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Ortigara - Cima Caldiera
di Diego Brozzola © (08/05)
Breve descrizione del percorso
Il percorso fatto durante il servizio fotografico riprende i sentieri monumentali dell'Ortigara 840 e di cima Caldiera 841 con partenza dal Piazzale Lozze ed arrivo allo stesso piazzale. Il sentiero è ben segnalato: attenzione ai rimasugli di filo spinato ed ad alcuni passaggi su Cima Caldiera; se effettuati con nuvole basse o maltempo, consigliamo di portare con sè una torchia elettrica per vedere le gallerie visitabili (ponendo attenzione alle frane interne). Per essere più sicuri adottate la Carta dei Sentieri "Altopiano dei sette comuni" edita dalle Sezioni Vicentine del C.A.I., con allegato il libricino dei sentieri.
Cenni storici
(tratto da: Piero Pieri, "1915-1918 L'Italia nella grande guerra", 1968 Presidenza del Consiglio dei Ministri, pp.126-135)
La battaglia dell'Ortigara
Nel Cadorna era più che mai vivo anche ora il timore di un duplice assalto dei Tedeschi e Austriaci riuniti, sulle due fronti dell'Isonzo e degli Altipiani. La decima battaglia aveva mirato innanzitutto a raggiungere la buona linea difensiva Vallone di Chiapovano-Hermada. Durante la sosta sull'Isonzo, il nostro Generalissimo sferrava sull'Altipiano di Asiago un'altra minore offensiva, ma pur sempre impegnandovi 8 divisioni e 2 brigare sciolte, con 24 battaglioni alpini, 569 pezzi di medio e grosso calibro, 582 di piccolo calibro e 578 bombarde, considerate anche le artiglierie dei due corpi d'armata laterali della 6a armata del generale Mambretti, e precisamente il XVIII in Valsugana e il XXVI ad ovest di Asiago. Gli Austriaci, che avevano levato notevoli forze per mandarle sull'Isonzo, contrapponevano, compresa la divisione della Valsugana che subito mandò notevoli rinforzi alla contigua fronte minacciata, tre divisioni e un gruppo scelto, con 130 cannoni di medio e grosso calibro o da posizione e 246 di piccolo calibro. Lo scopo della nuova offensiva italiana era di eliminare il pericoloso cuneo creato l'anno prima sugli Altipiani dalla Strafexpedition e di raggiungere, nella ipotesi più fortunata, quella linea dalla Val Lagarina alla Valsugana, che era stata la mira del generale Brusanti: l'offensiva tra Valsugana e Asiago, detta impropriamente dell'Ortigara (10-25 giugno), una battaglia di materiale portata a 2000 metri e da integrarsi poi con una ulteriore offensiva dalla zona del Pasubio.
Le forze austriache erano all'inizio dell'azione notevolmente inferiori alle nostre, ma crebbero in misura rilevante nei giorni immediatamente successivi. Esse occupavano una linea che dall'orlo settentrionale dell'Altipiano di Asiago verso la Valsugana, poco a nord dell'Ortigara (m. 2105), scendeva per il Monte Forno (m. 1912), Monte Zebio (m. 1819), Monte Mosciagh (m. 1561), sino al vallone dell'Assa a nord-ovest eli Asiago, piegando poi a sud-ovest fin presso il Pasubio. Contro tale linea s'era fermata la nostra controffensiva a metà luglio del 1916, quando essa era appena abbozzata. Ma ora, a quasi un anno di distanza, con indefesso lavoro, gli Austriaci avevano scavato appostamenti per mitragliatrici e artiglierie, trincee, camminamenti, osservatori, avevano infissi nella roccia diversi ordini di reticolati, minato il terreno antistante, preparate linee arretrate di difesa, impiantato numerose teleferiche. Lo schieramento delle artiglierie permetteva poi di battere spesso con micidiali tiri d'infilata il terreno antistante e d'eseguire molesti tiri d'interdizione sulle nostre retrovie.
