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Operazioni militari in Tracia 376-378 d.C. - Adrianopoli
by Gianfranco Cimino - 23/03/02
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1 - Introduzione

Recentemente la battaglia di Adrianopoli è stata molto citata su questo ng, ho deciso perciò di scrivere qualcosa a riguardo, sperando possa essere di una qualche utilità ai frequentatori di ICSM.

In questo post perciò descriverò prima, ed analizzerò poi la condotta delle operazioni militari in Tracia tra lo scoppio delle ostilità tra Goti e Romani (scontro di Marcianopoli, 376 o 377 d.C.) e la battaglia di Adrianopoli (9 Agosto 378 d.C.), distinguendo la condotta della campagna dallo svolgimento della battaglia vera e propria.

Per non appesantire la narrazione non citerò puntualmente le mie due fonti primarie (Ammiano, libro XXXI delle Storie, e Zosimo, libro IV della Storia Nuova). Devo avvertire il lettore che mentre Ammiano si dilunga abbastanza nel descrivere la campagna precedente alla battaglia, non altrettanto fa con lo scontro finale di Adrianopoli, il cui resoconto non è proprio precisissimo. Le altre fonti Zosimo, ma anche Orosio e Giordane, che però scrivono un secolo dopo, pur confermando Ammiano, non aggiungono nulla a quanto da lui detto. Perciò ancora oggi non è possibile definire esattamente quello che accadde quel giorno. Si va dalla oramai superata interpretazione di Oman, secondo cui a vincere la giornata fu una travolgente carica della cavalleria Gota, al doppio avvolgimento avanzato da Ferril alla manovra alquanto complicata proposta da McDowall.

Pur riconoscendo che la spiegazione di Mc Dowall, a cui accennerò brevemente, è interessante, ho preferito attenermi alla più semplice descrizione data da Nicasie. Utili riferimenti geografici possono essere tratti da un atlante storico-geografico, di cui alcuni sono disponibili on line.

2 - Descrizione delle operazioni

Il primo scontro tra Goti Teruingi e Romani (ricordiamo che i Goti erano stati accolti, come da loro richiesta, in Tracia, e quindi erano a tutti gli effetti ospiti ed in pace coi Romani), fu il risultato di una escalation di tensione e di reciproci sospetti tra le due parti, che sfociò in una serie di disordini a Marcianopoli.

Lupicino, comes della Tracia, tentò a questo punto di sedare subito la rivolta, ma attaccò a nove miglia da Marcianopoli, come dice Ammiano "più temerariamente che prudentemente", con poche truppe, probabilmente limitanei sotto i suoi diretti ordini, i molto più numerosi e combattivi Teruingi, guidati da Fritigern, che sconfissero i Romani, uccidendo la maggior parte dei soldati e facendo ignominiosamente fuggire Lupicinus, cui la situazione era evidentemente completamente sfuggita di mano. In questa occasione i Teruingi riuscirono ad impossessarsi di molto equipaggiamento militare, di cui erano a corto, essendo stati sommariamente disarmati all'atto del loro ingresso nell'Impero.

Fritigern si unì poi ad un altro gruppo di Goti già stanziati nell'Impero e successivamente ammutinatisi, quello di Sueridas e di Colias, provenienti da Adrianopoli, ed insieme tentarono vanamente di impadronirsi di questa città fortificata; una volta realizzata l'impossibilità di prenderla, i Teruingi si dispersero per la Tracia, saccheggiando e razziando, con la guida anche di locali minatori che passarono dalla loro parte.

I Goti vennero altresì rinforzati dai loro numerosi connazionali fatti precedentemente schiavi dai Romani e dai Goti Greuthingi di Alateo, Safrace e Farnobio che precedentemente, approfittando dalla confusione causata dai Teruingi, avevano traversato il Danubio.

A questo punto l'imperatore Valente, che era ad Antiochia a seguire l'evolversi dell'ennesima crisi con la Persia, decise di tornare appena possibile, lasciando al magister equitum Vittore il compito di sistemare le questioni riguardanti l'Armenia.

