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Argomento: - Recensione di Giuseppe Gagliano (07/09)

L'autore - autorevole studioso americano di lingue orientali - compie una ampia disamina storica sullo sviluppo delle armi da fuoco in Europa e Cina e sulla loro influenza nel ridefinire strategie e tattiche di offesa e di difesa. Non c'è dubbio che nel continente europeo la minaccia nomade determinò l'uso delle armi da fuoco che contrariamente al contesto asiatico furono contestualizzate in un quadro normativo-disciplinare rigoroso. Il sorgere della rivoluzione industriale non fece che accelerare la crescita e la sofisticazione tecnologica delle armi da fuoco favorendo anche l'espansione coloniale. A proposito dell'Europa, l'autore sottolinea come i primi riferimenti alla polvere da sparo comparvero negli scrtti del monaco Guglielmo di Rubruck nel 1267 mentre il loro uso risale al 1331 in occasione dell'assedio di Cividale. Nonostante i pregiudizi di ordine morale di Erasmo e Guicciardini, le armi da fuoco ebbero una crescita di rilievo intorno al 1400 come dimostra la realizzazione dei grandi cannoni di ferro battuto- note più comunenemente come bombarde - da parte delle potenze inglesi e spagnole, la cui introduzione modificò profondamente le concenzioni fino ad allora in uso di attacco e di difesa determinando il sorgere della trace italienne intorno al 1500. Un'altra tappa fondamentale nella crescita delle armi da fuoco sarà l'introduzione della pistola ad acciarino e dei cannoni pesanti. Per quanto concerne la Cina, la spinta all'innovazione tecnica consentì la sperimentazione di tutte le tipologie di arma a polvere da sparo. Storicamente il primo riferimento storico è presente nello scritto Zhenynan miadao yaoliie del IX secolo e in un dipinto del X secolo dove viene ritratto un lanciafiamme. Il loro sviluppo fu dettato dalla frammentazione geopolitica che fu superabile grazie all'uso ampio della fanteria come dimostra il trattato Houlong risalente al XV secolo. Solo a partire dal 1500 si ebbe l'introduzione sistematica delle armi da fuoco e una impressionante crescita tecnologica che nel volgere di poco tempo porterà la Cina alla realizzazione del moschetto, del fucile ad ali di tigre (che null'altro era che una carabina a canna tripla) che divenne indispensabile per la fanteria e la cavalleria e quindi alla trasformazione dei carri in piattaforme da combattimento di cui lo stratega cinese Qi Jiguang fu uno dei più autorevoli teorici e fautori come dimostra il suo saggio Lianbing shi ji edito nel 1571.
Argomento: Corsari - Recensione di Federico Colombo (01/08)

Per l'intero arco dell'età moderna i tre porti maghrebini di Algeri, Tunisi e Tripoli hanno rappresentato il punto di partenza per le scorrerie dei corsari turchi contro le coste mediterranee dell'Europa Cristiana. Essi seminarono il terrore e causarono devastazioni tali che ancora oggi, un po' dovunque, sono visibili i segni di quelle torri di avvistamento, che nel 1600 divennero un contorno tipico delle coste italiane. In vari modi i regnanti tentarono di metter fine a queste scorrerie, ricorrendo anche alla forza militare e tentando la presa e l'occupazione dei tre porti nordafricani. Ma alla fin fine ogni volta essi dovettero cedere ai loro ricatti, senza mai per altro poter ottenere una tranquillità completa. A rendere ancora più feroce questa lotta, ai motivi economici si sommavano quelli religiosi, che rendevano questo scontro tra cristiani e musulmani particolarmente sanguinoso, pur rimanendo uno sbocco praticamente obbligatorio per quelle zone così aride, che potevano trovare solo sul mare i mezzi per ravvivare la propria economia locale. Questo discorso s'intersecava poi con quel vastissimo fenomeno dello schiavismo, che colpì sia cristiani che musulmani, e che ebbe imponenti conseguenze a livello sociale, religioso ed anche psicologico. Non si conoscono molte opere che racchiudano, in un tutt'uno, tutti questi argomenti. Soprattutto, non molti possono vantare una completezza così, unita ad una semplicità di linguaggio, una facile lettura, e, tutto sommato, un lieve numero di pagine. Certamente quest'opera rimane, per lo storico professionista, un'introduzione per poi passare a opere maggiormente corpose e più dettagliate. Certamente però la ricerca svolta dall'autore è completa in ogni sua parte, ben delineata, e si dipana tranquillamente tra i vari capitali dell'opera. Una lettura in fondo piacevole, dedicata a chi ne vuole sapere di più, o a chi semplicemente non ne sa nulla.