La difficile operazione era stata affidata dal Cadorna al generale Ettore Mambretti comandante della 6a armata. Questi dispose l'attacco per il 10 giugno. Il XX corpo (generale Montuori) doveva sfondare tra l'Ortigara e Monte Forno; il XXII, (generale Negri di Lamporo) più a sud, fra Monte Zebio e Monte Mosciagh, quindi il primo doveva puntare su Cima Portule ed il secondo verso la val Galmarara Fra i due corpi, il XXVI doveva agire dimostrativamente e così pure, alla destra del XX, in Valsugana, il XVII. Il XX corpo aveva il compito più arduo, ma il generale Muntuori aveva assicurato ai suoi dipendenti: "Saranno accumulati contro le difese avversarie tali mezzi di distruzione che, al segnale dell'attacco, gli Alpini non avranno che a marciare risolutamente sulle posizioni, per conquistarle". Dalle sei di mattina alle tre del pomeriggio, intenso bombardamento su tutta la fronte della 6a armata e più che mai su quella del XX corpo: pure i risultati appaiono scarsi e in certi punti quasi nulli per la nebbia e la pioggia che ne ostacolano il controllo. Ad onta di ciò le fanterie sono mandate all'assalto. All'estrema destra la 52a divisione (generale Como Dagna) ottiene, coi suoi 9° e 8° gruppi alpini tre brillanti successi, colla conquista della quota 2003, del passo dell'Agnella e della quota 2101 dell'Ortigara. Malgrado le gravi e dolorose perdite, lo spirito delle truppe è molto elevato: si sono fatti 300 prigionieri. Ma i gruppi alpini 2° e 1°, che rappresentano la sinistra della divisione, non hanno fortuna contro il Monte Campigoletti (metri 2087, subito a sud dell'Ortigara) e solo è stato occupato il Corno della Segala, elemento avanzato nemico fra le trincee austriache e le nostre.
L'altra divisione del XX corpo d'armata, la 2911 del generale Caviglia, deve operare alla sua sinistra contro Monte Forno, con un "attacco concorrente". Essa è formata dalla brigata Arno (213° e 214° fanteria) e dalla brigata Grosseto (237° e 238° reggimento). Alle tre pomeridiane il I battaglione del 213°, preceduto dai reparti d'assalto della brigata, si lancia attraverso i varchi e raggiunge la selletta fra le due due del monte: qui la preparazione d'artiglieria sembra ben riuscita. Ma la reazione nemica è immediata: gli assalitori si trovano battuti da ogni lato da mitragliatrici in caverna e a tergo anche da un violento fuoco d'artiglieria e presto si sferra anche un violento contrattacco. Dopo due ore di lotta ineguale, il battaglione è quasi interamente distrutto. Nel frattempo però gli altri reparti della brigata Arno si sono portati avanti e il Caviglia stesso con loro, nella speranza di poter sfruttare la presa di Monte Forno. Avuta poi notizia della vera situazione, al calar della notte, il generale Caviglia disponeva le sue truppe in modo da poter riprendere l'attacco l'indomani, con elementi freschi della divisione.
Lo stesso giorno, alla stessa ora, il XXII corpo, comandato dal generale Negri di Lamporo forte di tre divisioni, aveva attaccato con la 13a divisione Monte Zebio, con la 25a Monte Mosciagh, e con la 57° Monte Interrotto. L'azione contro Monte Zebio avrebbe dovuto esser facilitata da una grossa mina, ma già due giorni prima essa esplodeva accidentalmeme, proprio mentre molti ufficiali si trovavano in ricognizione vicino al punto dove sarebbe dovuto avvenire lo scoppio, provocando la morte di 22 ufficiali della brigata Catania, fra cui 2 comandanti di battaglione e sette di compagnia, nonché di circa cento uomini dì truppa e il nemico ci precedè nell'occupare l'orlo del cratere. Il 10 giugno alle tre pomeridiane si sferrava l'attacco. I reticolati risultarono solo parzialmente abbattuti e talora ancora in piena efficienza. A destra un battaglione della brigata Pesaro, preceduto da reparti d'assalto, avanzò arditamente, ma fu subito preso sotto i tiri d'infilata di diverse mitragliatrici e non potè avanzare oltre.
