Come tutti sanno, l'unità fondamentale dell'esercito romano era la legione. L'equivalente antico dell'odierna divisione ebbe un lungo processo di formazione e perfezionamento. Alcune fonti vogliono che, nella fase regia e nei primi anni dell'età repubblicana, le forze romane si siano basate sul sistema della falange greca. Tale ipotesi appare piuttosto inverosimile, vista la relativa ignoranza italica nei confronti dell'ordinamento militare greco - macedone.
Più verosimile è invece un ordinamento di tipo primitivo, basato su bande quasi esclusivamente appiedate. La guerra, quindi era più una razzia che non una vera e propria spedizione militare. La formazione della legione, invece, affonderebbe le sue radici nei primi decenni dell'età repubblicana. Il processo non è ben chiaro ma già al tempo delle guerre puniche, tale ordinamento assume una connotazione piuttosto chiara.
L'unità operativa della legione era il manipolo, diviso in centurie (la centuria, formata da cento uomini, era anche l'unità fondamentale dei comizi centuriati. Molti sostengono che la formazione della legione abbia influenzato, o sia stata influenzata, dai comizi). I vari manipoli erano divisi in tre gruppi: Hastati, Principes, Triarii. Le differenze tra le tre linee riguardavano principalmente l'esperienza (gli Hastati erano le reclute, mentre i triarii erano i veterani) e l'armamento individuale. Ai lati delle linee di fanteria erano posti due corpi di cavalleria. L'esercito romano, nei suoi primi secoli di storia, non ebbe mai nella cavalleria la sua arma principale, tutt'altro. Il cuore dello schieramento romano era costituito dalla fanteria pesante, dai legionari. Non a caso la legione - tipo del tempo delle guerre puniche era formata da 4600 uomini, dei quali solamente 300 erano a cavallo. Una percentuale inferiore al 10% che dimostra chiaramente la scarsa importanza attribuita a questa specialità. Lo svolgersi delle operazioni in zone prevalentemente montuose (come l'Italia centro - meridionale) infatti, rendeva superfluo o addirittura controproducente l'impiego di un nutrito corpo di cavalleria.
In questa prima fase le truppe a cavallo hanno una funzione meramente a sostegno della fanteria. E' essenzialmente questa a vincere la battaglia, mentre la cavalleria agisce a sostegno di essa e conclude lo scontro inseguendo il nemico in fuga.
Fino a quando i Romani ebbero a scontrarsi con popolazioni che combattevano essenzialmente appiedate, la migliore organizzazione dell'ordinamento romano diede una netta superiorità che quasi mai fu possibile mettere in discussione (i Romani in campo aperto non subirono praticamente nessuna sconfitta. Le poche disfatte riportate, come quella delle Forche Caudine, furono dovute ad elementi esterni al mero combattimento).
La situazione si modificò radicalmente con l'avvento di nuovi nemici, ed in special modo dei Cartaginesi e di Annibale. L'esercito del condottiero punico aveva nella cavalleria (nella fattispecie quella numidica) la sua punta di diamante. Non a caso le diverse fonti di cui disponiamo (Polibio, Livio, Cornelio Nepote) nel riferire l'entità numerica delle forze agli ordini del Barca, attribuiscono alle truppe a cavallo una percentuale piuttosto elevata dell'intera forza, nonostante differiscano dal punto di vista meramente numerico. L'analisi di Gianni Granzotto ed Andrea Frediani, comunque, hanno messo in luce la presenza di almeno 10 - 15,000 cavalieri al momento della partenza da Cartagena e di almeno 7,500 a passaggio delle Alpi avvenuto. L'esercito romano si trovò quindi ad affrontare un nemico che combatteva in modo totalmente diverso da quello cui i Romani erano abituati. Non a caso le forze romane vennero sconfitte sul Ticino ed ancor più pesantemente sulla Trebbia, grazie all'abilità della cavalleria numidica avversaria.
Ma l'inferiorità romana in materia di truppe a cavallo si dispiegò in tutta la sua tragedia nella battaglia di Canne.
Nonostante le tremende sconfitte, i Romani non avevano compreso la loro deficienza in tale campo. Avevano sì potenziato le due alae di cavalleria, ma il potenziamento era stato minimo, qualche decina di cavalieri in più.
