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Vittoria e Sconfitta
nella Guerra Civile
Americana

(contributo di C. B.)

Last Update: 18 May 2005
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PROLOGO

La primavera, tradizionalmente, provoca un rinnovamento nella natura, ma nel 1865 essa portò la morte alla Confederazione. Quando il 1° di aprile le forze dell’Unione conquistarono l’importante punto nodale di Five Forks, il Comandante Confederato Lee non aveva altra opportunità che evacuare Petersburg e Richmond per non essere tagliato fuori completamente. Nei giorni che seguirono quelli in cui i suoi uomini abbandonarono le trincee per ripiegare, il Governo Confederato lasciò la capitale; a Lee non restava che una settimana di guerra, la sua ultima manovra in campo aperto, e già a Sailer’s Creek, il 6 aprile, circa un terzo dell’Armata della Virginia Settentrionale fu catturata. Due giorni dopo un ardito raid della cavalleria Federale riuscì a tagliare la via della ritirata, intrappolando le truppe Ribelli e costringendo Lee a chiedere la resa. Avvenne così che una serie di manovre riuscirono a porre termine ad una guerra, dopo che era fallito il tentativo di decidere la guerra con un’unica battaglia decisiva sulla scia di quelle che erano state le esperienze valide fino al periodo napoleonico.

La storia si ripeté in modo pressoché analogo in North Carolina: controllato dal Generale Sherman, il Confederato Johnston mosse lentamente verso il confine della Virginia, sperando di ricongiungersi con Lee, ma Sherman era troppo forte per lui, per cui, ritenendo che lo squilibrio di forze fosse eccessivo, Johnston chiese all’avversario un’interruzione delle ostilità mentre procedevano i negoziati per la resa, così dopo alcuni giorni di trattative e di violente discussioni di Sherman [#1] con il proprio governo a Washington, anche le truppe di Johnston accettarono di arrendersi.

Vi sarebbero state in seguito altre capitolazioni di minore entità, ma l’attenzione della nazione si concentrò sui due avvenimenti principali.

Il 14 aprile il Presidente Federale Lincoln fu assassinato al teatro Ford’s a Washington, e fu lanciata un’impressionante caccia all’uomo per catturare l’assassino, John Wilkes Booth, mentre contemporaneamente era in corso la caccia al Presidente Confederato Jefferson Davis ed al suo governo in fuga. Booth fu intrappolato ed ucciso il 26 aprile, ma Davis riuscì a sfuggire fino al 10 maggio, dopodiché fu catturato ed imprigionato per più di un anno.

In considerazione del proseguire della resistenza in alcune delle aree più isolate, in Texas e Mississippi, il governo di Washington non dichiarò ufficialmente terminata l’insurrezione fino al 20 agosto 1866. Gruppi di Confederati, mescolati a rinnegati Federali ed a persone che non avevano vestito alcuna uniforme continuarono ad operare come fuorilegge: molti furono uccisi o catturati, molti si sbandarono, alcuni ebbero una propria selvaggia fama che contribuì a creare quella del “selvaggio” West.

Una volta terminata la guerra, restava da decidere cosa fare con i Confederati, come ricostruire l’Unione, e come riconciliare quei milioni di “Johnny Reb” e "Billy Yank” [#2] che appartenevano ad una nazione riunita, ma ancora sofferente.

LA FINE

Vi è ben poco che si possa dire di positivo di una guerra, a parte il fatto che essa è comunque destinata a concludersi in quanto, come le pestilenze, non può alimentarsi autonomamente per un periodo illimitato, inoltre le guerre civili tendono a consumarsi più rapidamente delle altre. La Guerra Civile infuriò in America per 1.489 giorni, dai primi spari di Fort Sumter, il 12 aprile del 1861, all’ultimo scontro terrestre a Palmito Beach, il 12 maggio 1865. Durante questi 49 mesi di lotta ebbero luogo 10.455 combattimenti, di differenti dimensioni, il che significa che “Yankees” e “Rebels” si scontrarono in media 7 volte al giorno. La Virginia ne risultò devastata in quanto il 50% degli scontri ebbe luogo nel cosiddetto “Old Dominion”, mentre il Tennessee si guadagnò il secondo posto in questa particolare classifica, con 1.500 scontri all’interno dei suoi tribolati confini e – simbolo della ferocia dei pressoché dimenticati combattimenti nel West – il Missouri il terzo. Il conflitto, peraltro, fu davvero continentale, perché la California ed i territori che sarebbero diventati gli stati del New Mexico e dell’Arizona giunsero a totalizzare 163 scontri a fuoco [#3]. Mai prima il continente americano era stato testimone di una simile devastazione: le città del Sud, come la capitale Richmond, si presentavano come quelle europee bombardate al termine della II Guerra Mondiale.

I combattimenti non avrebbero potuto proseguire indefinitamente, infatti, all’inizio dell’estate del 1863, con le due sconfitte Confederate a Gettysburg e Vicksburg [#4], Lee poteva disporre di un’armata assai indebolita, mentre la Confederazione era divisa in due dal fiume Mississippi, ormai sotto completo controllo Federale, pertanto era ormai chiaro che solo un intervento esterno a favore del Sud [#5] o la fine della determinazione di combattere da parte del Nord avrebbero potuto evitare una vittoria dei Federali. Eppure gli incredibili sacrifici sostenuti e la determinazione dimostrata dai soldati e dai civili Confederati prolungò il conflitto di oltre un anno rispetto a quanto si potesse ritenere logico.

