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Argomento: Albert Speer - Recensione di Antonio Plescia 09/04

Le "Memorie del Terzo Reich" sono un'autobiografia e insieme un'analisi del nazismo, a partire dall'ascesa di Hitler al potere fino al crollo definitivo dell'impero. Albert Speer, architetto ufficiale del regime prima, e ministro degli armamenti dopo, racconta la propria esperienza umana all'interno della cerchia degli intimi di Hitler. Tra grandiosi progetti urbanistici e intrighi di corte, catastrofi militari e attentati, la narrazione procede fino al processo di Norimberga. Grosso modo, il libro potrebbe diviso in 4 parti: la giovinezza di Speer; Speer architetto del regime; Speer ministro del Reich; la prigionia di Norimberga.
La più grande critica che è stata mossa a Speer, riguardo all'opera in questione, è stata quella di aver completamente tralasciato l'Olocausto. In effetti, nel libro sono presenti solo pochi accenni sull'argomento, tuttavia non bisogna dimenticare che il suddetto non è un'opera storiografica, bensì autobiografica. Stando a quanto racconta Speer, non sembra assurdo pensare che egli fosse totalmente estraneo allo sterminio degli ebrei. Del resto, solo pochi intimi di Hitler, oltre che ovviamente le SS, erano realmente a conoscenza dell'ecatombe:
"Un giorno - era forse l'estate del 1944 - venne a farmi visita l'amico Karl Hanke, Gauletier della Bassa Slesia. Anni prima mi aveva parlato a lungo della guerra in Polonia e in Francia, dei morti e dei feriti, del dolore e del tormento, mostrandosi, allora, uomo profondamente sensibile e capace di compassione. Ora, però, appariva estremamente confuso. La sua voce mi giungeva incerta e spezzata dalla poltroncina di cuoio verde del mio studio, su cui sedeva. Mi diceva che se mi avessero invitato a visitare un certo campo di concentramento dell'Alta Slesia non avrei dovuto mai e poi mai dovuto aderire all'invito. Mai, per nessuna ragione. Lassù, diceva, aveva visto cose che non gli era permesso riferire e che d'altra parte non avrebbe neppure saputo descrivere. Non lo interrogai più a fondo. Non interrogai Himmler, non interrogai Hitler, non ne parlai neppure con gli amici più intimi. Non indagai. Non volevo sapere che cosa accadeva lassù. Credo che si trattasse di Auschwitz. Nei brevi istanti in cui Hanke mi diede questo avvertimento, tutta la mia responsabilità era tornata ad essere cosa reale. E a quegli istanti dovetti ripensare soprattutto quando, al processo di Norimberga, davanti al tribunale internazionale, mi resi conto che anch'io, in quanto membro importante del direttivo del Reich, ero corresponsabile di quanto era accaduto. Da quel momento in poi mi sentii moralmente legato, in maniera indissolubile, a quella catena di delitti, perché avevo chiuso gli occhi per paura di scoprire qualcosa che avrebbe potuto indurmi a trarre troppo gravi conseguenze. [...] Di fronte a quella cecità, tutto il resto si riduce a ben poco. E a causa di questo rifiuto a vedere mi sento ancora oggi personalmente responsabile di Auschwitz."
Speer fu poi condannato a 20 anni di carcere, a Spandau. Tra gli accusati, non solo fu l'unico a non dichiararsi innocente per le accuse che gli venivano mosse, ma volle anche prendersi la responsabilità per i crimini del Terzo Reich:
"E' mio puro e semplice dovere l'essere qui [a Norimberga]. Nel dramma che ha coinvolto tutto il popolo tedesco non è lecito pensare troppo al proprio destino personale."(lettera alla moglie del 27 ottobre 1945); "Qui non posso tenere una linea di difesa accomodante. Credo, e tu lo comprenderai, che tu e i nostri figli dovreste vergognarvi se io dimenticassi che per questo falso ideale sono caduti milioni di tedeschi."(lettera alla moglie del marzo 1946); "non abbandonatevi all'illusione che mi batterò molto per la mia causa personale. Qui dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, non chiedere l'elemosina."(ai genitori, 25 aprile 1946)
In effetti, molte erano le attenuanti di cui Speer avrebbe potuto far uso. Fu tra i primi a rendersi conto della follia dei piani di Hitler; negli ultimi mesi, riuscì a non far attuare l'ordine del Fuhrer di fare della Germania una terra bruciata, di distruggere cioè tutte quelle costruzioni necessarie alla sopravvivenza del popolo tedesco, rivelatosi indegno della vittoria, come fabbriche, ponti, uffici,ecc.; cercò di limitare al minimo le deportazioni forzate di lavoratori dai territori occupati alle fabbriche tedesche; arrivò a tentare di uccidere Hitler con un attentato, tramite l'immissione di un gas mortale, attraverso un condotto dell'aria, nel bunker della Cancelleria di Berlino, dove Hitler si era rintanato negli ultimi mesi. Tuttavia, Speer decise di non avvalersi di alcuna attenuante.