Argomento: Risorgimento - Recensione di Federico Colombo (02/07)
Storia militare del Risorgimento di Piero Pieri, Einaudi
In questo accurato e minuzioso studio l'autore cerca di sfatare l'ingenuo mito dell' "italiano imbelle", ripercorrendo il periodo forse di maggior gloria per le forze armate della penisola nell'epoca moderna: l'Ottocento e la nascita del Regno. Con precisione analitica e dovizia di particolari Pieri narra non solo le pagine gloriose delle guerre d'indipendenza ma racconta anche i diversi errori, spesso grossolani, attribuibili in gran parte a principi e comandanti. Ne nascono precisi atti di condanna per l'incapacità e l'incoerenza di molti personaggi, alcuni dei quali venerati come padri della patria. Dall'altro verso vediamo emergere anche una galleria di eroi gloriosi, sul campo come al di fuori di esso. Non sono solo militari, ma anche borghesi, studenti, semplici ribelli. Fu la loro audacia, e spesso il loro sacrificio, a conquistare l'unità e indipendenza del paese. Le battaglie sono raccontate fin troppo nei particolari. Non manca poi uno sguardo generale capace di inserire gli scontri nei diversi momenti della campagna. Interessantissime sono poi le parti dedicate allo sviluppo istituzionale, legislativo ed organizzativo dei diversi eserciti della penisola. Per chi cerca l'azione certamente questa è la parte meno interessante ma gioca comunque un ruolo importante nell'idea che il libro vuole rendere, senza contare che per una comprensione profonda degli avvenimenti bellici risulta in ogni caso necessaria. Lo stile è molto semplice e non dà problemi di interpretazione anche se si è digiuni di terminologia ed arte militare (come il sottoscritto!). A causa però della descrizione assai particolareggiata dei movimenti delle truppe è consigliata durante la lettura la compagnia di un buon atlante storico, il più minuzioso possibile, per evitare incomprensioni e fraintendimenti.
Argomento: Tecnica militare - Recensione di Federico Colombo (06/05)

L'idea di fondo del libro è che l'Europa abbia conosciuto a partire dal 1500 circa una vera e propria rivoluzione militare. Essa consisteva principalmente nell'introduzione nel mondo della guerra della polvere da sparo e dell'architettura bastionata. L'autore a questo punto ripercorre queste novità e il loro impatto sul mondo europeo della prima età moderna. Improvvisamente poi l'Europa si è trovata nella possibilità di procedere ad una inimmaginabile espansione nel resto del mondo, a dispetto delle potenze locali, potenze a volte con una superiorità decisamente schiacciante. Questo sorgere dell'occidente è sempre stato ritenuto possibile in forza di un misterioso carattere superiore occidentale, non ben identificato. Partendo dalla considerazione che, tranne che nel caso delle americhe, spesso gli europei hanno avuto a che fare con potenze locali che per numero, tecnologia e qualità degli armamenti erano decisamente superiori a loro, egli arriva a chiarire la superiorità occidentale nella giusta mescolanza di quei due fattori vele e cannoni, che hanno aperto ad inglesi, francesi, spagnoli e portoghesi il dominio dei mari e degli oceani. A questo punto però resta da capire come mai imperi millenari come Cina e i Moghul siano potuti crollare di fronte ad una forza militare