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Argomento: Guerra del Vietnam - Recensione di Marco S. (07/07)

Si tratta di un libro che ha fatto un certo scalpore in USA per le sue tesi innovative sulla guerra del Vietnam, come del resto dimostra il titolo: "Trionfo abbandonato". Questo primo volume tratta del periodo di guerra dal 1954 al 28 luglio
1965, data dell'annuncio del presidente Johnson del primo massiccio impegno militare degli USA. E' destinato ad essere seguito da un secondo volume, per il rimanente periodo fino al 1975.
Per una sintesi del contenuto non trovo di meglio che quotare la recensione di Max Boot, riportata in sovracoperta: "E' comunemente ritenuto che Ho Chi Minh fosse soprattutto un nazionalista vietnamita, non un vero comunista; e che la sua vittoria fosse inevitabile. Che Ngo Dinh Diem fosse un reazionario impopolare e repressivo. Che gli Stati Uniti non avessero vitali interessi da difendere in Sud Vietnam. Che la "teoria del domino" fosse un mito. Che gli Stati Uniti avessero avuto ragione a non invadere il Laos ed il Nord Vietnam per timore di provocare l'intervento cinese. Mark Moyar, un storico giovane, coraggioso ed iconoclasta dà un colpo di maglio a tutte queste viete certezze". Naturalmente la citata recensione è anche viziata da un certo entusiasmo e va subito detto che il libro di Moyar è prima di tutto un trattato scientifico nello stretto significato del termine, come dimostrano le oltre 80 pagine di note, non un libro revisionista d'accatto; quindi le affermazioni di Boot, pur esatte nella loro sintesi, meriterebbero ben altri sviluppi e puntualizzazioni alla luce della lettura di questo volume.
Si tratta infatti di un libro che, forse, per la prima volta, fa ampio affidamento anche su fonti nordvietnamite: tanto per dirne una, finalmente i mitici "vietcong", venduti dalla propaganda social-comunista come il "popolo in armi" che, spontaneamente, combatte contro il più bieco imperialismo, ora vengono molto prosaicamente identificati con i numeri dei vari battaglioni, quasi sempre dell'Esercito del Nord Vietnam, coinvolti via via nelle differenti azioni. Gli eroici "portatori" sulla Pista di Ho Chi Minh, vengono chiaramente nominati come soldati nordvietnamiti del 559° Gruppo da Trasporto, per l'occasione dotati del leggendario "pigiama nero" dei vietcong (ma anche di autocarri pesanti, al di là della mitologia dell'omino nero, che fatica a morte per portare armi ai patrioti, dotato solo di una biciclettina e del suo furore proletario). Insomma, una guerra che fin da subito si configura come guerra tra i due stati vietnamiti, efficacemente propagandata nel mondo intero come una guerra "imperialista" contro un popolo inerme.
Ma Moyar non fa solo ampio affidamento su dati organici delle forze armate del Nord Vietnam, ma anche sulle delibere dei vari plenum, comitati centrali e politburò dei partiti comunisti vietnamita e cinese, che vanno regolarmente nel senso di confermare le sue tesi nei vari periodi, se si vuole leggere tra le righe della loro gustosissima sintassi. Quando infatti si legge qualcosa del tipo che l'"apparato di oppressione del governo-fantoccio sta espandendo la sua metifica influenza sulle popolazioni rurali", altro non significava che, in quel momento, il governo di Diem aveva acquisito il pieno controllo ed il consenso sulla maggioranza dei villaggi rurali e che il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) comunista era in grave crisi, non riuscendo ad infiltrarvi i suoi agitatori.