La lettura delle Memorie ci fa rendere conto di come la Germania avesse tutte le carte in regola per vincere il conflitto: ottimi strateghi, tecnologia militare all'avanguardia e abbondanza di uomini. Bastò tuttavia un solo uomo per mandare all'aria tutti questi punti di forza: Hitler. Conformemente al suo innato dilettantismo, Hitler si intromise pesantemente nella conduzione della Seconda Guerra, soffocando totalmente l'autonomia decisionale dei suoi generali. Molti degli errori commessi dall'esercito tedesco dipesero da Hitler, il quale ordinava spostamenti di truppe deleteri e da effettuarsi nel minor tempo possibile; dichiarò guerra a Stalin, costringendo la Wehrmacht a combattere non solo su tre fronti (occidentale, nordafricano e orientale), ma a combattere anche su un fronte (quello russo) eccessivamente esteso, che andava da Stalingrado al Mar Nero; ogni volta che le truppe tedesche guadagnavano terreno, Hitler ordinava che esse non cedessero la posizione per nessun motivo, mandando così alla rovina interi reparti che venivano circondati e distrutti dal nemico; sbagliò nel privilegiare la produzione di bombardieri a discapito dei caccia, e la produzione dei carri armati pesanti e corazzati a discapito di quelli veloci e leggeri, e sbagliò in generale nella scelta degli equipaggiamenti delle truppe; ordinava ogni mese alle industrie quantitativi esagerati di armi e munizioni da produrre. Di fronte a queste serie di grossolani errori da principiante, molti generali arrivarono all'esasperazione. Rommel diventava sempre più pessimista, e reagiva ai discorsi strategici di Hitler con sorrisetti sdegnosi e compassionevoli, sconcertato da tanta incompetenza. Guderian, generale d'armata, arrivò a dare in escandescenze proprio in faccia ad Hitler:
"L'armata tedesca della Curlandia era tagliata fuori senza scampo. Guderian cercò di convincere Hitler ad abbandonare la posizione sgomberando la nostra truppa. Hitler si oppose, come faceva sempre quando gli si chiedeva di consentire a un ripiegamento. Guderian, però, non cedette. Hitler si intestardì, le voci salirono di tono, e alla fine Guderian replicò a Hitler con una chiarezza che in questo ambiente apparve del tutto insolita. Infiammato, forse, dall'alcol offertogli da Oshima [ambasciatore giapponese], Guderian mollò i freni e si piazzò davanti ad Hitler - che nel frattempo si era levato dalla sedia - con occhi di fuoco e baffi realmente irti. "E' nostro dovere puro e semplice salvare questi uomini!" gridò Guderian sfidando Hitler. "Siamo ancora in tempo a portarli via!" Eccitatissimo e profondamente irritato, Hitler gli tenne testa: "No! Continueranno a combattere là dove si trovano! Non possiamo rinunciare a quei territori!" E Guderian, altrettanto tenace e indignato: "Non c'è scopo di condannare questi uomini a un sacrificio assurdo! E' più che tempo di portarli via! Dobbiamo imbracarli subito!"."
Le pagine più belle delle Memorie sono a mio avviso quelle che raccontano gli ultimi mesi prima della disfatta finale. Esse sono pregne di quella decadenza che anticipa la fine di tutti i grandi imperi. Città in rovina, folle che scappano, soldati disperati a corto di armi e munizioni, dirigenti del partito che fuggono nei propri bunker o nelle proprie residenze di campagna, contadini che ignorano l'andamento della guerra e ripongono una fiducia incondizionata nelle capacità di Hitler, industrie che cessano la propria attività sotto i bombardamenti. Il tutto vissuto in prima persona dalla voce narrante:
"Il giorno dopo raggiungemmo Mannheim. Sembrava assolutamente senza vita, le strade erano spopolate, le case distrutte. Un povero soldato, barba incolta, uniforme logora, sulle spalle una scatola di cartone, si teneva incerto e assente al margine della strada, incarnazione della sconfitta."
