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La Regia Aeronautica del Generale Francesco Pricolo
© Emilio Bonaiti
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Questo lavoro è dedicato a:
"Quei ragazzi, quei giovani soldati che morirono, che combatterono nella guerra perduta, sulle montagne dell'Epiro, sui fronti d'Africa e di Russia, no, non meritavano l'ingratitudine della dimenticanza". (1)

Negli anni successivi alle guerre mondiali, la prima chiamata "Grande" fino a quando non scoppiò la seconda che fu veramente "grande" e veramente "mondiale", con rarissime eccezioni, tutti i protagonisti sentirono il bisogno di lasciare memorie, diari, autobiografie e memoriali, di spessore e valore diversi, ma sempre impregnati di un profondo impegno auto assolutorio e/o elogiativo.

Va notato come sovente gli editori diedero alle memorie tradotte i titoli più diversi. Per lo storico britannico Basil Liddell Hart, uno dei migliori nel panorama mondiale, le sue Memoirs furono ribattezzate con lo stupefacente titolo L'arte militare del XX secolo. Per inciso, nelle loro memorie, i generali britannici sono insopportabili nel dispregio per i nostri soldati, con la sistematica svalutazione dell'operato italiano in Africa Settentrionale.

Rommel, uomo di guerra durissimo, quando in Libia dopo grandi vittorie si profilò la sicura sconfitta scrisse: "Gli italiani … combatterono con straordinario valore. Ore 15,30 ultimo messaggio radio dell'Ariete - Carri armati nemici fanno irruzione a sud dell'Ariete, con ciò Ariete accerchiata … Carri Ariete combattono - ", e tracciò l'epicedio della divisione corazzata: "Con l'Ariete perdemmo i nostri più anziani camerati italiani ai quali, bisogna riconoscerlo, avevamo richiesto sempre di più di quanto erano in grado di fare con il loro cattivo armamento". A Longanesi, tra gli editori italiani, va il merito di una vasta produzione storiografica sul secondo conflitto mondiale, nella quale non mancò la voce dei vinti.

I protagonisti italiani furono unanimi nel far sentire la loro voce, ed un diluvio d'opere si abbatté sul mercato, ma solo poche, pochissime, ebbero la ventura di una traduzione. La memorialistica postbellica fu tutta assolutoria, con polemiche esasperate e rituali piagnistei, cui si aggiunse per i militari italiani, coautori del più grande disastro della nostra storia, un'appassionata difesa dell'arma d'appartenenza, l'unica uscita dalla guerra moralmente vincitrice, accompagnata, negli ambienti aviatori e della marina da reciproche, dissennate querelles.

Nella Destra fascistoide le voci di presunti tradimenti, che avrebbero cambiato il corso della guerra, ebbero grande risonanza con titoli come Navi e poltrone di Antonino Trizzino, ex ufficiale pilota congedato nel 1938. L'opera ebbe un immeritato successo perché supportata da una favorevole sentenza della Corte d'assise d'appello di Milano del 1954, che riformava una precedente sentenza di condanna della Corte d'assise. I "tradimenti" costituivano un comodissimo alibi, con l'attribuzione ai "traditori" dei disastri bellici che punteggiarono il conflitto e conseguente liberatoria assoluzione collettiva. Sotto il sole non vi è nulla di nuovo. Nel primo dopoguerra la Destra tedesca, una vasta fascia dell'opinione pubblica e Hitler imputarono la sconfitta dell'invitto esercito alla "pugnalata alle spalle" del fronte interno e degli Ebrei.

Altra italica caratteristica che impregnò le pagine di questi mancati vincitori, spesso a detrimento di analisi tecniche o di valutazioni tattiche e strategiche, fu l'insopportabile retorica patriottarda che già aveva caratterizzato il ventennio, della "carne contro l'acciaio" fino all'assolutorio "mancò la fortuna, non il valore". Ovviamente unanime fu lo scarico di tutte le responsabilità su di LUI, ex "Uomo della provvidenza", ex "Fondatore dell'impero", per il quale vengono alla mente le parole di Benedetto Croce, napoletano sapiente: "Quella sorte di mitizzamento storico che pone sempre una testa di turco su cui battere, designandola autrice di tutti i mali". Allo scopo di non scatenare gli strali di qualche professionista dell'antifascismo, va precisato che il "Figlio del fabbro" fu il maggiore responsabile della catastrofica sconfitta, assommando, con i titoli di duce del fascismo, presidente del Consiglio, ministro degli Interni, degli Esteri, della Guerra, della Marina, dell'Aeronautica, delle Colonie, delle Corporazioni e dei Lavori pubblici, il massimo dei poteri esercitati da un uomo in tutta la storia del nostro paese. In particolare fu ministro della Guerra dall'aprile 1925 al settembre 1929 e dal luglio 1933 al 25 luglio 1943. Per usare un'espressione alla moda: Non poteva non sapere.

Suo sodale fu il maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, capo di stato maggiore generale, marchese del Sabotino dal 1928, collare dell'Annunziata nel 1929 e duca d'Addis Abeba dopo la vittoriosa campagna etiopica, espressione della classe militare piemontese, uomo di fiducia del re, stimatissimo negli ambienti non solo militari. Il suo pensiero strategico si può compendiare in quattro parole: "L'omm, el fusil, el mul, el canun".

Lo spessore intellettuale del duo può essere lumeggiato da un verbale della XVII sessione della Commissione suprema di difesa, riportato nel volume di Nicola Della Volpe Difesa del territorio e protezione antiaerea (1915-1943). Nel verbale non è indicata la data, ma la sessione è anteriore al primo maggio 1940: "Duce - Ritiene che il problema dell'allarme nell'interno delle abitazioni possa considerarsi inesistente per una ragione di carattere fisico, e cioè che in tempo di guerra la sensibilità dell'udito dei cittadini si affina e perciò è prevedibile che in ogni fabbricato un gruppo di persone ipersensibili daranno essi l'allarme e qualche volta anche dei falsi allarmi. Basterà il loro tramestio per avvertire tutto il fabbricato, tutta la via e praticamente tutto il quartiere. E' del parere di non andare oltre a distillare il cervello della gente per questo problema che si risolve da se, attraverso quello stato di eccitazione permanente che prende i cittadini quando si verifica una incursione aerea …". Badoglio - Ritiene che dare l'allarme dove non ci sono ricoveri sia un danno".

I rapporti dei capi militari col dittatore fascista furono di totale acquiescenza, in un contesto che portava ai vertici uomini di mediocre valore, privi di spirito critico e capacità decisionali, ai quali le continue sostituzioni, i cosiddetti "cambi della guardia", impedivano e il padroneggiamento e l'approfondimento delle vastissime tematiche militari. D'altronde ufficiali d'alto livello professionale presuppongono una scuola e tradizioni inesistenti nelle nostre forze armate.

Nel panorama socioculturale italiano i militari non costituivano un'eccezione. Per i dirigenti civili d'altissimo livello, lo spessore non era diverso. Di Vittorio Valletta, amministratore della Fiat, si trascrive un promemoria allegato ad una nota di Cavallero del giugno 1941, riportato da Lucio Ceva nel suo Le forze armate: "[…] la Fiat sarebbe eventualmente disposta a far conoscere, previo benestare del proprio governo, all'OKW [Stato maggiore tedesco] le proprie realizzazioni di veicoli militari (trattori per artiglieria, veicoli militari per l'impiego in colonia, carri armati, autoblindo-mitragliatrici e carri militari speciali per il trasporto truppe o materiali) concedendo eventualmente la riproduzione in Germania di quello o di quei tipi di propria progettatura e costruzione che possono interessare l'OKW predetto". (2). Sono parole che lasciano senza parole.

I "cambi della guardia" nel ventennio erano frequenti. Nelle alte sfere pochissimi, ad esempio Ciano, Balbo, Bottai, Starace e Badoglio, occuparono cariche ai vertici per un tempo superiore ai cinque anni. De Felice parlava di: "Ciclo vitale". Dal 29 ottobre 1922 al 25 luglio 1943 si susseguirono 5 ministri della Guerra, 9 sottosegretari di Stato alla Guerra con Mussolini ministro della Guerra, 5 ministri della Marina, 7 alti commissari o ministri dell'Aeronautica, tre capi di stato maggiore generale, 13 capi di stato maggiore dell'Esercito, sette della Marina, sette dell'Aeronautica. Dall'ottobre 1939 al dicembre 1940 furono "dimissionati" i sottosegretari e capi di stato maggiore delle tre armi. Caratteristico dello spirito mussoliniano fu la lettera con la quale accompagnò il siluramento del generale Gàzzera sottosegretario di Stato alla Guerra dal 24 novembre 1928 al 12 settembre 1929 e ministro della Guerra sino al 22 luglio 1933. "Ritengo caro Gàzzera, che Ella sarà d'accordo con me nel considerare che di quando in quando la rotazione degli uomini è necessaria a loro stessi e per la situazione generale". La "rotazione degli uomini" non fu mai sfortunatamente applicata dal capo del governo per il capo del governo.

Di questa "necessità" non era conscio il "dimissionato" generale Valle che, dopo Balbo, aveva retto per sei anni le sorti della Regia aeronautica, quando scriveva: "Qualsiasi incarico, purchè io abbia ancora, la possibilità di andare a rapporto da Lui, sentirne la voce, riceverNe ordini, informarlo con la forza della mia devozione di quanto ritenga debba essere da Lui conosciuto, così come ho fatto per sei anni". In precedenza il generale, aveva eternato la sua "devozione" per il capo supremo con parole commoventi: "La vetta è stata raggiunta nel momento stesso il cui il Duce mi ha prescelto per lavorare al suo fianco, in uno dei molteplici settori della sua quotidiana fatica.[…] Non può esistere al mondo ricompensa più alta di un suo sorriso di approvazione, di una sua frase di elogio. … Da soldato professionale quale io sono, non posso tacere di avere in varie riprese ammirato del Duce, precisamente nel mio settore professionale, il profondo intuito dello Stratega e l'insuperabile decisione del Condottiero".

***

Questa breve carrellata serve a meglio collocare il volume di Francesco Pricolo La Regia aeronautica nella storia della seconda guerra mondiale. Novembre 1939-novembre 1941, edito da Longanesi nel 1971, del quale vale la pena di fare un'estesa disamina, eliminando uso e abuso d'espressioni come valore disperato, sacrificio fino all'estremo, non contarono mai il nemico, olocausto dei caduti, slancio ammirevole, incontenibile spirito bellico, virtù guerriere della nostra razza, abnegazione assoluta, mirabile valore, che punteggiano tutta l'opera, perché queste qualità furono di tutti i piloti in guerra. Se si passa a memorie d'aviatori stranieri, due fra tante, quelle del tedesco Galland e del britannico Johnnie Johnson, ci si trova di fronte ad un'asciuttezza di sentimenti, a mancanza d'ogni forma di retorica e dei rituali piagnistei degli sconfitti, il tutto suffragato da acutissime analisi tecniche. Nei corsivi virgolettati successivi, si riportano parole del libro in esame.

Francesco Pricolo, nominato nell'ottobre 1939, a suo giudizio "inaspettatamente", capo di stato maggiore della Regia aeronautica e sottosegretario al ministero dell'Aeronautica, s'insediò a Roma il tre novembre nella prestigiosa carica, sette mesi prima dell'entrata in guerra. Il generale si definisce "un ingenuo provinciale", ma, va sottolineato, che non era privo di precedenti esperienze romane. Per la sua nomina si era battuto Galeazzo Ciano, onnipotente ministro degli Esteri, genero del duce e intrallazzatore di prima classe. Nel suo celebre Diario alla data del 27 ottobre 1939 si legge: "Suggerisco il nome di Pricolo". (3) Passeranno due anni e inizierà le grandi manovre per farlo licenziare.

"Carattere austero ed esigente", lucano, nato a Grumento Nova nel 1891, ufficiale del genio passato all'aeronautica col grado di tenente, "ufficiale dirigibilista", partecipò al bombardamento notturno di Pola, agli ordini del capitano Valle, suo predecessore nella guida della Regia aeronautica: "La prima di un'ininterrotta serie d'azioni - veramente intrepide se si pensa alle difficili condizioni di volo nel comprensorio alpino-adriatico ed all'enorme vulnerabilità delle aeronavi anche dinanzi a quei primi aeroplani da caccia- che si protrasse fino alla fine della guerra". (4) Valle e Pricolo, provenienti dalla specialità dirigibili, erano chiamati negli ambienti aeronautici "pallonari", termine non esattamente elogiativo. Nel giugno 1915 si era messo in luce con un apparecchio di puntamento impiegato dai dirigibili e dagli aerei per il bombardamento. Nel 1921 e nel 1923 ricoprì cariche presso la segreteria del Commissariato per l'aeronautica, futuro ministero. Poi assunse il comando del dirigibile Norge, fu ufficiale frequentatore dell'Istituto di guerra marittima a Livorno, comandante interinale della costituenda Regia accademia aeronautica e nel 1926 "malgrado tale notevole attività […] primo fra tutti gli ufficiali dirigibilisti, ottenni il brevetto di pilota, non prima di aver cappottato: particolarmente spiacevole e umiliante" con un A 304. Nel tempo aggiunse i brevetti di "ben venti tipi diversi d'aeroplani". Nel marzo 1926 fu nominato comandante dello stormo dirigibili con sede in Ciampino a cui seguì, alla fine dello stesso anno, l'assegnazione allo stato maggiore "portando un notevole contributo alla definitiva sistemazione degli enti dell'Aeronautica e allo studio di un vasto programma di sviluppo". Il generale per quegli anni e i successivi è molto minuto nella descrizione delle sue benemerenze, riportando gli elogi ministeriali ricevuti per l'opera svolta nell'aeronautica, con espressioni come "Ebbi parte assolutamente preminente e responsabile". Nel dicembre 1927 "venivo a contatto diretto con i reparti di aeroplani" assumendo il comando del 31° stormo da ricognizione con sede a Bologna, poi a Padova col grado di colonnello è capo di stato maggiore della 2° Zona aerea e, nel 1930, alla Direzione generale servizi organizza le grandi manovre aeree, sotto la direzione di Balbo. Nel luglio 1931 ha un incidente di volo ed è costretto ad un atterraggio di fortuna in cui "Rimasi sorpreso dalla completa padronanza di nervi da me dimostrata in una circostanza così drammatica […] ma la saldezza d'animo, quando c'è, è la medesima".