Ci sono anche numerose testimonianze di ex-funzionari dell'FLN che vengono portate da Moyar a supporto delle sue tesi. La più autorevole è certamente il giudizio dato dallo stesso Ho Chi Minh in merito alla decisione (1) degli americani di far cadere Diem e di lasciarlo assassinare dai golpisti, nel novembre 1963: "A stento avrei creduto che gli americani sarebbero stati così stupidi !!!!" esclama lo "Zio Ho", incerto tra l'entusiasmo per il "colpaccio" inatteso e lo scandalo "professionale", per la fine assurda di un uomo che egli stesso stimava moltissimo, sia pure come avversario. A fargli eco il Politburo nordvietnamita: "Diem era una delle più forti personalità che si opponevano al popolo ed al Comunismo [...] Diem era uno dei più competenti lacchè degli imperialisti americani [...] Tra gli anti-comunisti in Sud Vietnam ed in esilio in altri paesi, nessuno ha sufficienti risorse e capacità per farsi obbedire. Quindi, il governo-lacchè [del Sud Vietnam] non può più essere stabilizzato. Il colpo di stato del 1 novembre 1963 non sarà l'ultimo". A parte la gustosa mistura di insulti e lodi a Diem, questo era il pensiero reale del partito comunista nordvietnamita, subito dopo la caduta e l'assassinio di Diem; solo la disponibilità di qualche alto ufficiale sudvietnamita capace, tra gli ottimi selezionati da Diem, renderà non del tutto veritiera questa la profezia, permettendo al "governo-lacchè" di campare, pur tra molte vicissitudini, quasi 12 anni. Certo la propaganda comunista diffondeva nel mondo la tesi di un leader corrotto ed incapace; l'efficacia di questo castello di falsità riconosciute si può misurare ancor oggi, perché ancor oggi ci sono persone che sostengono che il più grande errore degli USA in Vietnam sia stato quello di sostenere Diem per 10 anni e non farlo cadere prima!
Moyar demolisce minuziosamente queste tesi, anche radiografando l'errata visione e gli inconfessati pregiudizi di molti giornalisti americani, come Halberstam del "New York Times", che contribuirono a creare quelle false certezze sul Vietnam e su Diem in larga parte dell'opinione pubblica occidentale. Ed anche il loro ruolo in "feed-back" sulla politica sudvietnamita, che interpretava i "fondi" del "New York Times" come il parere "ufficioso" del governo USA (prendendo molto sul serio anche tutta la stampa americana in genere), nonché l'effetto su alcuni diplomatici USA, che tendevano anch'essi prenderli per "oro colato", ispirato da chissà quali fonti (spesso solo qualche intellettuale francofono od anglofono scontento, intervistato comodamente in qualche caffè a Saigon (2), che in alcuni casi si sarebbe pure rivelato un agente comunista) Moyar approfondisce molto i più noti "pezzi", facendo riferimento a documenti del Nord e del Sud, nonché ad articoli di giornalisti meno orientati, per dimostrarne la quasi sistematica superficialità, inesattezza o incoerenza rispetto al reale quadro generale.
Nel libro di Moyar vengono fornite testimonianze ufficiali ed ufficiose, sia dal Sud, che dal Nord, che dai consiglieri militari americani sul campo, i dati statistici sulla guerra, sull'andamento del piano dei villaggi strategici e sull'economia del Sud, che concorrono tutte verso le tesi sostenute dall'autore e cioè confermano che il governo Diem è stato un governo di grandi successi (3), se escludiamo il breve periodo tra il 1960 e la metà del 1961. Moyar non ha paura di essere noioso o di insultare la nostra perspicacia, risparmiandoci qualche considerazione, qualche dato o qualche fatto. Sotto questo aspetto "Triumph Forsaken" non è un libro di agevole lettura, anche per chi ben padroneggia l'inglese. E' comunque una miniera di prove a favore delle tesi sostenute, che reputo molto difficile poter liquidare con due parole sprezzanti, come d'uso in certi ambienti culturali rosseggianti, di fronte a certe tesi odiosamente "reazionarie".
E' impossibile sintetizzare il complesso e ben articolato ragionamento che fa da ossatura a questo libro. Mi limiterò a dire qualcosa, prendendo magari le tesi più suggestive, tra le tante che Moyar è stato in grado di dimostrare.
Ngo Dinh Diem è il grande protagonista del libro. Moyar presenta Diem come un sincero, capace, orgoglioso ed onesto nazionalista, il più grande leader politico prodotto dal movimento anticolonialista vietnamita. Superiore persino ad Ho Chi Minh, poiché l'integrità nazionalista di quest'ultimo era largamente viziata dalla sua dipendenza dagli ideali comunisti internazionalisti e dalle potenze che li interpretavano nel mondo. Diem, invece, non sarà mai servile verso gli USA, che tratterà sempre su un piano di parità morale, e questo avrà per lui effetti d'immagine molto negativi sull'opinione pubblica occidentale, quando si abbinavano alla sua falsa immagine di tirannello corrotto ed incapace (e quindi pure "disubbidiente") Bui Tin, alto dirigente del FLN, che avrà l'onore di accettare la resa del governo di Saigon nel 1975, anni dopo ammetterà la superiore statura morale e politica di Diem, persino rispetto al suo leader Ho Chi Minh, anch'egli peraltro estimatore di Diem, che considerava "un patriota come me, ma in modo differente". Purtroppo Diem non avrà a sua disposizione l'apparato di propaganda di Ho Chi Minh, per far vedere alla gente lucciole per lanterne, e dovrà fare farina con il suo grano.
