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Argomento: Pacifismo e movimenti antagonisti - Recensione di Giuseppe Gagliano (02/10)
Copertina Problemi e prospettive dei movimenti antagonisti del Novecento. Temi, strutture organizzative e modalità operative di Giuseppe Gagliano, Editore Uniservice 2009
Nella prima parte del saggio l'autore, servendosi delle riflessioni di Vittorfranco Pisano e dei contributi della scuola della guerra psicologica francese, individua gli aspetti di rilievo dei nuovi conflitti mostrando la continuità nell'ambito delle modalità operative con la logica dei conflitti della guerra non convenzionale. Nella seconda parte, servendosi dei risultati conseguiti, l'autore analizza alcuni dei principali movimenti e organizzazioni di natura antagonista del novecento (fra i quali l'Ezln, il World Social forum, i centri sociali, il pacifismo laico e cattolico, ecc.), unitamente al alcuni indiscussi protagonisti della cultura pacifista (Gandhi, Lanza del Vasto) e della cultura libertaria (Chomsky, Zinn), mostrando l'esistenza di una profonda continuità - nonostante le differenze ideologiche - tra intellettuali e attivisti laici e religiosi nell'opposizione al sistema capitalistica, alla globalizzazione liberista, alle istituzioni militari sovranazionali. Il volume si conclude con due documenti di rilievo dell'intelligence svizzera sul movimento no global.
Argomento: Studi Strategici - Recensione di NS (11/09)
Copertina Studi strategici. Intelligence e strategia di Giuseppe Gagliano, Uni Service
Lo scopo del presente volume è quello di illustrare concretamente il dispiegarsi della prassi operativa dell'intelligence, al di là della retorica usuale, alla luce di un approccio metodologico mutuato dal realismo politico che sia in grado di mettere in luce le linee di forza attraverso le quali i servizi segreti hanno operato. Dall'introduzione dell'autore: « Abbiamo deciso di analizzare, alla luce dei numerosi colloqui informali svolti dal 2002 al 2007 a Roma con alcuni analisti e operativi dell'intelligence, il modus operandi dei servizi segreti secondo l'ottica del realismo politico, facendo emergere, nel rispetto dell'anonimato degli uomini dei servizi, una realtà complessa e al contempo profondamente cinica perché ispirata ai dettami della Ragion di Stato, una realtà che si è cercato di razionalizzare in una sorta di dizionario che storicamente abbracciasse sia il periodo della guerra fredda che quello attuale. Ne è emerso un quadro dai colori sfumati nel quale realtà e illusione, verità e menzogna, finiscono per confondersi fino a sovrapporsi. »
Argomento: L'influenza della lobby israeliana negli USA - Recensione di Maurizio 61 (08/09)
Copertina La Israel Lobby e la politica estera americana di John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt, Oscar Mondadori
Premessa: il libro è stato scritto prima della elezione a presidente degli Stati Uniti d'America di Barack Obama, quindi la politica della nuova amministrazione relativamente all'argomento trattato nel volume non è logicamente considerata. Il sistema politico degli USA consente da sempre a qualsiasi associazione di cittadini, (queste "associazioni" possono essere sia delle multinazionali del tabacco o degli armamenti, un cartello di industrie farmaceutiche, sette religiose ecc.) di finanziare e di conseguenza influenzare deputati o senatori o candidati alla Casa Bianca, creando così la cosidetta lobby. In Italia una cosa del genere farebbe gridare allo scandalo, ma negli Stati Uniti formare un gruppo per esercitare pressioni sui propri rappresentanti democraticamente eletti è una cosa normalissima e legale. Quando i due accademici autori di qusto libro, John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt nel marzo del 2006 pubblicarono un articolo che è all'origine di questo volume, diedero il via ad un accesissimo dibattito sull'argomento e furono oggetto di furiosi attacchi mediatici, ma anche di consensi superiori alle aspettative. I due autori avevavo semplicemente aperto il vaso di Pandora, non su di una delle decine di lobby che agiscono ogni giorno alla luce del sole negli USA, ma su "La Lobby" ossia la lobby Israeliana. Secondo Mearsheimer e Walt, infatti, l'incredibile ed incondizionato appoggio politico/finanziario/militare, praticamente a fondo perduto, che gli USA forniscono ad Israele dai primi anni '60, non ha nessuna giustificazione strategica, politica o morale, ma è determinata da una incredibile capacità di pressione della Israel Lobby ogni qual volta nell'agenda della politica estera Americana appare il nome dello Stato Ebraico. Naturalmente la prima accusa da cui i due autori hanno dovuto difendersi è quella dell'antisemitismo, ma questa accusa viene da loro rigettata in modo deciso ed argomentato e nel corso del libro ribadiscono più volte di non essere nè contro lo Stato di Israele nè contro la Israel Lobby, ma solo contro una parte del suo modo di agire. Nel corso dei capitoli viene analizzato in modo approfondito il modus operandi della lobby, sia nel presente sia negli anni passati, vengono analizzati molti momenti storici in cui l'appoggio degli USA ad Israele è andato molto al di là del normale appoggio di un Pase ad un suo alleato, vengono anche resi noti dei fatti, magari banali, ma sintomatici del rapporto particolare esistente fra i due Paesi, come quello che viene citato nel capitolo "Il Grande Beneffatore" dove si riporta che dal 1976 sei capi di governo Israeliani, un numero che supera quello di qualsiaisi altro Paese, hanno parlato davanti ad una sessione congiunta del Congresso: questi sei leaders rappresentavano un Paese la cui popolazione è inferiore a quella di New York! Più volte nel libro viene rimarcato il concetto che Israele non è più strategicamente importante per gli Stati