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Argomento: Militarismo nella cultura degli Stati Uniti - Recensione di Emilio Bonaiti (06/09)

Nazione Guerriera è il titolo che il professore americano Gordon Poole, titolare di una cattedra presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli, ha pubblicato nel 2001 con l'editore Colonnese di Napoli. Quando si parla di nazione guerriera, per associazione di idee, il pensiero vola alla Germania di Guglielmo Secondo e di Hitler o al Giappone dei Samurai e dell'ammiraglio Togo e non agli Stati Uniti d'America un popolo che, nel giro di due secoli, trasformò un territorio selvaggio nella più grande potenza del mondo e nel '900 intervenendo nella Grande Guerra salvò Francia, Gran Bretagna e Italia dalla disfatta contro gli Imperi centrali, nella seconda guerra mondiale le democrazie occidentali contro la Germania nazista e il Giappone imperiale e negli anni successivi l'Europa dal comunismo, una breve storia che l'autore descrive come un seguito di sopraffazioni contro i nativi e il resto del mondo.
Si prova però un senso di impaccio a fare quest'ultima osservazione, perché il professore ha un ricordo nostalgico della defunta Unione Sovietica, uno Stato che si è afflosciato su se stesso senza sommovimenti interni o invasioni dall'estero, uno Stato, le parole virgolettate sono sue, "socialista" che "richiedeva un clima di pace per realizzare le proprie potenzialità", potenzialità che uomini come il russo Solzenityn nei gulag o gli ufficiali polacchi a Katyn avevano esperimentato sulla propria pelle. Poole ha invece le idee chiare, le cause dell'implosione risalgono alla cinica politica estera degli USA. Vale la pena di seguire metodicamente alcune affermazioni del professore per meglio caratterizzarlo. A pagina nove si sostiene perentoriamente che sono "le democrazie che creano gli imperi" e non si capisce se in questa definizione rientri anche l'impero ottomano che andava dall'Europa, all'Asia e all'Africa, il Giappone del Tenno con la sua politica nei confronti della Corea e della Cina, la Russia zarista con la sua espansione nell'Asia centrale. Segue poi una panoramica della guerra di Secessione e delle guerre contro gli Indiani e si arriva alla guerra francoprussiana del 1870. Audacemente il Nostro riporta la tesi di James Truslow Adams che sosteneva esservi stata l'influenza del generale americano Sheridan sulla condotta germanica, ovviamente malvagia, della guerra, alla quale partecipò come spettatore al seguito di Bismarck, una guerra dalla quale la Germania uscì come la maggior potenza militare europea. Helmuth von Moltke capo di stato maggiore dell'esercito tedesco e allievo di Clausewitz, al quale va il merito di aver creato il Grande Stato Maggiore Generale e uno strumento militare di prim'ordine vittorioso contro la Danimarca nel 1864 e contro l'Austria nel 1866, teneva in così gran conto i generali americani da scrivere che: "Nella guerra di Secessione gli eserciti si erano rincorsi per tutto il territorio sparandosi addosso". Solleva ilarità la tesi che Moltke, considerato dopo Napoleone il miglior generale europeo, uomo austero e orgogliosissimo, subisse l'influenza di un generale straniero. Va aggiunto che l'arrivo di Sheridan "verso la metà di agosto 1871" avvenne a distanza di quasi un anno dalla resa di Napoleone Terzo a Sedan. Si può aggiungere che tutti gli stati maggiori europei snobbarono la sanguinosissima guerra di Secessione. "Se qualsiasi guerra moderna possa risolvere un qualsiasi problema internazionale" è a pg. 28 la classica domanda che i pacifisti di tutti i tempi ed opinioni si sono posti e si pongono. Una risposta potrebbe essere quella della seconda guerra mondiale quando, in un mare di sangue, fu cancellato il cancro nazista, un conflitto iniziato nel 1939 con l'aggressione tedesca della Polonia, spalleggiata dall'Unione Sovietica, allora alleata di Hitler. Questa domanda né pone un'altra, quali vie pacifiste restavano alle potenze democratiche per fronteggiare la volontà di potenza della Germania nazista? A pg. 92 l'autore enfatizza "la rivolta della truppa", ossia i malumori delle truppe americane per le lungaggini della smobilitazione dopo la fine della seconda guerra mondiale, "rivolta" che, a detta dell'autore, creò gravi preoccupazioni nel governo americano il quale: "si trovava di fronte a una massa di combattenti armati, sostenuti da una larga parte della società civile" e fu costretto ad affrettare le relative procedure. Trapela dallo scritto del professore la delusione per la mancata grande rivolta da trasformare nella sospirata Rivoluzione contro il governo capitalistico. Viene da domandarsi quali sarebbero state le misure di Stalin e dei suoi servizi nel caso di una "rivolta della truppa" nell'Armata Rossa, impegnata nell'instaurazione di regimi comunisti in tutta l'Europa orientale. Sulla guerra di Corea, mr. Poole non spende stranamente parole, eppure all'epoca L'Unità con titoli a tutta pagina sosteneva che le gloriose truppe della Corea del Nord avevano prima vittoriosamente respinto un attacco dei fascisti sudcoreani per poi dilagare in tutta la penisola per portarvi la pax rossa che ancora oggi esiste nella Corea del Nord. Anche sul Vietnam le idee sono chiare. Il Vietnam del Nord "decise di affidare la promessa riunificazione alla forza delle armi" alla faccia dei principi pacifisti sbandierati. Segue un elenco lungo nove pagine di atrocità americane, si dimentica che tutte le guerre tra eserciti regolari e formazioni irregolari (guerriglieri, partigiani, ribelli) si svolgono in una spirale di violenza che non ha eguali. E' sufficiente riflettere sugli scontri, imboscate, colpi di mano che avvenivano tra guerriglieri spagnoli o calabresi e le truppe napoleoniche, partigiani sovietici o jugoslavi e Tedeschi, Fronte di liberazione algerino e Francesi, per rendersi conto di quanto crudele siano queste guerre. Si potrebbe aggiungere che i Vietcong iniziarono la guerra di liberazione assassinando circa 3000 funzionari civili e sindaci del Vietnam del Sud, allo scopo di creare il clima di terrore necessario alla guerra popolare. Di certo sulla guerra le parole di Charles C. Moskos non sembrano fuori luogo: "Se ha da esservi un conforto finale per il veterano del Vietnam, questo può essere trovato in una rivalutazione del ruolo americano nel Sud-Est asiatico. Di certo il soldato americano dovette svolgere un compito che non gli piaceva e non capiva; ma può trarre una triste soddisfazione nel fatto che gli eventi in Indocina dopo la sua partenza mostrano che la sua missione lì aveva una giustificazione morale". L'autore termina la sua opera, riassunta per sommi capi, dopo divagazioni sulle guerre future con un capitolo sulla "Strage di stato a Waco, Texas" iniziata con la morte di quattro agenti e il ferimento di 15, ma: "Pare che gli agenti non si siano portati neanche il mandato di arresto che, teoricamente, sono andati lì per eseguire". Poole, sempre sostenitore della malvagità dei suoi concittadini, rifiuta la versione dei fatti che: "Janet Reno, ministro della giustizia e generalmente identificata come femminista progressista" dà della tragedia e l'aggiunge al suo carniere di crudeltà e malvagità del governo dei suoi concittadini. Gordon Poole, a giudizio di chi scrive, è il tipico intellettuale radical, affetto da volontà autoflagellatoria, nemico del pensiero liberale e della società occidentale. Da una vita vagheggia un mondo diverso, mai ben definito, che, dopo aver identificato nell'Unione Sovietica di Stalin e dei suoi discendenti, nella Cina di Mao, nel Vietnam di Ho Ci Min, nella Corea del Nord di Kim Il Sung, nella Cambogia di Pol Pot fino a ridursi alla Cuba castrista si conclude in un pacifismo parolaio che scende in campo solo se i malvagi di turno sono gli Americani. Vengono alla mente le parole di Mitterand: "I pacifisti sono all'ovest, i missili ad est". Fa parte di quella folta legione di intellettuali dei più diversi paesi, nella stragrande maggioranza denigratori del sistema capitalistico, già pellegrini a Mosca, nostalgici dell'impero sovietico, che fanno venire alla mente lo slogan: "Non si può essere di sinistra se non si è antiamericani". In un contesto diverso, riferendosi a un libro Teoria della classe agiata di Thorsten Weblen, Benedetto Croce, napoletano sapiente, storico senza aggettivi, scriveva: "Ma il lettore si diverta a scorrrere il grosso volume, se resiste al gioco insulso che qui si é voluto brevemente esemplificare, non per altro che per dimostrare che contro questo libro non é proprio 'necessaria la congiura del silenzio', la quale se mai, sarebbe pietosa verso l'autore".
Argomento: Sommergibili - Recensione di Diego Brozzola (06/07)

