Distruggere, catturare o scacciare
il nemico dal terreno conteso e preso
possesso di questo conservarlo,
impedendo al nemico la riconquista.
(Addestramento della fanteria al combattimento)
Stato maggiore R.E. 1921
- Il battaglione 1915/1918
- Il battaglione Scuola Illasi
- Il battaglione 1919
- Addestramento della fanteria al combattimento 1921 e 1923. Regolamento francese 1920
- Il Battaglione Nuovo Tipo (B.N.T.)
- Il Battaglione 1928
- La mancata soluzione del problema
- Il plotone esploratori
- Le armi della fanteria
Una valutazione della fanteria italiana degli Anni Venti deve avere per presupposto lo studio del battaglione, definito dall' '
Addestramento della fanteria al combattimento', volume secondo, edizione 1922 come:
"L'unità tattica fondamentale della fanteria, nel quadro della divisione, elemento base per il concetto operativo del Comando",
riecheggiando il francese '
Reglement provisoire de manoeuvre de l'infanterie' del primo febbraio 1920:
"l'unitè tactique essentielle [
] est doté de tous les moyens necessaires pour mener un combat d'infanterie complet".
Il battaglione 1915/1918
Il battaglione di fanteria all'inizio della prima guerra mondiale era su quattro compagnie di fucilieri di 250 uomini armati di fucili modello 91 Carcano-Mannlicher calibro 6,5 e di baionetta.
Le mitragliatrici, secondo gli organici, dovevano essere assegnate in ragione di una sezione (due armi) per reggimento, ma il 24 maggio 1915, sulle previste 623 sezioni solo 309 armavano i reparti. L'efficacia dell'"arma senza nervi", che aveva già dato buona prova nel conflitto russogiapponese del 1904, non era stata assimilata dai vertici militari, la dottrina le dava pochissimo spazio e in pratica si raccomandava di evitare un eccessivo dispendio di munizioni.
Il battaglione era un reparto di fucilieri, la sua natura veniva evidenziata dalle '
Norme di combattimento del 1913', al n.58 si leggeva:
"[
] è necessario [
] serrare ancora sul nemico per rendere il fuoco più efficace, impiegando fin l'ultimo fucile [
] tutte le truppe dovranno concorrere all'assalto in qualunque formazione e da qualsiasi punto".
Nel 1918, dopo tre anni e quattro mesi di asperrima lotta, l'unità era profondamente trasformata, avendo in dotazione armamenti complessi e differenziati che la rendevano meglio atta a impegnare posizioni fortificate.
Gli organici, per un totale di circa 700 uomini, erano così articolati:
- Un comando.
- Tre compagnie fucilieri, a ciascuna delle quali era assegnata una sezione di pistole mitragliatrici.
- Una compagnia mitragliatrici pesanti.
- Un reparto zappatori.
- Quattro lanciabombe Stokes, sei pistole mitragliatrici, otto mitragliatrici pesanti.
Non si potè porre rimedio alla inferiorità di armi automatiche nei confronti del battaglione austriaco e degli altri eserciti combattenti, basti osservare che quello francese ne schierava un numero quasi triplo. Il reparto, pur con i nuovi armamenti, continuava ad avere una scarsa potenza di fuoco e una mediocre capacità di penetrazione, che si evidenziarono anche nella decisiva battaglia di Vittorio Veneto.
Il battaglione Scuola Illasi
Fu alla luce della nuova, sorprendente tattica di attacco attuata dall'esercito tedesco nella primavera 1918, basata sull'infiltrazione affidata a piccoli gruppi di "Sturmtruppen", dotati di un notevole tasso di fuoco e di manovra, riassunta dal generale Lunderdoff in un ordine di servizio del 30 marzo: "Ciò che decide non è già il numero ma il fuoco" che alla Scuola di perfezionamento di Illasi (Verona) si concepì un nuovo battaglione dalla potenza di fuoco non inferiore a quello nemico e in grado di adottare i nuovi procedimenti tattici della fanteria germanica. Su cinque compagnie aveva un organico di 26 ufficiali e 804 soldati divisi in:
- Una compagnia mista su cinque plotoni:
plotone arditi con una squadra lanciafiamme di quattro apparecchi.
plotone zappatori.
plotone lanciabombe Stokes con quattro armi.
plotone cannoncini con due pezzi.
plotone misto.
- Tre compagnie moschettieri su tre plotoni moschettieri e uno misto:
I plotoni erano su tre squadre, la prima con una mitragliatrice leggera, la seconda con due moschetti automatici, la terza composta da venti fucilieri.
Una compagnia mitragliatrici su cinque sezioni con dieci armi.
Il battaglione, con le sue 37 armi automatiche, dieci mitragliatrici pesanti, nove leggere, 18 moschetti automatici, due cannoncini, quattro lanciabombe e quattro lanciafiamme, era in grado di sviluppare un volume di fuoco notevolmente superiore al precedente, con un armamento all'altezza di quello austriaco ma rimase sulla carta per l'improvvisa fine della guerra.
Il battaglione 1919
Nel dopoguerra gli studi furono ripresi:
"Le fortunate vicende guerresche dell'autunno scorso hanno fatto sospendere ogni lavoro di trasformazione. Permane però la necessità di proseguire negli studi e nella raccolta di dati per la riorganizzazione della nostra fanteria, così da dotare questa di tutta la potenza che la tecnica e la tattica attuale consentono. D'altra parte la cessazione della guerra, permette di esaminare più ampiamente e con minore urgenza tutto il problema. Fermi restando i principi base ormai acquisiti, converrà pertanto riprendere lo studio delle questioni riflettenti l'armamento, l'equipaggiamento e la costituzione organica, la formazione e i procedimenti tattici", scriveva l'otto febbraio 1919 il Comando supremo alla Scuola di perfezionamento di Illasi, alla quale venne in un primo tempo delegato il compito, sotto la sorveglianza di una costituita Commissione di revisione del battaglione Tipo, che ne doveva valutare le proposte.