Furono perciò mandati avanti Profuturo e Traiano, che Ammiano giudica ambiziosi ma "imbellis", alla guida delle legioni provenienti dall'Armenia. Le truppe romane riuscirono a confinare i Goti nel massiccio montuoso dell'Emo, una zona spoglia e disabitata, sperando così di sfinirli per fame, in attesa dei rinforzi provenienti dall'imperatore d'Occidente Graziano, nipote di Valente, dapprima truppe pannoniche e galliche condotte da Frigeridus, e successivamente alcune coorti a ranghi ridotti, comandate da Ricomere, comes domesticorum (comandante della guardia), che, essendo il più alto in grado assunse il comando.

L'esercito romano, si riunì nella città di Ad Salices, in Dobrugia, dove era stato intercettato il campo principale Goto, come al solito formato da carri disposti in circolo (carrago).

I Romani aspettavano che i Goti si muovessero dalla loro forte posizione per poi poterli attaccare in movimento, ma essi, consci di ciò, non lo fecero, e gli Imperiali dovettero perciò attaccare una battaglia campale contro un avversario superiore in numero (le bande di razziatori sparse per la campagna erano state nel frattempo richiamate al campo principale).

Dopo qualche manovra iniziale per poter guadagnare una posizione dominante, l'urto dei Goti quasi travolse l'ala sinistra romana, e la situazione fu ristabilita dall'intervento della riserva; il combattimento durò fino a notte, ma fu inconclusivo, ed entrambe le parti si ritirarono nei loro accampamenti. I Romani, inferiori in numero, riportarono ed inflissero numerose perdite, e, dopo la battaglia, si ritirarono verso Marcianopoli, mentre i Goti rimasero nelle loro posizioni per altri sette giorni. Si era oramai giunti all'avvicinarsi dell'autunno, e le operazioni militari subirono una pausa; i Romani bloccarono con mura i passi del massiccio dell'Emo mentre Ricomere tornava in Gallia per radunare ulteriori rinforzi. Non essendo stata vinta una battaglia decisiva, si cercava quindi ancora una volta di sfinire i Goti per fame.

Anche questa tattica era però destinata a fallire, giacchè Saturnino, destinato al comando da Valente una volta partito Ricomere, dovette, dopo aver più volte respinto i Goti, abbandonare le sue posizioni sul monte Emo, permettendo ai Teruingi ed ai loro alleati di penetrare di nuovo in profondità in Tracia.

Le ragioni di tale condotta sono attribuite da Ammiano alla comparsa di gruppi di Alani ed Unni che, sobillati dai Goti, avevano presumibilmente attraversato il Danubio, oramai non più sufficentemente guardato; Saturnino, si sarebbe dovuto ritirare per non essere travolto.

Una volta non più confinati, i Goti assunsero un atteggiamento più offensivo, riuscendo a sorprendere vicino alla città di Dibaltum, a sud di Marcianopoli, sul Mar Nero, una forza romana agli ordini di Barzimere, che comprendeva, tra l'altro, Scutarii e Cornuti. Nonostante la sorpresa le unità di Barzimere riuscirono ad opporre una certa resistenza, ma, circondate dalla cavalleria frattanto sopraggiunta, furono alla fine distrutte.

A questo punto i Goti, avendo avuto notizia che Frigeridus, che aveva sostituito Ricomere, e, per ordine di Graziano, si era diretto verso la Tracia era accampato nei pressi di Beroea, tentarono di sorprenderlo, come precedentemente fatto con Barzimere.

Frigeridus però, avvertito dalla propria esplorazione, si ritirò allora verso l'Illirico, riuscendo anche a sua volta a sorprendere ed annientare una forza mista di Goti e Taifali comandata da Farnobio. Oramai si era alla fine dell'autunno del 377 d.C.; l'ultima azione di Frigeridus, prima di passare il comando al comes Mauro, fu di fortificare il passo di Succi, negando ai Goti l'accesso all'Illirico.

L'avvento dell'inverno bloccò probabilmente le operazioni sul campo, anche se le azioni di "guerriglia" (mi si perdoni qui l'uso di un termine forse inappropriato perché troppo moderno) presumibilmente continuarono. La situazione romana si era sicuramente deteriorata negli ultimi mesi del 377 d.C., ma i Goti erano stati perlomeno confinati in Tracia, e la loro situazione logistica sicuramente peggiorò durante la stagione invernale.