limitata alle coste e decisamente inferiore per numero e qualità rispetto alle loro truppe. Considerando che le particolari invenzioni europee non saranno determinanti nella conduzione di una guerra fino all'avvento della mitragliatrice agli inizi del XX secolo, allora cosa ha permesso agli europei delle vittorie straordinarie come nella battaglia di Plassey, dove neanche 3,000 soldati sbaragliarono quasi 50,000 uomini agli ordini del nuovo nababbo del Bengala Siraj- ud- Daulah? Parker ritiene principalmente che la rivoluzione militare abbia innescato dei cambiamenti strategici e tattici in grado di consegnare agli europei una superiorità decisiva nei campi di battaglia degli altri continenti. Ricorda poi come solo europei combattessero le guerre per eliminare fisicamente il nemico, mentre molto spesso i loro nemici erano interessati alla cattura di prigionieri. La bellezza di questo libro sta sicuramente nell'aver valorizzato e descritto minuziosamente quel processo storico che ha rivoluzionato completamente il mondo della guerra a metà 500 portando poi profonde conseguenze anche sul piano economico e sociale. Questo fenomeno viene poi collegato all'imperialismo e alla sua diffusione al di fuori dell'Europa per regalarci un'analisi approfondita anche degli apparati militari e tecnologici di altre civiltà e imperi, permettendoci di chiarire le idee sul fenomeno dell'ascesa dell'occidente a potenza mondiale. La scrittura è chiara, precisa e lineare. L'apparato documentario è sicuramente vasto e accurato. L'argomento stesso contribuisce a creare un ritmo veloce e incalzante che coinvolge il lettore. Un libro certamente da leggere tutto d'un fiato.
Seconda recensione by Marco Marianetti (01/02)
Seconda recensione by Marco Marianetti (01/02)
Argomento: Pirateria - Recensione di Emanuele Cattarossi (05/04)

La ricostruzione della storia della pirateria nel suo momento d'oro tra il '600 e il '700 costituisce il tema di questo libro di David Cordingly. Esperto di storia della pirateria a livello mondiale, Cordingly prende per mano il lettore e gli presenta i pirati del tempo (Morgan, Barbanera, Kidd e altri ancora) e ne delinea la forma mentis, le armi impiegate e le strategie d'abbordaggio. Ci conduce sulle navi pirata più celebri e ci mostra di esse la struttura e gli armamenti. Sotto l'insegne del "Jolly Roger" ci fa rivivere epici scontri sui mari a tutte le latitudini facendoci conoscere le dure regole della filubusta, gli aneddoti e tanti altri piccoli particolare poco conosciuti. questa "Storia della Pirateria" presenta l'indubbio pregio di una ricostruzione attenta e precisa degli avvenimenti e degli uomini di un periodo tanto affascinante quanto poco conosciuto. Per gli amanti del genere questo testo costituisce una scelta obbligata.
Argomento: Evoluzione tecnologica di navigazione e artiglieria - Recensione di Bruno (06/02)

La svolta tecnologica che diede agli Europei il predominio sugli altri popoli è largamente rappresentata dall'evoluzione di 'vele e cannoni', come dice il titolo di questo libro, ovvero dalla capacità di arrivare in ogni angolo del mondo portando con sé una grande potenza di fuoco. Sullo sviluppo di queste tecnologie l'autore ci offre un po' di fatti e di statistiche in un libro molto illuminante e non prolisso.