In effetti già prima dell’evacuazione della capitale della Confederazione vi erano stati dei tentativi di avvicinamento per addivenire ad una soluzione negoziata del conflitto, ad esempio in febbraio il Tenente Generale Confederato James Longstreet [#6] aveva avviato una corrispondenza con il Maggior Generale Federale E.O.C. Ord, incontrandolo il 21 del mese, accordandosi per un cessate il fuoco quando avessero potuto negoziare direttamente i Generali Grant e Lee. Longstreet aveva anche proposto che si affidassero parte dei negoziati ad alcune delle mogli dei Generali, riprendendo la vecchia usanza dell’”Old Army” di risolvere le dispute fra ufficiali, specie nei posti più isolati di frontiera, tramite l’intervento delle consorti, tale idea era stata addirittura accettata dal Presidente Davis, anche se non vi era stato alcun seguito [#7]. Quando giunse la fine, fu davvero all’improvviso. Come accennato in precedenza, il 9 aprile 1865 dopo aver obbligato Lee ad abbandonare le fortificazioni di Petersburg e Richmond per muovere in campo aperto, il comandante Federale, il Generale Ulysses T. Grant, riuscì a circondare l’esercito avversario – grazie ad un’ardita manovra condotta dalla cavalleria del Generale Sheridan – nei pressi di Appomattox Courthouse in Virginia. Lee, senza via di scampo ed assai inferiore per numero, fu costretto a capitolare e quella che era stata la coraggiosa armata della Virginia Settentrionale non avrebbe più combattuto. Essa del resto ormai disponeva di soli 26.000 uomini [#8], dei 50.000 che avevano operato una settimana prima a Petersburg e Richmond, insufficienti comunque a contenere i 112.000 Federali di Grant [#9]. Pochi giorni dopo, il 26 aprile, Sherman otteneva la capitolazione a Durham Station, in North Carolina, dell’altra principale armata Confederata dell’est, quella del Tennessee. Otto giorni dopo furono catturate le restanti truppe Ribelli del Mississippi, dell’Alabama e della Louisiana, 12.000 uomini, comandati dal Generale Richard Taylor, mentre il 26 maggio a New Orleans l’Armata del Trans-Mississippi del Generale Kirby Smith, altri 43.000 soldati, consegnò le armi: ogni resistenza organizzata era così terminata. L’Unione questa volta era rappresentata da uno sconosciuto Generale, E. R. S. Canby, del resto il Presidente Confederato Davis e gran parte del Governo Ribelle erano stati catturati, e combattere non aveva più motivo. Circa un mese dopo si sarebbe registrata l’ultima formale capitolazione, quella del Generale Stand Watie con ciò che rimaneva dei suoi Reggimenti Indiani [#10].

Per i vincitori era ovviamente un successo di rilievo, ma non si ebbero manifestazioni di particolare esaltazione, ad esempio Thomas Osborne, appartenente all’armata di Sherman [#11], scrisse “abbiamo concluso il nostro lavoro”, mentre alla notizia della capitolazione del Generale Lee negli accampamenti dell’Armata del Potomac ben pochi gridarono di gioia e solo un Reggimento costituito con elementi di colore dette sfogo all’esultanza sparando in aria. Molti soldati dell’Unione accolsero il fatto con tranquillità ed il sentimento predominante era una sorta di dolorosa compassione per quello che si era rivelato un coraggioso avversario. Non ci si abbandonò a selvaggi festeggiamenti, i vincitori erano naturalmente fieri del loro successo e lieti che tutto fosse finalmente finito: “Non dimenticherò mai il sentimento provato” scrisse il cavalleggero Roger Hannaford del 2° Ohio il 9 aprile “sapere che ORA potevo andare a letto e SENTIRMI SICURO di potermi godere un’intera notte di riposo”, perché per la prima volta poteva essere certo che non sarebbe stato destato da un allarme notturno “il sapere che potevo essere certo che avrei trascorso una notte tranquilla, l’idea di sicurezza, erano ineffabili” [#12].

Altri Yankee espressero sorpresa per l’assenza di eccessive manifestazioni di giubilo, quando furono raggiunti delle notizie delle capitolazioni, “Ricordo come restammo seduti, provando pietà e simpatia per quei coraggiosi Confederati che avevano combattuto per quattro lunghi e sanguinosi anni in modo stupefacente, efficace e determinato” scrisse un volontario del New Hampshire, “ed ora essi, sconfitti, erano completamente in nostro potere, ma ciò ci sembrava triste, meritevole di rispetto, duro, in sintesi, troppo sbagliato!” [#13]. Così come, durante la guerra, gran parte dei Federali aveva provato sentimenti di odio per il nemico, così, allo stesso modo, essi rimasero stupiti di come quegli stessi sentimenti tendessero a svanire non appena la guerra fu ufficialmente conclusa. Poiché non avevano mai desiderato combattere contro i propri connazionali, ora erano contenti di potersi lasciare tutto alle spalle senza dover attendere troppo tempo. Del resto Grant aveva detto “la guerra è terminata ed i ragazzi del Sud ora sono nostri compatrioti” vietando ogni estemporanea celebrazione di giubilo per la vittoria [#14].

L’atmosfera tutta particolare può esser descritta con l’episodio occorso alla fine dell’aprile 1865, dopo la resa di Lee, quando il Generale dell’Unione Robert G. McAllister, mentre camminava con un amico in direzione di Farmville, in Virginia, incontrò un giovane soldato Confederato che riposava, lacero e malnutrito, sotto un albero. Questi, dopo aver iniziato a parlare, si unì a loro e, progressivamente, sembrava aver perso l’iniziale animosità, tanto che, giunti nel punto ove le strade si dividevano, era riluttante di dover andare via. [#15]

Dall’altra parte comunque non fu sempre facile dimenticare, nessun Americano era mai stato sconfitto in una guerra, inoltre i Confederati possedevano una forte e radicata tradizione militare, ed ora erano degli sconfitti. Era una situazione che non era accettabile facilmente: “Vorrei fuggire nei boschi e morire ubriaco, per seppellire tutte le mie tristezze” gridò un Ribelle del Kentucky dopo la resa di Johnston, “E’ il giorno più nero di tutte le nostre vite” dichiarò un altro “tutto era perduto e non ci sembrava ci fosse più speranza per il futuro” [#16]. Quando i soldati di Lee seppero che egli aveva firmato la loro resa, in alcuni casi, semplicemente non accettarono la situazione e vi furono manifestazioni di disperazione; un cavaliere fu visto agitare il pugno verso il cielo gridando “in Paradiso non vi deve essere un Dio giusto, se l’Armata di Lee si è dovuta arrendere” [#17], mentre un soldato gridava “torniamo a casa, riorganizziamoci, e ricominciamo!” ed altri “speravo di morire prima di questo giorno”. Peraltro, dopo l’impatto iniziale, anche i più duri ad accettare la nuova situazione diventarono più malleabili adeguandosi a quello che era il generale senso di abbandono e “un sentimento di collasso, mentale e fisico, si impadronì di gran parte dei soldati per alcune ore” dopo le prime notizie della resa. Né i soldati, né gli ufficiali avevano molto da dire “Essi sedevano, o giacevano per terra, in atteggiamento pensieroso, sopraffatti da una triste ondata di riflessioni”, quando parlavano, lo facevano per confortarsi l’uno con l’altro, dicendo dei propri comandanti che avevano stabilito di capitolare che “si sono disfatti del proprio dovere e non partecipano alla disgrazia nazionale” [#18].