Nel 1954 Diem assume la guida del Sud Vietnam, con un paese allo sbando economico e con la guerriglia sul suo territorio, dopo la sconfitta francese di Dien Bien Phu. Pochi nel mondo scommettono sulla sua durata: il Sud Vietnam è già carne fresca pronta per le zanne di Ho Chi Minh e Giap ! Diem ha molta esperienza come pubblico funzionario, prima di cadere in disgrazia dell'amministrazione coloniale francese. E' conosciuto nelle campagne di molte province vietnamite come un funzionario attento, pratico, operativo sul terreno e capace di risolvere efficacemente i problemi, nella più sana tradizione mandarina degli amministratori del suo paese, un vero "sacerdozio" verso il pubblico servizio, che vieta persino l'avere la "distrazione" di una propria famiglia (Diem, come Ho Chi Minh, non prenderà mai moglie: una scelta non casuale ma di preciso valore morale nello specifico della cultura politica vietnamita dell'epoca ).
Quando assume il governo del Sud Vietnam, Diem è stimatissimo tra le masse rurali, ma trova nelle città una significativa opposizione nella borghesia coloniale vietnamita, composta in gran parte da imprenditori legati ai pubblici appalti e da funzionari ed ufficiali coloniali, mediamente incapaci, per tacere ovviamente dei vari signorotti padroni di vere e proprie enclaves di illegalità, nella tolleranza dell'amministrazione francese. Diem si adopera con energia per sostituire costoro con una vera amministrazione statale e con delle vere imprese agricole, per consolidare lo stato, attirandosi però così l'odio di queste elites, nel cui malcontento si insinuerà facilmente l'azione eversiva dei comunisti del nord. Gli ambienti della borghesia urbana sono largamente minoritari in Vietnam, ma hanno il grosso vantaggio di vivere nelle città e di condividere con l'Occidente lingua e mentalità ed esercitano così una grandissima influenza sui corrispondenti occidentali, per delineare da subito il mito di Diem cinico, corrotto, reazionario e privo di sostanziale sostegno popolare. Diem riuscirà sempre e tenerli bada, sventando qualche velleitario tentativo di colpo di stato, facendo nel contempo progredire l'amministrazione governativa e l'economia del Vietnam, almeno fino alla campagna degli agitatori buddhisti per la libertà religiosa, di cui Moyar dimostra la pretestuosità e la ampia infiltrazione da parte dei comunisti. Le immagini del bonzo che si dà fuoco, faranno il giro del mondo, suscitando un'ondata emotiva che permise, finalmente, ai nemici di Diem, al Sud, al Nord ed negli USA, di abbatterlo, riuscendo persino a forzare la mano al medesimo presidente Kennedy.
Alla vigilia della caduta, il governo Diem aveva il quasi totale controllo della aree rurali e l'esercito sudvietnamita cominciava a rassicurare tutti i consiglieri militari americani, in termini di aggressività e professionalità, tanto che molti di loro parlavano apertamente di disimpegno nella assistenza militare diretta. Anche le fonti comuniste coeve erano assolutamente pessimiste in merito alla possibilità di rovesciare la situazione nel breve e medio termine. Rimaneva sul campo solo il problema del controllo del Laos, attraverso il quale il Nord infiltrava i suoi soldati per attaccare il Sud e poi la sconfitta del Nord sarebbe stata inevitabile.
Anche sul Laos, Moyar evidenzia l'incertezza di Kennedy, malgrado Eisenhower e lo stato maggiore invocassero l'intervento militare americano, per interrompere questa via di infiltrazione, in aperta violazione degli accordi internazionali di neutralizzazione. Prima della caduta di Diem, l'azione USA a sostegno di Diem aveva indebolito la causa comunista dividendo la Cina dall'URSS. Nello stesso periodo, la Cina è ben lungi dall'avere un atteggiamento aggressivo, in quanto teme un ripetersi della sanguinosa esperienza coreana e teme addirittura di rischiare l'invasione del suo territorio (tutto sulla base di testimonianze cinesi). Il Nord Vietnam, che in caso di invasione USA verrebbe abbandonato dalla Cina, tende a riavvicinarsi all'URSS. La caduta di Diem cambia naturalmente la percezione comunista sulla determinazione del nemico e quindi modifica queste linee politico-strategiche, verso una politica più coraggiosa ed aggressiva. Ciò mi pare provi quanto può essere catastrofico mostrarsi deboli, oltre ogni logica, in politica internazionale ("Chi pecora si fa..")