Uniti, e che lo era, se lo era, solamente durante gli anni della Guerra Fredda per contenere l'influenza dell'Unione Sovietica nell'area Medio Orientale, ma quando svanì la minaccia dell'orso sovietico, l'appoggio non diminuì, anzi. Vengono anche presi in esame i successivi fatti politico/militari nei quali gli interessi israeliani ed americani molte volte divergevano non poco, come l'invasione del Libano del 1982, o durante la prima guerra del Golfo del 1991, quando Israele si rivelò quasi una seccatura per gli americani, costretti a dei veri e propri equilibrismi politici per tenerlo fuori dalla coalizione, o al fallimento degli accordi di Oslo con i palestinesi. Nel capitolo "Israele: risorsa strategica o peso morto?" vengono citati i casi di cessione di tecnologia militare israeliana alla Cina e episodi di spionaggio industrial/militare negli USA da parte dei servizi israeliani, episodi che hanno irritato non poco gli americani ed hanno aumentato il credito di chi considera Israele un alleato troppo ambiguo. La stessa recente invasione dell'Iraq e l'attacco al Libano nel 2006 avrebbero avuto a detta degli autori una grossa "spinta" dalla Israel Lobby (ma non solo); comunque, in nessun capitolo del libro si auspica un inversione di 180° nei rapporti tra i due Paesi, ma ci si chiede se non sia il caso che tra USA ed Israele non si passi ad una forma di alleanza "più normale", come quella che esiste tra due Nazioni che hanno spesso, ma non sempre, gli stessi interessi. In conclusione, il libro tratta un argomento "pesante", le argomentazioni portate dai due autori a favore delle loro tesi sono indiscutibilmente valide; certo, quando si scrive, o si legge, di Israele è difficile stabilire quando arriva il limite dove le proprie convinzioni o simpatie pro o contro gli Israeliani riescono ad influenzare il nostro giudizio. Comunque un libro assolutamete valido, molto approfondito, scritto con un taglio giornalistico quindi facile e scorrevole da leggere. Lo consiglio.
Argomento: Politica di Difesa italiana - Recensione di Giuseppe Gagliano (06/09)
Copertina Soldati di Fabio Mini, Einaudi
Per quanto non possa considerarsi sistematico come il celebre volume di Caligaris Paura di vincere il saggio di Mini ha gli stessi pregi: tagliente, irritante per il lettore ipocrita, ironico nei confronti delle patetiche manie di grandezza di determinati scenari strategici. Non sono certo poche le considerazioni critiche che l'autore rivolge - per esempio - al perverso connubio tra politica, lobby industriali e militari di altro grado, alle innovazioni tecnologiche o autoreferenziali o finalizzate a compiacere varie prebende. E come non menzionare le stoccate rivolte ai generali -pappagalli del potere o più semplicemente opportunisti o, al contrario, gli elogi rivolti ai comandanti operativi e ai professionisti che portano solo onore - con il loro impegno e sacrificio - al Paese. Come collocare a latere la vibrante denuncia del gen. Mini rivolta alle innovazioni tecnologiche tanto sofisticate quanto ben lungi dall'essere attuate in tempi ragionevoli o a quelle finalizzate solo a compiacere interessi torbidi che arrecano solo danno ai magri bilanci. Se non mancano - nel breve saggio - le costanti strategiche care all'autore quali l'enfasi posta sul ruolo determinante della guerra psicologica, della guerra asimmetrica e sulla incapacità da parte Nato e da parte della intelligence statunitense di dare concreta attuazione ad una modalità di fare la guerra diversa da quella della cold war, non mancano neppure gli elogi rivolti alla politica estera italiana, elogi tuttavia subito smorzati dalla consapevolezza dello iato tra Europa e Usa, della presenza di numerosi e consapevoli sabotatori dell'autonomia del dispositivo militare europeo, della assenza di collaborazione tra forze di polizia e armate europee e non, dalla proliferazione di protagonismi e particolarismi che continuano ad ostacolare la possibilità di realizzare un sistema di difesa integrato. Proprio l'importanza attribuita all'Europa induce l'autore - senza giri di frasi - a stigmatizzare la politica unilaterale americana interessata alla realizzazione di coalizioni ad hoc e non alla edificazione di alleanze paritarie. Ebbene, accanto alle tematiche di politica estera e militare, non mancano le gustose e significative note di costume come quelle relative all'habitat delle caserme italiane o a quelle inerenti alle schedature 'alla matriciana' compiute con il celebre modello I durante gli anni della guerra fredda. A proposito dell'Italia, Mini - differenziandosi da numerosi commentatori - non solo sottolinea la scarsa qualità del professionismo attuale - con le dovute eccezioni - ma sottolinea anche - con la dovuta ironia - la presenza nel nostro paese di pseudo-strateghi pronti a servire umilmente il padrone di turno senza alcuna reale competenza professionale in cambio di cattedre universitarie e consulenze parlamemtari. D'altronde, quando la professionalità finisce per porsi al servizio del potere - sottolinea con amarezza l'autore - rischia di determinate errori clamorosi e di vasta portata come quelli della mancata previsione - da parte della intelligence americana - dell'attentato dell'11 settembre, come quelli della programmazione di modelli di difesa aziendalistici o come quelli dell'uso non proprorzionale dei mezzi offensivi, uso dettato dala cieca obbedienza al potere e non certo da esigenze realmente militari. Infine, la rivoltante demagogia lessicale delle guerre umanitarie, dei soldati di pace hanno - e continuano a determinare - sovrapposizioni di ruoli con gravi implicazioni operative congiunte a progressive perdite di credibilità come - sul fronte opposto - l'importanza sempre maggiore data ai mercenari - rischia di compromettere l'autorevolezza delle Forze Armate.