Fra quelli che non furono in grado di accettare la sconfitta, poche centinaia semplicemente svanirono mescolandosi fra la popolazione, per non prendere parte alle cerimonie formali di resa, ma altri si suicidarono, mentre per molti il simbolo della propria determinazione a resistere fu il seppellire o nascondere bandiere ed insegne, piuttosto che consegnarle, distruggendo e facendo a pezzi le proprie armi. Essi erano troppo stanchi, affamati ed intristiti per fare altro, i loro avversari del resto ora stavano dando loro il cibo, e centinaia di carri di rifornimenti Federali scaricavano per loro pancetta, galletta e manzo.

Comunque il sollievo per la fine della guerra contribuì a placare gli animi di molti soldati sconfitti, insieme al fatto che, con i cannoni finalmente silenziosi, i soldati Federali entravano negli accampamenti dei Ribelli e fraternizzavano, chiedevano notizie di parenti e conoscenti che avevano combattuto “dall’altra parte” o, semplicemente, dividevano i contenuti dei pacchi che erano loro pervenuti da casa con quei nemici che avevano imparato a rispettare ed ammirare sui campi di battaglia. Ad esempio un soldato originario della Pennsylvania scrisse che, “dopo aver trascorso un po’ di tempo nell’accampamento dei Confederati, avevo avuto la sensazione di aver sempre vissuto e combattuto insieme a quegli uomini sotto le stesse bandiere” [#19]. Fra gli stessi ufficiali era ritornato il vecchio spirito di corpo dell’”Old Army”: Meade si recò a salutare Lee [#20], mentre Sheridan, dopo aver incontrato Longstreet, Heth e Wilcox, li accompagnò a rendere omaggio a Grant.

Anche in occasione della resa dell’armata del Tennessee si registrò grande correttezza fra il Confederato Johnston ed il vincitore Sherman, il primo si offrì di convincere il proprio Presidente a decidere la resa di tutte le altre truppe Ribelli, il secondo – pur rifiutando di avere contatti con il Generale Breckinridge come Ministro della Guerra di un governo che l’Unione non aveva mai riconosciuto, accettò di negoziare con lui i termini della resa nella veste di alto ufficiale. La trattativa culminò così con un vertice a tre che portò a risultati ancora più estesi di quelli derivanti dalla pace stipulata ad Appomattox da Grant e Lee, infatti vennero stabiliti anche una serie di provvedimenti di carattere politico. Nell’occasione dei generali stipularono dei trattati che superarono di gran lunga l’autorità militare di cui essi potevano essere titolari, perché fu decretato che l’autorità Federale veniva riconosciuta, tutte le unità Ribelli venivano sciolte, i governi dei singoli stati del Sud dovevano essere riorganizzati, come le corti Federali, mentre i Confederati che avessero rispettato tutti gli accordi vedevano reintegrati tutti i loro diritti costituzionali. Da quei colloqui nacque una grande amicizia fra Sherman e Johnston, che durò sino alla morte del primo, avvenuta nel 1891 [#21].

LE CERIMONIE

In base a quanto stabilito dai comandanti, ciascuna delle armate Confederate doveva partecipare ad una cerimonia formale di capitolazione, che non doveva risolversi in un’umiliazione, in cui dovevano essere consegnate le armi e gli equipaggiamenti, dichiarando che non sarebbero state riprese le ostilità contro il governo degli Stati Uniti. Il tutto avvenne con grande riguardo per la dignità ed i sentimenti degli sconfitti. Quando la “Orphan Brigade” del Kentucky [#22], il 4 maggio, entrò marciando a Washington, in Georgia, passò per la strada principale, con le bandiere spiegate, “marciavamo fieri, ed anche i cavalli sembravano voler dimostrare di possedere un onore militare” scrisse John Jackman del 9° Reggimento del Kentucky, “la brezza primaverile faceva sventolare le bandiere che portavano i segni della lotta, mentre il sole del tramonto brillava sui fucili, sorridendo su quella che era una delle ultime manifestazioni della fierezza del Sud” [#23].

Ad Appomattox la cerimonia avvenne il 12 aprile: i reparti Confederati uscirono marciando dai loro accampamenti, fino alla strada che conduceva al municipio della piccola città. Essi dovevano passare fra due ali di reparti Federali schierati fino al punto dove avrebbero dovuto depositare armi ed insegne. In testa marciava il II Corpo, che a sua volta si era fatto precedere dalla famosa brigata “Stonewall”, un tempo comandata dal coraggioso Generale “Stonewall” Jackson [#24]. Quando i primi Confederati furono vicini il Generale Joshua Chamberlain, originario del Maine, disse al proprio trombettiere di suonare l’ordine di presentare le armi in segno di omaggio, ed il comandante Confederato del II Corpo, il Generale John B. Gordon, rispose alla stessa maniera. Chamberlain si sentì profondamente commosso, “dalla nostra parte non si udì altro squillo, né rulli di tamburi, né grida, né parole o bisbiglii di vanagloria”, invece si percepiva “un silenzio impressionante, come se tutti trattenessero il respiro, come se stesse passando la morte” [#25]. “Fu una scena estremamente incisiva” scrisse un altro Federale, “dopo aver consegnato le armi essi riformarono i ranghi e proseguirono a marciare, scomparendo per sempre come soldati della Confederazione del Sud”.

LA SMOBILITAZIONE ED IL RITORNO A CASA

Naturalmente quando giunse la fine per tutti i comandanti si poneva un interrogativo: come avrebbero potuto così tanti uomini, abituati a vivere in guerra, a ritornare alla vita civile? Mai la nazione aveva dovuto riassorbire una così grande massa di militari, e, per colmo d’ironia, il problema maggiore lo fronteggiavano gli stati del Nord.

Al momento della resa, fra l’aprile ed il maggio 1865, l’Esercito dell’Unione contava 1.034.000 uomini, sparsi dall’Atlantico al Pacifico, dal Golfo del Messico al fiume Ohio ed oltre, inoltre le unità di uno stesso stato erano divise fra diversi Corpi, a loro volta distribuiti fra più armate, distanti talvolta centinaia di miglia. L’armata di Sherman, ad esempio, comprendeva reparti di 17 stati, pertanto non era possibile semplicemente far ritornare un’armata nella sua base e mettere in libertà gli uomini, bensì era necessario suddividerla in Corpi, da frazionare ancora in Reggimenti, da spedire a casa.