Andando alla cosiddetta "strategia del domino" che, dopo la caduta di Saigon nel 1975, secondo molti si sarebbe rivelata "una bufala", in quanto nessun altro stato dell'area cadde poi in potere dei comunisti, Moyar dimostra che all'inizio degli anni '60 tutti i leader dell'area ragionavano in termini di "domino", gli uni per invocare la protezione degli USA, gli altri per decidere le future azioni di espansione del comunismo. All'inizio degli anni '60 la "strategia del domino" era condivisa da tutti i soggetti politici nell'area e se poi questa, 15 anni dopo, non si è dimostrata vera, ciò non è certo indipendente dal fatto che gli USA si erano nel frattempo impegnati militarmente in Vietnam, infliggendo perdite dolorose ai nemici e rassicurando gli amici. La guerra del Vietnam non è stata una passeggiata per nessuno.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma è necessario terminare qui. Il volume, come già detto, ha oltre 500 pagine e questo è solo un assaggio. Nessuno si illuda di poterlo contestare senza leggerlo, sulla base dei corposi cenni qui riportati, perché c'è molto, molto di più.
Note
1. Moyar dimostra che Diem ebbe sempre il sostegno della presidenza USA, anche di quella Kennedy, che lo stimava molto. Nel novembre 1963, però, Kennedy si fece letteralmente "prendere la mano" dall'ambasciatore USA in Vietnam, Lodge, repubblicano, suo avversario politico, che lo mise di fronte al fatto compiuto del golpe militare contro Diem. Non si può quindi parlare di vera e propria "decisione" presidenziale di far cadere Diem, ma solo di un tentativo di fargli pressione, sfruttato spregiudicatamente a livello locale per farlo cadere. Kennedy e McNamara erano furiosi con Lodge dopo il golpe. La gestione della crisi evidenzia, a mio giudizio, una grave mancanza di polso di Kennedy, che mi pare solo l'ultimo errore di una serie, che va dalla Baia dei Porci, passando per il Laos, a disegnare una presidenza fallimentare, che contrasta rudemente con l'immagine iconica che ancor oggi persiste, anche nella toponomastica italiana. [torna su]
2. Molto indicativo è il fatto che il più importante manifesto contro il governo Diem, il "Manifesto del Caravelle" (1960) prendesse il nome dal più lussuoso hotel di Saigon, in cui si riunirono liberamente un gruppo di intellettuali scontenti: una cosa poco praticabile ad Hanoi, mi pare. [torna su]
3. Viene citata, per esempio la rapidissima e brillante sistemazione di oltre un milione di rifugiati, ereditati dal Nord Vietnam, dopo la caduta in mano comunista. L'azione incisiva di Diem per il rinnovamento, in senso meritocratico, dei governatori di provincia e degli ufficiali dell'esercito, in contraddizione con chi dipingeva Diem come un corrotto nepotista. Per quanto riguarda l'esercito, Moyar ridimensiona la tanto sbandierata sconfitta di Ap Bac, subita dall'esercito Sud Vietnamita del gennaio 1963 e dovuta soltanto a gravi errori di valutazione tecnico-tattiche del comandante dei consiglieri militari USA, che la stampa portò come prova che i sudvietnamiti non erano combattivi, mentre proprio in quegli anni (e anche in quel fatto d'armi) ai consiglieri militari appariva l'esatto contrario. Nei primi 5 anni del governo Diem (1954-1959) si raddoppia la produzione di riso, si quintuplica quella zootecnica ed aumenta del 50% la produzione di gomma. Il Vietnam diventa un paese in via di sviluppo, compatibilmente con la situazione interna di occupazione militare ostile. Diem formula e sostiene, talvolta anche in contrasto con le "teste d'uovo" del governo americano, la tesi del ruolo strategico chiave delle province montane vietnamite settentrionali, contro la tesi del delta del Mekong. La storia gli darà ragione, come anche la visione strategica coeva di Ho Chi Minh, che sosteneva la stessa identica tesi (e questo solo fatto avrebbe dato comunque ragione a Diem !). Certo Diem è molto prudente ad allargare la base di governo, in una situazione di guerra, avendo la certezza di favorire solo forze a lui ostili (elite coloniali e comunisti), atteso che le masse contadine non avrebbero avuto ancora modo di "fare politica". [torna su]
