Questa ricerca sull'evoluzione della cavalleria nell'esercito romano offre al lettore una visione molto datata, e tutto sommato semplicistica, delle vicende che portarono all'emergere, a partire dall'VIII sec. della cavalleria pesante medievale europea; tale teoria presuppone che essa possa spiegarsi nell'ambito della storia militare romana. In particolare, secondo questa visione il nascere della supremazia della cavalleria sul campo di battaglia è un fenomeno specifico della fine dell'età tardo antica. Nel caso in questione l'argomentazione è anche viziata da numerosi errori, alcuni veramente banali, che rendono tutto l'insieme ancora pi&uograve; opinabile. Infine, come back ground, vi è l'immancabile teoria della barbarizzazione dell'esercito romano, che oramai viene rifiutata o comunque estremamente ridimensionata dagli studiosi, ma che, vera idra
dalle sette teste, rispunta ogni volta.
Partiamo però da principio, affrontando il problema dell'emergere della cavalleria, ed in particolar modo di quella pesante, in ambito romano. L'importanza della cavalleria nel periodo delle guerre Puniche è, come lo stesso Autore riconosce, molto relativa. L'esercito Cartaginese di Annibale è figlio della sua cultura militare fondamentalmente ellenistica, un esercito ad "armi combinate" in cui ciascuna componente gioca la sua parte in campo tattico (per le influenze ellenistiche sull'arte militare cartaginese, si veda ad esempio il paragrafo 3 del cap. III del "Il guerriero, l'oplita, il legionario" di G. Brizzi). Rimanendo in campo ellenistico ben pi&uograve; peso ha la cavalleria da shock di Alessandro Magno, come, sia pur in misura minore, anche quella dei suoi immediati successori (per l'arte della guerra macedone si veda ad esempio il paragrafo 3 del cap. I del "Il guerriero, l'oplita, il legionario" di G. Brizzi).
Nei periodi successivi Roma si affidò sempre pi&uograve;, per la cavalleria, ad alleati ed a mercenari, e la riforma Mariana non fece altro che confermare ciò, sottraendo alla legione la sua aliquota di cavalleria. In effetti la cavalleria reclutata tra i cittadini romani scompare praticamente tra il tardo II secolo a.C. e la prima metà del I sec. a.C.
Mario proseguì sulla strada, già del resto intrapresa, della professionalizzazione delle legioni, ma per arrivare ad una vera e propria professionalizzazione della cavalleria bisogna aspettare l'avvento dell'Impero (per gli eserciti della tarda Repubblica rimando alle opere di A. Goldsworthy, "Rome at war 100 b.C. - 200 A.D." e L. Keppie "The roman army of the later republic" - in "Warfare in the ancient world"). Durante il primo periodo dell'Impero, infatti, la cavalleria, finora
fornita dagli alleati, o di origine mercenaria, divenne parte integrante dell'esercito regolare, sotto forma di unità di
cavalleria ausiliaria (per l'alto Impero il testo di riferimento è Y. Le Bohec "L'esercito Romano - le armi imperiali da Augusto a Caracalla"). Né mi sembra che si debba esagerare la presenza di una banda mercenaria di 2.000 Germani nell'esercito delle Gallie di Cesare, fino al punto di definire per lei "un ruolo diverso": abbiamo detto che la cavalleria degli eserciti romani dell'epoca era mercenaria o tratta da alleati di Roma (vedi ad esempio i cavalieri Galli dell'esercito di Crasso), e nel caso specifico si intendeva sfruttare la paura che i cavalieri Germani ispiravano alla cavalleria Gallica, ma le loro monte erano di qualità talmente inferiore che questi cavalieri vennero forniti di cavalli romani. Nessuna novità nell'organizzazione o nell'uso tattico o strategico (o operativo, usando impropriamente un termine moderno).
Se proprio dobbiamo cercare un indizio di reale cambiamento, dobbiamo andare al Primo Impero, all'incorporazione nell'esercito regolare delle unità di cavalleria e soprattutto nell'uso fatto della cavalleria, in specie leggera, da parte di Traiano ad esempio nella sua campagna partica; poco dopo Adriano istituì la prima ala di cavalleria catafratta.