Con il ritorno della bella stagione le operazioni dovettero intensificarsi, e sia Graziano con un esercito campale occidentale, anche se ritardato da attacchi degli Alemanni Lentienses e da successive scaramucce con gli Alani, sia Valente con un esercito campale orientale, si diressero verso la zona di operazioni, presumibilmente per arrivare allo scontro decisivo. Valente arrivò a Costantinopoli a Maggio (il 30 Maggio secondo Zosimo), e rimpiazzò il magister militum praesentalis, Traiano, con Sebastiano, proveniente dall'Italia, fissando poi il suo quartier generale a Melanthias, un sobborgo di Costantinopoli.

Di là mosse successivamente verso Nice (una stazione militare pochi Km a sud est di Adrianopoli); la cavalleria leggera, nel frattempo, perlustrava verso nord, vincendo nel contempo alcune schermaglie con i Goti, che furono localizzati nelle vicinanze di Adrianopoli; i Teruingi, a loro volta, accortisi dell'arrivo dell'esercito imperiale, si ritirarono verso nord, alla volta di Beroe e Nicopoli, dove vi erano altri loro contingenti. Sebastiano colse allora l'occasione di lanciare un attacco di sorpresa; con circa 2000 uomini raggiunse Adrianopoli, ed il giorno successivo, nelle vicinanze di del fiume Ebro (oggi Maritza), annientò un gruppo di razziatori Goti. A questo punto Fritigern radunò le altre bande disperse a Cabyle, dirigendosi anche lui verso Nice e badando bene di tenersi in terreno aperto, per meglio foraggiare e per paura di altri agguati. Nel frattempo Valente aveva raggiunto Adrianopoli e fissato là un accampamento. Per assicurare la sicurezza delle vie di comunicazione fu mandato un contingente di cavalleria e di arcieri che avvistò i Goti, stimando erroneamente il loro numero in 10.000 uomini; quasi contemporaneamente arrivò all'accampamento di Valente Ricomere, che precedeva l'esercito di Graziano, con la richiesta dell'imperatore d'Occidente, di attenderlo ad Adrianopoli per poi marciare uniti contro i Goti. A questo punto Valente doveva prendere una decisione: aspettare il nipote ed attaccare con lui i Goti o cercare immeditamente, con il suo solo esercito, la battaglia.

Indubbiamente ingannato dal rapporto dei suoi esploratori (solo 10.000 Goti), temendo che essi potessere ancora una volta sfuggire, ed anche, forse, come suggerisce Ammiano, geloso che Graziano potesse partecipare della sua più che probabile vittoria, l'imperatore, contro il consiglio di Vittore, magister equitum, decise di attaccare immediatamente battaglia. Ammiano riporta anche di un primo tentativo, anche un po' ambiguo, di Fritigern di ristabilire la pace coi romani, ma sia che fosse mosso da sincerità, sia che fosse addirittura un tentativo di provocare Valente alla battaglia, l'approccio diplomatico non sortì effetto.

Al sorgere dell'aurora del 9 Agosto del 378 d.C., dunque, l'esercito imperiale, lasciando la corte, il tesoro, ed il resto del bagaglio ad Adrianopoli, sorvegliato da alcune legioni, si mosse, in tutta fretta, riporta Ammiano, verso il luogo dove erano stati segnalati i Goti. La marcia fu lunga, sotto un sole battente e solamente verso le due del pomeriggio fu avvistato il carrago dei Goti, i quali rimasero sorpresi dall'apparizione dell'esercito imperiale; tra l'altro la loro cavalleria, formata in gran parte da Greutingi ed Alani sotto il comando di Alateo e Safrace, era stata mandata a foraggiare e non era ancora disponibile. Intanto l'esercito romano si cominciava a disporre alla battaglia, con qualche dificoltà, poiché forse per effetto della lunga marcia, le sue componenti si erano distanziate, cosicchè l'avanguardia, che doveva prendere posto all'ala destra, si distaccò troppo dal grosso delle truppe (il centro), e la retroguardia, che doveva costituire l'ala sinistra, rimase ancor più staccata.