Per una sintesi del contenuto non trovo di meglio che quotare la recensione di Max Boot, riportata in sovracoperta: "E' comunemente ritenuto che Ho Chi Minh fosse soprattutto un nazionalista vietnamita, non un vero comunista; e che la sua vittoria fosse inevitabile. Che Ngo Dinh Diem fosse un reazionario impopolare e repressivo. Che gli Stati Uniti non avessero vitali interessi da difendere in Sud Vietnam. Che la "teoria del domino" fosse un mito. Che gli Stati Uniti avessero avuto ragione a non invadere il Laos ed il Nord Vietnam per timore di provocare l'intervento cinese. Mark Moyar, un storico giovane, coraggioso ed iconoclasta dà un colpo di maglio a tutte queste viete certezze". Naturalmente la citata recensione è anche viziata da un certo entusiasmo e va subito detto che il libro di Moyar è prima di tutto un trattato scientifico nello stretto significato del termine, come dimostrano le oltre 80 pagine di note, non un libro revisionista d'accatto; quindi le affermazioni di Boot, pur esatte nella loro sintesi, meriterebbero ben altri sviluppi e puntualizzazioni alla luce della lettura di questo volume.
Si tratta infatti di un libro che, forse, per la prima volta, fa ampio affidamento anche su fonti nordvietnamite: tanto per dirne una, finalmente i mitici "vietcong", venduti dalla propaganda social-comunista come il "popolo in armi" che, spontaneamente, combatte contro il più bieco imperialismo, ora vengono molto prosaicamente identificati con i numeri dei vari battaglioni, quasi sempre dell'Esercito del Nord Vietnam, coinvolti via via nelle differenti azioni. Gli eroici "portatori" sulla Pista di Ho Chi Minh, vengono chiaramente nominati come soldati nordvietnamiti del 559° Gruppo da Trasporto, per l'occasione dotati del leggendario "pigiama nero" dei vietcong (ma anche di autocarri pesanti, al di là della mitologia dell'omino nero, che fatica a morte per portare armi ai patrioti, dotato solo di una biciclettina e del suo furore proletario). Insomma, una guerra che fin da subito si configura come guerra tra i due stati vietnamiti, efficacemente propagandata nel mondo intero come una guerra "imperialista" contro un popolo inerme.
Ma Moyar non fa solo ampio affidamento su dati organici delle forze armate del Nord Vietnam, ma anche sulle delibere dei vari plenum, comitati centrali e politburò dei partiti comunisti vietnamita e cinese, che vanno regolarmente nel senso di confermare le sue tesi nei vari periodi, se si vuole leggere tra le righe della loro gustosissima sintassi. Quando infatti si legge qualcosa del tipo che l'"apparato di oppressione del governo-fantoccio sta espandendo la sua metifica influenza sulle popolazioni rurali", altro non significava che, in quel momento, il governo di Diem aveva acquisito il pieno controllo ed il consenso sulla maggioranza dei villaggi rurali e che il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) comunista era in grave crisi, non riuscendo ad infiltrarvi i suoi agitatori.
Ci sono anche numerose testimonianze di ex-funzionari dell'FLN che vengono portate da Moyar a supporto delle sue tesi. La più autorevole è certamente il giudizio dato dallo stesso Ho Chi Minh in merito alla decisione (1) degli americani di far cadere Diem e di lasciarlo assassinare dai golpisti, nel novembre 1963: "A stento avrei creduto che gli americani sarebbero stati così stupidi !!!!" esclama lo "Zio Ho", incerto tra l'entusiasmo per il "colpaccio" inatteso e lo scandalo "professionale", per la fine assurda di un uomo che egli stesso stimava moltissimo, sia pure come avversario. A fargli eco il Politburo nordvietnamita: "Diem era una delle più forti personalità che si opponevano al popolo ed al Comunismo [...] Diem era uno dei più competenti lacchè degli imperialisti americani [...] Tra gli anti-comunisti in Sud Vietnam ed in esilio in altri paesi, nessuno ha sufficienti risorse e capacità per farsi obbedire. Quindi, il governo-lacchè [del Sud Vietnam] non può più essere stabilizzato. Il colpo di stato del 1 novembre 1963 non sarà l'ultimo". A parte la gustosa mistura di insulti e lodi a Diem, questo era il pensiero reale del partito comunista nordvietnamita, subito dopo la caduta e l'assassinio di Diem; solo la disponibilità di qualche alto ufficiale sudvietnamita capace, tra gli ottimi selezionati da Diem, renderà non del tutto veritiera questa la profezia, permettendo al "governo-lacchè" di campare, pur tra molte vicissitudini, quasi 12 anni. Certo la propaganda comunista diffondeva nel mondo la tesi di un leader corrotto ed incapace; l'efficacia di questo castello di falsità riconosciute si può misurare ancor oggi, perché ancor oggi ci sono persone che sostengono che il più grande errore degli USA in Vietnam sia stato quello di sostenere Diem per 10 anni e non farlo cadere prima!