Argomento: Guerra psicologica - Recensione di Giuseppe Gagliano (01/09)
Copertina Guerre Economique et Information di Didier - Tiffreau, Ellipses 2001 (Euro 18,5)
I due analisti francesi - il primo docente di Scienza della gestione all'Università di Parigi III e il secondo direttore della cellula di guerra economica del Ministero della difesa francese - nota con l'acronimo C4ifr - e docente all'EGE - affrontano in questo saggio con grande chiarezza sia gli aspetti principali della guerra di informazione sia le tattiche controinformative messe in atto da diverse ong e associazioni antagoniste francesi e americane contro le industrie petrolifere, contro la mondializzazione e contro gli ogm. La guerra della informazione, benché non costituisca un nuovo paradigma della guerra moderna (fu anticipata dalla "Retorica" di Aristotele e da Sun-tzu), implica tuttavia una sintassi specifica soprattutto quando si applica alla dimensione economica. Affinché sia efficace è necessario partire - in primo luogo - dall'assunto secondo il quale l'informazione non è soltanto un vettore di conoscenza ma costituisce anche una potente ed efficace arma offensiva ed - in secondo luogo - è necessario prendere atto che sia l'approccio della scuola del Komintern alla guerra della informazione - che pone l'enfasi sulla disinformazione e sulla manipolazione -, che quello maoista - che si pone in essere attraverso la controinformazione - si sono rivelate metodologie di grande efficacia. Al di là delle riflessioni strategiche compiute da Herzog nel 1915 sulla necessità di servirsi della guerra della informazione per affrontare in modo efficace la competizione economica - alle quali gli autori attribuiscono un grande rilievo storico -, non c'è dubbio alcuno che la strategia sovietica - già a partire dagli anni venti - avesse dimostrato una potenza di penetrazione e manipolazione psicologica di indiscutibile valore come si evince agevolmente dalla propaganda antimilitarista promossa nel 1923, dalla campagna di disinformazione promossa presso il pubblico occidentale nel 1946 a proposito del dissidente sovietico antistalinista Kravchenco o, infine, dalla efficienza controinformativa dimostrata dall'agente di influenza Patrè nel 1959. Ebbene, una riflessione disinibita e realistica insieme delle tecniche messe in atto dalle ong - come Greenpeace - o da associazini antimondialiste - come Attac della cui capacità controinformativa gli autori forniscono una analisi magistrale - dimostra la sostanziale continuità metodologica con le tecniche manipolatorie e controinformative dell'Urss durante la guerra fredda. Ben lungi dal volere presentare al lettore europeo una manuale esaustivo sulle principali tecniche di guerra della informazione, gli autori indicano alcune tecniche argomentative e di mobilitazione antagonista usate dalle ong e dalla associazioni no global e, fra queste, l'utilizzazione della trasparenza informativa -attraverso una ampia publicizzazione - per spiazzare l'avversario -, l'implosione delle contraddizioni dell'avversario, l'utilizzazione della società civile come cassa di risonanza, l'organizzazione di manifestazioni pubbliche (sit-in o boicottaggi), le pressioni sulla stampa e sulle istituzioni politiche e religiose, la drammatizzazione - che può raggiungere toni apocalittici -, la squalificazione dell'avversario o l'erosione graduale della credibilità politica e morale dell'avversario. Ebbene, sia per far fronte all'antagonismo ideologico delle associazioni no global sia per contrastare la guerra economica messa in atto dal governo americano contro l'industria francese sia soprattutto per salvaguardare i rilevanti interessi economici della Francia in Europa e nel mondo, sono state realizzate la Ecole de guerre economique e una cellula all'interno del Ministero della difesa - denominata C4ifr - allo scopo di prevenire e - sorta nel 1994 - di contrastare rapidamente le strategie controinformative dei soggetti antagonisti.