Continuando nella sua brillante carriera nello stesso anno a quarant'anni è promosso generale di brigata aerea a scelta, nel 1932 è sottocapo di stato maggiore, carica nella quale: "Portai il frutto delle preziose esperienze fatte […]competenza specifica […] notevole contributo […] apprezzamenti lusinghieri anche dai capi di stato maggiore dell'Esercito e della Marina". Nello stesso anno pubblica un grintoso articolo su Echi e commenti nel quale, sostiene: "L'arma efficace della flotta aerea è il terrore […] Bisogna immediatamente gettare il terrore tra le popolazioni avversarie […] per sottoporle a un incubo insostenibile che costringa alla resa". Il generale si manifesta discepolo di Giulio Douhet, profeta del potere aereo, unico pensatore italiano di risonanza internazionale, che riassumeva la dottrina del Dominio dell'Aria, nella: "Capacità di attaccare il cuore del territorio nemico portando morte e distruzione, piegando il morale e lo spirito del nemico e quindi la sua volontà, dopo avergli negato l'uso delle sue forze aeree attaccandole direttamente in volo, nelle loro basi, o meglio negli stabilimenti di produzione, dovunque insomma possano trovarsi o crearsi". Promosso generale di divisione, nel 1936 è generale di squadra aerea. Un ufficiale dell'esercito a 45 anni era fortunato se si poteva fregiare del grado di colonnello. Da sei anni era capo della 2ª Zona aerea con sede in Padova, i cui piloti, per la sua fattiva opera, considerava i migliori d'Italia. In quegli anni, confortato dall'amicizia che il duca d'Aosta gli aveva concesso, aveva dato grande impulso alle parate acrobatiche, che descrive con toni entusiastici e che avevano visto primeggiare, con il biplano CR. 32, carrello fisso e abitacolo aperto, i piloti italiani. Le acrobazie erano tenute in gran conto dai nostri cacciatori, che avevano a disposizione i biplani CR 32 e, successivamente, CR 42 dall'eccezionale maneggevolezza. Il generale Santoro a posteriori criticò le acrobazie: "[…] per quanto fosse data preminenza forse eccessiva alle manovre acrobatiche d'insieme, a scapito di un più accurato addestramento in forme d'impiego più aderenti alle necessità belliche". (5) D'Avanzo parla addirittura di "mania ossessiva soprattutto per i reparti di caccia".

Nel 1937 a Budapest i tedeschi presentarono il nuovissimo caccia Messerschmitt ME 109, ma l'aereo, protagonista indiscusso con lo Spitfire della seconda guerra mondiale, non lo colpì in modo particolare, essendosi limitato ad osservare che aveva il carrello retrattile. In quell'occasione il maresciallo Miltch della Luftwaffe gli aveva detto: "Vede, Pricolo, noi siamo venuti qui per far fare bella figura a lei". La storia non ci ha tramandato valutazioni sulle doti diplomatiche di Miltch. Nel corso degli anni fra le due guerre, Pricolo non partecipò alle operazioni in Africa e non spende una parola sull'impiego dei gas asfissianti ordinato da Mussolini. In Spagna, "ottenuta la necessaria autorizzazione, feci una visita, a scopo istruttivo e sperimentale, ai miei reparti combattenti", partecipando ad un bombardamento aereo. In una relazione lamentava l'errato uso dei reparti, impropriamente impiegati per attaccare posizioni fortificate, agli ordini dei comandi terrestri. Per i bombardieri si dichiara sostenitore della formazione a cuneo con cinque aerei, osservando che Tedeschi e Spagnoli continuavano a volare nella classica formazione a tre, "non so se per convinzione o perché non addestrati a navigare in formazioni più pesanti". Ammirato per la precisione del lancio delle bombe sostiene che "I tiri sono stati quasi sempre di una esattezza insperata", aggiungendo "questo risultato è stato ottenuto specialmente mediante una severa selezione dei puntatori, scelti soltanto tra ufficiali aventi, oltre alle necessarie cognizioni tecniche, anche particolari attitudini". La scelta era possibile anche perché vi era un solo puntatore per ogni pattuglia. A Punta Stilo il puntatore sarà unico per tutta la brigata aerea italiana che bombardò navi italiane.

Goering provò in Spagna, palestra d'esperienze per la Wehrmacht, tutti i modelli disponibili Ju 52, He 111, BF 109, Ju 87, con la rotazione semestrale del personale per una più larga messe d'esperienze belliche. Piloti come Galland e Mölders, futuri assi dell'imminente conflitto, maturarono le loro idee tattiche in questo contesto. Il secondo sviluppò la formazione a due, la tedesca "rotte" con un capo e un gregario, o a quattro lo "schwarm", chiamato anche "quattro dita". Le formazioni volavano a quote diverse, anche per evitare collisioni. Pricolo annoterà: "La guerra di Spagna, che pure avrebbe dovuto avere carattere sperimentale, purtroppo non aveva insegnato nulla". Per la conquista dell'Albania, dopo aver organizzato i reparti aerei, atterrò personalmente a Coriza, intimando ed ottenendo la resa del locale comando, attività che gli fruttò la Croce di cavalerie ufficiale dell'ordine militare di Savoia, della quale riporta diligentemente la motivazione. Allorché in un volo di trasferimento precipitarono contemporaneamente tre BR 20, Pricolo ribadisce che lo stato di addestramento degli altri reparti era molto più scadente di quelli ai suoi ordini. Al ministero Pricolo fa subito pulizia tra i collaboratori, "queste mie scelte si erano dimostrate veramente felici", circondandosi di persone "fidate e devote […]". Trasferisce il capo gabinetto, generale Ilari, ex dirigibilista, alla 4° Squadra aerea di Bari, imponendogli di conseguire il brevetto per tutti i velivoli in dotazione alla Squadra. "Il generale Ilari, data la mancanza d'allenamento, conseguì tali brevetti non senza difficoltà". Non sappiamo che cosa pensasse del capo di stato maggiore della Regia aeronautica il pilota Ilari nel corso del suo apprendistato.

Il rapporto con Valle non doveva essere dei migliori se, subito dopo l'arrivo a Roma, diede al comando carabinieri presso il ministero: "Il preciso incarico di svolgere indagini intese a stabilire la condotta del Valle e le sue relazioni con industriali e fornitori in quanto stando alle voci correnti, egli si era arricchito e continuava a congiurare ai danni di Pricolo. Le indagini condotte allora su elementi non ancora sbiaditi nel tempo e seguite attentamente dal generale Pricolo che, allora, non poteva certo essere sospettato di benevolenza nei riguardi del predecessore, non portarono ad alcuna seria risultanza" si legge nella sentenza istruttoria del Tribunale militare territoriale di Roma del 22 luglio 1947, riportata nel libro di Giuseppe D'Avanzo Ali e poltrone, miniera di notizie e pettegolezzi. Di tale "incarico" non vi è cenno nell'opera in esame. Ha con il duce un primo fugace incontro il 4 Novembre, alla cerimonia commemorativa del Milite Ignoto "Piantandomi davanti a lui sull'attenti alla maniera tedesca". In sede interforze, ad una settimana dall'insediamento, il primo scontro avviene con Cavagnari per l'acquisto di trenta siluri. All'inizio dell'anno successivo in un libro di Sillani Le forze armate dell'Italia fascista, il capo di stato maggiore generale e i capi delle tre armi si erano abbandonati a sperticati elogi per la potenza militare dell'Italia fascista, che Pricolo rudemente stigmatizzò "Ritengo che non esista e non sia mai esistita in tutta la letteratura italiana e straniera nulla di simile".

Nel febbraio 1940, su richiesta del duce, pubblicò a sua volta un articolo sulla Rivista aeronautica in cui descrisse in modo "assai ottimistico" la potenza dell'Arma azzurra. La consistenza dell'arma lo impegnò a lungo per lo stato approssimativo delle cifre esposte dal suo predecessore. Al 31 ottobre 1939, dalla prima tabella dell'inventario lasciato da Valle, il totale degli apparecchi in carico era di 5344, ai quali andavano aggiunti 3184 "In commessa, la cui consegna si esaurirà entro i primi del 1941", per un totale generale di 8528. Si contavano ben 19 modelli di caccia terrestri, 8 d'osservazione aerea, 18 di bombardieri terrestri, 14 di idrovolanti delle tre specialità e oltre 20 modelli presso le scuole. Una seconda tabella riportava il numero degli "apparecchi bellici" presso i reparti in 3060, oltre a 542 "pronti per la distribuzione ai reparti", per un totale 3602. Degli aerei presso i reparti di linea efficienti bellici, solo 1369 erano definiti "di tipo moderno". Il problema sul numero esatto dei velivoli in forza alla Regia aeronautica era già sorto nel passaggio delle consegne tra Balbo e Valle e il duce, in una lettera al quadrunviro, lo aveva evidenziato poco dopo il cambio della guardia: "Caro Balbo, nella tua visita di congedo del giorno 7 mi dicesti che mi lasciavi un totale di 3125 apparecchi. Tale numero figura nel quaderno delle consegne da te e da Valle firmato. Ho proceduto alla necessaria discriminazione e ne consegue che tale numero si riduce a quello di 911 apparecchi efficienti dal punto di vista bellico alla data odierna. Aggiungo subito di considerare tale situazione come soddisfacente. Cordiali saluti. Mussolini". Con eleganza il duce dava a Balbo del bugiardo.

Il generale lucano tentò in tutti i modi di migliorare l'organizzazione, arrivando a trasferire 19 generali e sostituendo direttori generali e comandanti di grandi unità, ma ormai era tardi per tutto. D'Avanzo gli riconosce: "Eccezionale dinamismo e [la] buona volontà", ma ci voleva altro. Ciano sotto la data del primo maggio 1940 riporta il parere favorevole del generale Ajmone Cat: "La gestione Pricolo ha realizzato notevoli progressi". All'inizio di dicembre, Pricolo poté presentare al capo del governo il quadro della situazione: "Mussolini diede segno del più vivo interesse. Si assestò meglio sulla poltrona e, dopo avermi fissato con gli occhi sfavillanti anche dietro gli occhiali, prese con mano quasi convulsa i fascicoli e li sfogliò rapidamente […] sembrava essersi liberato da una specie d'incubo. […] Finalmente, per la prima volta, riesco ad avere una visione chiara della situazione. Sapevo che eravamo in crisi, ma non fino a questo punto". Al duce "non sfuggì […] la mia aria preoccupata, tradita dal mio volto sempre più magro e dai lineamenti tesi. Mi disse: -Pricolo, non prendetevela troppo; aggiusteremo insieme le cose. Contate sempre sul mio appoggio-. E veramente il conforto morale mi fu di grande aiuto". "Iniziò la demolizione degli apparecchi antiquati, circa 900," e, sostiene il Nostro "la mia decisione fu coraggiosa". Non si trattava di una novità se già nell'estate 1938 erano stati demoliti 30 "nuovissimi aeroplani Pegna/32 […] apparecchi assolutamente pericolosi". Pricolo ridusse i bombardieri a 975, i caccia e gli aerei d'assalto a 803, gli aerei d'osservazione a 415, i ricognitori marittimi a 286, per un totale di 2479 aerei. Seconda Rocca gli aerei eliminati furono 1842 di 21 modelli diversi. (6) Questo enorme numero di modelli era conseguenza delle pressioni dell'industria aeronautica in un clima di disordine e corruzione.

Mentre erano in corso a Guidonia le prove di valutazione dei prototipi Macchi 202 e Re 2001, potenziati da motori tedeschi, i carabinieri segnalarono in un rapporto la possibilità di tentativi di corruzione tra "specialisti e piloti addetti a tali compiti". Pricolo si affrettò allora a convocare dalla Sicilia un tenente pilota il quale doveva "accompagnato dal mio aiutante di volo […] eseguire, secondo il programma tutte le prove, e poi, senza parlare con nessuno, rientrare in ufficio e stendere seduta stante il relativo rapporto". Di questi aerei quelli considerati "moderni" erano 647 bombardieri (S 79, BR 20, Cant Z 1007, Cant Z 506) e 191 caccia ( MC 200, C 50, CR 42). Per inciso la Germania iniziò la guerra con un solo caccia, il Messerschmitt ME 109. Viene da sorridere a considerare "moderno" il caccia CR 42, armato con due mitragliatrici Breda SAF da 12,7 mm., con una velocità massima, in condizioni ottimali, di km. 450 a 4000 metri d'altezza, che però soddisfaceva lo spericolato acrobatismo che caratterizzava i nostri piloti. Corrado Barbieri nel suo I caccia della seconda guerra mondiale lo descrive come "molto maneggevole, ma lento e dotato di armamento inadeguato". (7) Giuseppe D'Avanzo sostiene che: "nessuna accettabile spiegazione è stata fornita dai responsabili ministeriali a tale autentica follia. […] commissionato dal Ministero in quantità superiori a quello dei due menzionati monoplani (G 50 e MC 200) […] regresso tecnico voluto e non subito". Ceva sarcasticamente osservava: "Da almeno due anni era tenuto d'occhio dai direttori dei musei militari". Va aggiunto che rimase sulle catene di montaggio fino alla fine della guerra.

Il caccia MC 200 nell'aprile 1940, provocò la morte di due abilissimi piloti, con conseguente sospensione dei voli fino alla scoperta della causa. Il Fiat G 50, primo caccia monoplano, "presentava numerosi difetti e in certi assetti di volo era definito pericoloso" scrive D'Avanzo, anche perché i piloti erano abituati a maneggevolissimi biplani. Lucio Ceva lo definisce: "Il peggior monoplano da caccia della seconda guerra mondiale". (8) A proposito della pochezza dell'armamento dei nuovi caccia, vivamente deprecata negli ambienti aeronautici del dopoguerra, va rilevato che nelle richieste ministeriali del 1938 per i prototipi messi a concorso, si richiese un armamento di due sole mitragliatrici. Ben diversa era la politica aeronautica della Gran Bretagna. Monoplani da caccia metallici, con una velocità superiore a 500 chilometri orari, armati di otto mitragliatrici, furono messi allo studio negli anni 1934 e 1936, dopo tre anni gli Hurricane e dopo quattro gli Spitfire cominciano ad affluire ai reparti, pronti per la Battaglia d'Inghilterra.