Dato per assiomatico che la tattica dell'infiltrazione aveva posto fine all'incubo della guerra di posizione si studiò di costituire un reparto:
"agile ed elastico, così che possa plasmarsi non solo alla forma del terreno ma alle esigenze della penetrazione e del movimento dell'organizzazione difensiva".
come illustrò il colonnello Francesco Montagano in una conferenza alla Scuola centrale di fanteria nel 1920.
Nel 1919 furono predisposti gli organici del battaglione provvisorio su cinque compagnie in attesa del compimento degli studi intrapresi.
- Compagnia di stato maggiore su tre plotoni, misto, zappatori e di collegamento.
- Tre compagnie di armi leggere (A.L.), su tre plotoni di due squadre di venti fucilieri e una mitragliatrice leggera.
- Una compagnia di armi pesanti (A.P.) su sei plotoni: tre plotoni mitraglieri, due plotoni cannoncini e un plotone misto.
Il battaglione, detto Battaglione misto, era formato da 26 ufficiali e 800 uomini e aveva in dotazione 18 mitragliatrici leggere, sei pesanti e quattro cannoncini. Sulla sua composizione vi furono divergenze tra la Scuola di perfezionamento di Illasi, la Commissione di revisione e il Comando supremo per quanto riguardava i cannoncini che, nel successivo febbraio, vennero ridotti a uno.
Addestramento della fanteria al combattimento 1921 e 1923. Regolamento francese 1920
Il rinnovamento della regolamentazione della fanteria iniziò alla fine del 1922 quando lo stato maggiore pubblicò l' '
Addestramento della fanteria al combattimento volume II'. Addestramento dei reparti' (Edizione 1921) seguito l'anno successivo dall' '
Addestramento della fanteria (stralcio). Edizione 1923' che, in Premessa precisava che lo Stralcio si limitava alla trattazione dei seguenti argomenti: Ordine chiuso, Impiego ed addestramento della squadra, del plotone, della compagnia-collegamenti, innovando, sempre secondo la Premessa, "soltanto tali parti", per renderle più aderenti agli organici del Battaglione nuovo tipo nel frattempo costituito.
Il Regolamento, che verrà brevemente comparato a quello francese, definisce preliminarmente il compito della fanteria:
"distruggere, catturare o scacciare il nemico dal terreno conteso e preso possesso di questo conservarlo, impedendo al nemico la riconquista", concordando con quello d'oltralpe del primo febbraio 1920:
"conquerir le terrain avec l'aide de ses chars de combat, de l'artillerie, de l'aviation, etc., on même simplement par ses propres moyens; détruire on capturer l'ennemi qui occupe, tout au moins l'en chasser, le pursuivre et le désorganiser; conserver le terrain dont elle a pris possession; s'y installer définitivement malgré les retours offensifs",
nel quale però la visione del combattimento è di più ampio respiro, allargata al concorso dei carri armati e dell'aviazione.
L'attacco è condotto da "gruppi di combattimento o squadre" che diventano l'unità di base del battaglione, "elemento di manovra per eccellenza". Le squadre, il francese "group" definito "la cellule élémentaire de l'infanterie", sono composte da fucilieri e mitraglieri avendosi così un gruppo di movimento e un gruppo di fuoco. L'arma dei mitraglieri è la mitragliatrice leggera definita dal regolamento: "mezzo essenziale di fuoco e tiro teso della squadra. Ciò che importa è che, in qualsiasi momento, faccia sentire la sua potente azione sull'avversario".
I francesi le danno una importanza ancora maggiore: "l'arme automatique a grand rendement a donné naissance au groupe de combat, cellule élémentaire de l'infanterie".
La formazione di attacco aveva in un primo momento la mitragliatrice al centro con i fucilieri sui lati ma, rilevata la naturale tendenza di questi ad attrupparsi intorno all'arma con un conseguente ritardo del movimento, fu stabilito che fucilieri e mitraglieri dovevano alternarsi nell'attacco proteggendosi reciprocamente.
Tale principio fu ribadito dal Comando supremo che affermò la inscindibilità della squadra, del resto già affermata nel regolamento "costituendo mitraglieri e fucilieri un unico elemento di attacco". Le squadre "costituite dal massimo numero di uomini che possono essere comandati da un uomo solo a viva voce" dovevano muoversi sul campo di battaglia adattandosi plasticamente al terreno, nell'attacco dovevano alternarsi, sostenersi e cooperare usando fuoco e movimento, procedendo a sbalzi, infiltrandosi tra i nuclei difensivi nemici, avanzando in profondità "con celerità e audacia", con le mitragliatrici leggere che: "di norma, precede i fucilieri per potere, dal nuovo appostamento, neutralizzare il fuoco nemico, mentre quest'ultimi avvicinatisi ad esso, possibilmente sui fianchi o a tergo, lo assaltano protetti fino all'ultimo dalla mitragliatrice".
Recita ancora l'Addestramento:
"Il combattimento della fanteria risulta quindi dall'azione di un insieme di squadre variamente intervallate sulla fronte e scaglionate in profondità che, appoggiate da mitragliatrici, cannoncini e artiglierie di accompagnamento, alternano in stretta e mutua collaborazione fuoco, movimento e urto".
L'infiltrazione in profondità è l'obiettivo delle squadre: "trovata una via di penetrazione, tutto il plotone deve valersene, senza attardarsi di fronte a resistenze superstiti".
La trama dell'attacco non differisce da quella descritta nel Regolamento francese:
"un certain nombre de groupes de combat disposès en quinconces irréguliers, battant le terrain en avant d'eux et se prétant un mutuel appui".
La difesa era articolata in profondità e si basava su una fascia di osservazione e una di resistenza. La prima era incernierata su nuclei "punti forti" posti a distanza tale da controllare le zone limitrofe con il fuoco sorreggendosi vicendevolmente, per i quali era prescritta "la resistenza ad oltranza", a differenza del Regolamento francese che, forse migliore conoscitore degli uomini, si limitava per "les avantpostes [...] de resister sur place pendanti un temps limitè on jusqu'à la nuit", salvo che detti nuclei non avessero solo il compito di vigilanza, indietreggiando in caso di attacco nemico nella fascia di resistenza. Su questa era imperniata la difesa elastica e in profondità centrata sulle mitragliatrici leggere che, opportunamente scaglionate, si sostenevano a vicenda con tiri, "prevalentemente incrociati e d'infilata" a una distanza di circa 600 metri, avendo come obiettivo "d'infrangere, arrestare e respingere l'attacco nemico con una grande rete di fuoco".