Anche Zosimo riporta che l'imperatore affrontò il nemico con l'esercito non in perfetto ordine.

A questo punto Fritigern, avendo richiamato la cavalleria, cercò di stabilire dei negoziati, indubbiamente per guadagnare tempo, mentre il caldo, la sete, la fame ed il fastidio causato dagli incendi appiccati dai Goti tormentavano i Romani. Ma mentre i negoziati si protraevano e Ricomere stava per andare come ostaggio presso i Teruingi, alcune unità romane, gli scutarii ed i sagittarii, probabilmente schierati all'ala destra, e comandati da Cassio e Bacurio, cedettero alla tensione e partirono di propria iniziativa, troppo in fretta, dice Ammiano, all'attacco da soli, e furono facilmente rotti dai Goti.

A questo punto la cavalleria greutinga ed alana comparve sul campo di battaglia, e caricò senza esitazione sul fianco, presumibilmente sull'ala sinistra romana, dove la cavalleria romana era ancora in fase di schieramento; il risultato fu inevitabile, e la cavalleria romana dell'ala sinistra si dette alla fuga, lasciando allo scoperto il resto dell'esercito. Il primo a cedere fu il fianco sinistro, che, lasciato insupportato dalla cavalleria, ed essendosi oramai avvicinato troppo al carrago, fu sopraffatto e distrutto; presumibilmente anche la cavalleria dell'ala destra a questo era gia fuggta dal campo di battaglia, come sicuramente fecero poi i Batavi, un'unità di auxilia palatina tenuta in riserva. La guardia del corpo dell'imperatore, invece, costituita dai Lancearii e dai Mattiaci, combattè fino all'ultimo.

Nella ricostruzione data invece da Mc Dowall, la battaglia comincia con l'esercito romano ancora più disorganizzato: la cavalleria romana dell'ala destra (sagittarii e promoti), che sta proteggendo il dispiegamento del resto dell'esercito, lancia, evidentemente contrariamente agli ordini ricevuti, un attacco disordinato contro il fianco destro goto, ma viene rotta dalla cavalleria nemica, che interviene sul fianco sinistro dei Romani. Nello stesso tempo la cavalleria romana della retroguardia, che doveva schierarsi all'ala sinistra romana, arriva sulla destra della cavalleria romana, tenta un assalto sul carrago arrivando ad esso, e viene a sua volta rotta. Qualsiasi sia la ricostruzione, ciò che segue dopo è assodato: il resto dell'esercito romano, attaccato da più lati, resistette, fino a quando, per le perdite subite e lo stress del combattimento, peggiorato dalla fame e dalla sete, non cedette fuggendo, e riportando così perdite ancora più ingenti.

Ammiano ci descrive con parole terribili, ma anche un po' convenzionali, lo scontro, con le truppe imperiali costrette in uno spazio troppo piccolo che a stento riuscivano a manovrare le spade, fatte oggetto del lancio di ogni tipo di proiettili da cui non si potevano più difendere, non potendo più usare gli scudi.

Solo il calar della notte pose fine al macello. Anche l'imperatore Valente era morto, trafitto da un freccia, secondo alcuni, bruciato vivo nell'incendio, appiccato dai Goti, di una casa in cui aveva cercato rifugio con pochi fedeli, secondo altri; certamente il suo cadavere non fu più trovato.

Assieme a lui perirono Traiano, Sebastiano e 35 tribuni, oltre che ad altri personaggi importanti, quali Valeriano ed Equizio, rispettivamente comes stabuli e curator palatii. In tutto, secondo Ammiano, furono persi i due terzi dell'intero esercito. Prima di passare ad un'analisi delle operazioni, qualche breve commento sugli effettivi coinvolti nella battaglia di Adrianopoli.