L'SM 79, definito "bombardiere veloce", era un trimotore nato come bimotore, formula che andava scomparendo nella produzione mondiale che si andava orientando su veloci bimotori o su potenti quadrimotori. Aereo particolarmente caro a Valle, quando si costituirono i primi stormi nel 1937, furono chiamati i migliori piloti da caccia. Per questo aereo inviato in Spagna insieme al BR 20 e al Breda 65, Pricolo, premesso che "si trattava di un apparecchio difficile, detto del buon tempo perché era instabilissimo e in aria appena agitata non consentiva di lasciare il volante nemmeno per un attimo", aggiunge: "I tedeschi lo consideravano talmente pericoloso, che non osavano mettervi piede e compativano i nostri piloti costretti a volare con un simile aereo". Mussolini invece, che aveva conseguito il brevetto di pilota civile nel lontano maggio 1921, aveva volato sull'aereo e "s'era detto entusiasta", secondo D'Avanzo. Ceva aggiungeva che "questi aerei [si riferiva anche al BR 20] - salvo siano affidati a piloti di eccezionale valentia rispetto allo standard italiano - non superavano facilmente il volo dall'Italia continentale alla Sardegna, quello dalla Sardegna alla Spagna, per non parlare di quello tra l'Italia settentrionale e il Belgio". Sul bel tempo viene alla mente una battuta che circolava negli ambienti marinareschi britannici: l'Home Fleet era la marina del gin, la Regia marina quella del porto, per la tendenza a non uscire con il maltempo. La battuta si potrebbe applicare anche alla Regia aeronautica, la quale spesso non si levava in volo, se le condizioni meteorologiche erano cattive. Ciò avvenne per il trasferimento di alcuni reparti a Roma per una rivista alla presenza del duce. "Per le pessime condizioni atmosferiche", alcuni reparti furono fermati a nord degli Appennini, ma Pricolo, partito con un S 79 sul cui cruscotto "avevo fatto sistemare un magnifico orizzonte artificiale Sperry", fu in grado di indicare la rotta. Per quali ragioni questo "magnifico orizzonte" non fu adottato in serie resta un mistero.

L'SM 84, in tutto superiore al SM 79 e sul quale si appuntavano molte speranze, fu un'altra cocente delusione. Aveva volato per la prima volta all'inizio della guerra, ma i piloti lamentavano che fosse poco docile ai comandi con improvvise "piantate" dei motori, imbardava a destra al decollo e si sbilanciava in avanti durante gli atterraggi, Il quadrimotore Piaggio P 108/B iniziò a volare nel 1940. Con la velocità dell'SM 79, aveva un raggio d'azione molto superiore e un carico portante quadruplo. Presentò tutta una serie di problemi, e non entrò mai in azione. Su uno di essi troverà la morte Bruno Mussolini. A titolo di comparazione il quadrimotore inglese Handley Page Halifax, progettato nel 1937, nel marzo 1941 volava sull'Europa, il quadrimotore Avro Lancaster (o Manchester), uno dei più famosi aerei d'ogni tempo, volò il 19 gennaio 1941, ebbe il battesimo del fuoco su Brest la notte del successivo 24 febbraio e portò a termine 156.000 missioni.

In un panorama d'insuccessi l'aviazione d'assalto tiene il primo posto. Il Ca 310, che doveva sostituire il Ba 65, "destinato al volo radente o d'assalto": era poco più di un bimotore da turismo con l'aggravante di una serie notevole d'inconvenienti tecnici che ne pregiudicavano perfino tale impiego", sostiene lo storico Giovanni de Lorenzo. (9) Si tornò al Ba 65, che terminò la sua vita all'inizio del 1941. Il generale Santoro parla di: "Apparecchi complicati, poco stabili, pericolosi in caso di arresto del motore e di insufficienti qualità di volo per il particolare impiego". In Spagna l'aereo partecipò ad operazioni aeree, successivamente adottò il motore Fiat A 80 da 1000 HP, che Ceva definì "sciagurato motore", diventando un velivolo pericolosissimo.

Il bimotore da combattimento Ba 88, caccia pesante a grande raggio, esordì in Corsica ove se ne persero due. Trasferito in Libia per le condizioni atmosferiche non riusciva neppure a decollare. Fu destinato a "inerte sagoma sui cosiddetti campi civetta". Particolare illuminante la produzione era continuata nelle officine aeronautiche della Breda per tutto il 1940. Del trimotore S 82 scrive Pricolo "Ottimo aeroplano di grande capacità, ma di pilotaggio delicato, se non proprio difficile e pertanto richiedente equipaggi esperti e provetti, che purtroppo non abbondavano". Sulle qualità dell'aereo erano d'accordo Baldassare Catalanotto e Cesare Falessi che lo definivano "probabilmente il miglior velivolo italiano della seconda guerra mondiale". (10)

Sui piloti il giudizio di Ceva non è diverso: "[…]di qualità media, non tenendo conto di pochi assi". L'aereo, concepito all'origine per il trasporto militare, era dotato di tre motori Alfa Romeo 128 da 860 cv. che non fornivano una potenza sufficiente a raggiungere una quota superiore ai 5000 metri. Sorge il dubbio che le difficoltà di pilotaggio dei bombardieri italiani siano state una costante di tutta la produzione dell'industria aeronautica. Il bimotore SIAI SM 85 non aveva nessuna delle caratteristiche del celebre Ju. 87 Stuka, aereo d'appoggio tattico ravvicinato, che entrò in servizio, con i nostri contrassegni, nel settembre 1940, con ottimi risultati. Vale la pena di riportare la storia di questo bombardiere, nel quale si riassumono i fallimenti dell'Arma littoria. Il reparto, forte di circa trenta esemplari, era in carica alla base aerea di Pantelleria, ma, a guerra iniziata, nessuna notizia si ebbe della sua attività bellica. Su richiesta telefonica di Pricolo il comandante del gruppo "non ebbe alcun imbarazzo nel dichiarare che ormai lui e i suoi piloti si erano convinti che sarebbero stati sicuramente abbattuti nella percentuale del cento per cento" e, per questa ragione, non si erano levati in volo. Ci si domanda che cosa avrebbe fatto il gruppo ed il suo comandante se il capo di stato maggiore della Regia aeronautica e sottosegretario alla stessa non avesse chiesto informazioni telefoniche. Sciopero di protesta sarebbe definito ai giorni nostri. Il velivolo terminò la sua ingloriosa carriera presso un centro di demolizione.

I BR 3, la cui progettazione risaliva alla fine della Grande guerra, entrati in servizio nel 1924, costituirono gli "Stormi del sacrificio", i cui piloti, antesignani dei kamikaze giapponesi, erano pronti a schiantarsi sulle tolde della flotta della "perfida Albione" nel corso della guerra etiopica. La stampa parigina e londinese fecero tutta una serie d'illazioni su questi piloti, accompagnate da entusiastiche valutazioni della potenza della Regia aeronautica. "Antiquati, male armati, di scarsa velocità, di insufficienza autonomia, facile e sicura preda della difesa e della caccia avversaria", fecero la stessa fine. Vanno aggiunti tutti gli aerei che montavano il motore Fiat A 80.

L'industria aeronautica aveva continuato per tutto il ventennio, specie negli anni trenta, a produrre un diluvio di modelli assolutamente inefficienti. A titolo d'esempio la Piaggio mandò in volo il bombardiere P 32, l'Ambrosini il SAI 207, la Caproni il bombardiere Ca 35 e l'F 5, con dolorosissime perdite tra i collaudatori, tutti piloti espertissimi. All'inizio della guerra lo storico Giovanni de Lorenzo, così giudica lo stato dell'arma: "All'aspetto apparentemente brillante, disinvolto, sportivo, efficiente e multiforme accreditato a torto o a ragione da molti all'Aeronautica italiana, non doveva far riscontro una corrispondente realtà per carenza d'interpretazione operativa, qualificazione professionale, adeguata filosofia dottrinaria all'altezza con i tempi, modesta preparazione ai livelli d'impiego, tecnici, bellici, addestrativi razionalmente organizzato e armonicamente coordinato". Ceva aggiunge: "Negli anni 1936-40, l'aeronautica mantiene il suo habitus di arma individualistico-eroica anziché tecnico-collettiva". Sulle spalle del sottosegretario si riversarono i problemi non risolti dai suoi predecessori. I più gravi erano l'incapacità delle industrie aeronautiche di progettare e produrre un motore, la mancata creazione della specialità aerosilurante, il tonnellaggio delle bombe, l'assoluta insufficienza tecnica della strumentazione che si evidenziò nel volo notturno e verso i paesi nordici, il tutto complicato da: "L'incapacità di elaborare una dottrina di qualche respiro, capace di dare un senso alla richiesta di totale autonomia". (11) Eppure l'Arma aveva un glorioso elenco di primati da esibire, tra cui quello del volo rovesciato dalla durata di tre ore conseguito da un Ca 113.

La povertà di mezzi dell'apparato militare fu lumeggiata da una richiesta avanzata da Pricolo al duce per ottenere una proroga "anche di pochi giorni" della dichiarazione di guerra e questo per: "Poter salvare un piroscafo, fermo a Porto Sudan, carico di preziosissimo materiale, soprattutto aeronautico. Quasi contemporaneamente ritornai da Mussolini per implorarlo di ritardare almeno di un giorno la data stabilita, perché a Modane era fermo un treno che trasportava per noi ogni ben di Dio, e cioè acciai speciali, nichelio, cromo, stagni e altri materiali pregiati, rame, gomme, e persino mica dal Madascar per le candele dei motori".

Durante la guerra le cose non cambiarono. In un volo dall'Italia, il pilota di un S 82 giunto a Tripoli si vide negare la possibilità di rifornirsi di benzina. Il pilota, napoletano: "si arrangiò", ma il comandante della 5° Squadra aerea puntigliosamente telegrafò al capo di stato maggiore dell'aeronautica: "Apparecchi S 82 contrariamente agli ordini eccellenza Pricolo giunti senza benzina per il rientro hanno asportato kg. 7000 benzina da nota deficiente scorta. Avvisato Maggiore Quarantotto che apparecchi giungenti domani non effettueranno rifornimento". Il maggiore non ebbe grandi fastidi burocratici, perché morì in azione dopo pochi mesi a 32 anni. I motori di costruzione italiana rimasero un problema irrisolto per tutta la guerra. Fino al 1935 erano costruiti su licenza di società estere, con una disponibilità di ben cinque tipi diversi. Si dovette affidarsi ad un motore tedesco, il Daimler Benz DB 601, per il quale l'industria aeronautica impiegò 18 mesi per produrre il primo esemplare.

Nell'agosto 1940, volarono i prototipi del Macchi 202 e Re 2001, Pricolo afferma che il secondo era "eguale se non superiore al famoso Spitfire", aggiungendo "eccettuata la minore potenza dell'armamento", consistente in due mitragliatrici contro otto. Omette di precisare che dovrà passare un anno prima che i prototipi diventino operativi. In seguito sosterrà che i motori A 74 e Alfa 126 "si erano guadagnati la piena fiducia dei piloti" e parlò di: "Perfezione costruttiva". Si aggiungeva l'incapacità di afferrare l'importanza degli aerosiluranti per meschine gelosie. Il generale si dimostra coraggioso e va giù pesante: "Lo stato maggiore dell'Aeronautica non aveva mai svolto un'attività atta a accelerare la definizione e lo sviluppo del problema, ma spesso aveva assunto in proposito un atteggiamento passivo, sia per la scarsa fiducia nel nuovo mezzo offensivo, sia per la costante preoccupazione che lo sviluppo dei reparti aerosiluranti, tanto appoggiato dalla Marina, portasse, dato il mezzo in cui essi avrebbero dovuto agire, alla loro dipendenza dalle forze navali".

Giorgio Bocca commenta: "[L'aeronautica] ha conservato solo l'esclusivismo, almeno a giudicare dal fatto che fa ogni sforzo per sottrarre alla marina mezzi e funzioni aeronautiche senza curarsi di provvedervi essa stessa". (12) Il generale Ajmone Cat sosteneva nel 1934 sul Messaggero: "L'aviazione si guarderà bene di annoverare il siluro tra le proprie armi di offesa, contrariamente alla pericolosa e deplorevole tendenza cui si è oggi indotti". Valle, dall'alto della sua carica, era stato ancora più categorico. L'otto febbraio 1937 aveva dichiarato: "Il siluro, come oggi lo si concepisce, non è un'arma aeronautica".

All'estero le opinioni erano diverse. Il 2 settembre 1917 un aereo britannico atterrò per la prima volta su una portaerei, seguito da un aereo americano il 17 ottobre 1922 e dai giapponesi a fine febbraio 1923. Fu subito chiaro che solo aerei decollanti da una nave inserita in una squadra potevano proteggere le unità. Si accertò poi che aerosiluranti e aerei in picchiata, adoperati in massa e in collaborazione, erano micidiali per le unità navali. Gli americani nel 1934 progettarono il Douglas TBD-1 Devastator, primo monoplano ad ala bassa da portaerei, con un equipaggio di tre uomini, armato di un siluro e bombe per 500 kg. Il prototipo volò nel 1935 ed entrò in servizio nel 1937. Notevolmente inferiore al Kate giapponese, dopo aver affondato una portaerei leggera e danneggiato una pesante, patì perdite pesantissime nella successiva battaglia delle Midway. Il Grumman TBF/TBM Avenger ne fu il successore, straordinariamente maneggevole, fu considerato uno dei migliori aerosiluranti imbarcati nella seconda guerra mondiale. Volò per la prima volta nel 1941ed entrò in servizio nella primavera del 1942.

I Giapponesi non furono da meno. Il Nakajima B5N, bombardiere in picchiata e aereo silurante, soprannominato dagli americani Kate, fu progettato nel lontano 1933 e volò nel gennaio 1937. Aveva, come il successivo B5N1, le ali ripiegabili come i due modelli americani sopraindicati e fu il protagonista della battaglia di Pearl Harbour. Questa battaglia, la conquista del forte belga di Eben Emael e l'operazione dei mezzi subacquei ad Alessandria furono capolavori d'arte militare. Pricolo, che come vice capo di stato maggiore aveva assistito nel 1933 ad esercitazioni di lancio, affrontò il problema, ma come vettore di lancio si dovette adattare il voluminoso SM 79, non concepito per quest'impiego. Nell'agosto 1940, con una rapidità che fece onore al Nostro, i primi aerosiluranti, guidati da una pattuglia di sceltissimi piloti, Buscaglia su tutti, entrò in azione quasi senza preparazione. Conseguiranno i più significativi successi dell'aeronautica, diventando il maggior pericolo per la marina inglese. Stessa cosa avverrà per la Regia marina con i mezzi d'assalto.

Pricolo, aviatore fino al midollo, aveva una totale sfiducia nelle portaerei e sosteneva che gli aerei in dotazione "Per forza di cose non potevano avere che le modeste caratteristiche degli aerei imbarcati". Vale la pena di comparare il nostro trimotore aerosilurante SM 79 con lo statunitense Grumman TBF/TBM Avenger e il giapponese Nakajima B5N, entrambi monomotori: L'apertura alare era rispettivamente di 21,20; 16,50 e 15,32.
La lunghezza 15,60; 12,20 e 10,30.
Il peso kg. 10.500; 6000 e 3800.
Velocità massima a m. 3600: Km 430; 436 e 378
Equipaggio 4 uomini; 3 e 3
Quota di tangente m. 6500; 7000 e 7400.
Ma le note dolenti non finivano mai.