Ma se la cavalleria leggera viene certamente sviluppata in risposta alle tattiche dei Parti, l'influenza dei Germani sullo sviluppo della cavalleria romana, è in questo periodo, nullo. E d'altronde tra le popolazioni germaniche di oltre Reno, la
cavalleria non era certo molto sviluppata, il cavallo essendo soprattutto uno status symbol: ancora alla battaglia di Strasburgo la cavalleria Alemanna combatte smontata.
Nello sviluppo delle primissime cavallerie catafratte romane è invece forte l'influsso dei Sarmati, con cui i Romani erano entrati in contatto, o meglio scontro, durante le campagne Daciche.
Arriviamo quindi alla crisi del III secolo ed all'emergere, accanto alla cavalleria leggera, già esistente, di una cavalleria pesante e ultra pesante (catafratti e/o clibanari), che però ha un ruolo pi&uograve; strategico che tattico: essa permette di costituire una importante riserva strategica mobile e di dare ai Romani, in congiunzione con la cavalleria leggera, la capacità di forzare un nemico altrimenti inafferrabile, quali grosse bande di barbari dediti alla razzia, o
eserciti Sassanidi invasori, alla battaglia.
Ma in campo tattico è la fanteria a rimanere l'arma principale, e manterrà questo ruolo almeno fino al VI secolo: la visione, molto romantica, della cavalleria che si afferma come arma dominante nella battaglia di Adrianopoli, è totalmente superata, e storici militari quali A. Ferrill mettono in dubbio, secondo me giustamente, che i Campi Catalaunici siano stati una battaglia di cavalleria. Tale visione, peraltro romantica e oramai superata, risale agli studi del compianto (da oramai 60 anni !!) Sir Charles Oman, che però risalgono agli ultimissimi anni del XIX sec. Le grandi battaglie del IV secolo, da Strasburgo ad Adrianopoli al fiume Frigido, sono essenzialmente battaglie di fanteria, e per vedere il campo di battaglia dominato dalla cavalleria bisognerà attendere le guerre di riconquista di Giustiniano, e anche allora il tipo di cavalleria dominante avrà un armamento duale: lancia ed arco, e l'influenza principale non sarà né Partica (e d'altronde i Parti
avevano perso il loro potere già da pi&uograve; di tre secoli) né Germanica, ma Unna, Sassanide, e successivamente, nel VI e VII sec. Avara. Questa linea evolutiva continuerà nella cavalleria bizantina almeno fino al X sec., ma la cavalleria dei Romani d'Oriente sarà molto diversa dalla contemporanea cavalleria europea, facendo sempre affidamento ad unità armate sia di arco che di lancia. Per il periodo che va dal III sec. d.C. al VI sec. rimando senz'altro a M. J. Nicasie "Twilight of Empire", a H. Elton "Warfare in Roman Europe" ed a "The late roman army" di Southern e Dixon.
Per concludere, l'affermarsi della cavalleria medievale europea non ha i suoi presupposti nella storia militare tardo romana. Né tanto meno si può individuare la sua origine nella cavalleria germanica dello stesso periodo. Infatti, tra le popolazioni germaniche, almeno per quanto riguarda il periodo tardo antico, i soli a far un uso estensivo della cavalleria in
guerra, furono i germano - orientali, e cioè i Goti ed i Vandali, mentre tra i germano - occidentali (Franchi, Sassoni ecc.) ed i germano - settentrionali, i nordici, le cui culture hanno segnato la civiltà altomedievale europea, la cavalleria aveva una diffusione relativa, ed il cavallo era soprattutto uno status symbol. D'altra parte Goti e Vandali uscirono di scena abbastanza presto, senza lasciare influenze durature dal punto di vista militare.
In realtà la cavalleria medievale europea nasce nell'VIII sec. d.C., in ambito franco, rispondendo a ben precise esigenze, non solo militari, ma anche socio economiche, della civiltà altomedievale.