L'importanza attribuita al fuoco per stroncare un attacco non era minore per il Regolamento francese nel quale al n.370 si legge:
"C'est avant tout, par le feu que la défense arréte une attaque, l'acte essential de la defénse est donc l'établissement d'un réseau complet et profond de feux puissants, dans les mailles duquel l'ennemi serà tôt ou tard arreté; même s'il en brise quelques-unes",
così come per la mitragliatrice:
"La mitrailleuse est l'arme la plus efficace du combat défensif; ses barrages sont infranchissables [
] La proximité relative de la mitrailleuse et de l'organe, au profile duquel elle tire, rend facile l'entende à realiser entre eux et permet d'eviter les méprises et les accidents [
] La mitrailleuse constitue, en consequence, l'ossature même du systéme de feux".
Battaglione Nuovo Tipo (B.N.T.)
L'assillante ricerca di nuovi procedimenti tattici portò alla creazione di un nuovo battaglione di fanteria denominato Battaglione nuovo tipo (B.N.T.), realizzato dalla Scuola centrale di fanteria di Civitavecchia nel 1922, portando così a termine gli studi incerti e travagliati iniziati negli ultimi mesi di guerra.
Il battaglione nasceva dalle esperienze dell'ultima fase della guerra, dalla tattica dell'infiltrazione messa in atto dal comando supremo tedesco, tattica che rappresentava l'unico metodo col quale le fanterie, senza il supporto dei carri armati, erano riuscite a superare un sistema difensivo.
Il battaglione era articolato su cinque compagnie:
- Compagnia stato maggiore di 310 uomini su quattro plotoni: plotone misto, zappatori, esploratori e collegamenti.
- Tre compagnie armi leggere (A.L.) di 150 uomini ciascuna su quattro plotoni: plotone misto, tre plotoni armi leggere. Ogni plotone armi leggere su 42 uomini aveva due squadre di venti uomini e una mitragliatrice. La squadra era composta da un sottufficiale comandante, un vicecomandante, sette mitraglieri e undici moschettieri.
- Compagnia armi pesanti (A.P.) di 210 uomini su quattro plotoni mitraglieri, un plotone misto, un plotone cannoncini da mm.37 su quattro squadre da un'arma ciascuna. Ogni plotone armi pesanti aveva in dotazione due mitragliatrici che, secondo il Regolamento (n.40): "di norma" andavano a rinforzare le compagnie armi leggere e solo "eccezionalmente" riunite agli ordini del comandante del battaglione.
Il Regolamento definiva l'arma automatica: "mezzo di somma efficacia, sia per agevolare il movimento nell'attacco, sia per rafforzare la resistenza nella difesa: mezzo pertanto da impiegarsi in armonia e in dipendenza di azione con le squadre armi leggere".
I cannoncini, secondo l' '
Istruzione sul tiro per l'artiglieria, parte II edizione 1924, dovevano: "accompagnare passo a passo la fanteria nell'attacco, per rimuovere da breve distanza gli ostacoli, specie nidi di mitragliatrici, che impediscono o rendono difficoltoso il movimento". Vengono in parte messi alle dipendenze tattiche della compagnia armi leggere e in parte a disposizione del comandante del battaglione.
La composizione organica del battaglione francese, stabilita dal '
Règlement Provisoire de manuvre d'infanterie' del 1920 era diversa:
- Un plotone comando,
- Tre compagnie di fusiliers-voltigeurs su quattro plotoni di tre squadre. Ogni squadra si divideva in una sezione di fusiliers-mitrailleurs e una di granadiers-voltigeurs. La squadra, con un organico inferiore a quello italiano, era composta da un sottufficiale caposquadra armato di fucile, la sezione granadiers-voltigeurs da un caposezione armato di fucile, un lanciatore di bombe armato di pistola e moschetto, un lanciatore di bombe con fucile Tromblon VB, tre volteggiatori armati di fucili. La sezione fusiliers-mitrailleurs da un caporale caposquadra armato di moschetto, un tiratore armato di fucile mitragliatore Chauchat e pistola, un primo rifornitore armato di pistola e tre aiutanti rifornitori armati di moschetto. La compagnia disponeva quindi di dodici fucili mitragliatori e dodici tromblons (tromboncini).
- Una compagnia mitragliatrici su quattro plotoni di due sezioni, ogni sezione aveva in dotazione due mitragliatrici S. Étienne o Hotchkiss.
In totale le armi automatiche erano 52.
La nuova formazione tattica durò fino al 1928 ad eccezione dei plotoni esploratori e zappatori che, con una circolare del capo di stato maggiore del luglio 1925, vennero sciolti e divisi tra le compagnie armi leggere.
Per il plotone esploratori fu rilevato la complessità dei compiti assegnati dall' '
Addestramento della fanteria al combattimento'. Il plotone doveva "accertare dislocazione, forze, schieramento in profondità" del nemico e il "suo giovane ufficiale comandante" doveva: "coordinare l'azione, vagliare e giudicare se le notizie da esse [pattuglie] raccolte siano o no esatte e sufficienti".
La nascita del Battaglione nuovo tipo sviluppò un ampio dibattito sulle riviste e non solo militari dell'epoca. Appassionatamente difeso dai suoi ideatori, gli ufficiali della Scuola centrale di fanteria, fu fatto oggetto della sorda opposizione della maggioranza degli ufficiali che lo trovavano per la sua pesantezza troppo complesso e di difficile comando.
Perplessità si avevano anche sulla gravosità dei compiti affidati ai comandanti delle squadre, nella stragrande maggioranza provenienti dai contingenti della leva annuale, che, sotto il fuoco nemico, in larghi spazi, dovevano dosarne la manovra e il fuoco.