Al centro i fanti della Catania appena balzati dalle trincee sono presi sotto intenso fuoco. Ad onta di ciò il I battaglione del 145° raggiunge la trincea nemica, ma non può sostenersi e deve retrocedere. Un'ora dopo ritenta la prova, rincalzato dal II battaglione dello stesso reggimento, ma la tempesta di fuoco costringe di nuovo gli assalitori a ripiegare. Due altri attacchi successivi tentati ormai a buio hanno lo stesso risultato e ciò mentre alla loro sinistra il 146 fanteria vede gli sforzi dei suoi reparti fallire sotto il fuoco micidiale di mitragliatrici invisibili e irraggiungibili. Più oltre, il I battaglione del 255° della brigata Veneto è subito preso sotto il fuoco di gran numero di mitragliatrici in caverna, oltre che di un violento tiro d'interdizione d'artiglieria. Ad onta di ciò il ripido pendìo è superato, ma le difese nemiche appaiono ancora intatte. L'intervento del II battaglione non muta la situazione e i valorosi fanti devono retrocedere. Allora nuovo intenso bombardamento di tutte le batterie di medio calibro e bombarde della divisione, ma i risultati, anche per le cattive condizioni di visibilità, sono pur sempre scarsi e i nuovi tentativi sono destinati a naufragare.
Intanto, al centro del XXII corpo, la 25 divisione attacca il Monte Mosciagh e la sella fra questo e Monte Zebio con la tenacissima brigata Sassari e due battaglioni della Piacenza. L'attacco è stato predisposto con particolare cura: una mina faciliterà la rottura e ben 24 mitragliatrici pesanti da un lato e 12 dall'altro, nonché due batterie da montagna, dovranno battere da vicino le offese nemiche più insidiose. Ma purtroppo il tiro di distruzione, specialmente delle bombarde, risulta corto e produce perdite sanguinose nella Sassari, sottoposta a un così demoralizzante tormento, e la stessa mina, sul fronte dei reparti della Piacenza, danneggia quasi più i nostri dei nemici. Pure alle quindici è sferrato l'attacco. Il principale varco fra i reticolati risulta aperto solo parzialmente; ad onta di ciò quattro compagnie della Sassari irrompono nelle trincee antistanti, ma le insidiose mitragliatrici nemiche impediscono l'affluire dei rincalzi. I due battaglioni della Piacenza che dovevano profittare della mina sono impediti in gran parte dalle mitragliatrici nemiche di giungere anche solo al cratere della mina. Invano anche le batterie da montagna si fanno più avanti per ridurle al silenzio. I nuovi tentativi riescono del tutto vani. Più a sud, la 57° divisione, che ha ceduto la brigata Veneto alla 13° divisione, attacca con un battaglione della Porto Maurizio le pendici meridionali di Monte Interrotto (M. Rasta) E' occupato qualche tratto di trincea nemica, ma un vivo fuoco e un triplice ordine di reticolati, di cui solo il primo è parzialmente intaccato, impediscono ogni sostanziale progresso.
Alla sinistra del XXII corpo, proprio dove la linea austriaca sulla sinistra dell'Assa piega, come il torrente, ad angolo retto fino al confluente coll'Astico, il XXVI corpo, con le sue due divisioni (30° e 12°) aveva svolto un'azione dimostrativa e di vincolo delle forze avversarie. Ma anche qui il quadro clinico è lo stesso: risultati scarsi della preparazione d'artiglieria a cagione della nebbia, mitragliatrici che si svelano all'improvviso, o guarniscono tempestivamente la linea non abbastanza danneggiata, perdite gravi, impossibilità di procedere; poi nuovo bombardamento e l'azione sospesa appena ritentata. Lo stesso deve dirsi dell'azione sussidiaria del XVIII corpo in Valsugana. Qui l'aviazione avrebbe dovuto aiutare molto, ma fu ostacolata dalle condizioni di visibilità a volte addirittura pessime. Per di più qui l'attacco era previsto. Così che già durante la giornata si potè disporre perché quattro dei migliori battaglioni austriaci fossero il giorno dopo avviati sull'Altipiano.