Argomento: Storia degli eserciti e della tecnica militare - Recensione di Marco Marianetti (01/02)

In questo agile volumetto della serie "La biblioteca essenziale" della Laterza, l'autore, concentrandosi sul periodo a cavallo fra tardo 1500 e inizio del 1800, propone una rapida, ma approfondita analisi del sorgere dell'idea moderna di esercito. Partendo dal secolo delle guerre di religione, il seicento, Piero Del Negro, traccia l'evolversi e l'affermarsi della concezione di esercito permanente, sul modello dell'armata di Gustavo Adolfo e soprattutto delle teorie di Maurizio di Nassau. I primi embrioni di guerre dinastiche, che prenderanno il posto dei conflitti di religione, laicizzeranno l'approccio dell'Europa alla guerra, che, traumatizzata dai massacri della Guerra dei Trent'anni, svilupperà il concetto degli eserciti moderni: non più mercenari o truppe raccogliticce, o contadini in armi, ma professionisti addestrati e inquadrati in rigidi principi di disciplina e schemi di ingaggio (basti pensare all'ordine serrato). Mi è venuta in mente una cosa leggendo questo testo, memore anche degli importantissimi studi di Geoffrey Parker: a proposito di ricorsi storici, gli eserciti del settecento nati sugli orrori delle guerre di religione, combatterono per un secolo delle battaglie in cui, tutto sommato, le vittime non erano tantissime, contava più l'esposizione della forza e la manovra sul campo. In più, come detto, erano eserciti di professionisti. L'Occidente non sta forse attraversando un periodo simile, dopo le stragi delle due guerre mondiali, ormai l'idea di esercito di massa e quindi di leva si sta gradualmente perdendo a favore di eserciti più piccoli, ma di carriera; e ancora l'avversione e il timore degli alti comandi e dei popoli stessi per le perdite elevate fra i combattenti, non ricorda un po' la guerra da parata del settecento?
Argomento: Francesco I - Recensione di Emanuele Cattarossi (04/03)

Attraverso questo testo, Jack Lang ricostruisce la vita di uno dei più grandi sovrani francesi: Francesco I (1494-1547). In questa biografia vengono intelligentemente coniugate vicende storiche e vita privata del sovrano: le guerre in Europa contro Carlo V; le lotte di potere contro nemici interni (primo tra tutti il contestabile di Borbone); la scoperta del sentimento nazionale francese; la cerimonia della consacrazione regale vista con gli occhi di uno speciale osservatore, la madre-reggente Luisa di Savoia; il silenzio e i rumori della notte prima della battaglia che avrebbe fatto del re l'eroe di Marignano e l'eroico svolgimento dello scontro; la descrizione del problematico rapporto di Francesco I con il denaro; il Campo del Drappo d'Oro ; la prigionia del re francese a seguito della sua cattura a Pavia. Ma al lettore attento non sfuggirà un elemento di grande importanza nella vita del grande sovrano: l Italia. Leggendo questo libro si resta stupefatti dalla straordinaria ammirazione che Francesco I nutrí per l'Italia e per i suoi tesori artistici e letterari. Ricordiamo come lo stesso Leonardo da Vinci venne chiamato a lavorare da Francesco I alla propria corte. L'Italia quindi va intesa come chiave del regno del Valois. L'autore stesso non si stanca mai di sottolinearlo: "Non mi stancherò mai di ripeterlo: la chiave del regno di Francesco I è l'Italia". Come una terra promessa, un paradiso raggiunto per un attimo e subito perduto, la cui ricerca occupa l'anima e la mente. Un libro che presenta la passione di un grande re francese per l'Italia. Avvincente e documentatissimo, un'ottima lettura per gli appassionati del periodo.
Argomento: Carlo V - Recensione di Emanuele Cattarossi (03/03)

Agli appassionati del periodo rinascimentale piacerà sicuramente la lettura di questo testo su Carlo V. Attraverso una descrizione e un linguaggio semplice Jean-Michel Sallmann analizza la figura di questo grande sovrano. Ne descrive gli antefatti che sortirono l'inarrestabile ascesa mostrando come attraverso una politica di matrimoni incrociati Carlo V sia divenuto, da Arciduca di Borgogna, l'Imperatore dei Due Mondi. Vengono ripercorse le tappe della sua formazione come sovrano e il duro, lungo e serrato confronto con il suo principale antagonista, Francesco I di Valois, Re di Francia. Attraverso una descrizione chiara ed esauriente viene ripercorso lo svolgersi dello scisma luterano, delle sue conseguenze e del modo con cui Carlo V affrontò la situazione. E poi ancora si tratta della penetrazione dei conquistadores spagnoli nel nuovo mondo, dell organizzazione del regno e della questione della successione. Il tutto guardando sempre questo grande sovrano da un punto di vista umano. Non viene tralasciata l idea che Carlo V aveva del suo ruolo di imperatore, quale forma volesse dare ai suoi possedimenti, cosa fece per attuare i suoi progetti e quali furono le cause che fecero sfumare i suoi disegni. Lo studio della personalità dell'Imperatore e il suo mutare caratterialmente con gli anni viene seguito passo dopo passo nel libro. Sallmann ha il grande pregio di conferire a questo libro uno stile semplice di lettura ma, al tempo stesso, esauriente. La figura del più grande sovrano rinascimentale ne risulta trattata in ogni aspetto.