Tale critica, alla luce di quanto scriveva il generale tedesco Federico von Bernhardi nel suo libro <'em>La guerra dell'avvenire' pubblicato nel 1920: "Il combattimento in singoli gruppi autonomi, ma destinati ad agire secondo un unico criterio combattivo richiede da tutti i comandanti in sottordine un alto grado di raziocinio tattico e di spirito personale di decisione, perché tal natura di combattimento non può esser condotta in modo unitario semplicemente mediante ordini", non era infondata.
La risposta dei fautori della nuova unità era un atto di fede nel futuro, atto di fede ancora più ammirevole per le precarie condizioni in cui versava l'esercito. Essi sostenevano che i comandanti delle squadre si sarebbero fatti con un migliore addestramento delle future leve e il generale Grazioli nel 1921 era dell'avviso che i Giovani esploratori potessero fornire ottimi comandanti di squadre e di gruppi di combattimento, che il livello medio degli ufficiali si sarebbe sollevato con appositi corsi e le cure dei superiori, che se il battaglione era organizzato su armi non in dotazione, quali ad esempio le mitragliatrici leggere, tale situazione era dovuta alle difficoltà economiche che bloccavano i bilanci militari ma che si sperava di risolvere in un prossimo futuro.
Quest'ultimo ragionamento non era privo di logica se si pensa che i Tedeschi, privati dei carri armati dal trattato di Versailles, continuarono fin all'avvento di Hitler ad usare al loro posto telai di autovetture sui quali montavano tele e lamiere.
Il battaglione ebbe vita grama risentendo della crisi politica del dopoguerra e della fase di ristrutturazione dell'esercito. All'inizio fu organizzato un battaglione per un solo reggimento di ogni divisione, con organici insufficienti e scarsi armamenti. Basti pensare che al primo maggio 1924 le compagnie, con una composizione media di 69 uomini, ne potevano destinare all'istruzione solo 16 mentre per gli armamenti: "passeranno ancora parecchi anni da noi prima che tutti i corpi siano costituiti sulla base del Battaglione nuovo tipo, ond'è che per ora bisognerà contentarsi di avvalersi estensivamente del poco materiale disponibile facendolo rotare nei reggimenti" scriveva Rodolfo Corselli, comandante la Scuola allievi ufficiali di Palermo nel
1924 (
1).
Tutte le salmerie del battaglione restarono someggiate divise in sei squadre con 94 muli ai quali accudiva un reparto composto da un ufficiale e 108 soldati. Il carreggio era in organico al reggimento e consisteva in 32 carrette. La motorizzazione non era ancora arrivata a livello reggimentale e si dovranno aspettare gli anni trenta per il suo inizio.
Battaglione 1928
Quando nel 1928 il Regio Esercito ebbe finalmente la sua dottrina con le pubblicazioni '
Norme generali per l'impiego delle grandi unità' e '
Norme per l'impiego della divisione', precedute nel 1926 dalla circolare '
Criteri di impiego della divisione di fanteria nel combattimento', fu necessario aggiornare la regolamentazione dell'arma e gli organici dei reparti alla nuova normativa. In un primo tempo lo stato maggiore pubblicò la circolare '
Composizione e procedimenti tattici del plotone di fanteria' del 1928 e nell'anno successivo un nuovo '
Addestramento della fanteria' che abolì la precedente circolare.
Sulla spinta delle "Norme" si tentava di imprimere all'azione di attacco un maggiore dinamismo, cercando di valorizzare il movimento delle squadre fucilieri che venivano alleggerite delle mitragliatrici, riunite in una sola squadra e potenziate con i tromboncini, arma a tiro curvo dalla portata di duecento metri.
Gli organici del nuovo battaglione erano così formati:
- Una compagnia comando, nuova denominazione assunta dalla compagnia stato maggiore, su tre plotoni: Comando, collegamento, esploratori.
- Tre compagnie fucilieri su quattro plotoni: un plotone comando e tre plotoni fucilieri su quattro squadre, tre di 14 uomini e una squadra mitragliatrici leggere su due armi con 15 uomini.
- Una compagnia mitragliatrici su cinque plotoni: plotone comando e quattro plotoni mitraglieri su tre armi.
Con la nuova formazione, basata su gruppi distinti di movimento e fuoco, l'impiego coordinato, prima diretto dal comandante della squadra tornava all'ufficiale subalterno comandante del plotone. Il numero dei fucilieri del battaglione venne aumentato di circa 180 uomini per tentare di sopperire alla penuria di armi automatiche: "si è tenuto stretto conto delle copiose riserve demografiche del nostro paese [
] sfruttandole, cioè e saggiamente per accrescere di molto la massa d'urto del
battaglione" (
2) scriveva con cruda franchezza Varo Varanini.
Il reparto era privo di armi di accompagnamento a tiro curvo perché si riponevano grandi speranze nel tromboncino, una nuova arma distribuita a tutti i reparti.
Il tromboncino modello 28 costruito dalla Breda era un piccolo lanciabombe portatile sistemato sulla destra della canna del moschetto modello 91 che permetteva di lanciare delle bombe dal peso di grammi 160 con un raggio di azione dai dieci ai quindici metri, fino a una distanza di 200. L'arma funzionava con lo stesso otturatore del moschetto, di regola il tiro veniva eseguito poggiando a terra il calcio dell'arma che poteva anche essere imbracciata. Doveva costituire la soluzione ideale del problema dell'arma a tiro curvo della quale i battaglioni erano privi, dopo l'eliminazione del lanciabombe Stokes, soluzione che veniva ottimizzata dall'essere un'arma portatile, di scarso peso, in dotazione ai fucilieri che, senza il problema dei collegamenti con le armi di accompagnamento, potevano graduare l'intensità del fuoco e gli obiettivi da colpire.
Col tromboncino si aveva inoltre la continuità del fuoco di artiglieria che, quando i fanti arrivavano a circa duecento metri dalla linea nemica, doveva cessare per ragioni di sicurezza. Ma ben presto l'arma dimostrò i suoi limiti tra cui, il più grave, una estrema imprecisione di tiro. La distribuzione venne limitata a un tromboncino ogni cinque uomini e successivamente l'arma fu ritirata. Nel volume edito dallo stato maggiore nel 1930 '
Nozioni sulle armi portatili, sugli esplosivi, sulle artiglierie e sul tiro. Parte I. Materiali' non viene riportato tra le armi in dotazione al Regio Esercito.