Moyar demolisce minuziosamente queste tesi, anche radiografando l'errata visione e gli inconfessati pregiudizi di molti giornalisti americani, come Halberstam del "New York Times", che contribuirono a creare quelle false certezze sul Vietnam e su Diem in larga parte dell'opinione pubblica occidentale. Ed anche il loro ruolo in "feed-back" sulla politica sudvietnamita, che interpretava i "fondi" del "New York Times" come il parere "ufficioso" del governo USA (prendendo molto sul serio anche tutta la stampa americana in genere), nonché l'effetto su alcuni diplomatici USA, che tendevano anch'essi prenderli per "oro colato", ispirato da chissà quali fonti (spesso solo qualche intellettuale francofono od anglofono scontento, intervistato comodamente in qualche caffè a Saigon (2), che in alcuni casi si sarebbe pure rivelato un agente comunista) Moyar approfondisce molto i più noti "pezzi", facendo riferimento a documenti del Nord e del Sud, nonché ad articoli di giornalisti meno orientati, per dimostrarne la quasi sistematica superficialità, inesattezza o incoerenza rispetto al reale quadro generale.
Nel libro di Moyar vengono fornite testimonianze ufficiali ed ufficiose, sia dal Sud, che dal Nord, che dai consiglieri militari americani sul campo, i dati statistici sulla guerra, sull'andamento del piano dei villaggi strategici e sull'economia del Sud, che concorrono tutte verso le tesi sostenute dall'autore e cioè confermano che il governo Diem è stato un governo di grandi successi (3), se escludiamo il breve periodo tra il 1960 e la metà del 1961. Moyar non ha paura di essere noioso o di insultare la nostra perspicacia, risparmiandoci qualche considerazione, qualche dato o qualche fatto. Sotto questo aspetto "Triumph Forsaken" non è un libro di agevole lettura, anche per chi ben padroneggia l'inglese. E' comunque una miniera di prove a favore delle tesi sostenute, che reputo molto difficile poter liquidare con due parole sprezzanti, come d'uso in certi ambienti culturali rosseggianti, di fronte a certe tesi odiosamente "reazionarie".
E' impossibile sintetizzare il complesso e ben articolato ragionamento che fa da ossatura a questo libro. Mi limiterò a dire qualcosa, prendendo magari le tesi più suggestive, tra le tante che Moyar è stato in grado di dimostrare.
Ngo Dinh Diem è il grande protagonista del libro. Moyar presenta Diem come un sincero, capace, orgoglioso ed onesto nazionalista, il più grande leader politico prodotto dal movimento anticolonialista vietnamita. Superiore persino ad Ho Chi Minh, poiché l'integrità nazionalista di quest'ultimo era largamente viziata dalla sua dipendenza dagli ideali comunisti internazionalisti e dalle potenze che li interpretavano nel mondo. Diem, invece, non sarà mai servile verso gli USA, che tratterà sempre su un piano di parità morale, e questo avrà per lui effetti d'immagine molto negativi sull'opinione pubblica occidentale, quando si abbinavano alla sua falsa immagine di tirannello corrotto ed incapace (e quindi pure "disubbidiente") Bui Tin, alto dirigente del FLN, che avrà l'onore di accettare la resa del governo di Saigon nel 1975, anni dopo ammetterà la superiore statura morale e politica di Diem, persino rispetto al suo leader Ho Chi Minh, anch'egli peraltro estimatore di Diem, che considerava "un patriota come me, ma in modo differente". Purtroppo Diem non avrà a sua disposizione l'apparato di propaganda di Ho Chi Minh, per far vedere alla gente lucciole per lanterne, e dovrà fare farina con il suo grano.