La guerra dimostrò che bombe inferiori ai 500 kg. non avevano nessuna possibilità di danneggiare o affondare le navi inglesi, ammesso che riuscissero a centrarle. Pricolo per il passato, si era vanamente battuto per bombe di 500 chili. La radiofonia era ancora allo stato primitivo, mentre nell'aviazione inglese e nella Luftwaffe le comunicazioni tra aerei, navi in navigazione e basi erano nella norma. Pricolo parla di: "gravissima situazione deficitaria nei nostri sistemi di collegamenti e delle telecomunicazioni. Gran parte degli aeroplani, una volta partiti, non riuscivano a ricevere altri ordini".

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Allorché la sesta potenza mondiale iniziò le ostilità, si vide uno Stato che dichiarava la guerra senza iniziare a farla, mentre la Germania polverizzò l'esercito polacco in poche settimane e il Giappone mise alle corde la marina statunitense con l'attacco a Pearl Harbour. Badoglio era stato chiaro: "Stretta difensiva per terra e per aria su tutti i settori". Aggiunse "Vi sarà consegnata una lettera che spiega il funzionamento dello stato maggiore generale, il quale, coi suoi venti Ufficiali non vuole sostituirsi a nessuno. Esso ha l'alta direzione strategica ed ha bisogno dell'intima collaborazione coi vari Stati Maggiori e dell'unione di tutti gli sforzi per compiere un lavoro proficuo. Attendo che mi si dia sempre la situazione precisa. Venite pure da me ogni volta che ne avete bisogno. Io vi chiamerò spesso". Sembra di sentire il rettore di un seminario che si rivolge ai suoi collaboratori.

Per il passato, i tre capi di stato maggiore trattavano direttamente con Mussolini snobbando il loro superiore e Pricolo sostiene di aver continuato in questo andazzo. Il generale piemontese, che si era apparentemente adattato a questa situazione, nel tempo divenne più grintoso. Si legge nel primo allegato al Diario storico del comando supremo: "é da rilevare che fin qui il funzionamento del Capo di stato Maggiore Generale era stato in ogni modo ostacolato dai sottosegretari militari che, riferendo direttamente e singolarmente al Duce, cercavano in ogni modo di sottrarsi alla mia opera coordinatrice. Quindi, praticamente, nessun coordinamento si è avuto nella preparazione alla guerra delle Forze Armate". (13), in ciò contraddicendo quanto affermato nella riunione dello stato maggiore generale del 23 ottobre 1930 in cui esternava il suo compiacimento per l'elevato grado di affiatamento tra le forze aeree e quelle navali. Invitava altresì i capi e i sottocapi di S.M. delle Forze Armate e il Sottosegretario alla Guerra a: "Prepararsi seriamente -senza darla a intendere-", parole virgolettate nel documento. Ottiene intanto un successo personale, che riporta nel Diario. Il duce il giorno dell'entrata in guerra aderisce alla sua richiesta di far chiudere le sale da gioco e limitare il consumo della benzina.

Nella seduta del cinque giugno 1940, a cinque giorni dall'entrata in guerra, Badoglio aveva convocato i capi di stato maggiore dell'esercito, della marina e dell'aeronautica per comunicare i piani del duce per l'imminente inizio delle operazioni. Nessuno vedrà la fine della guerra nella carica. Badoglio sarà silurato il sei dicembre 1940, Cavagnari due giorni dopo, Graziani il 24 marzo e Pricolo, più longevo, il 15 novembre 1941. Negli anni precedenti il conflitto, lo stato maggiore generale dell'Italia fascista non aveva studiato nessuna forma di cooperazione tra Regia marina e Regia aeronautica, non aveva posto allo studio operazioni di sbarco a Malta, attacchi con i mezzi speciali alle basi navali d'Alessandria, Gibilterra e Malta. Solo dopo che la minaccia francese dalla Tunisia era svanita, il Regio esercito si avventurò, lento e cauteloso, sul confine egiziano.

Inutilmente Clausewitz aveva scritto: "Uno dei belligeranti deve necessariamente avere, dal punto di vista politico, intendimenti aggressivi: poiché, se l'intenzione difensiva esistesse in entrambe le parti, non vi sarebbe guerra". (14) Pricolo sostiene che si agiva in un "Clima di guerra [era] tutto dominato dalla convinzione anzi dalla certezza che il conflitto si sarebbe concluso entro tre o quattro mesi e che, comunque, si sarebbe pervenuti alla pace prima dell'inverno. […] Ecco perché non si parlò più della eventuale occupazione di Malta. […] Non avevamo la pretesa di essere dei geni, ma non eravamo neppure dei minorati mentali". Il problema era che per Malta, non erano mai state messe allo studio ipotesi operative negli anni precedenti. Sull'eventuale presenza di minorati mentali il problema resta aperto. Onestamente aggiunge: "Si dovrebbe supporre che l'euforia per la firma dell'armistizio con la Francia avesse addirittura annebbiato le nostre menti e sconvolte le normali facoltà di giudizio e di equilibrio di tutti noi, capi politici e militari, spingendoci a decisioni e attività che non avevano alcun riscontro nella realtà delle situazioni".

Quando l'Italia entrò nel conflitto, secondo i calcoli del Nostro, l'armata aerea (caccia e bombardieri) era di 574 caccia e 995 bombardieri. I caccia MC 200 erano 156, 118 i G 50, 300 i CR 42. I bombardieri SM 79 594, 219 i BR 20, 87 i Cant Z. 1007 e 95 Cant Z 506. A questi vanno aggiunti 1700 aerei da ricognizione e altri tipi per un totale di 3269 aerei. In questi dati non sono riportati quelli relativi all'Africa orientale. Franco Bandini, escludendo l'Africa Orientale, calcolati in 1000 gli apparecchi di nuova costruzione, indica in 3296 gli aerei disponibili, di cui 1332 bombardieri, 1160 caccia e 804 da osservazione. (15) Giovanni de Lorenzo, che scrive nel 1994, parla di 5240 velivoli di cui 4000 erano velivoli bellici "e non tutti di utile impiego". Le forze aeree dislocate nel territorio metropolitano comprendevano 3296 velivoli di cui 2350 presso i reparti di impiego, con solo 1796 pronti al combattimento, 783 bombardieri, 594 da caccia e d'assalto, 268 da osservazione aerea e 151 da ricognizione marittima. In Libia vi erano 300 aerei e in Etiopia 350. Nel Diario storico del comando supremo, i dati sono lievemente diversi: "Capo S.M. Aeronautica comunica: La linea degli apparecchi dell'aviazione metropolitana (esclusi A.O.I.): 980 apparecchi da bombardamento: 750 apparecchi da caccia". La forza ammontava a 130.000 uomini; 1382 ufficiali, 2069 sottufficiali e 8873 avieri non sarebbero tornati alle loro case. Le ricompense al valor militare, medaglie d'oro, d'argento, di bronzo e croci di guerra al valor militare furono 21.320. Dall'analisi dello schieramento dell'Aeronautica alla data del 10 giugno si rileva che erano ancora in servizio i vetusti CR 32 nella Zona aerea di Bari, in Sardegna, in Albania, in Libia e nell'Egeo, mentre i Ba 88, di prossima rottamazione, erano stanziati a Roma e ad Alghero.

Il generale Santoro, autore di un'ufficiosa e accreditata storia dell'aeronautica, calcola in 2680 la forza inglese. Nel Medio Oriente la Royal air force schierava 300 velivoli, sparsi da Aden a Gibilterra, dei quali, secondo Bandini solo 200 erano "tecnicamente utilizzabili". Santoro erroneamente indica in 29 i caccia disponibili a Malta, invece vi erano solo tre vecchi Gloster Gladiator, biplani da caccia, battezzati con britannico humour Fede, Speranza e Carità. Franco Bandini sostiene che la sera prima della dichiarazione di guerra si trovavano nelle stive di un mercantile diretto in Medio Oriente, dal quale furono estratti, montati e affidati a piloti non da caccia che casualmente si trovavano a Malta. Di certo commentava l'ammiraglio Cunningham: "Devono essere stati protetti dalla massa di preghiere che i maltesi elevavano al cielo per la loro salvezza, tutte le volte che si levavano in volo per respingere un attacco". De Lorenzo indica per la zona mediterranea la forza inglese in 620 velivoli, 118 da bombardamento, 189 da caccia, 51 da ricognizione e 262 di tipo imprecisato.

I dati concernenti i velivoli sono di difficile catalogazione e per la natura del materiale e per i criteri di valutazione estremanente diversi. Del resto spesso furono usati come alibi, si pensi alle forze corazzate francesi nel 1939-1940 per la quale per anni, dopo la disastrosa sconfitta, commentatori francesi parlavano di schiacciante superiorità tedesca, laddove esisteva invece una sostanziale parità. Le stesse attenuanti furono avanzate prima da Graziani e poi dai suoi tardivi difensori dopo la durissima disfatta in Cirenaica, attribuita all'enorme superiorità in materiali dei Britannici sul teatro libico. In entrambi i casi va ricordato Clausewitz: "Quando poi si consideri che si è generalmente proclivi e indotti piuttosto a sopravalutare che a sottovalutare le forze dell'avversario, essendo ciò insito nella natura umana".

Sulla difesa aerea del territorio nazionale Pricolo non si pronuncia. Affidata alla DICAT (Difesa contraerea territoriale), organismo inquadrato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, con vetuste artiglierie della prima guerra mondiale, con pochissimi cannoni moderni, non aveva in dotazione né gli sconosciuti radar, affidandosi a aerofoni per il rilevamento di aerei in arrivo, né un sistema di telecomunicazioni. Nel Diario storico del comando supremo si legge alla data del 14 febbraio 1941 che: "Pomeriggio 13, allarmi aerei per rumori sospetti a Roma, Terni, Rieti, Frosinone e Littoria". Per carità di patria va evitato ogni paragone con le strutture britanniche e germaniche. Nella memoria di chi scrive, bambino decenne a Napoli, vi è indelebile il succedersi dello scoppio delle bombe, seguito dal fuoco dell'artiglieria contraerea e dall'ululato delle sirene.

Fino all'arrivo dei Tedeschi la guerra è un succedersi d'insuccessi tra lo sbigottimento prima e lo smarrimento dopo delle popolazioni. Il 12 giugno 1940, partendo dall'Inghilterra, 36 vetusti bimotori Armstrong Whitworth Whitley, che furono i primi a portare l'offesa aerea su città italiane e tedesche, successivamente messi in disarmo dal Bomber command nella primavera del 1942, volano su Torino. 16, nonostante le pessime condizioni atmosferiche e l'inesperienza degli equipaggi al volo notturno, riescono a superare le Alpi e a sganciare per la prima volta 40 bombe su una città italiana causando 15 morti e 30 feriti: "Danneggiano impianti Fiat di Mirafiori e raccordo ferroviario; incendiato gasometro via Priocca; colpita zona mercato Porta Palazzo". Volano anche su Milano e Piacenza "respinte da reazioni contraerea; Sorvoli di aerei nella notte senza bombardamento, su Roma Gaeta, Livorno, Spezia, Genova e verso le ore 12 di oggi, pure senza bombardamento, su Torino, Piacenza e Milano" si legge nel Diario storico del comando supremo alla data del 12 giugno 1940. Pricolo minimizza l'avvenimento e confondendo i Whitworth Whitley con i Wellington scrive: "Due o tre velivoli inglesi tipo Wellington gettarono a casaccio, bombe sulla città di Torino". Nessun aereo italiani sarebbe stato in grado di una simile performance.

Il dramma va ad iniziarsi, circa 60.000 civili non vedranno la fine della guerra. Il 14 giugno navi da guerra francesi bombardano località della costa ligure senza reazione da parte della marina e dell'aeronautica. Due giorni dopo Pétain chiederà l'armistizio. Il 13 settembre inizia finalmente l'avanzata in Egitto, sotto la guida del generale Graziani, che continuava a mantenere la carica di capo di stato maggiore dell'esercito. Divisioni a piedi avanzano lentamente, Lucio Ceva nel suo Le forze armate, lavoro che si distingue per la vasta messe d'allegati, parla di: "Modello di arretratezza militare". Clausewitz sosteneva: "é la volontà debole che fa avanzare l'attaccante con passo malfermo". Il nove dicembre inizia la controffensiva britannica, la rotta è immediata. 31.000 uomini con 270 carri armati fanno 135.000 prigionieri tra cui 23 generali, la Cirenaica con Bengasi è perduta. Per fortuna le forze inglesi furono ridotte per l'invio d'aiuti alla Grecia e l'avanzata si arenò ad Agedabia. Il 28 ottobre, la data della marcia su Roma e della disfatta di El Alamein, inizia l'aggressione alla Grecia con solo otto divisioni, ritenute sufficienti dal generale Visconti Prasca. A fine novembre è minacciata Valona.

Il 12 novembre a Taranto, con un'operazione audacissima ma resa possibile dallo stato primitivo della difesa, 21 aerosiluranti inglesi, biplani Fairey Swordfish, conosciuti anche come "String Bag", silurarono nel porto di Taranto, decollando da portaerei a 300 chilometri di distanza, tre corazzate di cui il Cavour fu affondata. L'aereo, definito "goffo e antiquanto biplano". (16), dopo Taranto fu protagonista a Capo Matapan e nella caccia alla Bismarck. La "notte di Taranto" fu a lungo studiata nel lontano Giappone dall'ammiraglio Isoroku Yamamoto. Il 9 febbraio 1941 la squadra navale britannica di Gibilterra, arriva ad otto miglia dalla costa ligure senza destare allarme e bombarda Genova. Flotta e aeronautica non riescono a raggiungerla sulla via del ritorno. Pricolo ha parole durissime per i comandi aerei responsabili, ma nel suo libro non accenna all'episodio. episodio. (17)

Nel Diario storico dello stato maggiore è annotato alla stessa data, ore 9: "[…] a Genova, (incursione aereo-navale - colpiti: treno viaggiatori alla stazione di Sampierdarena- vari fabbricati, tra cui ospedale civile di Calliviera- impianti vari a piroscafi in porto; incendio sulla motonave Vulcania- complessivamente 33 morti e 169 feriti, sinora accertati. Le batterie antiaeree hanno aperto il fuoco. La squadra navale nemica parrebbe composta da una nave portaerei, una nave da battaglia, quattro incrociatori e sei cacciatorpediniere. La nave portaerei è stata avvistata verso le ore 10 nei pressi di Capraia". Il successivo dieci: "La Difesa del Territorio enumera i danni causati a Genova, dall'incursione aereo-navale del 9 c.m. I principali obiettivi colpiti sono i seguenti: stazione Sampierdarena, linea ferroviaria, fabbricato allestimento navi, stabilimento meccanico, stabilimento montaggio torri, gasometro, acciaierie SIAC, interrotto il traffico da Genova-Brignole, in porto; affondati tre navi e tre chiatte; semiaffondati tre piroscafi, colpiti vari fabbricati, bacini carenaggio due e tre, centrale elettrica, bacino quattro. Nave cisterna S.Andrea cannoneggiata ed immobilizzata a 8 miglia da Egli. Segnalati sinora 72 morti e 226 feriti". L'azione fu messa in relazione con i colloqui a Bordighera tra Mussolini e Franco che dovevano avvenire pochi giorni dopo.

