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LE OPERAZIONI MILITARI DELLA FLOTTA ITALIANA DEL MAR ROSSO giugno 1940 - aprile 1941
Articolo di Alberto Rosselli (le fotografie sono fornite dall'autore stesso)

Il 10 giugno 1940, la flotta italiana dislocata in Africa Orientale, disponeva di forze e di scorte del tutto insufficienti per intraprendere una guerra destinata, contrariamente alle opinioni di Roma, a durare molto più a lungo del previsto.

Come è noto, l'Impero d'Africa Orientale, un immenso territorio che comprendeva Eritrea, Etiopia e Somalia, risultava geograficamente isolato rispetto alla madrepatria e alla più vicina colonia italiana, la Libia. L'A.O.I. confinava infatti con possedimenti e colonie inglesi e francesi (Sudan, Kenya, Somalia francese e Somalia britannica) e, fatto ancora più grave, la sua linea costiera risultava troppo lunga e scarsamente difendibile da una flotta di superficie e sottomarina, che alla vigilia del conflitto non superava le trenta unità.

Inoltre, la vicinanza di importanti scali aeroportuali nemici (Porto Sudan, Aden, Gibuti, Mombasa) permise soprattutto all'Inghilterra di predisporre, fino dal mese di marzo del '40 (quando all'orizzonte iniziò a prospettarsi un possibile ingresso dell'Italia in guerra a fianco della Germania), di un'adeguata forza navale in grado non soltanto di rintuzzare eventuali iniziative italiane nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano, ma di insidiare da vicino l'unica grande base tricolore di tutto l'Impero, quella di Massaua.

La carenza di materie prime, nafta, pezzi di ricambio, munizioni, siluri e attrezzature e l'impossibilità di ricevere alcun aiuto consistente da parte della madrepatria, mise subito in una condizione di inequivocabile svantaggio la Squadra Italiana del Mar Rosso concentrata a Massaua.

Il cacciatorpediniere Pantera
Il cacciatorpediniere Pantera

Quest'ultima, in data 11 giugno '40, era composta dalla 5° Squadriglia Ct formata dai caccia (ex esploratori) Tigre, Pantera e Leone (1.530 tonnellate di dislocamento); dalla 3° Squadriglia Ct formata dai vecchi caccia C. Battisti, N. Sauro, D. Manin, F. Nullo (1060 tonn.); dalla nave coloniale Eritrea (2.170 tonn.); dalle torpediniere V.G. Orsini e G. Acerbi (670 tonn.); dalle cannoniere G. Biglieri (620 tonn.) e Porto Corsini (290 tonn.); dal posamine Ostia (620 tonn.); dai M.A.S. 204-206-210-213-216 e dalle navi armate (due moderne bananiere) Ramb I e Ramb II. Completavano la Flotta i sommergibili Archimede, Galilei, Torricelli e Ferraris (880/1.230 tonnellate di dislocamento), Galvani e Guglielmotti (896/1.265 tonn.) e Perla e Macallè (620/855 tonn.).

Sommergibile Galilei
Il sommergibile Galilei

E' da notare che, a parte la Flotta del Mar Rosso, l'Italia non disponeva per la difesa delle coste somale di alcuna nave militare degna di nota, salvo qualche antidiluviano dragamine ed alcuni sambuchi o velieri armati di mitragliatrici. Nella primavera del '40 il Comando Supremo della Marina progettò di mandare alcune unità (soprattutto sommergibili di grosso tonnellaggio) a Chisimaio, per insidiare, in caso di guerra, il traffico anglo-francese nell'Oceano Indiano, ma la pochezza degli impianti di quel piccolo porto (che, secondo logica, avrebbe dovuto essere attrezzato nella maniera idonea già negli anni Trenta), sconsigliò alla fine questa mossa.

Ma torniamo a Massaua. L'armamento principale, e originale, delle unità classe Tigre (navi da 31 nodi di velocità) era di 8 pezzi da 120/45, due da 76 e 6 tubi lanciasiluri, mentre quello delle unità classe Sauro (35 nodi di velocità) era composto (sempre in origine) di 4 pezzi da 102, due mitragliere da 40 e 6 tubi lanciasiluri. Poco prima dello scoppio della guerra e nel corso di quest'ultima l'armamento di alcune navi della Flotta del Mar Rosso venne modificato e trasposto per rinforzare le batterie terrestri e per rendere bellicamente efficienti le ex bananiere Ramb I e Ramb II (che vennero dotate, sembra, di 4 pezzi da 120 e alcune mitragliere da 13,2). Le torpediniere classe Orsini (30 nodi di velocità) erano invece dotate di 4 pezzi da 102/45 più 4 tubi lanciasiluri e le cannoniere (9 nodi di velocità) disponevano di due pezzi da 76/40. Il posamine Ostia aveva 2 cannoni da 102/45 e un pezzo da 76/40 e l'Eritrea poteva contare su 4 pezzi da 120/50, due mitragliere da 40 e due da 13,2.