Il War Department dell’Unione doveva inoltre fronteggiare un altro problema in quanto, per motivi legati ad eventuali pensioni da corrispondere, era necessario registrare la durata del servizio di ciascun soldato, mentre comunque era necessario dare a tutti l’esatta paga maturata, in quanto i rappresentanti Repubblicani a Washington desideravano che quei soldati tornassero a casa con le tasche piene di soldi e le labbra prive di lamentele. Al riguardo si deve osservare che agli 800.000 uomini smobilitati entro il 15 novembre 1865 furono versati $ 270.000.000.

La pianificazione della smobilitazione si concluse con un successo ammirevole, senza dubbio in quanto fu risolta con una soluzione di estrema semplicità: ogni uomo rifece a ritroso la stessa strada compiuta per andare in guerra, impiegando lo stesso apparato dei trasporti. I reparti tornarono nelle località ove erano stati costituiti i ruolini, quindi ogni reggimento, utilizzando la stessa nave o la stessa linea ferroviaria, fece rientro nello stato d’origine, per raggiungere successivamente la sede ove era stato formato. Qui gli uomini potevano ricevere l’ultima paga ed il relativo congedo. Il sistema consentì di mettere in libertà, per stadi successivi, le reclute, i pazienti degli ospedali, e coloro la cui ferma sarebbe scaduta il 31 maggio 1865, così prima che si fosse arreso l’ultimo reparto Confederato, erano già iniziati i rientri [#26].

Le armate che avevano sconfitto Lee e Johnston dovevano raggiungere Washington, quella che aveva battuto Taylor avrebbe dovuto portarsi a New Orleans, Vicksburg o Mobile, i Federali nel Tennessee dovevano concentrarsi a Nashville e così via, così treni e battelli del Sud si riempirono di decine di migliaia di soldati in blu [#27] che rientravano. Inizialmente essi mossero pieni di gioia, in seguito avrebbero iniziato ad avvertire il senso d’incertezza per ciò che li attendeva a casa, in quanto dovevano abbandonare un mondo che li aveva ospitati comunque per 4 anni. Il movimento fu ovunque celere: i soldati di Sherman coprirono la distanza di 156 miglia da Richmond in soli 5 giorni e mezzo, alla media di 28 miglia al giorno, superiore a quella tenuta in periodo di campagna.

Il viaggio verso i punti di riunione fu normalmente ordinato e gli uomini furono controllati in modo da evitare ruberie e saccheggi: la guerra era finita e la proprietà privata, così cara agli Americani, tornava ad esser sacra. Per molti, abituati ad anni di razzie, fu chiedere troppo, ma coloro che furono sorpresi furono condannati severamente. Spesso i soldati si trasformarono in turisti, curiosi anche dei luoghi dove avevano combattuto, e se venivano incontrati vecchi nemici ci si fermava dividendo cibo ed esperienze.

Giunti nei posti di riunione, spesso si dovette affrontare il vecchio adagio militare “prima affrettati, poi aspetta”: occorreva tempo per redigere i documenti e programmare il movimento successivo. Il risultato fu che molti volontari tentarono di allontanarsi senza troppe formalità e le prigioni di Washington e Richmond in estate rigurgitarono di soldati che non avevano saputo aspettare ed erano stati riportati indietro. A questo punto, per tenere gli uomini occupati, si fece ricorso alle esercitazioni ed alle parate, come la Grande Rivista di Washington, che ebbe luogo il 23 maggio, durante la quale l’Armata del Potomac percorse la Pennsylvania Avenue seguita, il giorno successivo, dalle truppe del Generale Sherman. Fatto ciò il primo dei Reggimenti partì dalla stazione ferroviaria della capitale il 29 maggio diretto a casa, l’ultimo 40 giorni dopo. Tutto il sistema dei trasporti del Nord fu impegnato per riportare a casa i soldati, dimostrando quanto fosse, per i tempi, organizzato ed efficiente. Le prime destinazioni furono le grandi città come New York e Cincinnati, da cui le truppe raggiungevano i singoli stati, qui i Reggimenti venivano divisi in compagnie, da inviare alle località d’origine.

L’ultimo giorno di servizio fu al tempo stesso dolce ed amaro: a molti dispiacque lasciare gli amici conosciuti in guerra, ma era bello tornare alla vita di prima. La smobilitazione proseguì fino al febbraio 1866, quando l’esercito degli Stati Uniti si ridusse ad 80.000 uomini, distribuiti nelle guarnigioni del Sud e del Far West [#28].

Molto diversa fu la sorte di quelli che, un tempo, erano stati i nemici: una volta che il soldato Confederato aveva consegnato le proprie armi e dato la propria parola che non le avrebbe riprese, nessuno ne era più responsabile, non aveva più un governo proprio e quello cui si era arreso non provava alcun obbligo nei suoi confronti. Non aveva diritto a paga, né a mezzi di trasporto per tornare a casa; vincitori generosi come Grant e Sherman aprirono i loro magazzini ai soldati vinti, e chi che dichiarò di essere il proprietario delle cavalcature che venivano utilizzate per il traino dei cannoni e dei trasporti logistici potè riprendersele, ma quando e come egli sarebbe tornato a casa dipendeva solo da lui. Nell’esercito di Johnston gli uomini che vivevano ad ovest del Mississippi fruirono del trasporto fluviale fino a New Orleans o a Galveston, ma tutti gli altri dovettero far conto solo sui propri piedi. In poche settimane le vie del Sud furono affollate di Confederati che muovevano da soli o in gruppi, camminando e lavorando per sostentarsi durante il loro ritorno a casa, attraversando una terra che era stata spremuta fino all’osso per sostentarli durante la guerra e che non aveva risorse per continuare a sfamarli durante quest’ultima marcia. Un corrispondente del New York Tribune descrisse con tristezza le scene che vide “erano uomini stanchi, desiderosi di rivedere casa, in uniformi lacere, che camminavano trasportandosi tascapani e coperte arrotolate su una spalla, che cercavano la strada più breve per tornare, e apparivano distrutti, ansiosi, senza energie” [#29]. Il viaggio attraverso il Sud devastato, ad ogni miglio, rafforzava la tristezza e la consapevolezza di quanto fosse stata assoluta la sconfitta e la vista di casa poteva anche essere peggiore, se la si trovava devastata dalla guerra o dall’abbandono. Le città erano spesso ridotte in rovina, le stesse foreste erano state abbattute, il sistema dei trasporti distrutto. Per colmo d’ironia chi era stato più povero aveva subito meno danni, perché il soldato Federale o i rinnegati Confederati non avevano prestato troppa attenzione alle piccole abitazioni isolate dotate solo di un campo da coltivare, comunque sia chi era stato ricco che chi aveva vissuto in povertà ora aveva solo una possibilità: darsi da fare, cercare un lavoro, ed iniziare la ricostruzione.