A fine marzo, affondamento dolorosissimo di tre incrociatori e due cacciatorpediniere a capo Matapan, con la perdita di 2600 marinai. In Etiopia dal gennaio al novembre 1941 un esercito di oltre 300.000 uomini si avvia a: "Un disastro la cui rapidità non è sempre spiegabile in termini solo militari" scrive Lucio Ceva. Due esempi della pochezza dei nostri materiali aerei sono raccontati dall'autore con una sincerità che gli fa onore. Dovendosi recare in visita al suo collega tedesco, dopo la battaglia aeronavale del settembre 1941 "desideravo presentarmi in Germania con un buon apparecchio italiano, possibilmente di modello recente, e capace di trasportare, oltre all'equipaggio, i dieci membri della delegazione, tra i quali erano compresi i generali von Phol con l'aiutante, i generali Bernasconi e Mattei. Il solo aeroplano che sembrava adatto allo scopo sarebbe stato il Fiat G. 12 ma non era ancora a punto, e dovetti accontentarmi di un SM 75 della SIAI, già da vari anni in servizio nelle linee aeree civili. La prima tappa del viaggio avrebbe dovuto essere Monaco, ove era stato preparato, in nostro onore, un ricevimento al circolo ufficiali della Luftwaffe. Ma il viaggio dovette essere interrotto per una grave avaria ai timoni verificatisi sugli Appennini, tra Parma e Reggio, e che ci costrinse a scendere quasi precipitosamente sopra una zona interamente coperta di nubi temporalesche". Pricolo prende in mano la drammatica situazione, accerta che i paracadute a disposizione sono solo otto e, sotto la pioggia battente, cerca un terreno per atterrare. Si evita miracolosamente una collina e inizia la manovra d'atterraggio, mentre il Nostro "con tutta calma invita i passeggeri ad abbrancarsi alle poltrone, e l'equipaggio, due piloti: veramente - due cannoni - come si direbbe oggi e il motorista: aggrappati alle leve di comando e tirando con tutte le forze" portano a termine l'operazione. "L'avaria era stata così grave ed insolita che mi sembrò legittimo pensare a un sabotaggio". Delle successive, si ritiene pronte indagini in merito, non vi è cenno.

Si ripiega così su un Junkers 52 della società di bandiera "per non correre il rischio di fare un'altra brutta figura". All'arrivo, Goering fa un atto di contrizione, riconosce l'errore della Luftwaffe nel non aver costruito gli aerei siluranti, si dichiara ammirato per i danni subiti dalla corazzata Nelson per opera degli aerosiluranti italiani, confessa di essere stato troppo fiducioso sulle bombe da 1000 chilogrammi. Pricolo, in un rapporto al duce scrive, dopo aver esternata la sua ammirazione per la perfetta organizzazione della Luftwaffe "Dal punto di vista politico ho tratto la sensazione che in questi ultimi tempi sia sensibilmente aumentata, da parte tedesca, la stima e la comprensione nei nostri riguardi e la valutazione del contributo da noi apportato alla causa comune". Sembra probabile che nel tempo Goering avesse cambiato idea. Si narra, ma l'episodio non è stato accertato con sicurezza storica, che all'atto della sua consegna agli americani -i generali e i dirigenti nazisti li preferivano per la resa ai sovietici- abbia detto che la vittoria alleata era dovuta al fatto che l'Italia militava nell'altro campo. Sull'aviazione tedesca si era gia pronunciato Balbo il quale aveva confidato a Ciano, dopo una visita nell'agosto 1938: "Potentissima, molto più progredita della nostra dal punto di vista tecnico".

Il secondo episodio risale all'estate 1940, uno Ju 88 era in sosta a Guidonia e il nostro generale decise di provarlo. Durante il volo, il pilota tedesco lo accompagnò nella visita all'aereo mettendo in funzione l'autopilota direzionale, ma si affrettò a tranquillizzare il sottosegretario all'Aeronautica e capo di stato maggiore della Regia Aeronautica quando: "Forse, inavvertitamente, io feci un gesto di viva sorpresa". Ci si chiede: "Possibile che il capo dell'aeronautica della sesta potenza mondiale non conoscesse il pilota automatico?". Nel settembre 1940, un'ispezione ai reparti in Marmarica fu "spesso preceduto o seguito da bombardamenti aerei. Ebbi proprio la sensazione che gli inglesi, informatissimi dai loro amici arabi, avessero voluto accompagnare piuttosto rumorosamente la mia rapida scorribanda libica". Chi scrive ha delle perplessità in quanto ritiene che gli Inglesi si sarebbero dati da fare con le "scorribande" di Rommel e non del capo dell'aviazione italiana.

Il CAI Corpo aereo italiano arrivò in Belgio per partecipare alle operazioni aeree contro la Gran Bretagna, allorché la battaglia si andava esaurendo. Si trattò di uno scontro epico, con i migliori piloti del mondo, tra 2450 aerei tedeschi, divisi in tre flotte e 1930 britannici. La superiorità tedesca era del 30%, a favore della RAF vi era la vicinanza delle basi di volo e il sistema d'avvistamento, l'Home Chaine. La battaglia d'Inghilterra, non trova molto spazio nel libro. Pricolo racconta in poche righe del suo disappunto alla notizia di questa dispersione di forze e lamenta l'intervento del ministro degli Esteri Ciano nella scelta del comandante, nella persona del generale di S.A. Rino Corso Fougier, che sarà in seguito il suo successore nella guida dell'aeronautica. Fu l'episodio più simbolico delle capacità operative della Regia Aeronautica. Nei primi giorni del settembre 1940 Fougier si recò in Belgio per studiare la sistemazione delle squadriglie. L'S 79 su cui volava, fu fermato a Monaco di Baviera da ufficiali tedeschi i quali, con grande imbarazzo, gli comunicarono che l'aereo, per una serie di problemi tecnici, non era in condizioni di volare sui cieli del nord Europa. Come Pricolo, i nostri patirono l'umiliazione di continuare il viaggio su un trimotore Junkers Ju. 52. Ma si era solo all'inizio.

Su 6 Cant Z 1007 b, 80 bombardieri Fiat BR 20/M, 50 caccia Fiat CR 42, 45 caccia monoplani Fiat G 50, 12 Ca. 133/T, 9 Ca 164, un SM 79/TP alzatisi in volo per raggiungere gli aeroporti del Belgio, 17 dovettero effettuare atterraggi di fortuna nei quali quattro andarono interamente distrutti. Per un'idea delle difficoltà che i piloti affronteranno basti pensare che i CR 42 avevano gli abitacoli aperti, con temperature di 20 gradi sotto zero. Per la mediocrità del velivolo i piloti patirono perdite altissime. Un caccia francese Dewoitine D-520 armato di quattro mitragliatrici e un cannoncino, miglior caccia francese della seconda guerra mondiale, né abbatté nei primissimi giorni di guerra cinque sulla Provenza. Il Diario dello stato maggiore generale tace sull'argomento, mentre Pricolo onestamente lo ricorda, aggiungendo l'episodio di un Hurricane che abbatté a sua volta tre S. 79: "I quali, tuttavia, si erano difesi accanitamente". Il 24 ottobre, mentre la battaglia si avvia alla fine con la sconfitta della Luftwaffe, il CAI entra in azione con una squadriglia di 17 BR 20, obiettivo il porto di Harwich. Un BR 20 precipita subito dopo la partenza, due rientrano per noie ai motori, due al ritorno vengono abbandonati dagli equipaggi per esaurimento del carburante, un altro si perde nei brumosi cieli nordici e subisce danni nell'atterraggio su un aeroporto francese.
In un'altra missione di bombardamento i G 50 non si alzano in volo per il maltempo, i CR 42 partono, due devono atterrare in territorio nemico, uno si schianta al suolo nell'atterraggio. Dei 40 partiti solo 18 ritornano alle basi di partenza, gli altri si spargono sui campi d'aviazione della Germania, Belgio, Francia e Olanda. Il 21 dicembre, quelle che Radio Londra definì "carrette siciliane", tornano in Italia. Sono andati perduti 38 aerei di cui 17 per incidenti di volo e 43 aviatori. La realtà si mostrò in tutta la sua drammaticità. La Regia Aeronautica, detentrice di uno sterminato numero di primati aerei, non era in grado di affrontare i problemi tecnico-operativi che il nuovo teatro bellico comportava. Vi era un precedente che avrebbe dovuto fare riflettere. Allo scoppio della guerra civile spagnola, la più orribile delle guerre civili, 12 SM 81 si alzarono in volo da Delmas in Sardegna diretti nel Marocco spagnolo per dare un primo aiuto a Franco. I piloti erano tra i migliori, ma uno degli aerei s'inabissò al largo di Orano, un altro rimase distrutto durante un atterraggio di emergenza nel Marocco francese, un terzo atterrò in Algeria, con grave imbarazzo politico, perché privo di contrassegni di nazionalità.

L'intervento italiano non lasciò una grande eco nella storia. Nessun cenno si trova nella Storia militare della seconda guerra mondiale di Basil Liddell Hart, massimo storico inglese, Le grandi battaglie aeree della seconda guerra mondiale di Carlo Rossi Fantonetti, La battaglia d'Inghilterra del generale tedesco Werner Kreipe, Il primo e l'ultimo d'Adolf Galland, Storia dell'aeronautica di Rodolfo Gentile, La battaglia d'Inghilterra di Len Deighton e nella monumentale Storia della seconda guerra mondiale di Churchill che pure dedica 83 pagine alla Battaglia d'Inghilterra. John E. Johnson, l'asso britannico arrivato ai più alti gradi della Royal air force, nel suo Il duello aereo vi fa un breve cenno: "Un giorno il comandante di una squadriglia di Hurricane che tentava di intercettare degli intrusi sull'estuario del Tamigi, rimase stupito di vedere avanzare strani bombardieri scortati da caccia biplani. Era la Regia Aeronautica [in italiano nel testo] e i piloti da caccia italiani fecero una buona impressione sui loro Fiat; ma i bombardieri furono rapidamente dispersi e 12 abbattuti senza perdite. Poco dopo, ebbero un eguale trattamento, quando ebbero l'impudenza di ripresentarsi, e ci si domanda cosa pensassero i duri veterani della Luftwaffe nell'osservare i loro inesperti alleati decollare dai campi francesi sui loro antiquati apparecchi". (18) A noi viene da pensare a che cosa pensasse un giovane pilota italiano, fior fiore della gioventù del ventennio, pronto a morire per il duce e per la Patria, decollando verso "le bianche scogliere di Dover". Il generale unionista Sherman, ad uno studente che gli chiedeva che cos'era la guerra, rispose: "La guerra è l'inferno", e l'inferno scoprirono i nostri piloti nei cieli inglesi, costretti a combattere in condizioni d'angosciosa, umiliante inferiorità. Pricolo sostiene che nel corso di queste operazioni furono abbattuti 15 aerei inglesi contro 8 italiani.

Il primo ministro britannico Stanley Baldwin nel 1934 destò grave scandalo tra i pacifisti sostenendo che "Il bombardiere riesce comunque a passare". L'Inghilterra si preparò creando in massa il bombardiere strategico quadrimotore che si scatenerà sulle città tedesche e italiane, mentre la Germania, con un errore gravissimo, privilegerà i bimotori. La guerra aerea tra Gran Bretagna e Germania confermò questa profezia. Fu la massima espressione delle straordinarie capacità materiali e morali dei due paesi, una guerra ad alto contenuto tecnologico in cui scesero in campo piloti, tecnici e apparati industriali.

Una guerra all'ultimo sangue, in cui si scontrarono quella che oggi definiremo "la meglio gioventù". Furono i tedeschi a sottoporre Londra a bombardamenti devastanti che si estesero a buona parte dell'Inghilterra, fronteggiati dal Comando caccia supportato da un'organizzazione terrestre fondata non solo sul radar ma su un esteso numero d'osservatori, armati di binocolo e di telefono. Furono i bombardieri inglesi, seguiti nel tempo da quelli statunitensi, ad oscurare i cieli della Germania, squarciandone le viscere. Flotte aeree tecnologicamente all'avanguardia, procedimenti di volo e di puntamento sempre più aggiornati, spezzoni incendiari, bombe dirompenti di tonnellaggio sempre maggiore, furono fronteggiati da una difesa antiaerea fondata sul mitico 88 dalle capacità micidiali, da un avanzato sistema radar, da una caccia notturna che attaccava con qualsiasi tempo, da un sistema di rifugi antiaerei sempre più efficienti. Le popolazioni, il cui morale fu sempre altissimo, pagarono un prezzo sanguinoso. In Gran Bretagna i civili uccisi furono circa 60.000, la maggioranza nei primi mesi di guerra. In Germania circa 800.0000.

A distanza di tanti anni, il naturale senso di pietà per vecchi, donne e bambini morti di morte orribile, è condizionato dalla notizia che nei modernissimi rifugi a prova di bombe i lavoratori stranieri e i prigionieri di guerra, che subito dopo i bombardamenti entravano in azione per salvare vite umane e spegnere incendi, non erano ammessi. Forse non è "politically correct", espressione in gran moda, ma viene spontaneo rapportare i due popoli anglosassoni a quelli latini. Il ricordo corre alle deliranti manifestazioni che accolsero gli Alleati a Parigi, dopo che la maggioranza dei francesi si era schierata con Pétain, ignorando l'appello di de Gaulle nei giorni della disfatta, e agli applausi entusiastici con cui i Liberatori furono accolti a Palermo, mentre la guerra continuava e soldati, marinai e avieri palermitani morivano combattendo.