Il lanciabombe Stokes da 76 mm. di origine inglese dal 1928 non fu più assegnato al battaglione. Era in dotazione ai reparti dal 1917, con una gittata tra i 130 e i 160 metri lanciava una bomba ad alto esplosivo dal peso di kg. 4,500 circa con un raggio di azione di 200 metri. Il peso, abbastanza contenuto, era di 50 kg, (24 il tubo, 12 il bipede, 14 la piastra).
Al reggimento, sempre privo di mezzi di trasporto a motore, venne assegnata una sezione di cannoni da 65/17 su tre pezzi. Si trattava di pezzo già in dotazione all'artiglieria da montagna, assolutamente inadatto alla bisogna, e per il peso, kg 570, e perché nell'ultima fase del combattimento avrebbe dovuto essere trainato a mano, sotto il fuoco nemico, la regolamentazione invece lo riteneva idoneo "a rapidi interventi e successivi immediati cambi di posizione". A questo si aggiungevano le difficoltà dei collegamenti in quanto era necessario, per poter sparare al di sopra della fanteria, una distanza minima di 500 metri per non colpirla nella fase di attacco.
La nuova formazione fu esaltata come la raggiunta soluzione del problema tattico.
Vi furono ancora vivaci critiche ma il dibattito non fu certamente interessante e ricco di contrasti come quello che si era avuto per il Battaglione nuovo tipo. Si osservò che la squadra fucilieri doveva uniformare il suo movimento all'azione di fuoco della mitragliatrice, che le armi automatiche col loro tiro radente avevano grandi difficoltà a fare fuoco tra gli intervalli delle unità attaccanti per i continui spostamenti dei fucilieri, per il fumo e le nebbie della battaglia, che i cannoni in dotazione non erano adatti ad operare con i fanti, che il battaglione nel 1918 aveva reparti fucilieri e lanciatori di bombe a mano, mitragliatrici pesanti, pistole mitragliatrici, lanciabombe, lanciafiamme e zappatori e nel 1928 perdeva tutto l'armamento pesante tranne le mitragliatrici e tutte le specialità tranne i fucilieri.
Ma ormai le alte gerarchie, nel nuovo clima politico creatosi, non accettavano più critiche alle regolamentazioni ufficiali e un prudente conformismo si diffuse tra gli ufficiali e i critici militari.
La mancata soluzione del problema
L'entusiasmo degli innovatori e le resistenze morali, burocratiche e corporative degli oppositori ai vari modelli del battaglione di fanteria degli anni venti avevano in comune la stessa matrice.
Si dava per acclarata la validità tecnica del principio che il fante era in grado di "distruggere, catturare o scacciare" il nemico con la tattica dell'infiltrazione e si discuteva la sola esigenza di migliorare l'addestramento, alleggerendo o potenziando l'armamento personale e la qualità e la quantità delle armi di accompagnamento.
Si negava l'obiettiva impossibilità della fanteria di superare il fuoco delle armi automatiche, aprendosi una strada attraverso i reticolati per i quali uno studio del 1924 aveva stabilito che occorrevano mille colpi di un cannone da 75 per aprire un varco di metri 20 x 25.
Eppure sulla velocità di movimento del fante sul campo di battaglia le idee erano chiare agli stati maggiori già durante la guerra. Secondo la francese '
Instruction sur l'action offensive des grandes unitées dans la bataille' del 31 ottobre 1917 la fanteria riusciva a percorrere sotto il fuoco nemico cento metri in uno o due minuti. Per l'italiana '
Istruzione sul tiro dell'artiglieria. Parte II' edizione 1924: "La velocità media di avanzata della fanteria nel combattimento è di circa 50 metri ogni minuto, cioè un chilometro ogni 20 minuti.
Nell'anteguerra su di essa si riversava il fuoco di fucili che sparavano due colpi al minuto, guerra durante era sottoposta al fuoco di armi automatiche con una cadenza di tiro che arrivava a 400 colpi al minuto con una probabilità di morte o di ferimento 200 volte più alta. D'altronde a quella velocità di avanzata anche in caso di sfondamento si aveva un margine di tempo sufficiente per ricostituire una linea difensiva a una diecina di chilometri da quella superata.
Le regolamentazioni degli anni venti continuavano a porre il fante col fucile al centro del combattimento: "La fanteria è l'arma che infine vince le battaglia. La cooperazione delle altre armi è necessaria ma nessun altra né insieme né separata, può sconfiggere il nemico" recitava il '
Field service regulation' del 1920.
"La fanteria è l'arma che decide delle sorti del combattimento" si legge nel '
Regolamento tedesco di istruzione per la fanteria' del 1922. "L'infanterie assume en combat la mission principale, elle conquiest le terrain et ne assure la possession" precisa la francese '
Instruction provisoire sur l'emploi tactique des grandes unitées' del 1922 e l'italiano '
Regolamento della fanteria' del 1921 "Compito della fanteria in combattimento è di distruggere, catturare o scacciare il nemico dal terreno conteso".
Era quindi assiomatico per tutte le regolamentazioni delle maggiori potenze europee che la fanteria decideva delle sorti della battaglia.
La stretta analogia delle norme emblematicamente dimostrava l'incapacità di risolvere il problema tattico "filo spinato-mitragliatrice" maturato nella guerra passata.
Il plotone esploratori
Le incertezze, le perplessità, i ripensamenti che caratterizzarono la dottrina ufficiale italiana nel ventennio fra le due guerre mondiali sono bene evidenziati dalle vicissitudini del plotone esploratori. Nel 1920 venne assegnato alla compagnia stato maggiore, poi (1922) diviso tra le compagnie armi leggere, di nuovo nel 1928 ricostituito nella compagnia stato maggiore che aveva assunto la denominazione di compagnia comando, soppresso e ripartito (1934) tra le compagnie fucilieri e nuovamente (1937) ricostituito e assegnato alla compagnia comando battaglione. Infine, e siamo alla vigilia del 1940, il plotone venne nuovamente ripartito tra le squadre fucilieri.