La nave coloniale Eritrea
La nave coloniale Eritrea

Nel maggio del 1940, la Flottiglia Sommergibili italiana di base a Massaua era composta da otto unità: Archimede, Galilei, Torricelli, Ferraris, Galvani, Guglielmotti, Perla e Macallè. Archimede, Guglielmotti, Galvani e Torricelli avevano un dislocamento normale di 1.016/1.266 tonnellate ed erano armati con otto tubi lanciasiluri da 533 millimetri con 14 armi, più un pezzo prodiero da 100/43 e due impianti binati antiaerei da 13,2. Il Galilei e il Ferraris dislocavano invece 985/1.259 tonnellate ed erano armati con 8 tubi lanciasiluri da 533 con 16 armi, più due pezzi da 100/43 e due mitragliere antiaeree da 13,2 singole. Il Perla aveva un dislocamento normale di 696/825 tonnellate ed era armato con 6 tubi lanciasiluri da 533 millimetri con 12 armi, più un cannone da 100/47 e due mitragliere da 13,2. Il Macallè, infine, dislocava 680/848 tonnellate ed era armato con 6 tubi lanciasiluri da 533 con 12 armi, più un pezzo da 100/47 e due mitragliere da 13,2. Infine, i cinque vecchi ma velocissimi M.A.S. (da 40 nodi) dislocati a Massaua erano dotati di due siluri e di due mitragliatrici da 6,5 (o una da 13,2).

Le operazioni dei sommergibili

L'11 di giugno del '40, le prime unità della Flotta Italiana del Mar Rosso ad entrare in azione furono i sommergibili: un esordio purtroppo funestato da alcuni gravi incidenti di natura tecnica dovuti alle esalazioni di cloruro di metile provenienti dai primordiali impianti di refrigerazione di bordo. Gli avvelenamenti subiti dagli equipaggi del Perla e del Macallè portarono, oltre che alla morte e a gravi attacchi di demenza da intossicazione, addirittura all'incaglio del primo scafo e al naufragio del secondo. Mentre l'Archimede dovette, sempre a causa della fuoriuscita di cloruro di metile, rientrare precipitosamente a Massaua con una mezza dozzina di morti a bordo.

Il sommergibile Perla
Il sommergibile Perla

Sempre nel mese di giugno, il Galilei, che navigava nel Mar Rosso, venne individuato e attaccato con bombe di profondità da un paio di unità cacciasommergibili inglesi. Costretto a riemergere, il Galilei venne abbordato dalla corvetta Moonstone e catturato con tutto l'equipaggio. Malauguratamente, i marinai britannici riuscirono a mettere le mani sui codici cifrati e sui documenti operativi dell'unità, comunicando così alle basi di Porto Sudan e Aden l'esatta posizione delle altri navi italiane.

E fu così che, tra il 22 e il 23 giugno, cacciatorpediniere e corvette inglesi non ebbero difficoltà ad intercettare il Galvani e il Torricelli. L'equipaggio di quest'ultimo, tuttavia, riservò al nemico una fierissima resistenza. Costretto all'emersione rapida nello Stretto di Perim, il sommergibile italiano accettò l'impari fida a colpi di cannone e di mitragliere con tre caccia (Kartoum, Kandahar e Kingstone) e una cannoniera, la Shoreham, inglesi. Il comandante Pelosi e i suoi uomini, abbarbicati intorno ai due pezzi da 100 millimetri e alla "binata" da 13,2 affrontarono il fuoco di 22 canne da 120 e da 102 millimetri e di 25 mitragliere da 20 e 37 millimetri nemiche, riuscendo a danneggiare gravemente la cannoniera Shoreham. Nonostante il tiro incrociato nemico, Pelosi manovrò in modo da collimare il caccia Kartoum e gli lanciò contro due siluri che centrarono il bersaglio affondandolo. Dopo quasi un'ora di combattimento, l'unità italiana venne anch'essa colpita gravemente e Pelosi, seppur ferito, fece a tempo a mettere in salvo l'equipaggio e ad autoaffondare lo scafo.

Dopo questo scontro, i sommergibili italiani superstiti dovettero fare i conti con la scarsezza di nafta e di pezzi di ricambio, limitando giocoforza le loro azioni.