Argomento: Evoluzione dei conflitti - Recensione di Giuseppe Gagliano (01/09)
Copertina La democrazia e il pensiero militare di Giorgio Galli, Editrice Goriziana Leg
Non c'è dubbio - come esplicitamente sostiene il politologo milanese Galli - che nel contesto europeo non vi sia alcun rischio attualmente di svolte autoritarie patrocinate dal potere militare. Tuttavia lo svuotamento politico delle democrazie rappresentative potrebbe contribuire a dare spazio alle élite militari nell'influenzare in modo determinante la politica estera ed interna delle nazioni europee. Sotto il profilo squisitamente storico il potere militare -nel novecento ed in particolar modo durante la cold war - ha contribuito ad attuare svolte ora reazionarie ora nazionalcomuniste. Si pensi al gen. Spinola o al maggiore Osorio nel Portogallo degli anni settanta, alla Grecia dei colonelli nel 1967, alla Cuba di Castro, al generale tunisino Ben Ali portato al potere grazie al Sismi - come d'altra parte il colonello Gheddafi - nel 1987 senza naturalmente omettere di ricordare la spagna franchista o il movimento tenentista di Vargas nel 1934 di matrice politica opposta a quella franchista. Ebbene al di là delle considerazioni - politicamente di parte - di Galli relative alla netta discontinuità tra il regime leninista e quello stalinista e alla legittimità delle tesi complottiste di Chiesa, Fo, Blondel sull'11 settembre, le parti più stimolanti del volume sono indubbiamente quelle nelle quali l'autore sottolinea l'originalità del contributo di Mini sulla necessità di attrezzarsi rapidamente - da parte dei paesi europei e da parte statunitense - per la guerra asimmetrica, nelle quali il politologo milanese individua nell'opera del colonello Tommaso Argiolas - La guerriglia. Storia e dottrina - un contributo significativo sulla particolarità della guerriglia che "non può più essere considerata una forma minore di guerra ma deve essere collocata accanto alle grandi operazioni corazzate e nucleari". Inoltre le ampie citazioni tratte dagli scritti del gen. Jean - relative alla necessità di "smettere di consideare la pace come una specie di diritto acquisito (..), di smettere di vantarsi(..) di essere una nazione disarmata e considerare le forze armate come strumento di guerra anzichè come mezzi indispensabili per qualsiasi pace possibile" contribuiscono ad offrire al lettore un quadro teorico di più ampio respiro. Ad ogni modo, il cap. VIII della Parte Seconda costituisce l'apporto più originale del politologo Galli sotto il profilo storico-strategico. La consapevolezza della assoluta originalità della guerra rivoluzionaria rispetto alle tipologie di guerra tradizionali, fu espressa in tutta la sua ampiezza da Girardet negli anni sessanta due anni dopo l'insurrezione algerina (maggio 1958) in un discorso all'Accademia francese nel quale sottolineava come la guerra rivoluzionaria avesse superato le frontiere tradizionali della specializzazione militare e poneva l'enfasi sulla influenza strategica determinante svolta dalla esperienza vietminh e indocinese nel riorientare profondamente la dottrina militare francese. La centralità della dimensione psicologica, l'organizzazione di gerarchie parallele - attuate poi da Trinquier -, la necessità di trasformare la neutralità del soldato classico in soldato militante in grado di agire psicologicamente sulle masse diventaranno le nuove modalità strategiche dell'esercito francese in Algeria e troveranno in Godard, Larechoy, Bigeard e nei trentacinquemila parà francesi gli strumenti più efficaci per dare concretezza alle nuove scelte politico-militari. L'impostazione ideologica di cui si faranno - nella maggior parte dei casi - interpreti sarà quella - per usare le parole di Lentin (p.123) - colonial socialista cioè una sintesi fra "l'esigenza di un rinnovamento nazionale, il ripristino della grandeur francese e l'intenzione di socialità paternalistica" che troverà modo di prendere forma concreta nel movimento del 13 maggio ad Algeri. Sebbene siano passati più di quarant'anni da quella esperienza, tuttavia - conclude Galli nel cap. XIV della Parte terza - come già al tempo dei colonelli della guerra rivoluzionaria il pensiero militare contemporaneo non potrà che scegliere sul piano politico o il liberismo o "soluzioni che comportino un principio di programmazione".
Argomento: Difesa Europea - Recensione di Giuseppe Ramazzotti (01/09)
Copertina L'Identità di Sicurezza e Difesa Europea - Il percorso storico di Riccardo Caimmi, Siena, Edizioni Cantagalli, 2004