IL GRANDE ESODO

Per alcuni fu un ostacolo troppo difficile da superare: alcune migliaia di Confederati si dettero alla macchia la notte prima della resa, all’inizio intendevano proseguire la guerra per proprio conto, con tecniche di guerriglia, ma presto abbandonarono questo piano ritenendolo impossibile, altri invece superarono il Rio Grande, che segnava il confine con il Messico, e si riunirono a generali come Sterling Prince, John B. Magruder, Thomas C. Hindman, Joseph O. Shelby che avevano portato le truppe in quello stato insanguinato da una propria guerra civile. Circa 5.000 Confederati parteciparono così a questo conflitto, divisi fra le due fazioni, creando piccole colonie nordamericane come quella di Carlotta; fra di essi il Brigadier Generale Mosby M. Parsons fu ucciso dai ribelli messicani mentre tentava di raggiungere l’Imperatore Massimiliano d’Asburgo. Altri fuggirono più lontano, in America Centrale e Meridionale, in Estremo Oriente, in Canada; in tutto circa 10.000 Confederati presero parte a quello che fu il più consistente processo migratorio di espatrio nella storia americana, anche se alcuni tornarono delusi dalle nuove patrie che avevano scelto. Perfino l’Egitto ebbe i suoi esuli, come i Brigadieri Generali Charles W. Field e William W. Loring che accettarono di essere ingaggiati alla fine degli anni ’60 dal locale khedivè, unitamente ad altri mercenari provenienti dal vecchio esercito Federale. In effetti solo coloro che ripararono in Europa vissero da veri esiliati, ancorchè ben accetti in quanto la causa per la quale si erano battuti aveva incontrato il favore generale, pertanto dopo l’Amnistia, nel 1869, in genere tornarono a casa [#30].

Per molti Confederati vi furono anche problemi di carattere giudiziario, in quanto molti Ufficiali vennero perseguiti per tradimento. Al riguardo nelle condizioni di resa era stato stabilito che con il dare la propria parola di rispettare l’Unione, veniva estinto il reato, tuttavia per il Generale Breckinridge, che aveva rivestito una carica politica nella Confederazione ed era anche stato vice-presidente nella vecchia Unione, le imputazioni non erano cadute, così come per gli altri componenti del gabinetto Ribelle. Infatti Breckinridge, dopo aver dato il proprio contributo per delineare le condizioni di resa, fuggì con Davis verso la South Carolina, quindi, con pochi seguaci, si separò dal Presidente sperando di ingannare gli inseguitori e trascinarseli dietro. La manovra non funzionò e Davis fu catturato in Georgia il 10 maggio, per cui Breckinridge proseguì la sua fuga verso la Florida, le Bahamas ed, infine, Cuba. Qui egli rimase per 3 anni e mezzo, fino all’Amnistia Universale del Natale 1868, che gli permise di far rientro nel natio Kentucky [#31], per molti anni rimase il punto di riferimento di tutti questi fuoriusciti. Altri, che temevano di poter essere condannati o, addirittura, giustiziati, considerato che l’omicidio di Lincoln potesse inasprire gli animi dei vincitori, ebbero modo di ricredersi vedendo che neanche il loro Presidente Davis veniva trattato con durezza, ed in effetti non vennero celebrati processi, anche se qualcuno trascorse un breve periodo in prigione perché sospettato di crimini di guerra o di spionaggio, per essere comunque rilasciato dopo poco.

In effetti l’Unione non si abbandonò alla vendetta e anche se si era trattato di una guerra terribile, costata la vita ad oltre 620.000 uomini, senza contare le distruzioni immense, fu condannato a morte solo il Maggiore Henry Wirz, comandante del campo di prigionia di Fort Sumter, il famigerato Andersonville. In effetti si trattò di un processo con il “finale già scritto”, in cui furono impiegati testimoni falsi [#32] per dimostrare che egli aveva volontariamente fatto morire di fame i prigionieri affidatigli, anche se fu vano il tentativo per collegare le sue colpe al Presidente Confederato Davis. All’imputato furono negate molte delle tutele che poteva fornire una corte civile, forse anche perché il suo forte accento svizzero alimentava l’antipatia nei suoi confronti. In effetti – alla luce delle esperienze di Norimberga e degli altri processi ai criminali di guerra dopo la II Guerra Mondiale –può sembrare assurdo che, in una simile tragedia, dovesse essere chiamato a rispondere con la vita solo un uomo di grado così modesto.

RIPRENDE LA VITA

Per il Sud, comunque, ricostruire non fu facile, anche perché almeno fino al 1877 il senso di rivincita era forte, poiché quegli stati erano tornati ad essere controllati da una classe politica che aveva vestito l’uniforme e ricoperto in guerra incarichi di comando.

Comandanti Confederati come Lee consigliarono a chi glielo chiese di accettare il verdetto della guerra, tornare a casa e costruire un nuovo Sud, essi inizialmente cercarono di instillare in chi ne seguì le indicazioni un forte senso di orgoglio per ciò che avevano fatto, nonché per le idee per le quali avevano sofferto, combattuto e rischiato la vita. Avvenne così che, idealmente, i Confederati non chinassero il capo, la sconfitta non diventasse sinonimo di disonore e che, addirittura, alcuni Ribelli ritenessero di non essere mai stati davvero sconfitti. Per alcuni di loro l’umorismo fu l’unica arma che rimaneva per affrontare il futuro. Va comunque sottolineato come Lee non mancò mai di rispetto a Grant, dimostrandosi sempre grato per la magnanimità da questi dimostrata e quando, anni dopo, fu Presidente del Washington College a Lexington minacciò di espellere chi avesse mai pronunciato parole offensive nei confronti dell’ex-avversario [#33].