Per concludere questa prima parte vorrei citare una frase di Franco Cardini (tratta da "Quella antica festa crudele", al cui Cap. I rinvio per un'analisi precisa della nascita della cavalleria medievale europea): "Quel che infatti colpisce, nella storia di longue durèe della cavalleria, è che essa è stata sotto il profilo militare spesso inferiore alla sua fama, senza tuttavia che questa evidente verità abbia mai effettivamente scalfito quella fama stessa".
Passiamo ora al commento specifico della ricerca; mi soffermerò ovviamente solo sulle affermazioni pi&uograve; discutibili (riportandole tra virgolette), cercando necessariamente di essere breve, perché su alcune questioni, quali la barbarizzazione dell'esercito romano, si possono scrivere (e si sono scritti) interi libri. In compenso darò ulteriori indicazioni bibliografiche che ritengo estremamente utili per chi voglia approfondire gli argomenti trattati.
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Alcune fonti vogliono che, nella fase regia e nei primi anni dell'età repubblicana, le forze romane si siano basate sul sistema della falange greca. Tale ipotesi appare piuttosto inverosimile, vista la relativa ignoranza italica nei confronti dell'ordinamento militare greco - macedone." Innanzi tutto l'ipotesi dell'uso della falange greca da parte dei
Romani dell'età regia, a partire dalle riforme di S. Tullio e primo repubblicana, è quella pi&uograve; accettata dagli studiosi (cito tra tutti P. Connolly "The early roman army" - in "Warfare in the ancient world", G. Brizzi al Cap. II par. I "Il guerriero, l'oplita, il legionario" e J. E. Lendon "Le ombre dei guerrieri"). Si trattava di una falange arcaica, in cui vi era anche spazio per truppe con armi da lancio, ma era comunque una falange oplitica (armata cioè con aste e non con sarisse). Questo modo di combattere era stato appreso dagli Etruschi, che a loro volta l'avevano appreso dai loro contatti con la Magna Grecia. L'adozione di tale sistema da parte dei Romani risale all'epoca della riforma di Servio Tullio (metà VI sec. a.C.); non si tratta quindi di influssi greco - macedoni (la falange macedone risale al IV sec. a.C.) ma di influssi greco arcaici (VII sec. a.C.) recepiti per il tramite etrusco.
La guerra per bande, precedente, è invece tipica dell'età arcaica. Per un'analisi accurata del passaggio dalla guerra di tipo
"eroico" a quello di tipo "oplitico" in età arcaica si veda M. Torelli "Dalle aristocrazie gentilizie alla nascita della plebe" in "Storia di Roma", a cura di A. Giardina e A. Schiamone.
Da quanto da me detto nella prima parte dell'articolo, inoltre, l'idea che l'origine della cavalleria medievale europea (penso infatti che a questa si riferisca l'Autore) possa "
essere ritrovata nei catafratti parti" non trova riscontro nella realtà. Infatti nell'odierno Iran ai Parti successero i Sassanidi, la cui cavalleria non aveva molto in comune coi catafratti, l'arma principale essendo l'arco, invece del kontos dei catafratti Parti, così che questi risultano essere una linea evolutiva presto estinta. Né si può affermare neppure che il loro ruolo tattico fosse lo stesso, il loro modus operandi era infatti molto diverso.
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L'armamento individuale del cavaliere non fa altro che confermare tale tesi. Egli non indossa certo la lorica, ma una corazza molto pi&uograve; leggera. Non disponeva del grande scutum, proprio del legionario, ma era dotato (e neppure sempre) della parma, un piccolo scudo di forma rotonda, atto a proteggere da colpi diretti ravvicinati, senza garantire, però, nessuna vera protezione (lo scudo era di rame, poco resistente nei confronti del ferro delle lame). Il loro armamento offensivo era costituito essenzialmente dalla lunga spata, che meglio del gladium si adattava al ruolo che la cavalleria esercitava."