Argomento: Duca di Marlborough - Recensione di Corrado Sansalone (01/03)
Marlborough di Winston Churchill, Mondadori (23,23 Euro)
Negli anni precedenti all'inizio della seconda guerra mondiale, il futuro premier inglese Winston Churchill, scrisse la biografia di un suo illustre antenato: John Churchill, il duca di Marlborough. Cortigiano, statista, diplomatico, generale, Marlborough è sicuramente uno dei personaggi più importanti della scena politica europea degli inizi del '700. Giovane ufficiale senza averi, deve buona parte della sua fortunata ascesa politica alle sue frequentazioni femminili che gli garantiscono prima la scalata sociale (la duchessa Barbara di Cleveland) e in seguito la protezione politica (Sara Jennings sua moglie e la Regina Anna). Giunto al potere, consoliderà la sua posizione, uscendo vincitore dagli scontri politico-religiosi in Inghilterra e soprattutto imponendosi nella guerra di successione spagnola come leader della coalizione europea, nata in antitesi al tentativo di egemonia della Francia guidata da Luigi XIV. Sarà proprio nei primi anni del '700, in un Europa scossa da una terribile guerra che il duca di Marlborough dimostrerà d'essere un autentico genio militare. Al comando degli eserciti alleati (inglesi, olandesi, austriaci, prussiani, ecc. ecc.), senza mai conoscere sconfitta sul campo e in perfetto accordo con l'altro grande condottiero alleato, il principe Eugenio di Savoia, con cui stringerà una vera e propria amicizia, "il duca di ferro", scriverà alcune delle pagine più significative dell'arte militare della storia moderna: Blenheim, Ramillies, Oudenaarde, Malplaquet. Al di là delle considerazioni legate alla carriera politica e militare, Winston Churchill, nella biografia del duca di Marlborough ci descrive un uomo di grande fascino, un vero adulatore che riuscí ad utilizzare il suo personale magnetismo e soprattutto la sua intelligenza, per inserirsi a pieno titolo tra le figure più interessanti dell'epoca in cui visse. Una considerazione finale è d'obbligo: il tema del libro e la parentela possono far pensare ad un trattamento di riguardo da parte di Wiston Churchill per il suo famoso avo? Probabilmente è cosí, ma questo non toglie niente all'opera, alla grandezza del personaggio e nello stesso tempo alla capacità di scrittore dell'autore, premio Nobel per la letteratura nel 1963.