Nell'insieme la giornata del 10 giugno, coll'offensiva tanto ricca di speranze, si chiudeva con un modesto vantaggio all'estrema destra del XX corpo, dove gli alpini dell'8° e 9° gruppo avevano conquistato a prezzo di gravi perdite la quota 2003, il sottostante passo dell' Agnella e quota 2101 verso l'Ortigara. Su tutta la rimanente vasta fronte d'attacco, perdite gravi, talora molto gravi, e nessun risultato. La grande preparazione d'artiglieria e di bombarde non era valsa a spianare veramente il terreno alle fanterie, nè a neutralizzare il fuoco nemico durante l'avanzata. Pure, specialmente all'estrema ala destra, l'ottimo comandante della 52a divisione alpina, generale Como Dagna, era dell'avviso che subito alle prime luci dell'11 si dovesse con nuove forze attaccare di fronte e alle spalle l'Ortigara, dilagando sul rovescio della posizione avversaria e al tempo stesso avanzare in forze sul passo di Val Caldiera, per troncare al nemico le più dirette comunicazioni colla Valsugana, impedendogli di portare sollecitamente rinforzi sull'Altipiano, quindi impadronirsi del monte Castelnuovo (m. 2216) sempre sullo spartiacque colla Valsugana, e procedere oltre se possibile. La sera alle 22,45 il generale Mambretti ha ordinato che per l'indomani l'azione proceda, concentrando gli sforzi del XX corpo sulla fronte Ortigara-Campigoletti soltanto e del XXII da Casera Zebio a quota 1476 di Monte Mosciagh, ossia su un tratto di due chilometri circa, ed effettuando su tutto il resto della fronte semplici azioni dimostrative o vincolanti.
Cosicchè quando, poco dopo le 23, il generale Como Dagna comunicava al Comando del corpo d'armata la situazione, il Montuori lo chiamava al telefono per sentire quali disposizioni intendesse dare e, uditele, gli diceva di astenersi senz'altro da qualsiasi altra disposizione d'attacco e si presentasse alle otto del mattino per ricevere ordini. Non solo, ma alle 5,30 il Mambretti comunicava ai suoi 4 corpi d'armata che "causa condizioni atmosferiche" l'azione era sospesa, "salvo piccole azioni per migliorare situazioni locali" e, alle 17,30 avvertiva che la ripresa delle operazioni non avrebbe avuto luogo prima di tre giorni. In quel giorno 4 sceltissimi battaglioni austriaci erano in moto dalla Valsugana per rafforzare la fronte minacciata e il giorno dopo, altri tre. Il Como Dagna volle tuttavia far entrare la progettata operazione nelle "piccole azioni per migliorare situazioni locali", ma l'ordine del Mambretti e anche la concezione del Montuori e del Di Giorgio, comandante quest'ultimo i due gruppi alpini, portavano ad attribuire la maggiore importanza alla conquista della cima dell'Ortigara (q. 2105) che gli alpini ormai serravano da presso, ma qui si concentravano gli sforzi, che risultavano vani. La posizione avrebbe dovuto cadere per manovra, mentre a quota 2101 erano sei battaglioni, di cui tre almeno avrebbero potuto essere impiegati verso il passo di Val Caldiera, mentre se ne impiegò uno solo e col semplice scopo d'una ricognizione! Presto gli Austriaci passavano al contrattacco. Nella notte sul 13 sferravano due successivi contrattacchi contro quota 2101, entrambi nettamente respinti, e nella notte sul 15 un terzo, ancor più violento, contro le posizioni della stessa quota e del passo dell'Agnella, anch'esso nettamente respinto dopo lotta accanita preceduta da un bombardamento violentissimo, e con perdite particolarmente gravi per l'assalitore che lasciava anche 500 prigionieri.