Questa descrizione della cavalleria romana è in contrasto con l'unica descrizione attendibile dei cavalieri romani di quel tempo, e cioè Polibio, in VI, 25. Lo storico greco ci descrive il passaggio, avvenuto grosso modo all'epoca delle guerre puniche, da una cavalleria priva di corazza, con lance fragili e con una sola punta, e dotata di un poco efficace
scudo in pelle di bue, ad una cavalleria in stile ellenistico, dotata di corazza, una robusta lancia e di un solido scudo.
In quanto alla "spata" (sic), in realtà la spatha è attestata, per la cavalleria romana del I sec. d.C. e non c'è nessuna evidenza per un suo uso così anteriore a quella data.
La riforma mariana della legione (I secolo a.C.) non comportò eccessive modifiche al ruolo e alla composizione delle unità di
cavalleria se si eccettua l'ovvia trasformazione anche di esse in unità di professionisti (migliorandone l'abilità). In realtà, come detto sopra, la riforma del I secolo non riguardò la cavalleria, se non nel senso che a partire dalla prima metà di esso non ci fu pi&uograve; una cavalleria propriamente romana, ma solo alleata o mercenaria: una cavalleria legionaria fu reinstituita solo durante il I sec. D. C., consistendo in 120 cavalieri per legione.
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Due esempi su tutti. Nella battaglia di Strasburgo del 357, l'imperatore (o meglio il Cesare) Giuliano (il famoso Apostata), schierò un nutrito corpo di cavalieri pesanti (i cosiddetti catafratti o clibanarii) che, sebbene non decisivi, contribuirono comunque a sgominare le orde alamanne che avevano invaso la Gallia Romana." In realtà alla battaglia di Strasburgo Giuliano aveva a disposizione un'unità di catafratti di circa 600 uomini (su un totale di circa 13.000 uomini, secondo Ammiano, o 15.000, secondo Libanio, e quindi sempre meno del 5%) la cui unica contribuzione fu di andare in rotta
all'inizio della battaglia. Come nella maggior parte delle altre occasioni la cavalleria ultra pesante (catafratti o clibanari) si dimostrò tatticamente inutile.
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Ancor pi&uograve; eclatante è la vittoria romano - visigota dei Campi Catalaunici del 452, contro l'esercito barbarico di Attila. Contro di essi gli equites sagittarii clibanarii (cavalieri corazzati esperti nel tiro con l'arco) di Ezio fecero meraviglie, risultando decisivi ai fini dell'esito finale della battaglia." In realtà l'unica fonte che ci descrive la battaglia dei Campi Catalaunici (Giordane) non parla mai di equites sagittarii clibanarii, anzi nella sua opera, la Getica, non sono mai citati i clibanari, e i sagittarii sono menzionati due volte, ma non precisamente identificati come unità di cavalleria o di fanteria. Questa ricostruzione quindi della battaglia dei Campi Catalaunici è quindi decisamente di fantasia.
Tra l'altro autori come Ferrill in "The fall of Roman Empire" negano addirittura che i Campi Catalaunici siano stati una battaglia di cavalleria.
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Il nuovo ruolo della cavalleria, ormai posta sullo stesso livello della fanteria, è attestato dalla creazione di un comando autonomo, il noto magister equitum, di pari dignità, se non a volte superiore, al magister peditum (comandante delle truppe appiedate)." Innanzi tutto si deve rilevare che il titolo di magister equitum esisteva già dal tempo della Repubblica. Comunque dalla Notizia Dignitatum si evince che il rango del magister peditum (comandante della fanteria) era superiore a quello del magister equitum (comandante della cavalleria): nonostante le vecchie teorie alla Oman, la fanteria è ancora, nel IV secolo, la regina delle battaglie.
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i secondi, invece, erano i degni eredi della cavalleria leggera numidica. Queste ultime unità costituirono, negli ultimi secoli dell'impero il cuore della cavalleria leggera romana (non a caso numerosi imperatori ne fecero uso, come Massenzio che ne arruolò 18.000 per la sfortunata campagna contro Costantino che culminò nella battaglia di Ponte Milvio)." Veramente il totale di 18.000 cavalieri si riferisce al totale della cavalleria di Massenzio, compresa quella pesante ed ultra pesante (la fonte è Zosimo, Historia Nova, libro II). Il fatto poi che nella campagna italiana di Costantino i catafratti di Massenzio collezionassero solo insuccessi (vedi ad es. la battaglia di Torino) fossero rotti dalla normale cavalleria pesante di Costantino la dice lunga sulla loro utilità tattica.
