, Compagnia Mitraglieri, Battaglione Barbarigo, Decima MAS.
Raccolta il 24 ottobre 2004 di persona da Andrea Lombardi, Genova; testimonianza modificata dall'intervistatore.
"Quando ci arrivò l'ordine di andare sul San Gabriele eravamo in una casa fortificata sul Sella Dol, dove dormivamo a turno perché eravamo troppi per starci tutti dentro.
La mattina, mentre ci stavamo preparando per l'attacco, arrivarono i pezzi d'artiglieria da 75/13 del Gruppo San Giorgio, che si piazzarono in posizione scoperta.
Subito gli slavi aprirono il fuoco contro gli artiglieri, che si ripararono dietro le scudature dei cannoni e risposero al fuoco, battendo efficacemente le posizioni nemiche sul fianco e sulla cima della montagna.
Dopo poco tempo il Sottotenente di Vascello Tajana e Farotti ci ordinarono di prendere la cima del monte. Noi mitraglieri pensavamo che andassero prima gli Arditi e i fucilieri del Battaglione, invece mandarono proprio noialtri, tanto che Brunetti, il mio portatreppiede della Breda 37 mi disse: "Ma mandano sempre noi!".
Comunque andammo su tra la neve, sfruttando gli appigli del terreno, molto scosceso, e sostando molte volte per piazzare le Breda, che pesavano con il treppiede quasi 40 chili, e rispondere al fuoco degli sloveni, che ci sparavano con armi leggere e qualche mitragliera, delle quali distinguevamo la cadenza di fuoco più lenta.
Gli slavi erano gente dura e continuarono a spararci addosso sino a quando non fummo a pochi metri dalla cima, e solo a quel punto ripiegarono sull'altro versante.
Allora mettemmo in posizione le nostre mitragliatrici, una avanti e una dietro, ci suddividemmo i settori di tiro e le mettemmo già in punteria; la mia batteva tutto il costone.
Farotti si era sentito male e il comando passò all'Ufficiale in seconda, anche lui degli Alpini. A sera gli slavi vennero avanti tentando di tenderci un tranello ma noi li scoprimmo grazie a Tomasin, che parlava sloveno, e li colpimmo quando ormai erano a trenta metri da noi, li vedevamo come sagome nella foschia.
Loro ci lanciarono contro molte bombe a mano Balilla italiane, che fortunatamente non esplosero perché la neve profonda non faceva scattare il loro detonatore, e noi gli tirammo le bombe a mano tedesche, quelle con il manico, ma poche perché quelle tedesche valevano oro!
Abbiamo sparato tutta la notte, un po' per paura che ci sorprendessero e un po' perché sentivamo il nemico che si muoveva, ogni tanto tiravamo un illuminante, ma non tanti perché con la luce vedevano anche noi.
Questione di minuti e mi sono reso conto a che livello dovevo sparare, mirando verso il basso, ed è stato efficace, li abbiamo visti la mattina.
Non li ho contati, ma ci dissero che avevamo fatto fuori il Plotone Comando della Brigata nemica.
La mattina dopo vedevamo in valle e sui monti i titini che si ritiravano e i nostri mortai iniziarono a colpirli. Dirigeva il fuoco il Guardiamarina Posio, mortaista eccezionale, sembrava mettesse con le mani le bombe dei mortai tra le file degli slavi; i tedeschi lì intorno gli dicevano entusiasti "Schön, Gut, Wunderbar!".
Io ero già reduce da Anzio, e anche se agli inizi sei inesperto, se sopravvivi i primi quindici giorni di fronte i tuoi sensi si acuiscono, riconosci i rumori delle diverse armi nemiche.. il tuo udito diventa pari al fiuto degli animali.
Quando ho ucciso il mio primo nemico, era un inglese e lo colpii con un fucile con canocchiale, ne rimasi sconvolto e non ci ho dormito una notte, quando poi ho visto i miei amici, quelli con cui avevo condiviso tutto, morti o feriti, fatti a pezzi dall'artiglieria Alleata ad Anzio, ne avrei voluto cento, di fucili con canocchiale!".
"I rifornimenti ci arrivavano talvolta si talvolta no, ci portavamo qualche galletta e scatolette nel tascapane, sennò ci arrangiavamo rubando le galline ai contadini. Nella ritirata dal fronte Sud ci siamo portati dietro per giorni da Adria lo zucchero grezzo, e siccome c'erano i Monopoli siamo andati avanti a barbabietole e sigarette.
Per sei giorni, dal 25 al 31 aprile, sino a Padova, non ci arrivava niente da mangiare.
E nessuno cedeva.