Riccardo Caimmi, studioso di storia militare, ha tratto dai peculiari studi compiuti e dall'esperienza maturata all'Università degli Studi Siena (dove per anni ha collaborato con il prof. Giovanni Buccianti, insigne docente di Storia dei Trattati e Politica Internazionale), il bagaglio culturale per ripercorrere coerentemente i punti fermi della politica di difesa dell'Europa: dalle vicende antichissime all'attuale organizzazione militare europea. Nella prima parte del saggio Caimmi analizza, con rigore storico, quei particolari momenti in cui gli Europei ritennero di dover coalizzare le proprie forze per fronteggiare minacce comuni; nella seconda illustra con chiarezza i più recenti processi politici e diplomatici volti a conferire all'Europa comuni e concrete capacità in campo militare. Sfogliare le pagine del libro significa intraprendere una sorta di viaggio durante il quale l'autore prende per mano il lettore: laggiù in fondo nei secoli, Carlo Magno e Lepanto, le Repubbliche Marinare e la Vienna salvata dall'aggressione ottomana e qui, dietro l'angolo della storia, il trattato anglo-francese di Dunquerque (1947) e quello di Bruxelles (1948) che, coinvolgendo anche Belgio, Olanda e Lussemburgo prefigurò un più ampio impegno dei Paesi dell'occidente europeo nel campo della difesa. Grande rilievo è poi conferito alla nascita della NATO (1949) ed all'avvio, nel 1951, dell'innovativo, ma prematuro, progetto della Comunità Europea della Difesa, destinato a tramontare nel 1954. Puntuale anche l'analisi del dinamico ruolo svolto dall'Unione Europea Occidentale nel periodo successivo e lo studio dell'evoluzione del processo nell'arco di tempo compreso fra la caduta del muro di Berlino e la diretta assunzione di responsabilità in campo militare da parte dell'Unione Europea, dopo il Consiglio di Colonia del giugno del 1999. Per una migliore lettura degli avvenimenti più recenti l'autore ha anche indossato le vesti (che non gli sono per nulla strette) del giornalista, andando ad intervistare due protagonisti di rilievo della politica internazionale europea degli anni Ottanta e Novanta: l'italiano Gianni De Michelis e il francese Roland Dumas. Il viaggio si snoda anche da Maastricht in poi, toccando le decisioni assunte nei Consigli europei più rilevanti: Colonia, Helsinki, Santa Maria da Feira e Nizza, che realmente aprirono orizzonti nuovi. Le prospettive della difesa europea, incuneatesi nelle vicende successive all'attacco terroristico alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001, dopo avere sofferto per anni l'unilateralismo statunitense, sembrano poter oggi ricevere nuovo impulso. L'augurio è che Riccardo Caimmi riprenda la penna per analizzare gli aspetti della sicurezza militare europea dal 2005 in poi; se la difesa europea è infatti divenuta oggi una realtà concreta, ma ancora embrionale, si spera che essa possa presto ricevere una connotazione più precisa e l'attribuzione di maggiori responsabilità, non limitate al solo teatro balcanico. Le sfide lanciate dal terrorismo globale, in Irak ed in Afghanistan (Paesi che in caso di accoglimento della Turchia in Europa, confineranno con l'UE), lo richiedono. Questo libro, fresco di stampa, fu scelto quattro anni fa dall'Associazione lombarda dei giornalisti per farne omaggio ai partecipanti al convegno di Milano "I giornalisti e la NATO"; tra i convenuti i colleghi Ettore Mo, Achille Lega e Fernando Mezzetti (da Bagdad erano in collegamento Toni Capuozzo e Monica Maggioni) e, per l'Alleanza Atlantica, Megan Minnion, il generale Del Vecchio e l'ammiraglio Binelli. Copertina - Quarta di copertina
Argomento: Conflitti post 9/11 - Recensione di Francesco d'Alessandro (04/07)
Copertina Vincere le guerre moderne di Wesley K. Clark, Bompiani (16 Euro)
Il Generale Wesley Clark è stato Comandante Supremo Alleato in Europa dal 1997 al 2000. Ai suoi comandi si è svolta l'operazione "Determined Force", la campagna aerea che nel 1999 costrinse le forze armate serbe a ritirarsi dal Kosovo, scongiurando l'ennesima pulizia etnica nei Balcani. Abbandonato il servizio nel 2000, Clark si è candidato alle primarie del partito democratico nel 2004, poi vinte dal senatore Kerry (quello stesso Kerry che durante la campagna elettorale se ne uscì con l'infelicissima battuta "Le condizioni dell'esercito iracheno erano così patetiche che persino l'esercito italiano avrebbe potuto prenderli a calci nel sedere"). "Vincere le guerre moderne" è stato pubblicato negli Stati Uniti verso la fine del 2003, probabilmente come supporto alla campagna elettorale del Generale. Il libro è diviso in tre parti: i primi capitoli offrono un'analisi relativamente dettagliata di Iraqi Freedom. Vengono esaminate la pianificazione, lo svolgimento delle operazioni e la situazione sul campo al termine delle stesse. Nella seconda parte l'analisi si sposta sul piano strategico, passando in rassegna i risultati ottenuti, valutando l'efficacia dello sforzo americano e lo stato dei rapporti con gli alleati. A chiudere l'opera un noioso quanto inconsistente capitolo, "Oltre l'impero: una nuova America", contenente la ricetta per garantire - una volta eletto? - la sicurezza e la prosperità del Paese. Da un punto di vista militare, l'analisi di Clark - in realtà non molto originale - ha trovato molti sostenitori sulle due sponde dell'Atlantico: gli Stati Uniti sono scesi in guerra ignorando gli alleati storici, con forze troppo scarse e disponendo di una strategia post-bellica inconsistente: in questo modo hanno obbligato l'esercito a sopportare un attrito intollerabile anche per la forza più potente del mondo. Lettura interessante ma non fondamentale.