Argomento: Principe Eugenio di Savoia - Recensione di Corrado Sansalone (01/03)

Il 18 ottobre 1865 a Vienna, in piazza degli eroi, venne inaugurato un monumento equestre che riportava un epigrafe breve e significativa: "al glorioso vincitore dei nemici dell'Austria". Nella stessa data, 202 anni prima, il 18 ottobre 1663, nasceva a Parigi l'uomo a cui questa statua era dedicata: il Principe Eugenio di Savoia. Importante figura nel panorama storico politico del periodo tra la fine del '600 e gli inizi del '700, il Principe Eugenio fu sicuramente un grande condottiero, un buon statista e soprattutto un uomo dotato di spirito e di intelligenza notevoli. Questo a grandi linee è il quadro d'insieme che emerge dalla biografia del Principe, composta da Franz Herre. Nel libro sono messe in evidenza dall'autore le capacità strategiche e tattiche del Principe, abile a sconfiggere più volte i turchi ai confini imperiali dell'impero asburgico ed a fermare altrettanto bene in occidente le armate del Re Sole, Luigi XIV. Come concreto esempio delle qualità di uomo del Principe Eugenio, Herre, sottolinea l'intelligenza con cui egli strinse un importante collaborazione con l'altro astro militare dell'epoca, il Duca di Marlborough. L'unione di intenti di questi due condottieri portò durante la guerra di successione spagnola ad eventi militari come Hochstadt (Blenheim come la chiamano gli inglesi), Oudenaarde, Malplaquet. Herre nella sua opera ha inoltre illustrato come la tenacia e la determinazione fossero aspetti fondamentali della personalità di Eugenio di Savoia, cosí come importanti, furono la passione per le arti e le scienze. La vita e le idee del Principe, di origine italiana, cresciuto in Francia e diventato in Austria una figura importante della sua periodo storico, rappresentarono già all'epoca un vero e propio esempio di virtù e qualità, ne sono testimonianza, come sottolinea l'autore, l'amicizia e la stima del Marlborough e forse ancora di più l'ammirazione del Principe di Prussia, il futuro Federico il Grande.
Argomento: Clausewitz - Recensione di Henry Newbolt (12/02)

Bel libro, scritto ottimamente, che traccia una biografia fisica e intellettuale di Carl von Clausewitz, uno degli autori di cose di guerra più citati e meno capiti. Come Machiavelli è stato ridotto alla frase "il fine giustifica i mezzi", cosí Clausewitz è stato ridotto a "la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi". Quello che contraddistingue Clausewitz rispetto a predecessori, contemporanei ed anche dai suoi allievi è il rifuggire da ogni schema a da ogni metodo; secondo Clausewitz la guerra è arte perché come la pittura o la letteratura (il paragone è mio, Clausewitz si accontenta dell'ebanisteria) l'interprete, o meglio il genio, non segue una regola fissa ma interpreta il passato secondo il suo tatto e la sua sensibilità; per questo c'è differenza tra un Salieri ed un Mozart come tra Carlo d'Asburgo e Napoleone Bonaparte. Rusconi nel suo libro mette bene in evidenza la nascita e lo sviluppo del pensiero clausewitziano, soprattutto mette in guardia sul fatto che non è un pensiero finito, nel senso che la morte troncò il processo di revisione del "Vom Kriege" che venne stampato dopo la sua morte a cura della moglie Marie von Bruhl (che da sola meriterebbe un saggio, vista la sua costante e fondamentale assistenza nel lavoro del marito, tanto da essere un cardine della corrispondenza a tre tra lei, Clausewitz e Gneisenau). Dentro il "Vom Kriege" ci sono numerose contraddizioni, soprattutto nella classificazione della guerra, tanto che l'unico tipo completamente spiegato è la guerra di annientamento, mentre alla guerra limitata non è nemmeno dato un nome (ci penserà più tardi Hans Delbruck); punto fondamentale del pensiero di Clausewitz non è comunque la classificazione o l'anatomia della guerra ma è il primato della politica sull'arte militare, la politica è pensiero, la guerra è grammatica. Questo rimane l'insegnamento fondamentale, sia che Clausewitz pensasse alla politica come assolutismo monarchico (e sognasse ancora il principe machiavellico) sia che noi si pensi alla politica come processo democratico. La ragione della cattiva fama di Clausewitz deriva dal suo più fulgido allievo: Helmut von Moltke, vincitore di Sadowa