Quando ci hanno detto di arrenderci, ci siamo ribellati agli Ufficiali. C'era l'NP, il Barbarigo, il Fulmine e il Freccia, eravamo 3.000 uomini ancora in armi, non capivamo perché dovevamo arrenderci, non sapevamo cosa era successo. C'è voluto del bello e del buono".
"L'Ufficiale resisteva con noi perché era un buon Ufficiale.
Con noi Volontari non andavano bene gli Ufficiali "ubbidisci e stai zitto" tipici del Regio Esercito. C'erano nel Barbarigo molti Ufficiali degli Alpini, li sceglieva Bardelli, perché avevano lo stesso spirito della Decima, l'Ufficiale era sempre con i suoi uomini, dormiva e mangiava con te, aveva la divisa sporca come la tua".
"Ad Anzio questo Maresciallo dei Panzergrenadiere senza alcune dita di una mano, reduce dalla Russia, pluridecorato e esperto distruttore di carri ci insegnò a lanciare i Panzerfaust: avevamo i 30 e i 60, ma per l'addestramento usavamo i Panzerfaust 30. Quelli avevano poca gittata, e dovevi veramente lasciare che i carri si avvicinasserò un po' troppo.
Ci insegnarono a non tirare subito al primo carro di una fila, ma a piazzarci bene e a sparare il razzo contro il terzo o il quarto, cosiccè spesso i capicarro dei restanti credevano di essere colpiti da tergo, e si fermavano e si giravano; a quel punto gli altri dei nostri tiravano al primo ed all'ultimo. Distruggemmo diversi carri inglesi e americani, e alcuni Bren Carrier della Cremona sul Senio con queste tattiche. I Bren Carrier li colpimmo durante la ritirata verso il Po con uno stratagemma: eravamo inseguiti dal nemico, e la zona era pianeggiante. Solo in un punto vi era una curva della strada con il terreno un po' più misto. Uno dei nostri Ufficiali prese del grasso e con esso scrisse su un cartello "Welcome Americans", e lo mise appena dietro la curva. Gli chiesi il perché e lui mi disse "Lo vedrai". Ci appostammo dietro la curva e non appena i Bren Carrier arrivarono e si fermarono dal cartello sparammo con le mitragliatrici e tirammo i Panzerfaust. Contenti, credevamo di aver colpito degli inglesi, ma quando ci avvicinammo ai Bren Carrier immobilizzati sentimmo dei lamenti in italiano. Erano quelli della Cremona, i feriti ci chiedevano di essere portati via in ambulanza. Noi li bendammo e gli dicemmo che ambulanze non ne avevamo ma che quando arrivavano i loro compagni di non oltrepassare la curva perché gli avremmo sparato con degli 88 mm (che non c'erano!) e continuammo la ritirata..".
"Il Maresciallo dei Panzergrenadiere ci insegnò durante i combattimenti notturni a distaccare un Marò della Squadra lontano dagli altri e da copertura a sparare con il fucile rivolto in alto, in modo da rendere ben visibile la vampa: a quel punto gli altri sparavano alle vampe del tiro di reazione del nemico.
Oppure a pulire bene dalla polvere con delle frasche le finestre e i lati delle feritoie ricavate nelle case, cosicchè era minimizzata la polvere sollevata dalle vampe delle nostre armi, e che poteva tradire la nostra posizione.
Eppure anche noi "lo battemmo", una volta: in pattuglia ad Anzio vidi le canne al centro di un canneto muoversi mentre le altre erano ferme. Le indicai al Maresciallo tedesco, lui annuì e mi fece avvicinare con la MG-42, dicendo di aspettare che il nemico fosse a 50 metri, io aspettai che fossero ancora più vicini, per dimostrargli che noi italiani non avevamo paura (anche se un po' ne avevamo, di paura, io e Brunetti, il mio assistente tiratore alla MG) poi sparai e li colpii. Il Maresciallo disse che erano marocchini, e mentre stavo per spostrami in avanti per trovare da mangiare tra i nemici, il tedesco mi disse, "Nicht, Zurück, indietro", io non capii ma obbeddii.. e dopo qualche minuto capii eccome, l'esperto Panzergrenadiere aveva ragione: una pioggia di granate di mortaio Alleate piovve nell'area da dove avevamo sparato".
Testimonianza del
Marò Giulio Ronchi, Compagnia Mitraglieri, Battaglione Barbarigo, Decima MAS.
Raccolta il 20 ottobre 2004 via telefono da Andrea Lombardi, Genova; testimonianza modificata dall'intervistatore.