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L'Arma azzurra scese in campo con forze preponderanti l'8 luglio 1940 per quella che sarebbe stata chiamata la battaglia di Punta Stilo in Italia e la battaglia di Calabria dagli Inglesi. Dalle 10 alle 18,40 effettuò con 72 aerei, 13 azioni con un numero massimo di 11 aerei per azione, lanciò 433 bombe, in media sei per aereo, centrando con una bomba l'incrociatore Gloucester che continuò nell'azione. L'ordine operativo del capo di stato maggiore dell'aeronautica nella stessa data prescriveva che per l'indomani la flotta aerea doveva attaccare con bombe da 250 "e possibilmente" da 500 chilogrammi. Il giorno successivo la Mediterranean fleet con azione giudicata da uno storico italiano: "Temeraria, pericolosa e avventata" (19) si era portata a 40 chilometri dalla costa calabrese. Superaereo lanciò all'attacco, dalle 16,45 alle 21, gli stormi disponibili, 133 bombardieri che, in 17 azioni, lanciarono 514 bombe di cui le otto da 500 chilogrammi racimolate. Nessuna nave fu affondata o danneggiata. La battaglia fu il primo ed ultimo scontro tra corazzate nel Mediterraneo.

Per una serie d'errori fu attaccata la flotta italiana, ma anche questa volta non vi furono perdite. Pricolo lamenta che le navi attaccate, mentre le bombe cadevano pericolosamente vicine, aprirono il fuoco contro gli aerei italiani, portando l'esempio dell'incrociatore Sheffield che attaccato con "ben undici siluri", dall'aviazione navale inglese non reagì. Cinquanta anni dopo lo storico Giovanni de Lorenzo commentava: "Un comportamento irriflessivo e irrazionale [della flotta] dovuto all'eccitazione del momento e alla ottusa interpretazione di un errore che si aggiungeva ad un altro errore". Aggiunge Pricolo: "Soltanto molti anni dopo la fine della guerra, il primo responsabile, [generale Barba] sia pure del tutto involontario, dell'errore assurdo mi fece la sua confessione". Coautore dell'errore, aggravato dalla quota di volo superiore a quanto stabilito da Superaereo, fu un ufficiale di marina, un tenente di vascello osservatore addetto al puntamento sull'aereo di Barba. Particolare illuminante, tra il posto di guida e la gondola di puntamento, non vi era un contatto interfonico, così come tra aerei della stessa formazione che, seguendo il comandante, lanciavano per imitazione. Nella battaglia italo-italiana si perse un bombardiere che s'inabissò con tutto l'equipaggio.

Sorgono sempre nuove domande. Possibile che i vertici militari non avessero predisposta un'inchiesta? Possibile che la verità sia stata accertata a seguito della confessione del generale Barba? La nota di Pricolo sulla confessione del generale Barba lascia ipotizzare la mancanza di un'inchiesta subito dopo l'azione. Da questa battaglia, che rese roventi i rapporti tra le due armi, si appurò in modo definitivo che il bombardamento in quota non aveva raggiunto i risultati previsti per una serie di motivazioni tra cui il mancato addestramento contro bersagli navali, primitivi sistemi di puntamento, bombe di scarsissima potenza e penetrazione lanciate con un sistema sbagliato, mancanza di procedure standard per le comunicazioni, di collegamenti radio con le basi e tra aerei, i cui puntatori sganciavano per imitazione del capo squadriglia, a cui si aggiungeva la mancanza di caccia di scorta per la scarsa autonomia. Va aggiunta la mediocrità dei sistemi difensivi con mitragliatrici scarsamente potenti e di portata non superiore ai 350 metri.

Pricolo sostiene "non fui molto sorpreso dai risultati non del tutto soddisfacenti dei bombardamenti: eseguiti poi su bersagli mobilissimi". Irriverentemente viene alla mente una nota figura comica che, nel corso di un duello, si lamentava dell'avversario che, muovendosi continuamente, gli impediva di infilzarlo. Cosa più importante, nessun affiatamento fra le due Armi, con stati maggiori che non avevano frequentato una comune scuola di guerra. E' una summa d'errori che venivano da lontano. Paolo Berardi, futuro capo di stato maggiore dell'esercito, scriveva sulla Rivista di artiglieria e genio nel settembre 1924: "Le vie dell'aria, del mare e della terra sono intimamente legate fra di loro; la strategia che per buona parte è l'arte di economizzare le forze, deve scorgere le interdipendenze, armonizzarle, evitare le sovrapposizioni, e creare al di sopra di tutto la reciproca fiducia tra Esercito, Marina ed Aeronautica. Esiste oggi tale fiducia? Se vogliamo davvero migliorare le istituzioni che amiamo, diamo il bando alle frasi convenzionali, siamo franchi di fronte a noi stessi e rispondiamo rudemente: non esiste quale dovrebbe essere; esiste la stima profonda da cui nasce la fiducia astratta, non esiste la conoscenza intima, che genera la fiducia concreta e convinta, indispensabile agli artefici di un'opera comune […]Del resto l'idea del comando unico delle forze nazionali non è nuova e forse la su attuazione si frange oggi contro le gravissime pratiche difficoltà, non ultima delle quali quella della formazione di un organo di comando, dotato della competenza e della autorevolezza necessarie per ottenere il consenso dell'obbedienza di tre organismi intelligenti, fattivi, di cui due soffusi di una tradizionale consuetudine di vita autonoma quali sono l'Esercito, la Marina e l'Aeronautica".

All'inizio della guerra il coordinamento interforze fu risolto con l'invio di ufficiali delle tre armi presso l'ufficio del capo di stato maggiore generale. Badoglio osservava: "In tempi normali per il collegamento tra gli stati maggiori bastava la corrispondenza. Ma questa è lenta, mentre invece i tempi serrano". Si dovrà arrivare ad una circolare del marzo 1941 "Collaborazione con la Regia marina" perché un ufficiale superiore della marina sia distaccato presso i comandi delle grandi unità aeree, stabilendo, in modo rigoroso, l'obbligo per le forze aeree di non avvicinarsi alle unità della marina in navigazione. Resta irrisolto il problema delle comunicazioni dirette tra unità navali e aeree. Caporetto per la dileggiata "Italietta liberale" fu la sconfitta cui seguì la vittoria di Vittorio Veneto, coronamento di una guerra portata avanti con durissima volontà.

La campagna di Grecia rappresentò la fine della "guerra parallela", per la quale Mussolini aveva coniato lo slogan: "Non con la Germania, non per la Germania, ma per l'Italia a fianco della Germania". Il dieci dicembre Hitler, raccogliendo le preghiere del duce, ordinò l'inviò in Libia del generale Rommel con l'Afrika Korps e in Sicilia del X Flieger Korps con 120 bombardieri in quota, 150 in picchiata, 40 caccia bimotori e 20 ricognitori. L'11 febbraio 1941 il sottocapo di stato maggiore generale Guzzoni comunicò al generale che chiama von Rommel: "La divisione corazzata italiana in Libia passerà a far parte del Corpo Tedesco ai suoi ordini". Le prime invocazioni di aiuto sono antecedenti. Nel Diario storico del comando supremo si legge alla data del 22 giugno: S.M. Esercito: comunica di aver nuovamente sollecitato l'addetto germanico per azioni germaniche in concorso delle nostre operazioni". La considerazione in cui era tenuta la Grecia dai nostri vertici politico-militari era scarsa. Il ministro degli Esteri, pur essendo uso al forbito linguaggio diplomatico, confidò il 25 settembre del 1940 a monsignor Borgoncini nunzio apostolico presso il Quirinale: "è gente di cui non ci possiamo fidare in nessuna maniera e mantengono un atteggiamento schifoso", il duce, uomo grintoso: "Do le dimissioni da italiano se qualcuno trova delle difficoltà per battersi coi greci", Cavallero, prossimo capo di stato maggiore generale: "I greci non sono dei buoni soldati".

Il suggello all'impresa venne dal riluttante maresciallo Badoglio il quale, nella seduta del 17 ottobre, sostenne: "Il Duce ha giudicato e dichiarato che per lui è di somma importanza l'occupazione della Grecia, quindi non si discute", facendo proprio il motto mussoliniano "Credere, obbedire e combattere". Raffaele Cadorna, uomo di un'altra Italia, scriveva nel 1916: "[…] qualsiasi operazione, anche se motivata da ragioni essenzialmente politiche, non può che essere subordinata alla sua attuabilità sotto il punto di vista militare. Di questo è giudice il comandante delle truppe operanti, il quale deve ritenersi vincolato soltanto al raggiungimento del fine generale stabilito dal Governo; se dal Governo partono istruzioni particolareggiate e in contrasto con la sicurezza delle truppe, il comandante ha l'obbligo di fare presenti le ragioni militari che sono in opposizione alle istruzioni ricevute: se non venisse ascoltato gli rimane il diritto di domandare l'esonero dal comando". Il maresciallo tornò sull'argomento in una lettera del 22 ottobre al quadrunviro Cesare Maria De Vecchi, comandante delle forze armate in Egeo: "Caro De Vecchi, il 28 ottobre ha inizio la spedizione punitiva contro la Grecia; questi greci avranno il trattamento che si sono meritato. Certamente ci sarà una reazione della flotta e dell'aviazione inglese. Ben vengano; siamo pronti a riceverle".

A disastro iniziato, era andata perduta un sesto dell'Albania, il sottosegretario all'Aeronautica, per ordine del duce, forse pentitosi di aver proclamato: "Spezzeremo le reni alla Grecia", svolse una strana missione, completamente al di fuori dei suoi compiti istituzionali. Incaricato di "portare una sua lettera autografa" al generale Visconti Prasca, partì per l'Albania il due novembre. Se ci portassimo sul versante tedesco è come se Hitler ordinasse a Goering di portare una lettera a Guderian. Dopo un colloquio con Visconti Prasca, il Nostro espresse al generale Ricagno "mio lontano parente, […] le mie sensazioni tutt'altro che rassicuranti circa le idee e le capacità del suo comandante", ovviamente non ottenendone risposta. Reiterate le sue perplessità a Soddu ne ebbe in risposta un brusco: "è uno dei nostri migliori generali". Se la guerra di Grecia, non fossero permeata di sangue, morte e sofferenze, solleverebbe ilarità la scena di un generale d'aeronautica che esprimeva considerazioni negative su un generale dell'esercito a un suo superiore. Quanto al morale dei soldati, "la carne paziente" osserva che: "Erano giustamente scandalizzati, ma non ancora indignati, come ne avrebbero avuto pur sacrosanto diritto".

Il duce, compiaciuto delle capacità del Nostro, a metà novembre lo rispedisce in Albania "in veste di informatore su tutto quanto interessava la guerra in corso. Non ne fui entusiasta: si trattava di un compito ingrato e difficile, che ripugnava enormemente al mio carattere e mi preoccupava non poco, per la mia scarsa competenza specifica su tutto quanto si riferiva all'impiego delle truppe". Pricolo è un soldato uso ad obbedire. Dopo un esame della situazione che andava facendosi di giorno in giorno più grave, telefona al suo mandante esprimendogli dubbi, preoccupazioni e considerazioni strategiche in una serie di rapporti giornalieri, L'ultimo risale al 17 gennaio 1941 nel quale precisa: "Non ho potuto assumere informazioni dirette alle varie fonti e specialmente ai comandi operanti presso le linee. Mi debbo limitare pertanto, a riferirvi le impressioni di alcuni alti ufficiali fra i quali vanno annoverati quelli del comando aeronautico d'Albania e specialmente il colonnello Scattini del servizio informazioni". I suoi rapporti piacciono al duce: "Che tenne ad elogiarmi per la coraggiosa schiettezza delle mie relazioni", non piacciono a Ciano, uno dei principali responsabili dell'avventura e Pricolo entra nel suo mirino. Le capacità strategiche del capo di stato maggiore della Regia aeronautica non devono stupire. Kesserling, comandante della 2° flotta della Luftwaffe, si trasformò nella campagna d'Italia, suo capolavoro, in uno dei migliori generali dell'esercito.

Non sembrava da meno Mussolini che da Roma in un colloquio telefonico con Soddu: "Indicava al comandante del Superalba l'esistenza di una strada, attraverso un valico, che immetteva in valle Suscizza, assai pericolosa, per la diretta minaccia su Valona". Poco caritatevolmente Pricolo aggiunge: "Sembra che il generale Soddu la ignorasse". A differenza di Pricolo, che nelle sue memorie non ne fa accenno, Ciano sostiene che il 24 ottobre insieme avevano esaminato il piano d'attacco alla Grecia e, novello stratega, aveva stabilito: "è buono perché energico e deciso. Con un colpo duro all'inizio c'è il caso di far crollare tutto in poche ore". Si uniformava al pensiero strategico del suocero che due giorni prima a Pricolo che gli comunicava l'ordine di Badoglio: "Ha dato disposizioni per un'azione aerea molto misurata" aveva risposto: "[…] che si picchi molto forte, poiché spera che tutto vada in pezzi al primo urto". Le responsabilità di Ciano sono evidenziate da Badoglio, il quale nel suo L'Italia nella seconda guerra mondiale scrive che nella seduta del 15 ottobre il genero di Mussolini aveva dichiarato che: "La società greca era fortemente corrotta, ed egli aveva, a questo riguardo, sicuri elementi di successo". In seguito di fronte alle perplessità del meditabondo capo di stato maggiore generale aveva aggiunto che: "Era riuscito ad avere dalla sua diverse notabilità greche […] per il passaggio della Grecia alla nostra parte […] gli era costato un po' caro, ma il successo giustificava anche questa spesa".

Quando finalmente Visconti Prasca fu messo a riposo, il duce del fascismo a Pricolo che lo incitava a sanzioni che fossero di esempio, rispose: "Non si deve essere troppo cattivi con i propri simili". La stessa bontà d'animo non aveva dimostrato nei confronti degli antifascisti italiani caduti prigionieri nella guerra di Spagna. Si legge nel Diario di Ciano: "Anche molti italiani sono stati presi: anarchici e comunisti. Lo dico al Duce che mi ordina di farli fucilare tutti e aggiunge: "I morti non raccontano la storia". Intanto la situazione si fa drammatica. Il generale Soddu, é una creatura di Badoglio. Nel Diario storico a firma del capo di stato maggiore generale, si legge alla data del 12 giugno 1940: "L'Eccellenza Soddu mi ha chiesto di essere nominato Sottocapo di Stato Maggiore Generale. Ho risposto che proporrò, volentieri, la sua nomina al Duce". La nomina fu rapidissima, il giorno successivo si legge che: "Ho comunicato all'Eccellenza Soddu che il Duce ha approvato la sua nomina a Sottocapo di S.M. Generale". I detrattori di Mussolini sostengono che tra i suoi difetti vi fosse l'assoluta mancanza di discernimento nella scelta dei suoi collaboratori. Soddu, definito "vanesio" da Mario Silvestri nel suo splendido libro La decadenza dell'Europa occidentale, "assunto il comando delle truppe in Albania il nove novembre 1940, telegrafa a Roma il tre dicembre: "[…] impossibile ogni azione militare, la situazione deve essere risolta con un intervento politico".