Ma già il giorno prima il generale Mambretti ha diramato alla 6a armata l'ordine per la prossima ripresa dell'azione con gli stessi obiettivi del 10 giugno. Il 18 alle otto di mattina ha inizio su tutta la fronte dell'armata la preparazione d'artiglieria, particolarmente intensa, che si protrae, con tre pause, fino alle sei del mattino del 19. Quindi azione concentrica degli alpini contro la vetta. Dopo un'ora la cima è brillantemente conquistata e mantenuta: sono fatti più di mille prigionieri fra cui ben 74 ufficiali e presi 5 cannoni e 14 mitragliatrici. Ma i tentativi di procedere oltre verso ovest e verso nord sono subito bloccati: nei nove giorni di sosta il nemico ha ancora rafforzato le sue formidabili posizioni ricevendo pure altri rinforzi. E' invece fallito l'attacco a Monte Campigoletti e così pure è naufragata l'azione, ormai tremendamente tardiva, verso il passo di Val Caldiera.
Più a sud, la divisione di sinistra del XX corpo, la 29a del generale Caviglia, doveva ritentare l'azione centro Monte Forno e di nuovo alle sei del 19 le sue fanterie, dopo il prolungato e intenso bombardamento, movevano all'assalto: passano per i varchi dei reticolati, son presso le trincee nemiche. Ma anche ora dalle posizioni sconvolte aprono il fuoco numerose mitragliatrici. Pure, l'attacco, condotto da tre battaglioni della Arno, lentamente procede, ma altre mitragliatrici in caverna e a pozzo si rivelano e tiri violenti di sbarramento impediscono l'accorrere di altre truppe. Alle 9 non sembra più possibile progredire. Dopo una nuova preparazione d'artiglieria, l'attacco è ritentato, ancora vanamente alle 13,30, ma il nemico contrattacca. All'imbrunire, le truppe sono fatte retrocedere sulle posizioni di partenza. Nè maggior fortuna ha avuto l'azione del XXII corpo contro Monte Zebio e Monte Mosciagh. Essa si sferra dopo un bombardamento ancora prolungato di altre otto ore e precisamente alle due pomeridiane del 19 giugno.
Contro Monte Zebio, ove opera la 13a divisione, gli arditi d'un battaglione di fanteria s'infiltrano per uno stretto varco fra i reticolati nemici: sono annientati dal tiro delle mitragliatrici o fatti prigionieri. Al centro un battaglione è pressochè distrutto dal fuoco delle mitragliatrici e fermato dal fuoco d'interdizione d'artiglieria. Alla sinistra altri due battaglioni subiscono la stessa sorte. Ovunque identico quadro: le prime schiere sono annientate, e quelle successive sono fermate e pestate dal tiro d'interdizione. Lo stesso avviene alla 25a divisione contro Monte Moschiagh, dove ora la Sassari è in riserva e agiscono il 50 reggimento bersaglieri e il 112° fanteria della Piacenza. Anche ora l'ostacolo maggiore è dato dai tiri improvvisi d'infilata di mitragliatrici ben celate e invano si cerca di neutralizzarle portando avanti batterie d'artiglieria da montagna. Nè migliori risultati danno le azioni dimostrative alle ali dell'armata, svolte dal XVIII corpo e dal XXVI.
Alla sera del 19 giugno il generale Mambretti decide di sospendere l'azione su tutta la fronte, salvo per la 52a divisione alpina, che dovrà cercare di consolidare le posizioni conquistate, con opportune azioni locali. Il Cadorna si limitava a rispondere alla non lieta comunicazione: "Prendo atto approvo disposizioni comunicate mi con fonogramma 456 data ieri".