Per tutti i Johnny Rebs ed i Billy Yanks che tornavano a casa dopo la fine della guerra, si prospettava una vita differente da quella che avevano conosciuto i loro padri. Il conflitto aveva portato gli Stati Uniti alla ribalta internazionale, e per la prima volta anche i giovani contadini erano diventati consapevoli delle relazioni internazionali, avendo avuto modo di disquisire della possibilità che qualche potenza europea intervenisse in quel conflitto. Sapevano che, oltre il confine, la Francia era intervenuta in Messico, e molti reggimenti che avrebbero dovuto partecipare alla Grande Parata a Washington, avevano dovuto accorrere al confine, per prepararsi ad affrontare le forze Francesi dell’Imperatore Massimiliano, se fosse stato necessario.

Più immediata era stata la consapevolezza di ciò che ciascuno aveva visto ed appreso della propria nazione: ragazzi che in condizioni normali non avrebbero mai messo piede fuori della propria contea, avevano potuto vedere molto di più per via “dell’elefante” o “dello spettacolo delle scimmie” come essi chiamavano la guerra. Avevano infatti visto l’America, viaggiando per migliaia di miglia, esplorando città mai sognate in gioventù, mentre alcuni che avevano prestato servizio in marina avevano visitato il mondo, sbarcando nei maggiori porti stranieri [#34].

Inoltre questi uomini avevano potuto scrutare profondamente in sé stessi, affrontando la prova della guerra e del fuoco. Si trattava di una generazione che aveva subito un cambiamento, pagando con il proprio sangue, ricevendo in cambio autostima. Per il successivo mezzo secolo essa sarebbe stata protagonista del progredire della nazione Americana, della conquista del West con le armi, il lavoro e la ferrovia e della nascita del cosiddetto ”impero americano d’oltreconfine”. In questa generazione erano compresi vincitori e sconfitti, questi ultimi in particolare colonizzarono molti territori ad ovest dell’Arkansas e spesso si arruolarono vestendo l’odiato ”blu” dell’U.S. Army. Alcuni combatterono anche nella guerra contro la Spagna del 1898, ma vi fu anche chi ebbe seggi nel Congresso, chi avviò industrie e società e, progressivamente, operò fianco a fianco con i vecchi nemici, anche per commemorare quella guerra in cui si erano combattuti. Il Generale Gordon, ad esempio, divenne Senatore e Governatore della Georgia, Francis Nichols Governatore della Louisiana e John S. Marmaduke del Missouri. Non è noto il numero di Ufficiali Confederati diventati Senatori, membri del Congresso e Governatori o nominati comunque a pubbliche cariche, ma certamente esso superò quello di alcune migliaia. Alcuni divennero, come Longstreet, rappresentanti del partito Repubblicano, subendo le critiche dei vecchi compagni d’arme, mentre con l’unione fra Simon Buckner, che era stato designato per la vice-presidenza e l'ex-Maggior Generale dell'Unione John M. Palmer, sconfitti nel 1896 alle elezioni presidenziali, si simbolizzò la reale riunificazione e riappacificazione del paese [#35]. Fra coloro che tornarono alla vita delle armi devono esser segnalati i Maggiori Generali Joseph Wheeler e Firzhugh Lee, che acquisirono lo stesso grado nei volontari, nel 1898, congedandosi, rispettivamente nel 1900 e nel 1901, in qualità di Brigadieri Generali dell’Esercito Regolare. Per colmo d’ironia ciò dette loro il diritto a ricevere la pensione dal governo contro il quale, un tempo, avevano combattuto, cose possibili solo negli Stati Uniti d’America!

La partecipazione alla vita politica, specie degli ex-ufficiali Federali, fu ancora più massiccia, essi praticamente dominarono la scena per le successive due generazioni e deve essere sottolineato che, dei Presidenti che gli Stati Uniti ebbero nel rimanente periodo del XIX secolo, solo 2 non furono veterani della guerra, fra questi dobbiamo ricordare Ulysses T. Grant, Rutherford B. Hayes, James A. Garfield e Benjamin Harrison, tutti generali, mentre William McKinley aveva servito come tenente in uno dei reggimenti di Hayes.

Peraltro non vi fu gloria per tutti, ad esempio molti ufficiali, che durante il conflitto avevano raggiunto alti gradi nell’organizzazione dell’esercito dei volontari, con il ritorno alla pace e la conseguente riduzione dell’esercito, per restare nei ranghi dovettero accettare retrocessioni, fra questi la più nota delle vicende riguarda il Generale George A. Custer che tornò a ricoprire il grado di Tenente Colonnello [#36], con il quale sarebbe caduto alla testa del 7° cavalleria al Little Big Horn nel 1876, combattendo Sioux e Cheyenne. Al riguardo vi è chi sostiene che la scarsa prudenza da lui evidenziata, che fu fra le cause del massacro, fu anche frutto del suo desiderio di recuperare quanto prima i gradi cui aveva dovuto rinunciare. Anche il Generale Mackenzie proseguì a combattere gli Indiani, finendo alla fine ricoverato in un manicomio per l’eccessivo logorio subito, mentre il Generale Canby, che aveva ricevuto le ultime capitolazioni all’ovest, fu ucciso da tre indiani Modoc durante i negoziati di pace con quella tribù. Per altri che avevano sofferto gravi ferite ed amputazioni iniziò una vita di dolore, talvolta caratterizzata dall’abuso di morfina; in sintesi, per ogni protagonista che rimase sulla cresta dell’onda, ve ne furono tanti che soffrirono e, dopo aver calcato il palcoscenico, vissero sprofondando nella tristezza in quanto relegati nell’oscurità. Il destino fu particolarmente duro con alcuni Confederati, come il Generale Braxton Bragg che morì disperato in una strada di Galveston, o il Brigadier Generale Thomas Bentos Smith che, dopo essere stato catturato a Nashville fu ferito a sciabolate ripetutamente al capo da un colonnello Federale, tanto da rimanere offeso in modo permanente e da concludere la vita in un manicomio, ricoverato per 47 anni [#37].