Il 13 agosto del '40, il Ferraris tentava di intercettare nel Mar Rosso la nave da battaglia inglese Royal Sovereign, proveniente da Suez, che tuttavia sfuggì all'agguato raggiungendo poi Aden.

Il 6 settembre, il Guglielmotti, appostato a sud delle isole arabe Farisan, riuscì invece a silurare e ad affondare la petroliera Atlas.

Tra il 20 e il 21 ottobre, il Guglielmotti e il Ferraris tentarono di intercettare un poderoso convoglio nemico (31 piroscafi scortati dall'incrociatore Leander, dal caccia Kimberley, da 5 "sloops" e protetto da 50 tra caccia e bombardieri di base ad Aden) proveniente dall'Indiano e diretto a Porto Sudan e Suez. Le due unità non riuscirono però ad incrociare il convoglio che venne però individuato dai caccia Pantera, Leone e Nullo.

Il fumaiolo del Nullo   Nello scontro con le navi di scorta, il Nullo venne colpito e affondato nei pressi dell'isola Harmil. La fotografia a fianco raffigura una formazione di caccia ed è stata scattata a bordo del Nullo.

Nel marzo del '41, quando ormai le riserve di carburante erano quasi esaurite e l'esercito inglese, proveniente dal Sudan, era in procinto di sfondare la linea difensiva di Cheren (Eritrea), Supermarina decise di fare rientrare in Europa (nella base atlantica di Bordeaux) gli ultimi quattro sommergibili di Massaua: Gugliemotti, Ferraris, Archimede e Perla, tentando un pericoloso viaggio senza scalo, con periplo africano, di oltre 14.000 miglia. L'impresa, giudicata rischiosissima dagli stessi alleati tedeschi, riuscì invece perfettamente. Tra il 1 e il 3 marzo, i quattro sommergibili (il primo fu il più piccolo Perla) lasciarono Massaua e, uno dopo l'altro, circumnavigando il continente africano, raggiunsero la base italiana di Betasom (Bordeaux). IL Guglielmotti ci mise 64 giorni e il Perla (che nelle acque del Madagascar venne rifornito di nafta dall'incrociatore corsaro tedesco Atlantis) ne impiegò ben ottanta.

Le azioni delle unità di superficie nel Mar Rosso

Dopo avere effettuato, dall'estate del '40 al febbraio del '41, 15 missioni nel corso delle quali i modesti mezzi italiani riuscirono ad infliggere qualche danno alle unità mercantili e militari inglesi, Supermarina, alla fine di marzo, decise di impiegare i superstiti caccia del Mar Rosso in una duplice e suicida operazione contro Porto Sudan e Suez, ordinando nel contempo alle altre unità ausiliarie a lunga autonomia (le due Ramb e la nave coloniale Eritrea di tentare di raggiungere il Giappone).

A tutti gli altri mercantili venne invece consigliato di tentare di guadagnare i più vicini approdi neutrali del Madagscar francese (dei 50 piroscafi italiani e tedeschi bloccati a Massaua fino dallo scoppio della guerra, soltanto due riuscirono a raggiungere lo scalo malgascio di Diego Suarez, mentre la motonave Himalaya, compiendo un record da guinness dei primati, decise di tagliare l'Oceano Indiano, raggiungendo il Pacifico, doppiando il Capo Horn e raggiungendo miracolosamente indenne il porto di Rio de Janeiro).

La motonave Himalaya
La motonave Himalaya

Furono quindi formate due squadriglie, la prima, formata dai Ct pesanti Leone, Pantera e Tigre, e la seconda dai più leggeri Sauro, Manin e Battisti. I "Leone" in virtù della loro maggiore autonomia avrebbero dovuto attaccare Suez, distante non meno di 50 ore di navigazione, mentre i "Sauro" avrebbero attaccato la più vicina Porto Sudan.

L'operazione contro Suez avrebbe dovuto avvantaggiarsi della cooperazione dell'aviazione tedesca che da Creta avrebbe dovuto colpire simultaneamente lo stesso obiettivo con almeno una squadriglia di bimotori Heinkel 111 da bombardamento. Tuttavia, all'ultimo momento, i tedeschi dichiararono la loro indisponibilità e al Comando delle forze navali italiane del Mar Rosso non rimase che ridimensionare il piano. Il 31 marzo, venne quindi deciso di far compiere ad entrambe le squadriglie un attacco congiunto contro Porto Sudan, distante 300 miglia. L'intera navigazione si sarebbe dovuta svolgere di notte e a tutta velocità per evitare di essere individuati dalla Royal Navy e dalla RAF che, dopo il crollo di Cheren e la distruzione di quasi tutta l'aviazione italiana, dominava incontrastata tutti i cieli dell'Africa Orientale.