Nel 1954 Diem assume la guida del Sud Vietnam, con un paese allo sbando economico e con la guerriglia sul suo territorio, dopo la sconfitta francese di Dien Bien Phu. Pochi nel mondo scommettono sulla sua durata: il Sud Vietnam è già carne fresca pronta per le zanne di Ho Chi Minh e Giap ! Diem ha molta esperienza come pubblico funzionario, prima di cadere in disgrazia dell'amministrazione coloniale francese. E' conosciuto nelle campagne di molte province vietnamite come un funzionario attento, pratico, operativo sul terreno e capace di risolvere efficacemente i problemi, nella più sana tradizione mandarina degli amministratori del suo paese, un vero "sacerdozio" verso il pubblico servizio, che vieta persino l'avere la "distrazione" di una propria famiglia (Diem, come Ho Chi Minh, non prenderà mai moglie: una scelta non casuale ma di preciso valore morale nello specifico della cultura politica vietnamita dell'epoca ).
Quando assume il governo del Sud Vietnam, Diem è stimatissimo tra le masse rurali, ma trova nelle città una significativa opposizione nella borghesia coloniale vietnamita, composta in gran parte da imprenditori legati ai pubblici appalti e da funzionari ed ufficiali coloniali, mediamente incapaci, per tacere ovviamente dei vari signorotti padroni di vere e proprie enclaves di illegalità, nella tolleranza dell'amministrazione francese. Diem si adopera con energia per sostituire costoro con una vera amministrazione statale e con delle vere imprese agricole, per consolidare lo stato, attirandosi però così l'odio di queste elites, nel cui malcontento si insinuerà facilmente l'azione eversiva dei comunisti del nord. Gli ambienti della borghesia urbana sono largamente minoritari in Vietnam, ma hanno il grosso vantaggio di vivere nelle città e di condividere con l'Occidente lingua e mentalità ed esercitano così una grandissima influenza sui corrispondenti occidentali, per delineare da subito il mito di Diem cinico, corrotto, reazionario e privo di sostanziale sostegno popolare. Diem riuscirà sempre e tenerli bada, sventando qualche velleitario tentativo di colpo di stato, facendo nel contempo progredire l'amministrazione governativa e l'economia del Vietnam, almeno fino alla campagna degli agitatori buddhisti per la libertà religiosa, di cui Moyar dimostra la pretestuosità e la ampia infiltrazione da parte dei comunisti. Le immagini del bonzo che si dà fuoco, faranno il giro del mondo, suscitando un'ondata emotiva che permise, finalmente, ai nemici di Diem, al Sud, al Nord ed negli USA, di abbatterlo, riuscendo persino a forzare la mano al medesimo presidente Kennedy.
Alla vigilia della caduta, il governo Diem aveva il quasi totale controllo della aree rurali e l'esercito sudvietnamita cominciava a rassicurare tutti i consiglieri militari americani, in termini di aggressività e professionalità, tanto che molti di loro parlavano apertamente di disimpegno nella assistenza militare diretta. Anche le fonti comuniste coeve erano assolutamente pessimiste in merito alla possibilità di rovesciare la situazione nel breve e medio termine. Rimaneva sul campo solo il problema del controllo del Laos, attraverso il quale il Nord infiltrava i suoi soldati per attaccare il Sud e poi la sconfitta del Nord sarebbe stata inevitabile.
Anche sul Laos, Moyar evidenzia l'incertezza di Kennedy, malgrado Eisenhower e lo stato maggiore invocassero l'intervento militare americano, per interrompere questa via di infiltrazione, in aperta violazione degli accordi internazionali di neutralizzazione. Prima della caduta di Diem, l'azione USA a sostegno di Diem aveva indebolito la causa comunista dividendo la Cina dall'URSS. Nello stesso periodo, la Cina è ben lungi dall'avere un atteggiamento aggressivo, in quanto teme un ripetersi della sanguinosa esperienza coreana e teme addirittura di rischiare l'invasione del suo territorio (tutto sulla base di testimonianze cinesi). Il Nord Vietnam, che in caso di invasione USA verrebbe abbandonato dalla Cina, tende a riavvicinarsi all'URSS. La caduta di Diem cambia naturalmente la percezione comunista sulla determinazione del nemico e quindi modifica queste linee politico-strategiche, verso una politica più coraggiosa ed aggressiva. Ciò mi pare provi quanto può essere catastrofico mostrarsi deboli, oltre ogni logica, in politica internazionale ("Chi pecora si fa..")