La notizia è raggelante, Cavallero, nuovo capo di stato maggiore generale, fu precipitosamente inviato al suo posto. In seguito Pricolo accompagna il duce in Albania ove ormai il fronte si è ricostituito: "In quel periodo desiderava avermi quasi sempre vicino quale accompagnatore". Tornato a Roma per "varare delle scartoffie" viene richiamato in Albania e il duce, esacerbato, gli confida la sua volontà di rientrare a Roma: "Sono nauseato di questo ambiente. Non abbiamo progredito di un passo: mi hanno ingannato fino ad oggi. Disprezzo profondamente questa gente. Stanotte ho inviato un rapporto particolareggiato sulla situazione a Sua Maestà". Irresistibile è il richiamo a Hitler e Stalin. Non erano passati tre anni da quando in una seduta al Senato del marzo 1938, aveva sobriamente dichiarato: "In Italia come fu in Africa [la guerra] sarà guidata agli ordini del Re da uno solo, da chi vi parla, se ancora una volta questo grave compito gli sarà destinato dal destino". Il 29 maggio 1940 Ciano annota nel suo Diario: "Stamane alle 11, a Palazzo Venezia, è nato l'Alto Comando. Poche volte ho visto Mussolini così felice. Ha realizzato il suo vero sogno: quello di diventare condottiero militare del Paese in guerra".

Nella guerra di Grecia Pricolo descrive la straordinaria attività di sostegno dell'aeronautica, "In meno di cinque mesi questo gruppo di così eterogenei apparecchi riuscì a trasportare da e per l'Albania ben 34.000 uomini e 3000 tonnellate di materiali". A sua volta un gruppo di 50 Ju. 52 messi prontamente a disposizione dall'alleato germanico: " […] riuscì a trasportare in Albania 29.000 uomini e 3000 tonnellate di materiale. Dall'Albania alle Puglie trasportò 11000 uomini dei quali circa 9000 feriti". Con orgoglio narra che: "Il comando della 4° Squadra aerea, dopo aver lanciato un messaggio di preavviso, fece ammarare a Corfù cinque idrovolanti con una quarantina di uomini al comando del colonnello Grande. Contemporaneamente, un massiccio carosello di bombardieri e caccia sorvolava l'isola […] Il colonnello Grande, dopo aver fatto presente che in caso di atti di ostilità o di rifiuto della resa, l'isola sarebbe stata sottoposta a violento bombardamento, ottenne che fosse inalberata la bandiera bianca. L'atto di capitolazione fu firmato nel pomeriggio; il prefetto e il comandante del presidio dichiararono di firmare il documento sotto l'incombente minaccia dell'offesa aerea". Va precisato che l'armistizio tra Germania, Italia e Grecia era stato firmato da cinque giorni e non si comprende come fossero possibili "atti di ostilità" da parte greca.

Pricolo si dichiara fortemente contrario alla nave portaerei ricordando che nel marzo 1927 aveva sostenuto che una flotta di 500 aerei poteva dominare tutto il Mare nostrum dalle basi terrestri "con un'autonomia di soli 1300 chilometri complessivi", aggiunge che aveva pensato a un idrovolante "poiché allora non passava neppure per la mente l'idea di poter impiegare, con disinvoltura, per lunghi voli sui mari aperti, l'aeroplano a ruote". L'idea era invece passata per la mente di uno sconosciuto pilota civile americano, Charles Augustus Lindberg, il quale, due mesi dopo, aveva volato senza scalo da New York a Parigi per 5860 chilometri a bordo di un monomotore a ruote. La necessità della nuova unità era evidente e Mussolini tagliò la testa al toro e in una riunione del Consiglio dei ministri del 7 gennaio 1941, dichiarò: "Devo deplorare di non aver dato corso al mio proposito di costruire la portaerei; ma tutta l'Aeronautica, con lo Stato Maggiore in testa, era contraria sostenendo l'inutilità di questo tipo di navi in Mediterraneo. Ora si vede chi aveva ragione". Le contrarietà non venivano solo dagli ambienti aeronautici e il generale giustamente lo rileva osservando che i vertici della Regia marina avevano a più riprese manifestato la loro opposizione, riportando le parole del capo di stato maggiore pronunciate nel 1938: "La Marina italiana persiste invece nella decisione di non costruire navi portaerei con ponte di volo".

Pricolo, dopo aver attribuito a Cavallero l'idea della portaerei, avanza un'elencazione delle difficoltà da affrontare, quali la progettazione del nuovo velivolo e l'addestramento dei piloti e del personale con la guerra in corso e sempre più vicina. Il successivo 20 gennaio Supermarina comunicò a Superaerei l'ordine mussoliniano di trasformare il transatlantico Roma in portaerei, indicando le caratteristiche della nuova unità e invitando Superaereo a: " […] disporre per quanto ha attinenza ai reparti di volo da imbarcare sull'unità […]". Pricolo, dopo otto giorni, rispose assicurando che l'aeronautica avrebbe posto "urgentemente allo studio il problema di realizzare il tipo di velivolo rispondente allo scopo". Le evidenti difficoltà nella costruzione di una nave per la quale non vi era nessuna esperienza furono segnalate da Supermarina al duce e il 2 febbraio, su suo ordine, la trasformazione fu sospesa. Il problema fu ripreso in esame il 9 luglio 1941 in una riunione dei capi di stato maggiore, ma i problemi tecnologici, che andavano dal bloccaggio del corpo del pilota durante l'atterraggio alle installazioni R.T.F. e R.D.G., alla imbragatura per il sollevamento del velivolo, erano di una complessità superiore alla nostra arretratezza tecnologica. Si era tra l'altro prospettata l'ipotesi di parcheggiare gli aerei sul ponte di volo, dal quale, una volta involatisi, avrebbero raggiunto la terraferma. Di certo la Regia marina finì la guerra come l'aveva iniziata, senza navi portaerei. Pricolo ignora questa corrispondenza, limitandosi a riportare considerazioni dei vertici della marina militare sul problema, a negare che l'aeronautica avesse una forte influenza su Mussolini, a citare l'ammiraglio Cunningham per a vantare l'incombente minaccia dell'aviazione sulla flotta inglese.

Intanto la sua stella comincia a tramontare. Cavallero, assunto il comando supremo, prende in mano la situazione e tenta di stabilire una strategia unitaria fra le tre forze armate, con risultati limitati. Tra i due i rapporti sono pessimi, "non avendo io saputo o potuto dissimulare la decisa disapprovazione alla sua nomina a così alta carica" I contrasti sono insanabili, il Nostro se ne lamenta col duce del quale riteneva di godere la massima fiducia ma: "Mussolini si limitò ad allargare le braccia come per un gesto di rassegnazione". Il fondatore dell'impero però già in una nota per Cavallero datata 24 luglio scrive: "Non ritengo l'attuale comandante delle forze aeree all'altezza dei suoi compiti". Il 14 novembre 1941 Mussolini impose uno dei ricorrenti "cambi della guardia": "Con rincrescimento debbo rinunziare alla vostra collaborazione", furono le sue parole. Cavallero parlò di "effettiva disobbedienza del generale Pricolo agli ordini ricevuti dal Comando Supremo […]che aveva messo le nostre forze in Libia in condizioni di minore efficienza nel preciso momento in cui, come io avevo ripetuto e vivamente ammonito, si è manifestata in Cirenaica una importante iniziativa contro di noi", riferendosi al mancato invio di caccia in Africa. Pricolo giustificò tale ritardo con la necessità di applicare ai velivoli i filtri antisabbia. L'epitaffio di Ciano, che Pricolo definisce di una: "Superficialità e presunzione sconcertanti", è sotto la data 15 novembre del suo Diario: "Cambio della Guardia all'Aeronautica. Era ora, Pricolo aveva dato molte delusioni e si era sempre rilevato uomo, gretto, invidioso e meschino. Lo sostituisce Fougier che, almeno, è simpatico ed un vero pilota: non un dirigibilista. Avrà come capo gabinetto Casero -il mio vecchio, fedele Casero - che è certamente l'ufficiale che prende più sul serio i suoi compiti. Con lui le cose dovrebbero migliorare".

La guerra diventa sempre più feroce, con sacrifici inenarrabili per i soldati e le popolazioni civili e il nostro ministro degli Esteri manifesta la sua soddisfazione per l'avvenuta sistemazione dei suoi protetti. Il successivo 18 ritorna su Pricolo: "Una cosa grave. Bismarck ha detto ad Anfuso che all'Ambasciata di Germania c'è un certo allarme, poiché si è saputo che Pricolo è stato allontanato dal Governo per la sua opposizione alla venuta di Kesserling in Italia. Ciò è falso di sana pianta. E Bismarck, messo alle strette, ha dichiarato -sotto il vincolo del più assoluto segreto- che la notizia era stata data a Rintelen da Cavallero, il quale si vantava del servizio così reso alla Germania. Non c'è bisogno di commenti: questo fatto basta a provare chi è Cavallero. La sola verità é ch'egli si era litigato, per ben altra ragione, con Pricolo e che ha così voluto buttargli addosso un'altra palata di terra".

***

In un'appendice al libro "Attività aerea negli anni 1940 e 1941" il generale si avventura in calcoli sulle perdite e stabilisce in 411 i velivoli perduti in combattimento e in 786 quelli abbattuti. Il dato solleva perplessità perché i nostri aviatori, a differenza della Luftwaffe, non ebbero la possibilità di misurarsi con aviazioni tecnologicamente arretrate, salvo che in Grecia e si batterono contro gli Spitfire e gli Hurricane della Royal air force, i cui antiquati biplani Gladiator rimasero in servizio fino al 1941, a differenza dei CR 42 che ancora volavano alla data dell'armistizio. Generosamente riconosce: "La superiorità delle nostre formazioni aeree non deve assolutamente far pensare a scarsa abilità o a poco spirito dei piloti inglesi. […] Il fatto è che i nostri non soltanto non erano da meno, ma spesso si dimostravano superiori nella tecnica". Le perdite per il fronte della Manica sono rispettivamente di 8 e 15. In pratica i CR 42, biplani con posto di pilotaggio scoperto, e i Fiat C 50 uscirono vittoriosi dagli scontri con i caccia Hurricane e Spitfire i cui piloti da mesi si misuravano con i veterani della Luftwaffe. L'autore precisa che i dati sono quelli segnalati dagli equipaggi.

Vale la pena di comparare le principali caratteristiche dei quattro aerei: Velivolo - Velocità - Armamento
Fiat CR 42 - Km. 450 - 2 mitragliatrici
Fiat G 50 - Km. 472 - 2 mitragliatrici
Spitfire - Km. 580 - 8 mitragliatrici
Hurricane - Km. 470 - 8 mitragliatrici

Nelle successive nove versioni lo Spitfire arrivò ad una velocità di 730 chilometri orari e l'Hurricane, due versioni, a 520. Va aggiunto però che il Nostro sostiene che: "Non è stato tuttavia possibile controllare questo dato con quelli degli Uffici storici delle aeronautiche, allora avversarie, interessate". Il libro è stato pubblicato nel 1970. Come fonte per i suoi dati si richiama continuamente ai bollettini di guerra. Ad esempio cita quelli dal 25 novembre 1940 al 1 marzo 1941 dai quali risultavano abbattuti 60 aerei greci e inglesi contro 15 italiani. Sulle perdite aeree, gli storici attribuiscono agli stati maggiori, guerra durante, valutazioni ottimisticamente favorevoli. Johnson nel suo citato libro scrive: "Tra il 10 luglio e il 31 ottobre noi avevamo denunciato la distruzione di 2698 velivoli nemici, ma, sulla scorta dei dati ufficiali tedeschi, la cifra reale risultò essere di 1733. Durante tutta la Battaglia d'Inghilterra noi denunciammo tre velivoli abbattuti per ogni due realmente distrutti". L'asso inglese riporta questi dati nel libro pubblicato nel 1956. Sulla stessa linea è il tedesco Galland.

***

Carlo Arturo Jemolo sosteneva: "E' atteggiamento antistorico per eccellenza il considerare i problemi, le opinioni, i sentimenti di un tempo, alla stregua del sentire e delle convinzioni di tutta altra epoca". Da quel "tempo"sono passati 60 anni, ma le trasformazioni avvenute nel nostro paese sono state immense. Un paese uscito dalla guerra con la serena convinzione di poter sedere al tavolo dei vincitori, tra lo stupore dei politici anglosassoni, e per la cobelligeranza delle nostre forze armate e per la Resistenza, fenomeno quest'ultimo enfatizzato o minimizzato, ma che non può essere ignorato. Per la prima volta nella storia dell'Italia migliaia d'uomini presero le armi senza cartolina precetto, in una guerra nella quale non si facevano prigionieri.