Per i Romani, a seconda delle interpretazioni dei vari storici si va dai 20.000 uomini ipotizzati da Nicasie ai 60.000 di una prima interpretazione di Burns (che poi, in un suo scritto successivo, ne propone solo 20.000). Facendo un paragone con gli eserciti del tempo di cui Ammiano ci fornisce gli effettivi, quali quelli capitanati da Giuliano l'Apostata, e tenendo conto dei 35 tribuni uccisi, anche se indubbiamente alcuni erano tribuni uacantes, cioè senza comando proprio), ritengo che una cifra di un po' meno di 30.000 uomini, di cui circa 3.000 - 4.000 cavalieri (il 10% - 15%, ovverosia la proporzione usuale nel periodo tra fanteria e cavalleria) sia più equilibrata: dopo tutto era stato mobilitato l'esercito campale d'Oriente più le truppe già disponibili in Tracia. Anche per i Goti gli studiosi non sono d'accordo sugli effettivi, andando dai 18.000 proposti da Delbruck ai 100.000 proposti da altri; lo storico Eunapio parla addirittura di 200.000 Goti, includendo però anche i non combattenti Secondo me, tenendo conto che l'esercito Goto doveva essere leggermente inferiore a quello Romano (altrimenti l'errore di valutazione commesso dagli esploratori romani diventa difficilmente concepibile), un po' più di 25.000 uomini, di cui circa 4.000 cavalieri, mi sembra una cifra accettabile. Il numero dei cavalieri Goti non doveva essere altissimo, visto che la maggioranza di loro, i Teruingi, combatteva solitamente a piedi, e comunque anche i Greutingi ed i loro alleati Alani avrebbero avuto difficoltà logistiche a mantenere un grosso numero di cavalli nelle difficili condizioni della campagna.

Inoltre bisogna considerare che, nelle prime fasi del loro ingresso nell'Impero, i Teruingi erano stati spogliati praticamente di tutti i loro averi, cavalli compresi, anche se, durante le razzie successive, avrebbero potuto mettere le mani su alcune monte per la loro cavalleria.

3 - Analisi della campagna

L'analisi della condotta delle operazioni tra la sollevazione dei Goti e la battaglia di Adrianopoli ci mostra il tipico modo con cui i Romani affrontano le invasioni dei Germani, sia dell'est che dell'ovest. Lo scopo finale é ovviamente arrivare alla neutralizzazione dell'invasore, ma ciò non é necessariamente ottenuto tramite una immediata battaglia campale, anzi, sia Ammiano che l'imperatore Maurizio, autore nel tardo VI secolo dello Strategicon, propendono per una serie di operazioni tese a sfinire l'invasore, sfruttando al meglio le sue difficoltà logistiche e le notorie difficoltà dei popoli germanici nella conduzione degli assedi.

Così, la condotta di Lupicinus, che attacca immediatamente i Goti, senza tenere in alcun conto il loro numero, e con truppe probabilmente non adatte a questo tipo di operazioni, è temeraria, così come non è prudente la scelta di Ricomere di attaccare battaglia ad Ad Salices contro un nemico troppo superiore in forze, mentre ha invece molto più senso quello che fanno Traiano e Profuturo, con i primi rinforzi, costituiti dalle legioni di Armenia (probabilmente non più di 3.000 uomini), costringendo i Goti nella regione del massiccio dell'Emo.

Quest'azione complica le difficoltà logistiche dei Goti, che ricordiamo, traggono i loro rifornimenti dal saccheggio sistematico delle terre per cui passano, ed inoltre limita molto la zona di territorio soggetta a devastazioni. Ciò mette inoltre Fritigern di fronte ad una scelta difficile: disperdere le sue truppe per procurarsi i rifornimenti, così esponendosi alle tattiche di guerriglia romane, ovvero concentrarsi, potendo così meglio far fronte alle truppe imperiali, ma rischiando di affamare i suoi (tra i quali, ricordiamo, vi erano donne, bambini ed in generale persone non in grado di prendere le armi). Vi è per Fritigern anche un'altra difficoltà: dovendosi spostare con appresso il carrago, e la popolazione "civile", e dovendo ogni volta procurarsi dei rifornimenti con il saccheggio la mobilità del nucleo principale del suo esercito è molto ridotta rispetto a quella dei Romani, che appoggiandosi invece alle loro basi logistiche fortificate ed a un sistema di strade sorvegliate e mantenute sicure, possono operare in tutta libertà, e disponendo inoltre di una cavalleria leggera, molto efficace sia per l'esplorazione che per gli attacchi di sorpresa. Anzi, a questo proposito è evidente la preferenza di Fritigern per territori completamente pianeggianti, che non offrono molte possibilità per attacchi di sorpresa.