Argomento: Balcani occidentali - Recensione di Renzo Pegoraro (08/06)
Frammenti di pace, da Sarajevo a Pristina di Renzo Pegoraro, Edizioni Stella, Nicolodi Editore, Rovereto (TN)
Il libro tende ad individuare le prospettive relative alla situazione politica, economica e sociale, dei Paesi nei Balcani occidentali, cioè delle ex Repubbliche della Jugoslavia, tralasciando la Slovenia e ad esaminare le iniziative poste in atto dalle Organizzazioni internazionali per stabilizzare e ad avviare a soluzione i problemi inerenti alle due principali aree di crisi, Kossovo e Macedonia. Si fa cenno, all'importanza geo-strategica dell'area ed ai precedenti storici che hanno lasciato tracce nella formazione delle varie nazionalità e realtà politico-territoriali attuali. Partendo dal sesto secolo d. C., al quale risale l'insediamento delle popolazioni slave nei Balcani, sono descritti, in particolare, i processi di transizione, le cause e gli effetti delle guerre balcaniche degli anni '90, i cambiamenti dei Paesi considerati sotto l'aspetto, politico, economico e sociale, il ruolo e gli interventi dell'Europa, della NATO, dell'ONU e delle altre organizzazioni internazionali nell'area. Nell'approfondire le cause del fallimento dell'esperienza socialista di Tito unitamente ai suoi elementi di forza, l'autore ha analizzato i fattori che condizionano la stabilizzazione e quindi lo sviluppo economico e sociale delle repubbliche della ex Jugoslavia, quali: il fenomeno dell'islam nei Balcani, la questione albanese, il mito serbo del Kossovo, il conflitto etnico. Inoltre sono descritte in modo particolareggiato la crisi del Kossovo e della Macedonia, le cause, i negoziati compiuti e gli sforzi diplomatici internazionali svolti per evitarle. Le condizioni nelle quali è maturato l'intervento armato della NATO, la condotta e le conseguenze delle operazioni militari, l'invio della missione ONU e del contingente internazionale della KFOR, il ruolo svolto dall'Europa e dalle potenze occidentali (G8) non solo per motivi umanitari, ma anche a salvaguardia di interessi geostrategici nell'area.In conclusione il libro fornisce alcune risposte circa la situazione attuale ed i possibili sviluppi futuri dei Balcani occidentali. Quali sono allora le prospettive per questa terra tormentata? Essa è stata chiamata il "buco nero" dell'Europa. Si trova circondata dai Paesi che appartengono alla NATO (vedasi Slovenia, Romania, Bulgaria) o che faranno parte delle istituzioni comunitarie europee. Sarà lasciata a deteriorarsi nelle proprie difficoltà in attesa che un nuovo dittatore compia altri scempi umanitari, oppure la Comunità Internazionale e l'Europa, in particolare, riusciranno a dare un futuro a queste popolazioni, mediante l'assistenza politica e soprattutto economica? La situazione politica, sociale ed economica è complessa e difficile. Atavici rancori, differenze culturali e religiose separano questi popoli che esprimono tutte le contraddizioni del passato e che non hanno mai trovato l'opportunità di vivere insieme pacificamente. Ma come raggiungere la convivenza pacifica? Come risollevarsi dalla povertà culturale e dalla miseria? Come agganciarsi all'Europa e all'Occidente? Con una serie di argomentazioni, frutto anche dell'esperienza dell'autore che ha operato in Macedonia e Kossovo, vengono individuate le linee di tendenza generali ed i possibili sviluppi sulle principali questioni: il funzionamento e l'unificazione delle istituzioni in Bosnia Erzegovina, le relazioni interne all'Unione Serbia e Montenegro, lo status finale del Kossovo, la stabilizzazione politica dell'Albania, il superamento delle divergenze etniche in Macedonia e la definizione della questione sul suo nome, ecc.. Si può affermare, fin d'ora, che il cambiamento è iniziato. Tuttavia occorre dare forza alla diplomazia internazionale per realizzare i compromessi politici ed i piani economici necessari per creare, in fasi successive, le condizioni per il dialogo tra le varie identità e per favorire un assetto politico stabile della Regione.
Argomento: Strategia - Recensione di Cybercapitano (06/03)
Copertina L'Europa centro-orientale e la Nato dopo il 1999 di Federico Argentieri, Franco Angeli, 2000 (9.000 Lire)
Il volume, commissionato dal CeMISS, coordinato da Federigo Argentieri e presentato ufficialmente a giugno a Roma nella sede dell'Accademia Polacca delle Scienze in presenza di tre ambasciatori delle repubbliche baltiche, fa il punto sulla situazione geopolitica della zona centroeuropea, considerata orientale ai tempi della Guerra Fredda ma reintegrata ora nell'Occidente. E' un arco di paesi in realtà diversi fra loro per lingua, cultura, basi economiche e ordinamenti politici, ma con una base comune: si sono formati o ricostituiti dopo la fine dell'URSS e gravitano ora verso l'Europa e la Nato. Alcuni ormai ne fanno anche parte integrante, come la Polonia, la Repubblica Ceca e l'Ungheria, partecipando anche alle missioni prima Ifor e poi Kfor. Processo che ha visto difficoltà non lievi e che appare tuttora incompleto, ma proiettato verso il futuro. Paesi come la Polonia o l'Ungheria si sono riconquistati un ruolo importante nella diplomazie e nella stabilità dell'Europa, la quale ha visto tra l'altro la Nato impegnata in guerra nei Balcani anziché in difesa dell'Elba o del Danubio. Ma restano aperti molti problemi. Da nord a sud, eccone una sintesi: la Bielorussia non ha sviluppato una vera democrazia; Kaliningrad resta un'isola russa staccata dalla madrepatria; le tre repubbliche baltiche - Lituania, Lettonia ed Estonia - pur ansiose di entrare nella Nato, non potranno farlo finché il loro ingresso minaccia la sicurezza della Russia e quindi la loro stessa sicurezza. Scendendo più giù, Slovacchia, Moldavia, Romania e Bulgaria hanno ancora economie di transizione, sistemi politici non sempre adeguati agli standard europei e - dal punto di vista militare - dispositivi di sicurezza obsoleti. Il libro fornisce dati aggiornati sulla situazione economica, politica e militare di ciascuno dei paesi in elenco, dati sono integrati anche da elementi di storia bilaterale fra singole nazioni dalla storia e dai confini labili. Elemento di stabilità rimane per la maggior parte di esse proprio l'integrazione con entità