Ma, forse, la pagina in assoluto più toccante è quella che narra il trasferimento di Speer dal castello di Kransberg, dove era tenuto in custodia da alcuni comandanti inglesi e americani, a Norimberga:
"Una mattina, poco dopo le sei, fui svegliato bruscamente da uno dei miei ex-collaboratori. "Alla radio" mi disse "hanno comunicato or ora che lei, e anche Schacht, figurano tra gli imputati al processo di Norimberga." [...] Benché fossi accusato di gravi colpe, il personale di guardia non mi dimostrò alcun segno particolare di disprezzo o di odio. Gli americani, anzi, mi consolavano dicendo: "Ben presto sarà assolto e dimenticherà tutto." Il sergente Williams aumentò le razioni di cibo perché, diceva, dovevo essere forte per il processo. Il comandante inglese, il giorno stesso in cui mi comunicata la notizia del trasferimento a Norimberga, mi invitò a fare una gita in macchina con lui. Attraversammo senza scorta i boschi del Taunus, ci stendemmo sotto un grande albero da frutta, ed egli mi raccontò della caccia all'orso nel Kashmir. Poi passeggiammo a lungo nel bosco. Erano belle giornate settembrine. Verso la fine del mese una jeep varcò il portone del castello. Il comandante inglese si rifiutò, sulle prime, di consegnare il suo prigioniero, e chiese conferma a Francoforte. Il sergente Williams mi diede una quantità di biscotti e mi chiese ripetutamente se non avevo bisogno di altro dal suo magazzino. Quando finalmente salii in macchina, l'intera comunità del carcere era riunita nel cortile. Tutti mi augurarono buona fortuna. Non dimenticherò mai l'espressione buona e preoccupata degli occhi del colonnello inglese in quel muto congedo."
Non sono un tipo romantico, detesto i sentimentalismi, ma trovo quasi commovente il fatto che, durante la Seconda Guerra Mondiale, persone di nazionalità diverse e avversarie abbiano voluto considerare Speer non un tedesco, un nazista, ma un semplice uomo che come tanti aveva vissuto da vicino uno dei più grandi drammi della nostra storia. Le "Memorie del Terzo Reich" sono un libro da non perdere, anche se non siete interessati all'argomento. Io stesso prima di leggerlo non mi interessavo né alla Seconda Guerra né al nazismo, tuttavia ne sono rimasto veramente impressionato.
"Un giorno - era forse l'estate del 1944 - venne a farmi visita l'amico Karl Hanke, Gauletier della Bassa Slesia. Anni prima mi aveva parlato a lungo della guerra in Polonia e in Francia, dei morti e dei feriti, del dolore e del tormento, mostrandosi, allora, uomo profondamente sensibile e capace di compassione. Ora, però, appariva estremamente confuso. La sua voce mi giungeva incerta e spezzata dalla poltroncina di cuoio verde del mio studio, su cui sedeva. Mi diceva che se mi avessero invitato a visitare un certo campo di concentramento dell'Alta Slesia non avrei dovuto mai e poi mai dovuto aderire all'invito. Mai, per nessuna ragione. Lassù, diceva, aveva visto cose che non gli era permesso riferire e che d'altra parte non avrebbe neppure saputo descrivere. Non lo interrogai più a fondo. Non interrogai Himmler, non interrogai Hitler, non ne parlai neppure con gli amici più intimi. Non indagai. Non volevo sapere che cosa accadeva lassù. Credo che si trattasse di Auschwitz. Nei brevi istanti in cui Hanke mi diede questo avvertimento, tutta la mia responsabilità era tornata ad essere cosa reale. E a quegli istanti dovetti ripensare soprattutto quando, al processo di Norimberga, davanti al tribunale internazionale, mi resi conto che anch'io, in quanto membro importante del direttivo del Reich, ero corresponsabile di quanto era accaduto. Da quel momento in poi mi sentii moralmente legato, in maniera indissolubile, a quella catena di delitti, perché avevo chiuso gli occhi per paura di scoprire qualcosa che avrebbe potuto indurmi a trarre troppo gravi conseguenze. [...] Di fronte a quella cecità, tutto il resto si riduce a ben poco. E a causa di questo rifiuto a vedere mi sento ancora oggi personalmente responsabile di Auschwitz."