La maggior mobilità delle forze romane è sempre evidente, ad esempio nelle operazioni della fine del 377 e del 378, allorchè sono i Goti che, lasciati poco saggiamente uscire dal massiccio dell'Emo, cercano sistematicamente battaglia contro le meno numerose truppe di Frigeridus, che non solo si sottrae abilmente a loro, ma riesce anche a neutralizzare la forza di Farnobio (sembra che le forze Gote operino in quest'occasione disperse in due o tre schiere principali, avendo ora meno difficoltà logistiche). Anche ad Ad Salices e ad Adrianopoli sono i Romani che sorprendono ed impongono la battaglia ai Goti, e non viceversa.

Notiamo quindi che la strategia di contenimento, di negazione delle risorse e delle vie di comunicazione (i soldati romani che fortificano i passi montani dell'Emo e quello di Succi), e più in generale di guerriglia hanno successo (Ricomere che sorprende e distrugge gli uomini di Farnobio, l'attacco a sorpresa di Sebastiano, i successi riportati dalla cavalleria leggera romana prima della battaglia di Adrianopoli), mentre non altrettanto dicasi degli scontri campali di Ad Salices e di Adrianopoli.

Di Adrianopoli dirò nel seguito, riguardo alla battaglia di Ad Salices ritengo la scelta di Ricomere di offrire battaglia, non attenendosi al piano originale di attaccare i Goti una volta che essi si fossero mossi in movimento, con forze nettamente inferiori un errore, a cui rimedia la sua abilità di generale: anche a Ad Salices l'ala sinistra romana viene cede, ma il pronto intervento delle riserve riequilibra la situazione.

Ciò ci porta alla conclusione che, una volta passati al livello tattico, i Goti sono avversari temibili.

Innanzi tutto essi godono, almeno fino ad Adrianopoli, di una certa superiorità numerica, in quanto le forze romane, provenienti dall'Oriente, dalla Pannonia e dalle Gallie, impiegano tempo per concentrarsi, ed il loro numero nella campagna del 377 è sicuramente insufficiente. Inoltre l'esercito tribale goto, la harjis (vedi l'antico norvegese her ed il tedesco moderno Heer) è sicuramente più organizzato di quanto si possa pensare per un esercito barbarico, ed ha già una struttura militare in embrione, che si manifesterà appieno durante la guerra gotica del VI secolo, tale struttura, sia pur rudimentale permette ad i Goti, almeno in qualche occasione (prima di Ad Salices, dopo l'attacco di sprpresa di Sebastiano, durante la battaglia di Adrianopoli) di riunire le proprie forze sparse per confrontare la minaccia romana.

Un altro vantaggio tattico è conferito dal carrago (celtico carrus - carro, e germanico hago - spazio recintato), vera e propria fortificazione campale semovente, che poteva essere anche circondata da un fossato e da una serie di pali; in mano ad un abile generale, e Fritigern sicuramente lo era, il carrago non costituiva solamente una solida posizione difensiva, ma anche un perno per la manovra.

Last but not the least la qualità del guerriero goto: il suo morale, la sua aggressività, e la sua caparbietà (caparbi li definisce Temistio, d'altronde il loro desiderio di combattere era rafforzato dalla consapevolezza delle conseguenze disastrose, per sé stessi e le loro famiglie, di una eventuale sconfitta) supplivano alla mancanza di un addestramento formale, di una solida disciplina, ed alla carenza quantitativa di equipaggiamento. In particolare l'aggressività della cavalleria Gota era notevole e anche se non ben equipaggiata essa cercava sempre il contatto; era certo un avversaria di tutto rispetto per la cavalleria romana, anche se non riusciva a confrontarsi bene con le tattiche evasive della cavalleria leggera imperiale. Date queste caratteristiche è evidente l'impegno dei Romani a concentrare le loro forze per una battaglia decisiva da combattere con una certa superiorità numerica. Infatti, come mostra Ad Salices, i Goti, per le caratteristiche sopra elencate, non potevano essere facilmente battuti, anche se in superiorità numerica, come in generale i Romani riuscivano a fare con gli altri popoli germanici.