sovranazionali piuttosto che l'esasperazione dei nazionalismi locali. Non a caso l'Ungheria prima di essere accolta nella Nato ha dovuto firmare nel 1996 un trattato con la Romania (riportato per intero nella prima appendice, alle pagine 106-116). Viene anche ripercorso il laborioso cammino che ha portato dal 1992 in poi all'InCE (Iniziativa centro europea, vedi seconda appendice alle pagine 91-105), erede della Quadrangolare (1990), organo di consultazione collettiva e di coordinamento dei paesi dell'Europa centrale. Attualmente i membri dell'InCE sono 16, la Moldavia essendo entrata nel 1996. Nella scrittura del volume - traduzioni comprese - hanno collaborato sia militari che civili: il brig.gen. (aus) Savino Onelli, il dott. Andrea Blais, la dott.ssa Federica Lodato, il dott. Angelantonio Rosato, il prof. Gyözö Szabò, la dott.ssa Marina Astrologo e la dott.ssa Simona Nicolosi. Nella terza appendice è riportato infine il testo della Carta di partenariato fra gli Stati Uniti d'America e le tre repubbliche di Estonia, Lettonia e Lituania (1998). Copertina
Argomento: Futuro della guerra - Recensione di Cybercapitano (06/03)
Copertina Il futuro della guerra di François Heisbourg, Garzanti, 1999 (9.000 Lire)
"Nel tentare di prevedere il futuro della guerra, occorre focalizzare l'attenzione sul perché e da chi saranno combattute le guerre future, e su che tipi di guerre saranno. Il modo in cui la tecnologia s'integrerà nei conflitti futuri dipenderà in buona parte dagli obiettivi di tali conflitti". Così esordisce l'autore di questa sintetica ma qualificata guida alle prospettive della guerra dopo la fine della Guerra fredda. Vengono analizzati sia conflitti reali che proiettati, viene suggerito con precisione quali tecnologie militari e civili avranno peso nella guerra e viene ipotizzato un futuro combattuto con reparti leggeri di rapido impiego e alta tecnologia, a fianco di guerre tribali. Da un lato conflitti brevi e apparentemente decisivi, dall'altro scontri feroci e prolungati, ma lontani dagli interessi occidentali. Obiettivo delle guerre tecnologiche saranno le reti informatiche e le risorse più moderne, mentre le guerre locali faranno molti morti fra i civili. La parte dedicata al terrorismo islamico hi-tech (p.46-48, 52-54) e alla guerra batteriologica e chimica (p.11-12, 47) dimostra una grande preveggenza oltre che competenza. Non per niente l'autore è stato direttore dal 1987 al 1992 dell'Institute for Strategic Studies di Londra. Ed è sorprendente che analisi così puntuali siano state sottovalutate fino allo storico 11 settembre 2001. Copertina
Argomento: Evoluzione della guerra - Recensione di Paolo Soprani (01/03)
Copertina Elogio della Guerra di Massimo Fini, Tascabili Marsilio - Saggi (6,20 Euro)
Permettendomi un giudizio personale devo dire che mi è proprio piaciuto. Fini prende in esame la guerra non da un punto di vista tecnico o metodologico, ma da un punto di vista "umano"; con ciò intendo dire che essa viene analizzata nel suo evolversi storico, fin da quando l'uomo viveva in tribù e fino ai giorni nostri. In questo suo percorso cita diversi testi, sia di natura sociologica sia antropologica, per corroborare la sua tesi, e cioè che la guerra, compagna "fedele" dell'uomo, che lo ha accompagnato per tutta la sua storia, è un evento naturale e per certi versi indispensabile alla sua stessa vita. Vengono prese in considerazione le pulsioni, i valori, le conseguenze e le giustificazioni che l'uomo attribuisce al conflitto, sostenendo poi che l'avvento della bomba atomica, con la sua funzione di deterrenza, ha causato un grave danno alla società moderna; da un lato ha garantito una certa pace e stabilità, ma dall'altro ha snaturato l'uomo da quelli che sono normalmente suoi istinti naturali, facendo qui una distinzione, ed analizzandone le ragioni, tra gli atteggiamenti e dell'uomo e della donna di fronte alla guerra. Massimo Fini, giornalista e scrittore, è stato editorialista de Il Tempo, Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino ed è stato inviato per venti anni dell'Europeo. Nel panorama giornalistico ed intellettuale italiano rappresenta una figura singolare per la sua indipendenza. Copertina
Argomento: Occidente e Italia di fronte alla rivoluzione negli affari militari - Recensione di Paolo Soprani (01/03)
Copertina Evoluzione della Guerra di Carlo Pelanda, Franco Angeli s.r.l collana CeMiSS (22.000 Lire)
Libro interessante e di attualità per quello che concerne le nuove dottrine del dopo Guerra Fredda, sopratutto dal punto di vista delle operazioni fuori area tipo il Peacekeeping o il Peacebuilding, ma non mancano considerazioni approfondite sulle classiche operazioni militari. Vengono trattati gli argomenti introdotti nel mondo occidentale dalla Rivoluzione negli Affari Militari (RMA). Parecchi spunti si possono prendere per analizzare il mutamento dei conflitti, dalla condotta delle operazioni nella IIGM fino alla Guerra del Golfo del '90; certo la trattazione è piuttosto tecnica e di non immediata comprensione, ma d'altronde è uno studio che non è rivolto al grande pubblico. Si parla del nuovo ruolo della tecnologia, della guerra d'informazione e dei risvolti strategici che questi fattori hanno introdotto sul campo di battaglia, sia per chi attacca sia per chi difende; con le nuove tecnologie si passa da un combattimento di contatto sequenziale ad un combattimento simultaneo in profondità. Non vengono analizzati scenari possibili di intervento, ma vengono citati esempi, come la Guerra del Golfo del '90 per spiegare i concetti illustrati. Riferimento finale alla situazione italiana. 91 pagine. L'autore è docente di Scenari Internazionali e codirettore di Globis (Center for the Study of Global Issues) presso la University of Georgia, Athens, USA. Ha anche insegnato Studi Strategici presso la Luiss di Roma e nel 1995 è diventato editorialista de Il Giornale. Per informazioni scrivere a Franco Angeli, Viale Monza 106, 20127 Milano. Copertina
Libri in lingua inglese
Argomento: Bombardamento strategico - Recensione di Giuseppe Finizio (06/03)
Copertina How effective is strategic bombing? Lessons learned from World War II to Kosovo di Gian P. Gentile, New York University Press (36 Dollari). Recensito da Giuseppe Finizio.