Oltre a questo, l'efficienza e l'abilità della cavalleria romana ed italica era imbarazzante, soprattutto se confrontata con la controparte numidica, e questa inferiorità si mostrò in tutta la sua chiarezza finchè Scipione l'Africano non comprese e risolse il problema. Cartagine in se stessa non aveva una cavalleria forte ed efficiente in quanto si basava essenzialmente su mercenari provenienti dalle limitanee tribù numidiche.
Ebbene, Scipione, con la diplomazia e non solo, tolse a Cartagine il suo asso nella manica, portando gran parte delle tribù numidiche dalla sua parte e sfruttandole anzi contro gli stessi Cartaginesi (battaglia di Zama 202 a.C.)Ma l'inferiorità romana in materia di truppe a cavallo si dispiegò in tutta la sua tragedia nella battaglia di Canne.
Analizziamo ora più nello specifico la cavalleria romana di questo periodo. L'idea di una cavalleria pesante, capace di sfaldare qualsiasi linea di difesa, è piuttosto tarda (l'origine può essere ritrovata nei catafratti parti) e raggiunge il suo

solamente nel Medioevo. La cavalleria romana, come anche tutte le altre cavallerie di questo periodo, sono essenzialmente di tipo leggero. Si tratta di uomini destinati ad inseguire l'avversario e non ad affrontarlo fronte a fronte. I cavalieri devono scontrarsi con la controparte avversaria. E' difficile che cavalieri affrontino deliberatamente e di fronte dei fanti, a meno di non prenderli alle spalle o di fianco. In questo senso la fanteria è regina proeliorum e la cavalleria non può e non vuole competere, almeno per ora. L'armamento individuale del cavaliere non fa altro che confermare tale tesi. Egli non indossa certo la lorica, ma una corazza molto più leggera. Non disponeva del grande scutum, proprio del legionario, ma era dotato (e neppure sempre) della parma, un piccolo scudo di forma rotonda, atto a proteggere da colpi diretti ravvicinati, senza garantire, però, nessuna vera protezione (lo scudo era di rame, poco resistente nei confronti del ferro delle lame). Il loro armamento offensivo era costituito essenzialmente dalla lunga spata, che meglio del gladium si adattava al ruolo che la cavalleria esercitava.
Torniamo ora alla trattazione vera e propria.
Le dure sconfitte nelle guerre puniche avevano fatto capire chiaramente ai Romani (primo fra tutti Scipione) che la fanteria pesante romana non poteva risolvere da sola le battaglie, ma necessitava di un corpo a cavallo altrettanto abile ed utile.
I Romani sapevano di non avere truppe a cavallo abbastanza abili: per risolvere il problema utilizzavano uomini forniti da popoli alleati. Come per tutte le formazioni di specialisti (su tutti i frombolieri balearici), anche per la cavalleria Roma ricorse a forze non direttamente sue. E' così che corpi di cavalieri numidici ed iberici entrarono in pianta quasi stabile nelle formazioni romane. Nonostante tutto, comunque, era ancora la fanteria a far vincere le battaglie, sebbene le truppe a cavallo disponessero ora di un'autonomia operativa che non aveva precedenti nella storia romana. Tale situazione andò avanti lungo tutte le guerre di espansione che Roma ebbe ad affrontare dopo le guerre puniche. La riforma mariana della legione (I secolo a.C.) non comportò eccessive modifiche al ruolo e alla composizione delle unità di cavalleria se si eccettua l'ovvia trasformazione anche di esse in unità di professionisti (migliorandone l'abilità).
E' però con Caio Giulio Cesare che la cavalleria assume un ruolo diverso. Durante la campagna gallica, infatti, Cesare reclutò un nutrito corpo di cavalleria germanica (si parla di un paio di migliaia di cavalieri) che molto contribuirono alle vittorie del generale romano. Ricordiamo, su tutti, il ruolo che ebbero durante l'assedio gallico alle linee romane ad Alesia. Grazie ad una carica di Germani a cavallo, la minaccia di aggiramento delle truppe galliche di Vercassivellauno sul lato nord - occidentale delle linee fu presto respinto. L'espansione romana ad Oriente, comunque, aveva portato le aquile romane ad affrontare le truppe partiche. I Parti, al contrario dei Romani, davano alla cavalleria, sia leggera che pesante, un importante ruolo nella risoluzione delle battaglie. Come attestano i primi scontri con truppe partiche (ascrivibili al tempo delle campagne ad Oriente di Pompeo) nonché la tremenda sconfitta di Carre nel 53 a.C. dimostrarono a Roma, una volta di più, l'importanza della presenza di un corpo mobile, corazzato o meno, soprattutto in caso di guerre in luoghi poco consoni all'azione isolata della fanteria, quali potevano essere le distese desertiche iraniche. Il cambiamento nelle forze romane è lento ancorché costante.