D'altronde i Romani non potevano condurre all'infinito una guerra fatta di schermaglie, sorprese e colpi di mano, poiché questo avrebbe voluto dire abbandonare la Tracia, una zona sviluppata e centrale dell'Impero, fin troppo vicina a Costantinopoli, ad una serie di sistematiche devastazioni, e ciò, soprattutto politicamente, non era accettabile.

Inoltre le distruzioni causate dall'azione dei Goti nella zona del limes basso danubiano erano tali che esso era diventato permeabile, permettendo a bande di Unni, Alani e Goti di attraversare senza opposizione il fiume; tale stato di cose era stato decisivo per la decisione di Saturnino di abbandonare le posizioni tenute sul massiccio dell'Emo, ed era chiaramente inaccettabile per i Romani.

Furono queste le ragioni che spinsero per due volte i Romani a ricercare la battaglia decisiva.

Prima di passare alla battaglia di Adrianopoli, qualche parola sui comandanti; le figure che spiccano di più durante la campagna sono certamente il Goto Fritigern ed i due comandanti romani occidentali Ricomere e Frigeridus.

Fritigern mostra di essere un capo deciso, ma non temerario, come vorrebbe uno stereotipo diffuso, in particolare è abile a far fronte alle tattiche romane tese a portare allo sfinimento i Goti, e riesce più volte a radunare i suoi sparsi per necessità logistiche.

Ad Ad Salices, non cade nella trappola tesagli dai Romani, e preferisce non muoversi, rischiando la battaglia campale; ad Adrianopoli, pur sorpreso dall'arrivo dei Romani, riesce comunque a mettere in atto una serie di manovre dilatorie tali e da far perdere i nervi ad alcune unità romane, e a guadagnare tempo per l'arrivo della sua cavalleria, nel frattempo richiamata. Dimostra un'abilità simile nello scontro minore di Dibaltum, quando riesce a cogliere alle spalle con la cavalleria i Romani di Barzimere, ed è quindi giusta la sua decisione di cercare battaglia con Frigeridus. A questo si aggiunga l'abilità con cui guida i suoi, notoriamente alquanto indisciplinati.

Ricomere e Frigeridus riescono invece nel difficile compito di confinare i Goti in una zona montuosa, e mentre Ricomere dimostra una certa abilità ad Ad Salices, dove il cedimento dell'ala sinistra romana non provoca la sconfitta, mentre Frigeridus, che precedentemente si è comportato in maniera un po' "timida", riesce a sottrarsi all'attacco dei Goti, a distruggere la schiera di Farnobio, ed a negare all'avversario l'accesso all'Illirico. Anche Sebastiano mostra quale sia il modo migliore di far fronte alla minaccia, allorquando effettua l'operazione di sorpresa contro i Goti, e perciò stupisce che sia uno dei fautori dell'affrettato attacco di Adrianopoli.

4 - Analisi della battaglia di Adrianopoli

Sono state avanzate molte spiegazioni sull'esito della battaglia di Adrianopoli, che vanno dalle elucubrazioni di Oman su Adrianopoli "prima battaglia medievale", con la cavalleria Gota che travolge i Romani allo stesso modo in cui la cavalleria medievale avrebbe più tardi travolto le fanterie (tesi discutibilissima), alle solite ipotesi sulla scarsa efficacia militare dei fanti romani del IV secolo; si è perfino tirato in ballo l'uso della lancia pesante e delle staffe da parte dei Goti. Tra l'altro, anche se l'attacco sul fianco della cavalleria Gota è decisivo, la battaglia, all'arrivo dei cavalieri di Safrace e Alateo, è già stata impegnata dai Romani, il cui primo attacco è già stato respinto dai fanti avversari: Adrianopoli è anche merito della fanteria Gota, che impegna e resiste ai Romani frontalmente.