LE ASSOCIAZIONI DEI REDUCI

Alla fine, per via del comune patrimonio culturale, per il comune soldato fu relativamente facile superare l’animosità creata dal campo di battaglia, anche perché per molti non si giunse mai davvero ad odiare il nemico, come dimostrato da innumerevoli episodi di pietà e cameratismo fra le opposte armate. Finita la guerra solo in pochi mantennero vivo l’odio e i reduci delle due parti costituirono organizzazioni di veterani sia per ragioni di amicizia, sia per difendere e promuovere diritti in materia pensionistica. Il governo assicurò sempre maggiori benefici ai veterani Federali, come ad esempio la concessione gratuita di terre all’ovest e il “Grand Army of the Republic”, come i veterani dell’Unione chiamarono la loro associazione, diventò la più potente lobby sociale ed economica del tempo. I Confederati invece, non avendo più un proprio governo, dovettero rivolgersi ai singoli stati per un qualsiasi tipo di pensione ma, alla fine, si giunse a pagare pensioni di guerra anche a molti Ribelli ed alle loro vedove, cosa che non avvenne altrove nel mondo. Infine, mentre gli Ufficiali Federali davano vita – dopo l’assassinio di Lincoln – al “Military Order of the Loyal Legion of the United States”, con l’intento di arginare un’eventuale ritorno al caos, i Ribelli costituirono, la “United Confederate Veterans”, con lo scopo di perpetuare la memoria delle gesta del vecchio esercito del Sud, nonché di tutelare e soccorrere i reduci ed i mutilati. Queste organizzazioni crearono sezioni in ciascuno stato e, dopo alcuni anni, iniziarono a promuovere la pubblicazione di memorie di chi aveva partecipato al conflitto, per diffondere i contenuti delle esperienze belliche. Le sezioni spesso furono corredate di piccoli musei, incrementando il contributo a favore della storiografia. Nella speciale competizione della memorialistica i Confederati fornirono il contributo più significativo quando, nel 1876, fu costituita la Southern Historical Society che iniziò l’annuale pubblicazione di “Papers”, oltre 50 volumi pieni di testimonianze dirette. Nel 1892 inoltre l’antico capitano Samuel Cunningham iniziò a pubblicare il Confederate Veteran che per 40 anni avrebbe diffuso articoli sulla guerra e sui reduci. In effetti la Southern Historical Society divenne una lobby assai potente, controllata dall’ex-generale Confederato Jubal Early [#38], che influenzò per oltre un secolo la storiografia ufficiale, contrastando violentemente chiunque tentasse di dare interpretazioni diverse, come il Generale Ribelle Longstreet che, nei suoi scritti, fu critico circa talune scelte di Lee a Gettysburg. In effetti spesso questi generali continuarono a combattere con le loro memorie delle battaglie private e forse Destruction and Recostruction del Generale Richard Taylor può essere considerato il libro dai contenuti più obiettivi. Fra i generali Federali le opere più interessanti furono redatte da Grant, Sheridan e McClellan, ma anche Custer predispose le proprie memorie.

EPILOGO

Con il passare degli anni i ranghi dei reduci si assottigliarono: per il cinquantennale di Gettysburg, nel 1913, ve ne erano ancora molte migliaia in grado di presenziare alla cerimonia, ed alcune migliaia nel 1938 furono in grado di essere presenti al 75° anniversario, ma il loro numero prese a diminuire velocemente e l’ultimo reduce morì negli anni ‘50, mentre l’America si stava preparando a celebrare il Centenario della Guerra Civile. Oggi sono spariti, ma sono ancora ricordati per ciò che hanno fatto. Erano rudi, indisciplinati, sentimentali, ansiosi di dividere ciò che possedevano come di rapinarsi l’uno con l’altro, incorreggibili negli accampamenti e spesso coraggiosi in battaglia, ma erano l’America del tempo.

Per capire cosa rende la Guerra Civile Americana così particolare fra i conflitti similari, occorre avvicinarsi a quello che era l’animo del soldato medio, e comprenderlo. “Nessun encomio è troppo alto, nessun onore troppo alto per un tale soldato” scrisse il Generale Confederato Braxton Bragg, uno dei più odiati comandanti, parlando degli uomini che per lui non provavano, in genere, sentimenti favorevoli, “in assenza dell’istruzione e dell’addestramento del Vecchio Esercito” continuava “noi abbiamo dovuto far affidamento in gran parte sull’individualismo e la fiducia in sé stesso del soldato”, incapace di sperare nella gloria riservata agli ufficiali, e con nessun altro premio cui tendere “egli, nel confronto, comprese che doveva cercare al proprio interno le motivazioni per trovare quella determinazione che gli poteva consentire di vincere o morire”, i capi avrebbero ricevuto il loro premio ma “la storia conferirà il premio maggiore al semplice soldato” [#39].

Nessuno avrebbe potuto obiettare, le centinaia di migliaia di uomini che persero la vita, in qualsiasi modo, sono meritevoli di essere ricordati con rispetto, come scrisse il Generale William B. Bate dopo la battaglia di Chickamauga [#40]. Per i milioni che sopravvissero, la sfida che dovettero affrontare per ricostruire il paese fu altrettanto dura di quella che avevano superato combattendo, ed essi la superarono con lo stesso coraggio dimostrato su oltre 10.000 campi di battaglia.

NOTE

#1) Il Generale Federale chiedeva al proprio Governo che fossero offerte onorevoli condizioni di resa agli sconfitti.

#2) il nome popolare per indicare, genericamente, i due contendenti.

#3) E. B. Long, The Civil War Day by Day, New York 1971, p. 719

#4) A Gettysburg l’Armata Federale del Potomac guidata dal Generale Meade era riuscita a sconfiggere quella Confederata, comandata dal Generale Lee, che aveva tentato per la seconda volta di invadere il Nord. Vicksburg invece era caduta dopo l’assedio organizzato dall’armata Federale comandata dal Generale Grant; con la sua capitolazione la Confederazione aveva definitivamente perduto il controllo del fiume Mississippi.

#5) Francia e Gran Bretagna erano state più volte invitate a sostenere la Confederazione, ma avevano preferito attendere l’evolversi degli eventi. Naturalmente dopo Gettysburg e Vicksburg avevano rinunciato ad ogni proposito d’intervento.

#6) James Longstreet era stato uno dei migliori Generali della Confederazione, ed aveva spesso operato alle dipendenze di Lee nell’Armata della Northern Virginia

#7) James Longstreet, From Manassas to Appomattox, Philadelphia 1896, p. 584

#8) William C. Davis, "The Campaign to Appomattox", Civil War Times Illustrated, XIV, Aprile 1975, pp. 5-48.