Gli scontri con Parti e Germani, dotati di numerosi e potenti corpi di cavalleria conducono necessariamente ad una modifica dell'ordinamento militare romano. Roma, se vuole vincere contro queste popolazioni, non può far altro che imitarne i metodi. Tra II e III secolo appaiono tra le truppe romane corpi ausiliari di cavalieri corazzati (i catafratti), ad immagine e somiglianza dei corpi di cavalleria pesante dello stato partico, nonché altre unità specializzate, come i sagittarii, arcieri a cavallo, anch'essi derivati dall'esercito sasanide. La cavalleria, in questo periodo, comincia ad assumere quel ruolo di supremazia che manterrà poi per un migliaio di anni, almeno fino all'apparire delle armi da fuoco (la tomba della cavalleria viene considerata la battaglia di Pavia tra Francesi e Spagnoli). E' interessante notare come l'imitazione di corpi stranieri permetta all'esercito romano di vincere contro gli stessi stranieri.
Due esempi su tutti. Nella battaglia di Strasburgo del 357, l'imperatore (o meglio il Cesare) Giuliano (il famoso Apostata), schierò un nutrito corpo di cavalieri pesanti (i cosiddetti catafratti o clibanarii) che, sebbene non decisivi, contribuirono comunque a sgominare le orde alamanne che avevano invaso la Gallia Romana. Ancor più eclatante è la vittoria romano - visigota dei Campi Catalaunici del 452, contro l'esercito barbarico di Attila. Contro di essi gli equites sagittarii clibanarii (cavalieri corazzati esperti nel tiro con l'arco) di Ezio fecero meraviglie, risultando decisivi ai fini dell'esito finale della battaglia. Il nuovo ruolo della cavalleria, ormai posta sullo stesso livello della fanteria, è attestato dalla creazione di un comando autonomo, il noto magister equitum, di pari dignità, se non a volte superiore, al magister peditum (comandante delle truppe appiedate). La specializzazione della cavalleria è data anche dalle diverse tipologie di unità che ritroviamo nel periodo tardo - classico. Accanto ai già citati equites sagittarii e equites clibanarii (o la loro fusione in equites sagittarii clibanarii), abbiamo anche altre tipologie, come gli equites dalmatae, gli equites mauri e gli equites cetrati. I primi erano dei cavalieri pesanti che però non disponevano di una cavalcatura corazzata come i clibanarii, i secondi, invece, erano i degni eredi della cavalleria leggera numidica. Queste ultime unità costituirono, negli ultimi secoli dell'impero il cuore della cavalleria leggera romana (non a caso numerosi imperatori ne fecero uso, come Massenzio che ne arruolò 18.000 per la sfortunata campagna contro Costantino che culminò nella battaglia di Ponte Milvio). I cetrati, invece, erano anch'essi cavalieri leggeri, dotati di cavalli più piccoli che li rendevano più agili e veloci. Traevano il proprio nome dalla cetra, un piccolo scudo rotondo (o trapezoidale) che erano soliti utilizzare.
Tutte queste unità si organizzavano, a seconda della formazione, in alae, vexillationes o cunei, questi ultimi ereditati dalla tradizione germanica e destinati a divenire la formazione per eccellenza dell'arma a cavallo. In conclusione la storia romana appare come specchio dell'evoluzione di un'arma, la cavalleria appunto, che da sostegno alle truppe a piedi ebbe a divenire essa stessa protagonista delle battaglie; è interessante notare che la medesima evoluzione è riscontrabile in quello che può, senza ombra di dubbio, essere considerato come l'erede e diretto sostituto del cavallo: il carro armato.
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