e Sedan e, insieme a Bismarck, fondatore dell'Impero (e del Regno d'Italia). Costui di Clausewitz prese innanzitutto la nozione della guerra di annientamento, destinata a mettere in ginocchio l'avversario per dettare la pace. Pur riconoscendo il primato della politica prima e dopo la guerra, non voleva interferenze nella gestione della stessa, finché ebbe come contraltare Bismarck non riuscí a rendersi indipendente ma i successori, forti dei suoi successi, si resero loro stessi decisori della politica fino a portare allo scoppio della Grande Guerra, che non ha più niente di clausewitziano. "Risuonò lo scalpitio di tre cavalli e, dando un'occhiata in quella direzione, il principe Andrea riconobbe Wolzogen e Clausewitz, accompagnati da un cosacco." Cosí , Clausewitz, fa la sua breve apparizione in "Guerra e Pace", Tolstoj mette in bocca a Clausewitz la frase "...dal momento che lo scopo è solo quello di indebolire il nemico non si può certo tenere in considerazione la perdita di singole persone..." il principe Andrea chiosa "Ecco ciò che ti dicevo: questi signori tedeschi domani non vinceranno la battaglia ma faranno soltanto danno... perché nella loro testa tedesca non hanno che teorie che non valgono un guscio d'uovo e nel cuore non hanno ciò che solo serve per noi domani: ciò che vive in Timochin" Questo brano appare nel II volume, prima della battaglia di Borodino. Ma Tolstoj non conosce Clausewitz, conosce quello che di Clausewitz hanno estrapolato gli allievi come Moltke: cercare ad ogni costo la battaglia di annientamento. Particolare l'accostamento a Ludwig von Wolzogen, Clausewitz lo descrive come un militare intelligente ma troppo portato agli schematismi, inoltre, vista la sua scarsa padronanza del russo suoi metodi insinuanti vennero ritenuti dai Russi i metodi di un intrigante e arrivarono a considerarlo un portatore di disgrazie. Quello che salta fuori, ancora una volta, dalla pagine di Tolstoj è il suo rifiuto della componente europea a favore della vera anima russa (asiatica); come se il principe Andrea (o il Gengis Khan evocato) avessero più considerazione per la vita dei miseri fantaccini. Concludendo, un bel libro che aiuta a capire come la paura prussiana dei potenti vicini, che Clausewitz vedeva imbrigliati da un "balance of power", sia poi diventata paranoia tedesca con la conseguente volontà egemonica su tutta europa.
Argomento: Armi - Recensione di A.TOS. (11/01)
Armes insolites du XVIe au XVIIIe siècle di di Jean-Pierre Reverseau, Reunion des musées nationaux. 10, rue de l'Abbaye, 75006 Paris (250 FF)
Questo volume, realizzato in occasione della mostra al Musée de l'Armée (Museo dell'Esercito) a Parigi nel 1990, presenta un gruppo di armi difensive ed offensive particolari, insolite ed eccezionali, per la loro forma, la tecnica costruttiva o la loro raffinatezza. Si va dalle armature con elmetti realizzati a forma di animali fantastici come quello eseguito per il Conte Palatino Wolfgang verso il 1520 - 30 ad Innsbruck, alle armi in miniatura tra cui un set di otto pistole tedesche di tipo "puffer" (la più piccola misura solo 4 cm.) costruite a Norimberga alla fine del XVI secolo. Sono discretamente rappresentate le armi combinate come asce-pistola, spiedi da caccia con sistemi di sparo a ruota e spade pistola. Particolari accorgimenti tecnici erano necessari invece per realizzare armi da fuoco con la possibilità di sparare più colpi nella stessa canna o a canne multiple come la pistola realizzata in Francia nel 1610 che presenta tre canne disposte a ventaglio. Non mancano le curiosità, come una serratura con una chiave pistola, o un crocifisso in legno e avorio che nasconde al suo interno un micidiale stiletto, lavoro spagnolo della metà del XVII secolo. Per gli appassionati di armi orientali, infine, segnaliamo la presenza di una "Pata", spada a guanto indiana del Dekkan del XVIII secolo, spade gemelle cinesi, un ventaglio da guerra giapponese, periodo Edo (XVIII secolo) ed una spada rituale di Formosa (?) realizzata utilizzando il rostro di un pesce-sega (squalus pristis). Per coloro che hanno in programma un viaggio a Parigi, consigliamo di prevedere anche una visita al Musée de l'Armée nella stupenda cornice de Les Invalides.
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