Lo stupore si fondava sull'antica accusa di "machiavellismo congenito", al quale si accompagnava la razzistica visione dell'italiano poeta, cantante d'opera, inaffidabile e traditore. Aleggiava e purtroppo aleggia intorno all'Italia una sostanziale sfiducia, uno scetticismo che non si riuscì mai a superare, non era "né una alleata affidabile, né una nemica permanente". Di ciò era conscio il ministro degli Esteri sovietico Litvinov, allorché il 28 marzo 1938 confidò all'ambasciatore americano Davies: "[…] forse la storia si ripeterà e l'Italia che oggi è amica della Germania l'abbandonerà come ha fatto nella guerra mondiale, quando la situazione diventerà grave, L'Italia, secondo lui, è tutt'altro che saldamente legata a Hitler". (20)

I pesanti giudizi, intrisi di razzismo, stereotipi e luoghi comuni avevano accompagnato la nascita e i progressi del giovane regno. Bismarck, dopo la guerra del 1866, paragonò l'Italia ai corvi che volano sul campo di battaglia per nutrirsi degli avanzi: "Tre esse hanno fatto l'Italia, Solferino [vittoria francese], Sadowa [vittoria prussiana] e Sedan [vittoria prussiana]" e Thiers aggiungeva "L'Italie s'est fait avec le sang des autres". L'unificazione non era avvenuta sui campi di battaglia ma con manovre diplomatiche e avevano visto il sorgere di una nuova nazione tra lo stupore della vecchia Europa. Anche lo strumento militare non godeva di considerazione nei circoli militari europei. Il ricordo veniva da lontano. Novara, Custoza, Lissa, Adua che sollevò una vasta eco in tutta l'orgogliosa Europa del secolo XIX per la sconfitta di un esercito "bianco", non seguito da un pronto riscatto, Caporetto, la perdita di tutte le località interne della Libia nella prima guerra mondiale, mentre gli alleati tenevano con mano ferma i loro imperi e i francesi assistevano agli sconfinamenti delle nostre guarnigioni di Gadames e Nalut in fuga davanti ai ribelli arabi. Si aggiungeva a questo la scarsa considerazione in cui era tenuta la popolazione italiana. I teorici navali francesi negli anni '80 del secolo XIX propugnavano il bombardamento delle grandi città marittime italiane, ritenendo che, per la scarsa tenuta morale e la mancanza di spirito nazionale, vi sarebbe stata una violenta contestazione alla condotta del governo con la necessaria conseguenza della richiesta di pace. Questi pregiudizi erano alimentati dal senso d'autofustigazione, dal complesso d'inferiorità, che caratterizzò nel tempo gli italiani. Caporetto è addirittura diventato un sostantivo, con il quale si definiscono le patrie sconfitte più sentite, quelle calcistiche, mentre gli alleati del primo conflitto mondiale non hanno enfatizzato la rotta dell'esercito inglese a Saint Quentin nel marzo 1918, o la disfatta della Francia nelle Argonne.

L'ingloriosa conclusione di venti anni di fascismo, la cui potenza militare era stata supervalutata all'estero, appesantì i pregiudizi. Dopo vent'anni di militarismo, d'esaltazione smaccata delle forze armate, di reboante politica di potenza nel giugno 1940 la leadership militare, che non ebbe mai nella vita del paese tanto peso, prestigio e importanza, espresse uno strumento militare, privo di un'adeguata dottrina bellica, con gravissime carenze in armamenti, infrastrutture, addestramento e quadri. Logico corollario fu un disastro le cui conseguenze morali ancora oggi sono evidenti. Il Troisième Bureau distribuì ai massimi dirigenti dell'Armée il libro di Guderian Achtung panzer! scritto nel 1937 segnalandone l'importanza, in verità senza grandi risultati. Nel nostro paese nulla di simile. Basti pensare che il radar fu una sorpresa per tutto l'apparato militare italiano non allertato dai servizi segreti o dagli addetti militari.

Valutare la personalità di Francesco Pricolo è cosa ardua. Del generale si può pensare quello che si vuole, ma certamente dovette fronteggiare una situazione che avrebbe fatto tremare le vene anche a Goering, che creò dal niente la Luftwaffe. Era un uomo di polso capace di battere i pugni sul tavolo, ma si trovò di fronte ad una situazione ormai sedimentata, nella quale le possibilità d'intervento erano quasi nulle. Va a suo merito di aver messo un po' d'ordine nell'arma, silurando o trasferendo uomini inetti, cercando di orientarsi nella difficile e intricata questione dell'industria aeronautica italiana abituata a perseguire i propri interessi imponendo velivoli mediocri e superati, razionalizzandola per quanto possibile. Fu un indubbio successo la produzione aerea negli anni 1940 e 1941.

Era però il prodotto di una classe militare chiusa in se stessa, con una grandissima supponenza nelle proprie capacità, con una stupefacente ignoranza e il massimo dispregio per tutto quello che si faceva all'estero. Parole come: "Pur essendo investito di un alto comando, io non ero e non potevo essere completamente informato sulla situazione delle nostre industrie e sui progressi delle nostre costruzioni aeronautiche, poiché nella mia zona era dislocata una sola fabbrica di parti di aeroplani. […] Perciò non avevo mai potuto avere piena cognizione di tutti i complessi elementi che determinano le possibilità costruttive e l'incessante perfezionamento della tecnica, specialmente in confronto a quanto veniva realizzato in altri paesi", sono inqualificabili, lasciano un senso di disagio. Appena ne ebbe "la cognizione" si rese conto che il materiale aeronautico più moderno non era all'altezza dei modelli stranieri. Spontanea viene la domanda: "Ma un altissimo ufficiale non si documentava sulla produzione aerea estera? Durante i concorsi internazionali, dei quali racconta con orgoglio le gesta acrobatiche dei nostri piloti, non "vedeva" i velivoli concorrenti?". Sono domande senza risposte.

Pricolo è tetragono nelle sue idee. Nel 1948 in una lettera del 17 marzo al quotidiano Tempo, facendosi sopraffare dalla foga polemica, arriva a sostenere che "Nell'estate 1941 gli aeroplani da caccia MC 202 erano i migliori esistenti su tutti i campi di battaglia nostri e nemici". Il suo pensiero esprime i limiti culturali di una classe militare che aveva a modello lo sconfitto esercito francese, con una mentalità continentale, la guerra sulle Alpi, dalla quale non si allontanavano nemmeno i vertici della Regia aeronautica se negli anni 1933-1939 "sette grandissimi aeroporti completi di tutti i ricoveri e fabbricati furono costruiti nell'Italia centro settentrionale".

Il generale difende a spada tratta la sua arma, n'enfatizza il peso e il timore che incuteva al nemico. Dopo il disastro di Taranto sostiene che: "Le loro navi avrebbero potuto colpire e danneggiare gravemente, senza rischio di contrasto navale, quasi tutte le nostre principali città costiere, come Catania, Palermo, Cagliari, Salerno, Livorno ecc. Se, ad onta di ciò, la flotta nemica si limitò ad eseguire pochi e fugaci bombardamenti come quelli di Tripoli, di Valona (notturno), di Genova, rinunziando ad azioni offensive di maggior mole, che sarebbero state molto redditizie, non si deve pensare che sia stato fatto per eccesso di prudenza o per scarso spirito di iniziativa. Queste non sono mai state le caratteristiche della marina inglese. Bisogna allora dedurne che qualche altro importante elemento preoccupasse seriamente gli inglesi. Questo era la minaccia dell'offesa aerea". Si potrebbe osservare che la preoccupazione della "minaccia dell'offesa aerea" non si era manifestata nei due bombardamenti di Genova. L'ammiraglio Cunningham comandante della flotta inglese nel Mediterraneo sosteneva invece che i bombardamenti in quota erano più "allarmanti che pericolosi".

L'accanimento con il quale elencò errori, doppiezze e manchevolezze dei vertici della marina, e, ma in tono minore, dell'esercito, per il quale cita un generale che voleva raggiungere il suo posto di comando in Libia per la via aerea più breve, si sussegue per tutto il volume. Alle lunghe, continue battaglie con i vertici della marina, Pricolo aggiunse una feroce battaglia a colpi di dichiarazioni, articoli, denunce, memoriali e contro memoriali nei confronti di Valle, iniziati subito dopo aver assunto la nuova carica. Nella sua battaglia avrà un alleato in Nobile e insieme lo denunceranno all'Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, che lo assolverà il 22 luglio 1947. Su Mussolini, principale responsabile della catastrofe, non si accoda alla moda generale. Scrive in anni difficili, nel pieno della contestazione, sostiene che: "si era sempre dimostrato un superiore umano, comprensivo, propenso alla discussione, ad accettare le spiegazioni che gli fornivo. Assai difficilmente assumeva toni autoritari o intransigenti, o dava ordini perentori. Quelle poche volte che impartiva disposizioni precise, amava sentire preventivamente il mio parere. Secondo le mie impressioni e a dispetto di alcuni atteggiamenti impostigli dall'alta carica egli restava fondamentalmente un sentimentale. […] Purtroppo egli subiva quasi passivamente le idee e le proposte dei suoi figli , e specificamente quelle del genero Ciano". Il Nostro racconta di avergli detto che esercito e aeronautica non erano pronti per la guerra, ne ebbe una risposta tassativa: "Io non ho mai rifiutato nulla alle forze armate!" Aggiunge che: "aveva un'idea molto approssimativa del valore del denaro". Sostiene: "Mussolini non aveva una particolare propensione per i problemi strettamente tecnici. Pur comprendendoli perfettamente non li assimilava e non li seguiva nelle loro successive evoluzioni; e talvolta li dimenticava del tutto".

Un episodio getta luce sulle capacità tecnologiche del duce. Aveva visto sul campo di Forlì nel 1941 quello che riteneva: "il nostro migliore apparecchio da caccia" per il quale proponeva il nome di Capreca, ossia le parti iniziali di Caproni, Predappio e caccia. Pricolo con grandissimo imbarazzo gli dovette comunicare che si trattava di un nuovo piccolo apparecchio da turismo. Hitler, caporale portaordini dell'esercito imperiale germanico, aveva, a detta di Guderian, afferrato con estrema rapidità i concetti espostigli sulla nuova tattica imperniata sui corazzati e li impose ai riluttanti generali dello stato maggiore, lo stesso avvenne per l'audacissimo piano d'operazioni di Manstein, il "colpo di falce" che portò la Francia alla sconfitta del maggio-giugno 1940. Stalin diresse con mano ferma le operazioni militari. Dei generali sovietici si sostenne che avevano più paura di lui che della Wehrmacht.

Il libro non è esente da piccole inesattezze. Badoglio era capo di stato maggiore generale dal 1925 e non da "oltre dieci anni", Billotte era a capo del primo Gruppo d'armate schierato sul confine belga-lussemburghese, mentre gli scarni reparti che fronteggiavano l'esercito italiano sulle Alpi, erano comandati dal generale Olry. Nel lavoro, che manca di una bibliografia, colpisce la pochezza delle opere citate, in massima parte riviste e quotidiani: Nuove ali, Selezione, La rivista marittima, L'ala d'Italia, Epoca, Le vie dell'aria, Oggi, XX secolo, Il tempo e L'Europeo, cui si aggiungono pochi volumi: Faldella L'Italia nella seconda guerra mondiale, Santoro L'aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale, Bignozzi e Catalanotto Aerei d'Italia, Potter e Nimitz La grande guerra sui mari, Milanesi Albatros del 1920, Sumner Welles Ore decisive, Cimicchi I siluri arrivano dal cielo, Papagos La Grecia in guerra, Belot La guerre aèronavale en Méditerranée e Spigo Premesse tecniche della disfatta.

Va anche detto che il libro non ebbe una grande eco tra gli storici del secondo conflitto mondiale, mentre l'opera del generale Santoro resta un punto di riferimento. I limiti professionali dell'autore si avvertono nella valutazione della Gran Bretagna: "La più potente nazione del mondo in tutti i campi e non soltanto in quello navale, come generalmente si crede", ignorando che il paese fu salvato dal più profondo fossato anticarro della storia, la Manica. L'autore si abbandona spesso ad illazioni. Definisce l'entrata in guerra degli Stati Uniti "sbaglio [più] colossale e [più] irreparabile", in quanto mise Stalin al posto di Hitler, omettendo di precisare che senza l'attacco giapponese difficilmente Roosevelt sarebbe riuscito a trascinare il paese in guerra e che il teatro europeo si aprì con la dichiarazione di guerra dei due dittatori fascisti. Per l'Italia esamina e rigetta l'ipotesi di una guerra alla Germania che ci avrebbe facilmente messi alle corde, ma la conseguente logica opzione, una neutralità tipo Spagna, non è presa in esame. Di certo, in questo caso, Mussolini sarebbe morto nel suo letto.

Quando osserva che: "Nella mia doppia veste di sottosegretario con funzioni di ministro e capo di stato maggiore, io ero in grado di prendere qualsiasi decisione (ovviamente nel settore di mia competenza) senza chiedere il benestare a nessuno. Non avevo da preoccuparmi né delle reazioni del partito, né di quelle del parlamento; né dell'opinione pubblica (stampa) e tanto meno degli elettori, non essendone per mia ventura attorniato. Una procedura simili, oggi, sarebbe impensabile", non percepisce che, anche per il controllo del parlamento, della stampa e dell'opinione pubblica, le democrazie occidentali sconfissero i paesi totalitari.

Era un uomo che continuò a restare chiuso nei suoi orizzonti di vita, a cui gli ammaestramenti della storia e le esperienze del passato non insegnarono nulla, ma gli va riconosciuto il coraggio di avere dichiarato nel dopoguerra di essere stato convinto della vittoria, e questo in un panorama di politici e militari convinti a posteriori del contrario e che, in qualche caso, rivendicarono passati meriti antifascisti.

Note

1. Gatta, Bruno. Il ragazzo di El Alamein. Napoli 1992. [torna su]

2. Ceva Lucio. Le forze armate. Torino 1981. [torna su]

3. Ciano Galeazzo. Diario 1937-1943. Milano 1980. [torna su]

4. D'Avanzo Giuseppe. Ali e poltrone. Roma 1981. [torna su]

5. Santoro Giuseppe. L'aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale. Roma 1957. [torna su]

6. Rocca Gianni. I disperati. Milano 1991. [torna su]

7. Barbieri Corrado. I caccia della seconda guerra mondiale. Parma 1970. [torna su]

8. Ceva Lucio. Grande industria e guerra in Italia. IN AA.VV. L'Italia in guerra. Il primo anno 1940. Roma 1994. [torna su]

9. De Lorenzo Giovanni. L'aeronautica in guerra. Primo anno. IN AA.VV. L'Italia in guerra. Il primo anno 1940. Roma 1994. [torna su]

10. Catalanotto Baldassare, Falessi Cesare. Il trasporto aereo nella seconda guerra mondiale. IN AA.VV. L'Italia in guerra. Il secondo anno 1941. Roma 1996. [torna su]

11. Rochat Giorgio. Italo Balbo aviatore e ministro dell'aeronautica 1926-1933. Ferrara 1979. [torna su]

12. Bocca Giorgio. Storia d'Italia nella guerra fascista. Bari 1969. [torna su]

13. Diario storico del comando supremo. Volume I (11.6.1940-31.8.1940). Roma 1986. [torna su]

14. Clausewitz Karl. Della guerra. Milano 1970. [torna su]

15. Bandini Franco. Tecnica della sconfitta. Milano 1969. [torna su]

16. Angelucci Enzo (a cura di). Atlante enciclopedico degli aerei militari. Milano 1990. [torna su]

17. Mattesini Francesco. Il bombardamento di Genova del 9 febbraio 1941. Bollettino d'archivio dell'Ufficio storico marina militare. Roma 1990. [torna su]

18. Johnson John. Il duello aereo. Milano 1967. [torna su]

19. De Lorenzo G. Opera citata. [torna su]

20. Davies Joseph. Missione a Mosca. Roma 1994. [torna su]

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