Andando alla cosiddetta "strategia del domino" che, dopo la caduta di Saigon nel 1975, secondo molti si sarebbe rivelata "una bufala", in quanto nessun altro stato dell'area cadde poi in potere dei comunisti, Moyar dimostra che all'inizio degli anni '60 tutti i leader dell'area ragionavano in termini di "domino", gli uni per invocare la protezione degli USA, gli altri per decidere le future azioni di espansione del comunismo. All'inizio degli anni '60 la "strategia del domino" era condivisa da tutti i soggetti politici nell'area e se poi questa, 15 anni dopo, non si è dimostrata vera, ciò non è certo indipendente dal fatto che gli USA si erano nel frattempo impegnati militarmente in Vietnam, infliggendo perdite dolorose ai nemici e rassicurando gli amici. La guerra del Vietnam non è stata una passeggiata per nessuno.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma è necessario terminare qui. Il volume, come già detto, ha oltre 500 pagine e questo è solo un assaggio. Nessuno si illuda di poterlo contestare senza leggerlo, sulla base dei corposi cenni qui riportati, perché c'è molto, molto di più.
Note
1. Moyar dimostra che Diem ebbe sempre il sostegno della presidenza USA, anche di quella Kennedy, che lo stimava molto. Nel novembre 1963, però, Kennedy si fece letteralmente "prendere la mano" dall'ambasciatore USA in Vietnam, Lodge, repubblicano, suo avversario politico, che lo mise di fronte al fatto compiuto del golpe militare contro Diem. Non si può quindi parlare di vera e propria "decisione" presidenziale di far cadere Diem, ma solo di un tentativo di fargli pressione, sfruttato spregiudicatamente a livello locale per farlo cadere. Kennedy e McNamara erano furiosi con Lodge dopo il golpe. La gestione della crisi evidenzia, a mio giudizio, una grave mancanza di polso di Kennedy, che mi pare solo l'ultimo errore di una serie, che va dalla Baia dei Porci, passando per il Laos, a disegnare una presidenza fallimentare, che contrasta rudemente con l'immagine iconica che ancor oggi persiste, anche nella toponomastica italiana. [torna su]
2. Molto indicativo è il fatto che il più importante manifesto contro il governo Diem, il "Manifesto del Caravelle" (1960) prendesse il nome dal più lussuoso hotel di Saigon, in cui si riunirono liberamente un gruppo di intellettuali scontenti: una cosa poco praticabile ad Hanoi, mi pare. [torna su]
3. Viene citata, per esempio la rapidissima e brillante sistemazione di oltre un milione di rifugiati, ereditati dal Nord Vietnam, dopo la caduta in mano comunista. L'azione incisiva di Diem per il rinnovamento, in senso meritocratico, dei governatori di provincia e degli ufficiali dell'esercito, in contraddizione con chi dipingeva Diem come un corrotto nepotista. Per quanto riguarda l'esercito, Moyar ridimensiona la tanto sbandierata sconfitta di Ap Bac, subita dall'esercito Sud Vietnamita del gennaio 1963 e dovuta soltanto a gravi errori di valutazione tecnico-tattiche del comandante dei consiglieri militari USA, che la stampa portò come prova che i sudvietnamiti non erano combattivi, mentre proprio in quegli anni (e anche in quel fatto d'armi) ai consiglieri militari appariva l'esatto contrario. Nei primi 5 anni del governo Diem (1954-1959) si raddoppia la produzione di riso, si quintuplica quella zootecnica ed aumenta del 50% la produzione di gomma. Il Vietnam diventa un paese in via di sviluppo, compatibilmente con la situazione interna di occupazione militare ostile. Diem formula e sostiene, talvolta anche in contrasto con le "teste d'uovo" del governo americano, la tesi del ruolo strategico chiave delle province montane vietnamite settentrionali, contro la tesi del delta del Mekong. La storia gli darà ragione, come anche la visione strategica coeva di Ho Chi Minh, che sosteneva la stessa identica tesi (e questo solo fatto avrebbe dato comunque ragione a Diem !). Certo Diem è molto prudente ad allargare la base di governo, in una situazione di guerra, avendo la certezza di favorire solo forze a lui ostili (elite coloniali e comunisti), atteso che le masse contadine non avrebbero avuto ancora modo di "fare politica". [torna su]
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