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Tutte queste unità si organizzavano, a seconda della formazione, in alae, vexillationes o cunei, questi ultimi ereditati dalla tradizione germanica e destinati a divenire la formazione per eccellenza dell'arma a cavallo." La teoria che le unità denominate cunei fossero composte da truppe germaniche è stata avanzata da Mommsen, ma non è supportata da alcuna evidenza (vedi la già citata opera di Southern and Dixon), e le unità di "cunei equitum" sembrano piuttosto discendere da unità di cavalleria regolare romana del primo Impero. Analogamente è stata avanzata l'ipotesi che il cuneo (in latino cuneus o anche caput porci), fosse una tipica formazione di origine germanica; da questa formazione barbara le unità di cavalleria romane sarebbero poi state denominate "cunei". Ancora una volta non vi è alcuna evidenza che il cuneus fosse una formazione di origine germanica. Come formazione di fanteria il cuneus è attestato in Livio (AUC II.50.9 e VII.24.7) ed in Cesare (BG.VI.40), e pi&uograve; tardi in Tacito (Ann. XIV.37; Hist. II.42 e III.29), si tratta dunque di una formazione ben conosciuta ai Romani almeno dai tempi della tarda repubblica; essendo ancora citato sia da Vegezio che da Ammiano, se ne deve dedurre una sua continuità d'uso, da parte dei Romani, per alcuni secoli. Per quanto riguarda i cunei di cavalleria essi erano in uso dai tempi di Alessandro Magno, ed erano ancora in uso nel mondo ellenistico al tempo dei primi contatti coi Romani. I cunei di cavalleria sono stati inoltre descritti da autori come Asclepiodoto (I sec. a.C.), Eliano (prima parte del II sec. d.C.) e Arriano (metà del II sec. d.C.), nonché da Polibio nel suo perduto trattato sulla tattica (ripreso da tutti e tre gli scrittori citati). Ricordiamo che Arriano era anche un comandante dell'esercito imperiale, ed avendo descritto la formazione a cuneo nella sua opera, l'avrà anche con tutta probabilità usata.
Presupporre quindi un'origine germanica per i cunei, anche di cavalleria, non trova alcun riscontro oggettivo mentre la conoscenza e l'uso dei cunei, anche di cavalleria, lungo tutta l'antichità classica è un fatto assodato. Per una trattazione accurata della questione rimando al Cap. IV della già citata opera di Nicasie. Infine cunei, vexillationes e alae non erano affatto unità che combattevano con formazioni differenti, i loro nomi derivavano invece dalla storia precedente delle unità stesse.
Un'ultima parola infine sulla presunta "barbarizzazione" dell'esercito imperiale romano: oramai questa teoria, nata
all'inizio del secolo scorso in ambienti tedeschi quanto meno "politicamente impegnati" e priva di evidenze oggettive è stata
confutata, soprattutto da studi esteri (vedi ad esempio Twilight of an Empire di Nicasie o Warfare in Roman Europe 350 - 425 a.D. di Elton). In pratica la tendenza attuale a livello accademico è di ridimensionare drasticamente il fenomeno della "barbarizzazione" facendolo inoltre partire solo dagli ultimi 10 -15 anni del IV secolo.
Qui in Italia, a causa di tanta deleteria cattiva divulgazione, si dà ancora tale fenomeno per scontato, facendolo iniziare con l'età di Costantino o al III secolo d.C. (o addirittura nel I secolo d.C. secondo le teorie formulate prima della seconda guerra mondiale dal tedesco Sander). Per avere una visione pi&uograve; chiara e meno datata del problema suggerisco
quindi un testo italiano "Barbari - Immigrati, profughi, deportati nell'Impero Romano" di A. Barbero.
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