Speer fu poi condannato a 20 anni di carcere, a Spandau. Tra gli accusati, non solo fu l'unico a non dichiararsi innocente per le accuse che gli venivano mosse, ma volle anche prendersi la responsabilità per i crimini del Terzo Reich:
"E' mio puro e semplice dovere l'essere qui [a Norimberga]. Nel dramma che ha coinvolto tutto il popolo tedesco non è lecito pensare troppo al proprio destino personale."(lettera alla moglie del 27 ottobre 1945); "Qui non posso tenere una linea di difesa accomodante. Credo, e tu lo comprenderai, che tu e i nostri figli dovreste vergognarvi se io dimenticassi che per questo falso ideale sono caduti milioni di tedeschi."(lettera alla moglie del marzo 1946); "non abbandonatevi all'illusione che mi batterò molto per la mia causa personale. Qui dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, non chiedere l'elemosina."(ai genitori, 25 aprile 1946)
In effetti, molte erano le attenuanti di cui Speer avrebbe potuto far uso. Fu tra i primi a rendersi conto della follia dei piani di Hitler; negli ultimi mesi, riuscì a non far attuare l'ordine del Fuhrer di fare della Germania una terra bruciata, di distruggere cioè tutte quelle costruzioni necessarie alla sopravvivenza del popolo tedesco, rivelatosi indegno della vittoria, come fabbriche, ponti, uffici,ecc.; cercò di limitare al minimo le deportazioni forzate di lavoratori dai territori occupati alle fabbriche tedesche; arrivò a tentare di uccidere Hitler con un attentato, tramite l'immissione di un gas mortale, attraverso un condotto dell'aria, nel bunker della Cancelleria di Berlino, dove Hitler si era rintanato negli ultimi mesi. Tuttavia, Speer decise di non avvalersi di alcuna attenuante.
La lettura delle Memorie ci fa rendere conto di come la Germania avesse tutte le carte in regola per vincere il conflitto: ottimi strateghi, tecnologia militare all'avanguardia e abbondanza di uomini. Bastò tuttavia un solo uomo per mandare all'aria tutti questi punti di forza: Hitler. Conformemente al suo innato dilettantismo, Hitler si intromise pesantemente nella conduzione della Seconda Guerra, soffocando totalmente l'autonomia decisionale dei suoi generali. Molti degli errori commessi dall'esercito tedesco dipesero da Hitler, il quale ordinava spostamenti di truppe deleteri e da effettuarsi nel minor tempo possibile; dichiarò guerra a Stalin, costringendo la Wehrmacht a combattere non solo su tre fronti (occidentale, nordafricano e orientale), ma a combattere anche su un fronte (quello russo) eccessivamente esteso, che andava da Stalingrado al Mar Nero; ogni volta che le truppe tedesche guadagnavano terreno, Hitler ordinava che esse non cedessero la posizione per nessun motivo, mandando così alla rovina interi reparti che venivano circondati e distrutti dal nemico; sbagliò nel privilegiare la produzione di bombardieri a discapito dei caccia, e la produzione dei carri armati pesanti e corazzati a discapito di quelli veloci e leggeri, e sbagliò in generale nella scelta degli equipaggiamenti delle truppe; ordinava ogni mese alle industrie quantitativi esagerati di armi e munizioni da produrre. Di fronte a queste serie di grossolani errori da principiante, molti generali arrivarono all'esasperazione. Rommel diventava sempre più pessimista, e reagiva ai discorsi strategici di Hitler con sorrisetti sdegnosi e compassionevoli, sconcertato da tanta incompetenza. Guderian, generale d'armata, arrivò a dare in escandescenze proprio in faccia ad Hitler:
"L'armata tedesca della Curlandia era tagliata fuori senza scampo. Guderian cercò di convincere Hitler ad abbandonare la posizione sgomberando la nostra truppa. Hitler si oppose, come faceva sempre quando gli si chiedeva di consentire a un ripiegamento. Guderian, però, non cedette. Hitler si intestardì, le voci salirono di tono, e alla fine Guderian replicò a Hitler con una chiarezza che in questo ambiente apparve del tutto insolita. Infiammato, forse, dall'alcol offertogli da Oshima [ambasciatore giapponese], Guderian mollò i freni e si piazzò davanti ad Hitler - che nel frattempo si era levato dalla sedia - con occhi di fuoco e baffi realmente irti. "E' nostro dovere puro e semplice salvare questi uomini!" gridò Guderian sfidando Hitler. "Siamo ancora in tempo a portarli via!" Eccitatissimo e profondamente irritato, Hitler gli tenne testa: "No! Continueranno a combattere là dove si trovano! Non possiamo rinunciare a quei territori!" E Guderian, altrettanto tenace e indignato: "Non c'è scopo di condannare questi uomini a un sacrificio assurdo! E' più che tempo di portarli via! Dobbiamo imbracarli subito!"."