Le armi della fanteria
L'armamento della fanteria italiana negli anni venti rimase sostanzialmente quello in dotazione alla fine della guerra.
Badoglio in una lettera riservata scritta nel 1931 al ministro degli Esteri Dino Grandi lo definiva "Armamento costituito in gran parte da residuati
bellici" (
3).
La riservatezza era forse eccessiva in quanto già nella seduta dello stato maggiore generale del 22 gennaio 1928 aveva dichiarato che il duce gli aveva ricordato: "come alla Scuola di guerra francese, sia stato affermato che l'Esercito italiano è buono, ma il suo armamento è costituito da reliquati di guerra".
Il giudizio era esatto e si attanagliava anche alle altre grandi potenze i cui materiali erano però sostanzialmente migliori.
D'altronde nessun paese poteva in quegli anni di pace, con gli arsenali stracolmi di armi e munizioni e l'incombente orrore della guerra, iniziare una politica di riarmo che le opinioni pubbliche, specie quelle dei paesi democratici, non avrebbero accettato.
Il fucile modello 1891, di cui per primi furono dotati i reparti alpini, fu l'arma che per oltre cinquant'anni simboleggiò la fanteria italiana.
Fu adottato il 5 marzo 1892 da una commissione presieduta dal generale Gustavo Parravicini, comandante la scuola di tiro per la fanteria di Parma costituitasi nel 1888 che, dopo avere valutato e scartata circa 70 modelli tra i quali il tedesco Mauser, l'austriaco Mannlicher e l'inglese Lee si orientò su un prodotto nazionale presentato dall'ingegnere varesino Carcano, il quale, con il grado equiparato di tenente colonnello di artiglieria, era capotecnico di prima classe presso la Fabbrica d'armi di Torino.
Il Carcano adottò un otturatore cilindrico modificato del tipo Ferdinand von Mannlicher. L'arma, che aveva una cassa di legno di noce, pesava kg. 3,800 e con la baionetta sciabola innastata kg 4,280. Lunga 128 cm. aveva un caricatore a pacchetto di sei cartucce con bossoli di ottone e palle in piombo di gr.10,5.
A differenza di altri paesi che adottarono un calibro maggiore l'esercito italiano si orientò sul 6,5 per permettere alle truppe di avere in dotazione un numero maggiore di munizioni. Il fucile ebbe due derivati. Il moschetto di cavalleria del 1893 con una baionetta triangolare pieghevole e un moschetto per truppe speciali T.S. del 1897.
I manuali dell'epoca lo definivano: "Arma portatile da fuoco, a ripetizione ordinaria per il tiro teso alle brevi distanze contro bersagli animati, verticali e allo scoperto".
All'inizio della Grande Guerra era un'arma affidabile da sfruttare nel tiro collettivo secondo i canoni della dottrina del 1913, ma, quando questa funzione fu assolta dalla mitragliatrice, risultò inadatto al tiro individuale mirato e particolarmente ingombrante per il suo peso e la sua lunghezza. Una pubblicazione ufficiale del 1927 lo descriveva: "rappresenta[no] il tipo della vecchia ma sempre ottima arma a
ripetizione" (
4).
Dell'arma uno studioso francese C. Vidal autore nel 1931 del libro '
Ce qu'il faut savoir de l'Armée italienne' scriveva:
"Le fusil tend a faire place au mousqueton, en raison des mécomptes qu'on a constatés au cours des guerres de Libye et de 1915-1918; le fusil italien, lançant à une grande vitesse initiale des balles de petit calibre, n'a souvent causé, chez les ennemis atteints de ses projectiles, qu'un choc traumatique à peine sensible et des blessures félicement guéries d'où l'appelation plaisante de "balle humanitaire" donnée par les medecins à ce projectile".
Sulla mancanza di una "adeguata potenzialità" concordava anche il generale Mario Montanari nel suo '
L'esercito italiano alla vigilia della seconda guerra mondiale'. John Weeks, colonnello dell'esercito inglese e istruttore del Royal Military College of Scienze, lo definisce, dopo il secondo conflitto mondiale in una valutazione delle armi usate in guerra: "uno dei più vecchi fucili a ripetizione, e anche uno dei peggiori".
La panoplia delle armi bianche era composta dalla baionetta-pugnale per il fucile, la baionetta-coltello per le truppe coloniali,la sciabola per i carabinieri a piedi, le lance per la cavalleria.
Di quest'ultime si legge nel volume dello stato maggiore del Regio Esercito '
Nozioni di armi, tiro e materiali vari per i corsi allievi di complemento' del 1941 che: "sono di difficile maneggio e molto visibili, ingombranti sui terreni alberati, perciò non sempre pratiche".
Ancora nel 1942, a guerra iniziata, si sostiene nel volume dello stato maggiore dell'esercito '
Nozioni per l'addestramento al combattimento' che "le baionette e i pugnali sono le armi che decidono della vittoria".
Vengono alla mente le parole del feldmaresciallo russo Alexsandr conte Suvarov "la palla è pazza la baionetta è santa", sembra di essere tornati all' '
Istruzione sulle operazioni secondarie della guerra ad uso degli uffiziali dell'esercito' redatta per cura del Corpo reale di stato maggiore ed approvata dal ministro della Guerra nel 1855 dove si legge "[
] l'arma offensiva della fanteria non è il fucile ma la baionetta" o alla circolare Cadorna del 14 agosto 1914 'Noi manteniamo viva la fede nella riuscita dell'attacco frontale e nella efficacia delle baionette".
La baionetta, il pugnale rientravano nella retorica degli arditi fatto di bombe a mano e di pugnali che sarà ripresa dalle camicie nere.
Fu nel 1906 che, dopo studi e valutazioni durati anni, fu adottata la mitragliatrice pesante Vickers Maxim mod 1906 calibro 6,5 con treppiede modificato preferita alle italiane Fiat Revelli e Perino. L'arma era già in dotazione ad altri eserciti europei, dopo che nella guerra russogiapponese si calcolò che avesse causato il 50% delle perdite giapponesi. L'esercito svizzero l'adottò nel 1889, quello russo nel 1900 e quello tedesco nel 1901.