#9) Due giorni prima della resa, il 7 aprile, Grant aveva scritto a Lee che “i risultati dell’ultima settimana ti dovrebbero aver convinto dell’inutilità di ogni ulteriore resistenza. Io comunque me ne sono reso conto e, per non esser responsabile di ulteriore spargimento di sangue, ti chiedo di arrenderti” Le aveva ricevuto la missiva, ma aveva risposto “Non ancora”, poiché il 7 esisteva ancora una minima speranza.. Cfr. William C. Davis, The Campaign to Appomattox”, Civil War Times Illustrated, XIV, Aprile 1975, p. 27. Al riguardo, ritenendo ancora che vi fossero delle possibilità, Lee chiese a Grant quali termini gli sarebbero stati offerti e Grant l’8 rispose “La pace è l’unica cosa che mi interessa”, spiegando che voleva solo che i soldati di Lee deponessero le armi e dessero la loro parola che non le avrebbero più riprese finchè, eventualmente, non fosse stato restituito un analogo numero di prigionieri Federali.

#10) L’Esercito Confederato aveva costituito unità con pellerossa.

#11) Richard Harwell e Philip Racine, The Fiery Trail, Knoxville 1896 p. 217

#12) Stephen Starr, The Union Cavalry in the Civil War, Baton Rouge, 1981, II p. 488

#13) Bruce Catton, A Stillness at Appomattox, New York 1983, p. 380

#14) William C. Davis, “The Campaign to Appomattox”, Civil War Times Illustrated, XIV, Aprile 1975, p. 41

#15) James J. Robertson Jr., The Civil War Letters of General Robert McAllister, New Brunswick, N. J., 1965, p. 614

#16) William C. Davis, The Orphan Brigade, New York 1980, p. 251

#17) Douglas S. Freeman, Lee’s Lieutenents, New York 1945, III, p. 740

#18) Douglas S. Freeman, Lee’s Lieutenents, New York 1945, III, p. 740

#19) Bruce Catton, A Stillness at Appomattox, New York 1983, p. 380

#20) Lee gli domandò come mai avesse tanto grigio nella barba, Meade rispose “tu lo sai bene!”. Meade, che aveva sconfitto Lee a Gettysburg, aveva partecipato alle battaglie vinte da Lee al Wilderness, a Chancellorsville, ed a Fredricksburg.

#21) Johnston prese parte al funerale, rimanendo in piedi, sotto la pioggia, mentre il corteo transitava. 5 settimane dopo moriva anch’egli, secondo alcuni per via del raffreddore preso nell’occasione. Cfr. William T. Sherman Memoirs, New York 1875, II, pp. 349-354 e William C. Davis, Breckinridge, pp. 512-513

#22) si trattava del più celebre reparto Confederato di quello Stato. Era così chiamata in quanto l’immediata occupazione del Kentucky da parte delle forze Federali li aveva immediatamente resi “orfani” della propria patria.

#23) Appunto privo di data nel Diario di Jackman, Biblioteca del Congresso.

#24) Durante la prima battaglia del Bull Run o di Manassas la brigata del Generale Jackson aveva sostenuto come “un muro di pietra”, Stonewall appunto, l’assalto avversario, venendo additata ad esempio. Secondo un’altra interpretazione, invece, l’appellativo avrebbe avuto origini meno eroiche: un altro comandante Confederato, il Generale Bee, aveva chiesto a Jackson di unirsi al contrattacco che era in procinto di lanciare, Jackson aveva risposto “io li attendo sulle punte delle mie baionette”. Bee nell’occasione aveva riunito uno dei suoi reggimenti, il 4° dell’Alabama, semisbandato, dicendo “Jackson sta fermo come un muro di pietra, noi scegliamo di morire qui, vinceremo, seguitemi!”. In effetti Jackson non dette ordini per organizzare un attacco, pertanto la frase di Bee si presta a due interpretazioni: poteva aver inteso che Jackson volesse lanciare una carica, ma poteva anche aver voluto esternare il proprio disgusto per un collega che preferiva attendere fermo “dietro le proprie baionette” senza partecipare allo scontro, in attesa di ordini, sulla cresta, relativamente al sicuro, mentre i resti della sua brigata e di quella di Bartow tornavano in linea. Il mistero rimane perché l’attacco di Bee si risolse in una carneficina: egli stesso ricevette una ferita mortale e morì dopo poche ore. Peraltro Jackson si sarebbe coperto di gloria durante la campagna condotta nella valle dello Shenandoah, contribuendo quindi in maniera significativa alle vittorie Confederate di Fredricksburg e Chancellorsville, battaglia ove fu ucciso per errore dai propri soldati.

#25) Joshua Chamberlain, The Passing of the Armies, New York 1915, pp260-261

#26) Ida Tarbell, “Disbanding the Confederate Army” e “How the Union Army was Disbanded”, Civil War Times Illustrated, Dic. 1967, Gen. 1968

#27) Al proposito, l’iconografia ufficiale presenta i Confederati in grigio ed i Federali in blu, ma in realtà non era inusuale che un reparto indossasse – specie all’inizio del conflitto – i colori della parte opposta e la cosa fu motivo di errori spiacevoli.

#28) Ida Tarbell, “How the Union Army was Disbanded”, Civil War Times Illustrated, Dic. 1967, pp. 4-5

#29) Ida Tarbell, “Disbanding the Confederate Army”, Civil War Times Illustrated, Gen. 1968, p. 14

#30) William C. Davis, “Confederate Exiles”, American History Illustrated, V, giugno 1970, pp. 30-43

#31) Wiliam C. Davis, Breckinridge, Statesman, Soldier, Symbol, Baton Rouge, La. 1974, pp. 521-540

#32) secondo fonti controverse

#33) William C. Davis, “The Campaign to Appomattox”, Civil War Times Illustrated, XIV, Aprile 1975, pp. 36-38

#34) Gli equipaggi delle navi corsare e di quelle che davano loro la caccia

#35) Ezra J. Warner, Generals in Gray, Baton Rouge, 1959, p. 368

#36) Tutto sommato non avrebbe avuto di che lamentarsi, atteso che gli venivano riconosciute 2 promozioni rispetto a ciò che era alla fine del conflitto, ma l’orgoglio ed il carattere non gli consentivano di accettare a cuor leggero di non sentirsi chiamare più “Generale”

#37) “Confederate Generals”, Southern Historical Society Papers, XXII, 1894, pp. 65-66, Ezra J. Warner, Generals in Gray, Baton Rouge, 1959 p. 268

#38) Combattente di Manassas e delle grandi battaglie nell’est, fu fra i migliori dipendenti di Lee.

#39) Bell I. Wiley e Hirst D. Milhollen, They Who Fought Here, New York 1959, p. 268

#40) Bell I. Wiley e Hirst D. Milhollen, They Who Fought Here, New York 1959, p. 268

BIBLIOGRAFIA

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