L'obiettivo del bombardamento strategico consiste nell'erosione della coesione e della volontà di combattere del nemico ottenuta concentrando lo sforzo sui suoi interessi vitali che, stabiliti in sede di pianificazione, possono essere, a seconda dei casi, l'apparato governativo, le infrastrutture, i centri di ricerca e le strutture economiche e produttive. Questa, in sintesi, la definizione che del potere aereo dà l'EURAC (European Air Chiefs' Conference) nella sua ultima conferenza tenutasi a Parigi nel 2001. Dai tempi del "Dominio dell'Aria" di Giulio Douhet (1921) sono passati più di ottant'anni durante i quali questo tema è rimasto costantemente al centro dell'attenzione degli strateghi e dei politici soprattutto negli Stati Uniti. Non stupisce quindi che proprio uno storico militare americano abbia dedicato a questo tema il saggio che ci accingiamo ad esaminare. E' bene sgombrare subito il campo da un possibile equivoco in cui sono caduti (forse volutamente) alcuni colleghi di Gentile nel recensire il libro. L'autore non si prefigge come scopo della sua fatica l'accertamento del reale grado di efficacia di questa forma di guerra nell'ambito della strategia degli USA, nè suggerire ricette per il futuro. Più semplicemente, basandosi sui due maggiori studi ufficiali dedicati al tema: l'USSBS (United States Strategic Bombing Survey), stilato alla fine del secondo conflitto mondiale e il GWAPS (Gulf War Air Power Survey), dedicato alla campagna aerea in Iraq del 1991, di accertare la correttezza delle metodologie impiegate e i condizionamenti a cui furono sottoposti i relatori di detti studi. In entrambi i casi, infatti,si trattava di civili: economisti, industriali, banchieri, giuristi, storici (questi ultimi poco graditi ai vertici dell'aviazione) che avrebbero dovuto garantire al progetto un'assoluta imparzialità. Ma,almeno per ciò che riguarda l'USSBS, le cose andarono diversamente in quanto le metodologie e le linee guida impiegate furono imposte surrettiziamente dai vertici dell'USAAF ansiosi di raggiungere l'indipendenza dall'Esercito e dalla Marina e di assicurarsi una fetta cospicua dei finanziamenti per le forze armate nel dopoguerra.Ecco quindi emergere insanabili contraddizioni tra gli esiti dei rapporti particolari e le conclusioni dei Summary Report dell'USSBS invariabilmente favorevoli ad alimentare la vulgata secondo cui "il potere aereo degli Alleati è stato un fattore decisivo nella vittoria in Europa" ,come ribadì il gen. Spaatz di fronte ad una commissione senatoriale nel 1947. In realtà già nel 1943 un collegio di illustri storici aveva prodotto un documento in cui si negava la possibilità che l'USAAF potesse, da sola, costringere la Germania alla resa. Ma il gen. Henry Arnold ne alterò le conclusioni prima di presentarlo a Roosevelt. Fin dagli anni venti,sulla scorta delle teorie di Douhet, riprese da Willy Mitchell, l'USAAF aveva infatti tentato di diffondere e far accettare ai vertici poltici americani l'idea che una flotta di bombardieri avrebbe reso superfluo l'esercito e la marina. Un mito che giunse integro nel dopoguerra e modellò la strategia USA durante la guerra fredda. Più onestamente i cinque volumi del GWAPS si limitano ad un'analisi scevra da ogni preconcetto e non cercano verità assolute applicabili alle guerre del terzo millennio. La loro stesura, infatti, non venne condizionata da interessi particolari e potè svolgersi in un clima di sereno confronto e critica costruttiva. Negli Usa l'opera di Gentile ha suscitato comprensibilmente una levata di scudi da parte dei fautori del potere aereo assoluto che hanno accusato l'autore di parzialità e scarsa lucidità intellettuale, senza tuttavia riuscire a confutare nessuna delle sue asserzioni. Il volume può essere acquistato presso il sito dell'editore www.nyupress.nyu.edu. Copertina
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