Ovviamente la verità è meno romantica e sensazionale di quella presentata da Oman: Adrianopoli è frutto di una serie di evitabilissimi errori da parte di Valente, senza nulla voler togliere alla innegabile abilità di Fritigern.

Fino al momento della battaglia, la strategia romana di contenere ed indebolire con una serie di azioni "a bassa intensità" i Goti aveva generalmente avuto successo, anche se la Tracia era stata soggetta a saccheggi e devastazioni; in effetti la strategia romana aveva posto le basi per un successo tattico da conseguire dalle forze congiunte occidentali ed orientali.

Ma il rapporto sbagliato degli esploratori romani ebbe conseguenze fatali, giacchè l'imperatore Valente, in base a tale rapporto, fu spronato all'azione quando sarebbe stato meglio attendere Graziano, come suggerito da Vittore e Ricomere.

Non credo che la ragione della fretta di Valente sia da ricercarsi solo nella gelosia per Graziano; indubbiamente il suo atteggiamento è in più larga parte motivato dal timore di vedersi sfugire quella che sembra un'occasione sfavorevole.

Dal momento di questa fatale decisione Valente sembra posseduto da una inarrestabile voglia di dare battaglia al più presto, trascurando tutte le precauzioni ed i comportamenti normali per un generale romano. Così l'esercito romano lascia la città di Adrianopoli già in maniera frettolosa e disordinata; non vi è una tappa intermedia di avvicinamento al nemico alla fine della quale costruire il campo per la notte; al contrario viene imposta ai soldati una marcia di diverse ore al caldo, senza riposo, né cibo né acqua.

Ciò contrasta singolarmente con la stabilita e saggia abitudine romana di far combattere le truppe solo se fresche, riposate e ben nutrite. Forse a noi moderni, abituati alla guerra meccanizzata, questo sembra una cosa di poco conto, ma la realtà è che le truppe romane, oberate da almeno 20 Kg di equipaggiamento, sfinite da una lunga marcia, tormentate dalla calura, dalla sete e dalla fame, arrivarono sul campo di battaglia già stanche.

Ma c'è ancora altro: la lunga marcia ha sgranato la colonna romana, cosicchè il passaggio dalla formazione di marcia a quella di combattimento occupa troppo tempo e fa apparire delle discontinuità nelle linee romane (è forse per quadagnare tempo per concludere lo schieramento che anche Valente accetta di parlamentare coi Goti).

Non sembra inoltre che vi sia stato il tempo per deporre una linea di riserva, come quella che aveva salvato la giornata ad Ad Salices, e come normale per un esercito Romano. E poi c'è l'enorme errore compiuto dalla ricognizione romana, che pare completamente ignara della presenza della cavalleria Gota.

A questo punto si verifica anche l'affrettato attacco degli scutarii e dei sagittarii al carrago; evidentemente la tensione e lo stress giocano un brutto scherzo ai Romani, che iniziano l'attacco non dietro un preciso ordine, quando tutto è pronto, ma su iniziativa di due tribuni. Un ultimo errore, causato dal fatto che la battaglia è iniziata, come dice Zosimo, con le schiere romane in disordine, è il vuoto creatosi, all'ala sinistra, la più lenta a schierarsi, tra la cavalleria e la fanteria romana, in cui si incunea con successo la cavalleria Gota. E' chiaro che con una situazione tattica simile l'attacco di sorpresa sul fianco sinistro dell'esercito romano, già normalmente pericolosissimo, diventa fatale.

Il dato che poi l'esercito imperiale, privo di cavalleria e di riserve, attaccato su più lati, e costretto in uno spazio tanto ristretto da non poter neppure utilizzare con efficacia le armi, ceda solo dopo diverse ore di combattimento, è testimonianza della buona qualità della fanteria tardo romana.

In fondo, da parte romana, la battaglia di Adrianopoli non avrebbe mai dovuto essere combattuta, e soprattutto non avrebbe dovuto essere combattuta come lo fu.

Gianfranco
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