Archiviata X-Ba-Ronchi-G-10-04, CD-Rom e cartaceo
© Andrea Lombardi
"Quando la notte del 20 gennaio siamo arrivati sul San Gabriele c'erano 20 gradi sotto zero e una bora maledetta.
Noi Mitraglieri e i Mortaisti, chissà perché, eravamo davanti, mentre dovevano essere i Fucilieri ad appostarsi davanti a noi.
Mentre prendevamo posizione scoprimmo un gran numero di trincee, erano quelle della guerra 1915-1918, e anche adesso sono tali e quali.
La mia Squadra era appostata sul lato est del San Gabriele: alle nostre spalle c'era Gorizia.
A nostra insaputa, proprio dal versante opposto, mentre noi finivamo di sistemarci e scoprivamo reperti della Grande Guerra, stavano salendo verso la vetta centinaia di uomini del IX Korpus, che intendevano prendere il San Gabriele, accerchiare le nostre forze ed arrivare in vista di Gorizia.
Nonostante fossero ormai a poche decine di metri di distanza, noi vedevamo soltanto il bianco della neve e il nero della notte, sino a quando Brunetti, un Marò di Genova, si alzò per andare a urinare e dopo aver fatto qualche passo tornò però indietro precipitosamente, dicendoci: "Belin, ci sono delle ombre lì davanti, c'è qualcuno dei nostri?". Noi ci guardammo perplessi e gli dicemmo "Tu sei matto!", ma subito dopo sentimmo delle voci parlare in tedesco nel silenzio della notte. Evidentemente anche chi avevamo davanti nell'oscurità ci aveva sentiti, e tentava di fregarci! Per fortuna c'era Tommasini, un friulano che sapeva sloveno e tedesco, e rapidamente ci disse che sentiva anche parlare sloveno; pochi attimi dopo sentimmo distintamente "Na prej!", ossia "Avanti!" in sloveno, e allora saltammo su e dicemmo "Cacchio! Sono slavi!" e immediatamente, senza ordini, abituati dallo stile da Compagnia di Ventura della Decima a reagire autonomamente, aprimmo il fuoco con la Breda, seguiti subito dalle altre mitragliatrici, puntando le armi verso le voci di quel nemico che non scorgevamo. Poi qualcuno di noi tirò un razzo illuminante e ormai ad appena una decina di metri vedemmo quella che ci sembrava una marea di nemici agitarsi sulla neve, e con la mitragliatrice li mollammo là, anche con l'aiuto dei Mortaisti della IV Compagnia che anche loro, senza attendere disposizioni, avevano aperto un fuoco di sbarramento davanti alle nostre posizioni.
La nostre mitragliatrici avevano falciato gli slavi.
Sparammo tutta la notte, la mattina dopo rimanemmo turbati nel vedere i nemici morti davanti alle nostre posizioni.
Per uno che va a pisciare abbiamo salvato la baracca, sennò ci avrebbero sommersi.
Siamo noi del Barbarigo che abbiamo salvato il Fulmine. Questa è stata l'ultima battaglia del IX Korpus prima di ritirarsi, e quella che gli impedì di infiltrarsi nel Goriziano.
Il ricordo che ho più vivido è il freddo che ci faceva ghiacciare il nostro fiato sul passamontagna, formando minuscoli ghiaccioli che rimuovevamo con le mani.
Noi eravamo dei ragazzi di 17-18 anni, me lo chiedo ancora adesso come abbiamo fatto a resistere in quelle condizioni.
Era un attaccamento fraterno, quasi un amore, che ci teneva uniti in quei frangenti.
C'era un attaccamento, non abbiamo mai lasciato indietro nemmeno uno dei nostri morti, anche nella ritirata, perché ti sembrava di perderli del tutto a lasciarli andare".
"Poi ci hanno dato il cambio ma noi Mitraglieri eravamo sempre a dare supporto ai Fucilieri, mi sono trovato con il Valanga e con il Serenissima, con il Plotone di Cateni. Mi comandarono anche al recupero dei caduti del Fulmine, mi è toccato vedere dove erano sepolti, dietro il Cimitero, con 20-30 cm di terra. Recuperati i morti li portammo a Gorizia."
"La Squadra Mitraglieri era formata dal Capoarma, dai Mitraglieri e da 10 Fucilieri che portavano le cassette, che quando l'arma era piazzata si disponevano intorno e dietro ad essa, ben dispersi. La Breda 37 era un'arma da posizione, precisissima. Sul Senio alcuni di noi presero le MG-42 tedesche, dall'altissima cadenza di tiro, io che ero minuto nel fisico no, ma Cateni, che era più robusto, sparava anche dal fianco con la MG".