Appena uscito dal porto di Massaua, il Ct Leone urtò con la prora uno scoglio e dovette abbandonare subito l'impresa. Poi, come da copione, dopo appena due ore, i rimanenti 5 caccia italiani iniziarono ad essere attaccati da gruppi di bimotori inglesi Bristol Blenheim. Pur rendendosi conto dell'inutilità dell'operazione (le forti difese terrestri e aeree di Porto Sudan erano già in allerta), gli italiani, con grande coraggio e un pizzico di follia, decisero di proseguire egualmente verso l'obiettivo. Per lo sforzo, le vecchie unità motrici del Battisti andarono ben presto in avaria e la nave venne dirottata lungo le coste arabe per essere autoaffondata dall'equipaggio. Alle prime luci dell'alba i rimanenti 4 cacciatorpedineri arrivarono a 30 miglia dall'obiettivo ma fu a quel punto che un vero e proprio nugolo di bombardieri e caccia britannici iniziò a bersagliarli con grandinate di ordigni da 110 e 224 chilogrammi. Zigzagando tra le alte colonne d'acqua e cercando di rispondere ai continui attacchi con il fuoco delle poche mitragliere da 13,2 in dotazione, le unità italiane furono ben presto costrette a rompere la formazione, sbandando a destra e a sinistra. Verso le 7,30, gli inglesi concentrarono i loro colpi sui più deboli Manin e Sauro che ben presto vennero colpiti, mentre il Pantera e il Tigre, intercettati anche da una squadriglia di cacciatorpediniere nemici puntarono ad est verso la costa araba per autoaffondarsi.

Alle ore 9, una bomba da 224 chilogrammi centrò in pieno il Sauro che in pochi minuti affondò con quasi tutto l'equipaggio, mentre il Manin, dimostrando una capacità di manovra e di difesa a dire poco straordinarie, riuscì a stare a galla per altre due ore, danneggiando con le sue 13,2 un paio di bombardieri inglesi. Poi, inquadrato da due bombe da 224 si spaccò improvvisamente in due tronconi, colando a picco. Alcuni superstiti vennero raccolti da navi inglesi alcuni giorni dopo, in un mare infestato dai pescicani attirati dal sangue di tante vittime.

Le ultime operazioni

Alla vigilia della caduta di Massaua (1 aprile 1941), rimanevano in porto due sole unità efficienti: la vetusta torpediniera Orsini e il MAS 213.

Il tenente di vascello Valente   La Orsini (al comando del tenente di vascello Valente, nella foto), al sopraggiungere delle prime colonne blindate britanniche, aprì subito il fuoco contro-costa con i suoi pezzi da 102 e 40, rallentando la marcia nemica nei pressi di Embereni. Poi, esaurite tutte le munizioni decise di autoaffondarsi.

L'8 aprile, il MAS 213 del guardiamarina Valenza ottenne il più brillante successo di tutta la campagna, attaccando e silurando l'incrociatore Capetown da 4.200 tonnellate (armamento: 5 pezzi da 152; due da 76; quattro da 47; due mitragliere da 40 e 9 da 20; otto tubi lanciasiluri). L'unità inglese, fortemente sbandata, venne trainata da alcuni rimorchiatori a Bombay dove rimase inutilizzata per un anno.

Ma anche dopo la caduta di Massaua, gli inglesi ebbero a patire un'ultima rilevante perdita, questa volta dovuta alle mine magnetiche italiane. Il 13 giugno, poco prima della caduta di Assab, l'incrociatore ausiliario britannico Parvati saltò in aria avendo urtato un ordigno all'entrata di questa base.

Come si è accennato le navi ausiliare delle Flotta Italiana del Mar Rosso (l'Eritrea, la Ramb I e la Ramb II) riuscirono a lasciare preventivamente la minacciata Massaua già all'inizio di febbraio, ma di queste soltanto l'Eritrea e la Ramb II raggiunsero la lontana Kobe alla fine di marzo.

La Ramb I, infatti, venne intercettata il 27 febbraio a sud-ovest delle isole Maldive dall'incrociatore inglese Leander che la affondò a cannonate.

Si concludeva così la vicenda della Squadra Navale Italiana del Mar Rosso che con la sua attività, seppur menomata dalla carenza di carburante, pezzi di ricambio e munizioni, riuscì senza dubbio a creare parecchi problemi alle Forze aeronavali britanniche impegnate nella conquista dell'Africa Orientale e nella sorveglianza delle rotte strategiche lungo il Mar Rosso.


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