Ma appena avuta notizia della perdita dell'Ortigara, il Conrad aveva chiesto rinforzi al Comando Supremo , che gl'inviava una brigata e metteva a sua disposizione il generale Lodovico Goiginger, già noto per la prontezza ed energia con cui aveva sanato situazioni gravi e preoccupanti, e si decise un fulmineo contrattacco, dopo breve intensissima preparazione d'artiglieria. Esso sarebbe stato sferrato nella notte sul 25, alle due e quaranta. A differenza dunque dei tre precedenti contrattacchi, questo doveva esser condotto da poche forze, ma sceltissime: una colonna contro la quota 2101, con avanti sei grosse pattuglie, un plotone d'assalto e due compagnie di Kaiserschutzen, dietro altre due compagnie di Kaiserschutzen con 8 mitragliatrici e quale terza ondata altre due compagnie con 4 mitragliatrici, tutti con molti lanciafiamme e gran quantità di bombe a mano. Di forza leggermente inferiore la seconda colonna, armata allo stesso modo contro la cima dell'Ortigara e minore assai quella di destra, destinata ad agire con azione avvolgente, formata da due pattuglie, da un plotone d'assalto e da una squadra zappatori. La preparazione d'artiglieria concentrava il tiro dei medi e grossi calibri del III corpo della Valsugana e dell'lla armata sull'Altipiano.
Le nostre truppe sono intente al lavoro di sistemazione difensiva delle posizioni quando alle due e mezzo si scatena improvviso e violentissimo, con largo impiego di granate a gas, il bombardamento nemico, che in pochi minuti sconvolge le appena abbozzate difese e cagiona gravi perdite. Subito dopo si scatena l'attacco, con grande improvviso impiego di lanciafiamme oltre che di bombe a mano. Intanto l'artiglieria nemica allunga il tiro per impedire l'accorrere dei rincalzi, già difficile fra tanti strapiombi e sentieri ripidissimi. In breve tutte le comunicazioni telefoniche sono interrotte. I nostri già stanchi dopo due settimane di lotta dato che la 52a divisione, sola nell'Armata, non ha sostituito le proprie unità, e ora scossi e decimati dal bombardamento e dalla nuova selvaggia forma di combattimento, dopo una breve, accanita lotta corpo a corpo, caduti in gran parte gli ufficiali, sono travolti e i superstiti si raccolgono sotto la linea di cresta. Per tre ore si combatte invece a quota 2101, al passo dell' Agnella e a quota 2003, posizioni meglio sistemate a difesa, e si hanno pure violenti corpo a corpo. Alla fine il nemico, cui giungono rinforzi, prevale: contrattacchi isolati tentati nel corso della giornata non hanno successo, salvo a quota 2003 e al passo dell' Agnella, che il battaglione Cuneo può riconquistare. Solo per le otto di sera è possibile al Di Giorgio sferrare un contrattacco coordinato, che, sebbene condotto a volte "con disperato impeto", per usare l'espressione della Relazione austriaca, nell'insieme fallisce nei sanguinosi tentativi di risalire i ripidi pendii sotto il fuoco delle mitragliatri i nemiche. Verso le due di notte, svanita ogni speranza di successo, era ordinato il ripiegamento, che si svolgeva regolarmente. La 52a divisione aveva avuto complessivamente seimila perdite, fra cui 2722 dispersi, fra i quali erano da comprendere i molti morti e feriti rimasti sul campo dì battaglia.
E non era tutto. Anche le posizioni di q. 2003 e del passo dell' Agnella, dopo la perdita della quota 2101 erano ben difficilmente tenibili, pure si tardava ad abbandonarle. Alle tre di notte del 29 giugno esse venivano attaccate di fronte e di fianco e alla fine abbandonate da chi riuscì a sottrarsi all'accerchiamento. Allora vennero fatte ritirare anche le ultime truppe rimaste sulle falde dell'Ortigara. Così alla fine del mese, dopo tanti sacrifici ed eroismi vani, la situazione tornava quella di prima della grande operazione.