Le pagine più belle delle Memorie sono a mio avviso quelle che raccontano gli ultimi mesi prima della disfatta finale. Esse sono pregne di quella decadenza che anticipa la fine di tutti i grandi imperi. Città in rovina, folle che scappano, soldati disperati a corto di armi e munizioni, dirigenti del partito che fuggono nei propri bunker o nelle proprie residenze di campagna, contadini che ignorano l'andamento della guerra e ripongono una fiducia incondizionata nelle capacità di Hitler, industrie che cessano la propria attività sotto i bombardamenti. Il tutto vissuto in prima persona dalla voce narrante:
"Il giorno dopo raggiungemmo Mannheim. Sembrava assolutamente senza vita, le strade erano spopolate, le case distrutte. Un povero soldato, barba incolta, uniforme logora, sulle spalle una scatola di cartone, si teneva incerto e assente al margine della strada, incarnazione della sconfitta."
Ma, forse, la pagina in assoluto più toccante è quella che narra il trasferimento di Speer dal castello di Kransberg, dove era tenuto in custodia da alcuni comandanti inglesi e americani, a Norimberga:
"Una mattina, poco dopo le sei, fui svegliato bruscamente da uno dei miei ex-collaboratori. "Alla radio" mi disse "hanno comunicato or ora che lei, e anche Schacht, figurano tra gli imputati al processo di Norimberga." [...] Benché fossi accusato di gravi colpe, il personale di guardia non mi dimostrò alcun segno particolare di disprezzo o di odio. Gli americani, anzi, mi consolavano dicendo: "Ben presto sarà assolto e dimenticherà tutto." Il sergente Williams aumentò le razioni di cibo perché, diceva, dovevo essere forte per il processo. Il comandante inglese, il giorno stesso in cui mi comunicata la notizia del trasferimento a Norimberga, mi invitò a fare una gita in macchina con lui. Attraversammo senza scorta i boschi del Taunus, ci stendemmo sotto un grande albero da frutta, ed egli mi raccontò della caccia all'orso nel Kashmir. Poi passeggiammo a lungo nel bosco. Erano belle giornate settembrine. Verso la fine del mese una jeep varcò il portone del castello. Il comandante inglese si rifiutò, sulle prime, di consegnare il suo prigioniero, e chiese conferma a Francoforte. Il sergente Williams mi diede una quantità di biscotti e mi chiese ripetutamente se non avevo bisogno di altro dal suo magazzino. Quando finalmente salii in macchina, l'intera comunità del carcere era riunita nel cortile. Tutti mi augurarono buona fortuna. Non dimenticherò mai l'espressione buona e preoccupata degli occhi del colonnello inglese in quel muto congedo."
Non sono un tipo romantico, detesto i sentimentalismi, ma trovo quasi commovente il fatto che, durante la Seconda Guerra Mondiale, persone di nazionalità diverse e avversarie abbiano voluto considerare Speer non un tedesco, un nazista, ma un semplice uomo che come tanti aveva vissuto da vicino uno dei più grandi drammi della nostra storia. Le "Memorie del Terzo Reich" sono un libro da non perdere, anche se non siete interessati all'argomento. Io stesso prima di leggerlo non mi interessavo né alla Seconda Guerra né al nazismo, tuttavia ne sono rimasto veramente impressionato.
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