Nel 1908 furono assegnate, in occasione delle grandi manovre, due sezioni di mitragliatrici su due armi alla brigata Savona per regolamentarne i criteri di impiego, ma al termine delle manovre le sezioni furono sciolte. Si valutò che l'arma, contro la fanteria avanzante, era letale a 1800 metri e che una sezione aveva la potenza di 70 fucili, unico difetto l'impossibilità di trasporto a spalle per tratti non brevi. Nel successivo 1909 la fanteria austriaca aveva in dotazione 202 sezioni, due per battaglione, altre furono assegnate alle truppe alpine e alla cavalleria.
Dopo l'acquisto di 200 Maxim nel 1909 la Commissione di inchiesta costituita nel 1907 per "addivenire a una valutazione precisa delle necessità dei singoli servizi dipendenti dal Ministero della Guerra", composta da 17 membri di cui cinque nominati con decreto reale, sei senatori e sei deputati, dopo aver assistito a prove comparative tra la Vickers Maxim e la mitragliatrice studiata dal capotecnico di artiglieria Perino, raccomandò di dare la preferenza all'arma nazionale definita più pratica, più sicura, più semplice, di un costo inferiore del 50% e col vantaggio di poter usare il munizionamento del fucile modello 1891 senza che i bossoli dovessero essere sottoposti a una speciale lavorazione come avveniva per la Vickers.
Ancora una volta un mediocre sistema d'arma nazionale veniva preferito a un'ottima arma straniera per un miscuglio di interessi economici e di un malinteso spirito nazionalista. La mitragliatrice Perino evidenziò ben presto gravi inconvenienti e le 75 sezioni acquistate furono assegnate all'armamento secondario delle opere. Fu allora giocoforza tornare alle Maxim mod.1911, adottata con una circolare del 23 giugno 1913.
Furono così ordinate 602 sezioni da assegnare su due sezioni ai reggimenti di fanteria e bersaglieri ciclisti, ai battaglioni alpini e ai reggimenti di cavalleria. Nel luglio 1914 ne erano giunte in Italia 150 ma, scoppiata la guerra, la Vickers impegnata completamente nella produzione per l'esercito inglese declinò l'incarico. Si ripiegò allora sulla mitragliatrice Fiat Revelli già scartata, ma il modesto programma previsto non poté essere completato prima del dicembre 1915. All'entrata in guerra la dotazione era di una o due per reggimento. Si armarono, con le 618 armi automatiche in dotazione, 309 sezioni sulle 623 previste.
Alla fine della guerra la dotazione era salita a 25.000 armi.
Si produsse poi la mitragliatrice calibro 6,5 derivata dalla Fiat Revelli modello 10. Era un'arma automatica con raffreddamento della canna a circolazione di acqua, alimentata con caricatore metallico a cassetta contenente 50 cartucce del tipo usato per i fucili mod.91. Il peso totale con acqua era di kg.43,500, il treppiede era di bronzo, con tre gambe di cui due anteriori mobili che potevano assumere altezze diverse (cm.65, 55 e 45) e una posteriore fissa. Per l'acqua era in dotazione un bidone della capacità di 12 litri circa. La celerità teorica del tiro era di 500 colpi al minuto, pratica di 150-200, gittata massima 2.000 metri. Rimase in servizio per tutti gli anni venti, malgrado i suoi numerosi difetti che andavano dallo scoppio fuori camera delle cartucce allo scatto a vuoto.
A questa si aggiunsero le mitragliatrici francesi Hotchkiss mod.08/14 e Saint Étienne. Nel dopoguerra l'esercito ebbe in dotazione l'austriaca Schwarzlose mod.08/12, mitragliatrice di preda bellica assegnata alle truppe coloniali.
La necessità di un'arma automatica di accompagnamento per l'attacco più leggera si manifestò dopo l'abbandono della pistola mitragliatrice Villar Perosa-Revelli modello 1915. L'arma era costituita da due canne, collegate per mezzo di un disco in bronzo, che sparavano in modo indipendente tra di loro due caricatori da 25 cartucce. "Non aveva alcun serio valore né offensivo né difensivo" scriveva il generale Grazioli. Gli arditi le avevano dato il nomignolo di "pernacchia" perché con unica, rumorosa raffica si scaricava tutto il caricatore con una grande dispersione di fuoco.
Alla fine della guerra fu adottata la mitragliatrice leggera Sia mod.18 dell'Ansaldo di Torino. Era una calibro 6,5 con raffreddamento ad acqua, pesava kg.10,700 e col sostegno kg.16,300, peso sicuramente eccessivo per un'arma di accompagnamento. Aveva una velocità teorica di tiro di 750 colpi al minuto, pratica di 160. Di deficiente funzionamento, eccessivamente pesante, nel 1925 era "in distribuzione fino a consumazione degli ormai pochi esemplari disponibili", ma nel 1943 l'arma era ancora in dotazione alla milizia ferroviaria che scortava i treni in Jugoslavia.
Nei regolamenti e nella dottrina il riferimento alla mitragliatrice leggera o fucile mitragliatore come sarà ribattezzata l'arma nei successivi anni trenta, è costante. L'arma, malgrado la cronica difficoltà della fanteria di coniugare l'azione di fuoco con quella di movimento, doveva accompagnare nell'attacco i fucilieri o incorporata nella squadra fucilieri, secondo la regolamentazione del 1922/23, o come squadra autonoma, secondo quello del 1928. In pratica il plotone non aveva in dotazione un'arma efficiente e di buone prestazioni.
Gli studi in proposito, affidati alla Fiat e alla Breda, si trascinarono per tutti gli anni venti; si ebbero modelli come la mitragliatrice leggera Fiat 26 molto simile alla mitragliatrice pesante modello 1914 del peso di kg.13,450, la mitragliatrice leggera Fiat 1928 del peso ridotto di kg.10 e, infine, la mitragliatrice leggera Breda, che assunse in seguito la denominazione di fucile mitragliatore mod.30, dopo varie modificazioni (Breda C. Breda 29, Breda 5 G.F.).