L'insuccesso provocò allora e in seguito accese discussioni e recriminazioni: dato che la preparazione era stata accuratissima e il contegno delle truppe era stato sempre buono e talora eroico e che grandi errori nella condotta delle operazioni non erano emersi, l'infelice risultato finale diventava un vero enigma. A cinquant'anni e più dagli avvenimenti, sarà forse possibile venire a una spiegazione plausibile. Innanzitutto la sottovalutazione delle difficoltà contrapposte, sia per il terreno ancora più difficile, tormentato e insidioso del previsto, sia per la sistemazione difensiva nemica ancora più possente, dato l'eccellente sfruttamento del terreno da parte degli Austriaci, i robusti e profondi reticolati, le trincee in roccia, le mitragliatrici e i pezzi d'artiglieria in caverna. Di conseguenza, una preparazione d'artiglieria insufficiente, tanto più data la nebbia e la pioggia che ostacolò il tiro, e da ciò i reticolati spesso non abbattuti o non abbastanza, come pure quasi mai ridotte al silenzio le mitragliatrici in caverna od occultate nel terreno pieno di buche, di fessure e di spaccature, di rialzi rocciosi. E spesso anche grandi dislivelli da superare per venire a contatto con le posizioni nemiche, e non solo da parte degli alpini, ma anche dei fanti, sovente di classi anziane e non avvezzi a simili terreni. Bisogna poi riconoscere che gli Austriaci avevano sul posto o ebbero presto di rinforzo truppe da montagna sceltissime, le migliori del loro esercito e un'artiglieria non numerosa ma piazzata con straordinaria abilità e manovrata spesso con vera maestria. L'ultimo loro contrattacco, contro l'Ortigara, condotto con piccoli nuclei scelti e addestrati allo scopo, lanciati avanti dopo un bombardamento brevissimo ma straordinariamente intenso, col vantaggio della sorpresa e condotto col sistema delle infiltrazioni, largo uso di lanciafiamme, lanciabombe e bombe a mano, ottenne il maggior risultato, di fronte a un avversario con battaglioni di nuovo ridotti a un terzo, stanchi, intenti a lavori di rafforzamento d'una sistemazione difensiva ancora appena abbozzata.
Si è discusso se non convenisse sospendere subito l'intera operazione della 6a armata, la sera del 10, e forse sarebbe stata la cosa migliore. Il continuarla all'ala destra avrebbe avuto qualche probabilità di riuscita, se ripresa all'alba del 12, da quota 2101, ove si trovavano sei battaglioni alpini, di cui tre intatti, in direzione del passo di Val Caldiera. Ma bisognava non perdere un minuto e il generale Montuori si oppose alla proposta del comandante della 52a divisione. Solo fu mandato un battaglione in ricognizione. Il 19 e poi il 25 giugno si volle ritentare con assai maggiori forze, ma ormai era tardi. Forse il 19, presa l'Ortigara, si poteva mandare la intera ottima brigata Piemonte contro Monte Campigoletti, così da poter consolidare veramente l'occupazione della nostra estrema destra e costituire una grave minaccia alla saldatura, da poco rabberciata, dello schieramento austriaco dell'Altipiano d'Asiago con la Valsugana. Anche ora il Montuori si oppose. Le perdite italiane complessive erano di circa 24.000 uomini, di fronte agli 8300 degli Austriaci. Il Cadorna, deluso e amareggiato, rinunziava all'azione complementare dal Pasubio, già ormai approntata, che avrebbe dovuto ancora riaccendersi all'estrema destra della 6a armata, verso il passo di Val Caldiera e concentrava forze e speranze nel raggiungimento, oltre l'Isonzo della linea Hermada-Vallone di Chiapovano.
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