost Cause sull'argomento ne è prova. Il capitolo della SdGCA sui negri è sullo stesso tenore, preoccupato solo di stendere una luce rosata sulla Peculiare Istituzione.

La Secessione del 1860 non fu che la reazione sproporzionata di una opinione pubblica isterica alle (inesistenti) minacce portate dagli abolizionisti verso il sistema schiavistico. Siccome ammettere questo è politicamente poco presentabile, Luraghi si accoda a chi prima di lui ha inventato la causa economica della ACW: lo sfruttamento rapace del Sud da parte del Nord.

E' vero che nel 1860 il cotone sudista rappresentava da solo circa la metà del valore esportato dagli USA, ed è vero che - come gli attuali sceicchi del petrolio - i piantatori meridionali erano uno strumento attraverso cui una popolazione meno provvista di fortuna nell'allocazione di risorse naturali, ma più alacre, si arricchiva. Ma, esattamente come gli attuali sceicchi del petrolio, i piantatori sudisti non sembravano ricavare alcunché dal confronto con una differente realtà: l'unica preoccupazione era incassare le royalties spendendole in modo acconcio (ad esempio, comprando altri schiavi. La rispettabilità che un moderno sceicco ottiene esibendo il numero di Rolls-Royce veniva all'epoca ottenuta esibendo il numero di umani posseduti).

Da queste premesse, normale che nel particolare universo parallelo descritto nella SdGCA non si trovi cenno alle mire espansionistiche del Sud verso i Caraibi, con contorno di spedizioni stile "Quarto-Marsala, sola andata" verso Cuba e Nicaragua; e ovvio che gli abitanti filosudisti del Bleeding Kansas debbano "difendersi dall'aggressione" dai vicini filonordisti.

Questo per quanto riguarda gli aspetti politici, che del resto dopo i primi capitoli vengono totalmente archiviati e sostituiti da balletti di armate (che si devono svolgere in qualche zona dell'Iperuranio dove non esistono opinione pubblica, consenso, dissenso, elezioni). So per certo che la cosa non è sgradita al lettore medio (che in un libro sulla Guerra pretende di trovare Battaglie, e solo quelle) ma manca ad esempio qualsiasi accenno al progressivo crollo del fronte interno confederato. Comprensibile, visto che il discorso avrebbe dovuto includere un accenno allo spettacolare rateo di diserzione tra i sudisti. Che però nella SdGCA sono immancabilmente "eroici".

Per quanto riguarda la parte più tecnica, lo stato dell'Arte della Guerra, la SdGCA sposa interamente la classica visione degli storici americani sulle guerre in genere dal 1776 in poi: e cioè che gli americani sanno quello che fanno, e gli europei no. Mi riferisco in particolare al ruolo della cavalleria, alla efficacia delle armi rigate, ed alle battaglie "moderne", come condotte dagli americani. Dove gli europei per definizione conducono battaglie "antiquate" e marciano ciechi verso il massacro della Prima Guerra Mondiale.

L'argomento è complesso, e merita una trattazione più approfondita di quello che sia possibile fare in sede di recensione; tuttavia sintetizzando si può dire che i punti di vista illustrati contengano un 90% di sciovinismo campanilistico, ed un 10% di fatti reali interpretati in modo erroneo. Per una puntuale smentita raccomando "Battle Tactics of the American Civil War" di Paddy Griffith.

Siamo così giunti alle operazioni militari vere e proprie. Notiamo subito che la SdGCA contiene tre categorie di personaggi:
1) gli Eroi: Lee, Jackson, Grant, Lincoln.
2) i Cattivi. Gente del calibro di McClellan e Bragg, costituzionalmente incapace di fare una cosa giusta.
3) gli altri. Si apre la nebbia, spunta fuori un nome, si richiude la nebbia.

Il risultato è agiografico e distorto: tutte le operazioni sono interpretate in funzione della maggiore o minore simpatia verso un determinato personaggio. Gli Eroi non fanno mai errori, per definizione; tutt'al più possono venire mal consigliati. Quando un fatto storico potrebbe mettere in dubbio la caratterizzazione, viene taciuto.

Inoltre, la copertura del conflitto è - nonostante le dimensioni del libro - limitata. Se a Gettysburg sono riservati due capitoli, cinque anni di scontri nel Trans-Mississippi meritano solo una decina di righe. Largo spazio è dedicato a un incidente del tutto trascurabile come il duello Alabama vs. Kearsarge, e poche parole descrivono grandi campagne come Perryville e Tullahoma. Purtroppo la massa cartacea della SdGCA tende ad essere costituita da un gran numero di aggettivi, con un livello limitato di informazioni. Ad esempio, la carica di Pickett è il virtuale cuore del libro: eppure manca un cenno al numero dei partecipanti.

Chiude la narrazione l'omicidio di Lincoln. Curioso che, viste le premesse, manchi un capitolo sulla Ricostruzione (il periodo a "sovranità limitata" degli Stati ex-confederati, 1866-1877) la cui denuncia è uno dei cavalli di battaglia della Lost Cause. Bieca oppressione nordista, che intendeva introdurre a forza istituzioni demoniache come il voto, e l'istruzione, ai negri, ma che è stata rigettata al mittente dall'eroica resistenza popolare per mano specialmente dei suoi paladini: quel club di cavallereschi signori dediti alle feste mascherate, il Ku Klux Klan.

Ultima sezione del libro, nonché l'unica di cui tuttora trovo utile la consultazione, è l'ampia bibliografia critica. Forse non stupirà se aggiungo che ho trovato particolarmente validi alcuni dei titoli che Luraghi stronca.

Per concludere, raccomando a tutti i lettori che abbiano terminato la SdGCA, e le cui certezze siano state almeno parzialmente erose da questo mio scritto, il libro "Battle Cry of Freedom" di James M. McPherson, meritatamente insignito del Premio Pulitzer. Non posso in alcun modo astenermi dal far notare che questa premiazione è stato bollata pubblicamente (dalle colonne di "Tuttostoria Libri") come molto riprovevole da Luraghi stesso. La cui SdGCA difficilmente potrà ottenere lo stesso riconoscimento, visto che (a differenza di quanto sembra pensare qualcuno) a quarant'anni dalla sua apparizione risulta tuttora del tutto ignota alla grande maggioranza [#1] degli storici americani.

Davide Pastore

Per una bibliografia critica sulla Guerra Civile: www.icsm.it/secessione/


[#1] La bibliografia di cui sopra contiene alla data attuale (11 Giugno 2003) 170 opere. Escludendo da questa lista gli altri libri di Luraghi, l'unico testo che riporti in bibliografia la SdGCA è "The Confederate Nation: 1861-1865" di Emory M. Thomas, che per la verità ne parla anche molto bene. Trovando assai sospetto che il Thomas riesca a leggere agevolmente più di un migliaio di pagine in italiano, ma sia poi incapace di tradurre nella stessa lingua un breve estratto da un suo saggio (apparso su "La Guerra Civile Americana", Bologna 1978, traduzione - guarda il caso - di Luraghi [#2]) ne ricavo il fermo convincimento che questa citazione costituisca un qualche tipo di do ut des.

[#2] Per inquadrare meglio i personaggi: questo libro è una collezione di estratti di vari autori americani - alcuni per altro molto validi - tradotti dal Nostro. Dal testo italiano sono state omesse le note da tutti i saggi, tranne da uno. In quanto (testuale) "nel suo caso costituiscono parte integrante del testo". Sarà. Però - guarda il caso - una delle note cita uno scritto di Luraghi.
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