L'arma raffreddata ad aria era un calibro 6,5 e impiegava le stesse munizioni del fucile modello 91, con un peso abbastanza ridotto (kg.11). La cadenza teorica era di 450/500 colpi al minuto, pratica di 120/150, la gittata teorica era di 3.000 metri, quella pratica di 800. Il caricatore a piastrine di 20 cartucce era custodito in apposite cassette a zaino per munizioni contenenti 15 caricatori con 300 cartucce. Anche questa arma non si dimostrò all'altezza della aspettative. Facilmente soggetta a inceppamenti, di difficile manutenzione, priva di un maniglione per il trasporto, di costo eccessivo, aveva bisogno di una continua lubrificazione e i caricatori erano spesso difettosi. Eppure nel 1940, nel clima di beota esaltazione della potenza militare dell'Italia fascista, fu definita "Arma di reparto robusta, di piccola mole, di ottime qualità balistiche e meccaniche, [
] fa parte della squadra fucilieri di cui è un fucile formidabile". La valutazione del generale Barbato, già colonnello e promosso nel frattempo al grado superiore, fu confermata nel 1943 con la pudica eliminazione dell'espressione "fucile
formidabile" (
5).
Nel dopoguerra i giudizi furono diversi. Giulio Benussi nel suo '
Armi portatili artiglieria e semoventi del Regio Esercito italiano 1900-1943' edito nel 1975 scriveva: "[
] i seguenti svantaggi: funzionamento delicato in caso di scarsa lubrificazione, caricatori di facile deformabilità, costi di lavorazione elevati a causa della estrema perfezione meccanica e ritmi di fuoco troppo bassi".
Nicola Pignato nel suo '
Le armi della fanteria italiana nella seconda guerra mondiale' del 1978: "Anche se di costruzione perfetta (è stata definita un autentico gioiello di meccanica) quest'arma si è dimostrata all'impiego pratico, delicatissima, facile ad incepparsi in difficili condizioni ambientali (o per difetto di caricatori, anche essi molto delicati). Inoltre necessitava di una continua e abbondante lubrificazione [
] rispetto alle armi veramente rustiche degli altri eserciti belligeranti, risultava enormemente costosa". Il già citato colonnello Weeks non si discostava dalle critiche e aggiungeva: "subito colpisce per il suo aspetto brutto e rozzo".
Le bombe a mano erano le stesse del passato conflitto. La Sipe era una bomba difensiva con 40 gr. di esplosivo che allo scoppio si frammentava in un certo numero di schegge con un raggio di azione di 40-50 metri con la conseguente necessità per il lanciatore di mettersi al riparo. Il petardo francese Thévonet, preferito dagli arditi, pesava 400 grammi e aveva una carica di 160 grammi con un raggio di azione limitato però a circa dieci metri, allo scopo di non ferire l'assaltatore.
Le due pistole in dotazione erano caratterizzate da un tiro mirato al di sotto dei 30 metri. Il venerando modello a rotazione 89 Brixia-Glisenti era derivato dal modello Chamelot-Delvigne. Costruito nel 1874 aveva un cilindro scorrevole capace di sei cartucce e pesava kg.1,15. La pistole automatica Beretta mod. 1917, costruita nel 1916, aveva sostituito nel corso della guerra la Glisenti mod.10. Con un calibro di 9 mm. pesava kg.0,85.
Il cannoncino di fanteria che avrebbe dovuto essere l'arma di accompagnamento del battaglione nell'attacco alla trincea, era stato oggetto di molteplici studi che non portarono mai a un soddisfacente esito dovendosi bilanciare la necessità di un peso particolarmente ridotto, per le difficoltà di spostarlo a braccia sul terreno rotto del campo di battaglia, con una buona potenza di fuoco necessaria contro apprestamenti fortificati.
Il cannoncino di accompagnamento fanteria modello 1916 TR detto "schizzetto" aveva secondo l'Enciclopedia Militare le seguenti caratteristiche: "calibro 37 mm., con proietto di 670 gr. tipo granata perforante esplosiva, con gittata utile fra i 600 e i 1.200 metri, materiale scomponibile in gruppi di peso inferiore ai 20 kg. ciascuno pel trasporto a spalle". Era una arma assai mediocre caratterizzata dalla grande visibilità della vampata, che il generale Martinengo nel 1925 valutò "pessima e pericolosa" con un munizionamento "assai difettoso" adatto solo per la guerra di
posizione (
6).
Negli anni venti numerosi furono gli studi per la risoluzione del problema. Si progettò un pezzo da 37 con affusto a deformazione a due code, nel 1924 l'arsenale di Torino propose un nuovo tipo con canna allungata e code alleggerite, nel 1928 l'industria privata un cannone da 75 mm. Nessuno venne accettato dagli organi competenti.
I lanciafiamme in dotazione negli anni della guerra in ragione di una sezione per i reggimenti di fanteria e i battaglioni alpini furono ritirati nel 1919 con l'eccezione del reparto lanciafiamme del primo reggimento specialisti del genio. Con l'ordinamento Bonomi l'arma sparirà dalla panoplia dei sistemi d'arma e si dovrà arrivare al 1930 perché ricompaia.
Dall'esame di tutte queste armi, esteso anche alle più progredite del successivo decennio, il colonnello John Weeks concludeva sostenendo: "[
] a proposito delle armi di fanteria [
] fa guardare con simpatia ai suoi
soldati" (
7).
Rommel liquidò gli armamenti italiani con poche parole: "C'era da sentirsi rizzare i capelli pensando con quali armamenti il Duce mandava a combattere le sue truppe".
Note
1. Corselli Rodolfo.
Tattica moderna ed altri elementi di arte militare. Volume I. Palermo 1924. [
torna su]
2. Varanini Varo.
La ricostruzione fascista delle forze armate. Roma 1929 [
torna su]
3. Ceva Lucio.
Le forze armate. Torino 1981. [
torna su]
4.
Almanacco delle forze armate. Roma 1927. [
torna su]
5. Barbato Domenico.
La fanteria. Roma Edizioni 1940 e 1943 [
torna su]
6. Martinengo Filippo.
Il battaglione di fanteria. La cooperazione delle armi. 1924. [
torna su]
7. Weeks John.
Armi della fanteria. Parma 1972. [
torna su]
RIPRODUZIONE RISERVATA ©