Un insieme di testi che hanno come punto d'incontro e di discussione i sommergibili, il loro utilizzo ed alcune loro avventure. Storia di un'invenzione e dei suoi molti padri, di Alessandro Marzo Magno: affronta la nascita e la genesi del siluro sopratutto in Italia e dell'uso e non uso che ne e' stato fatto nei conflitti. La straordinaria vicenda del sommergibile rubato, di Graziano Tonelli: le vicende dell'argonauta sommergibile italiano "rubato" dall'arsenale di Muggiano e poi reitegrato nella flotta italica prima del primo conflitto mondiale. L'affondamento del sommergibile austriaco U-12: propaganda, leggende, fatti, di Erwin F. Sieche: la vita del sommergibile U-12 e del Suo comandante. Siamo decisi a tutto: i sommergibili italiani e la causa fiumana, di Graziano Tonelli: le incursioni degli uscocchi di D'Annunzio per procurarsi un sommergibile per Fiume. Pirati nel Mediterraneo, di Andrea Vento: saggio in cui si cerca di analizzare l'uso politico e pretico dei sommergibili italiani "ceduti" al governo franchista spagnolo durante la guerra di Spagna. Le vicende del sommergibile Scirè di Francesca Giacchè: le avventure del più noto di tutti i sommergibili italiani. Dimenticati agli antipodi: l'odissea dei sommergibili italiani in Estremo Oriente (1943-1945), di Marco Cuzzi e Andrea Vento: l'articolo descrive i fatti accorsi ai nostri sommergibili trasformati in "mercantili" e trasferiti in estremo oriente, le scelte fatte dagli equipaggi dopo l'8 settembre 1943. Un libro tutto sommato che si legge in fretta, omogeneo anche se trattato da molti autori, consigliato a chi ancora non è esperto nel settore "marineria".
Argomento: Germania - Recensione di Mauro Tosi (01/07)

Il libro ripercorre il percorso che portò all'unificazione tedesca, iniziato con la guerra per i ducati danesi (1864), proseguito con la guerra contro l'Austria per il predominio in Germania (1866) e terminato con la guerra con la Francia nel 1870. L'opera inizia con l'analisi parallela dell'economia, della cultura e della politica nei principali in Europa, Germania, Prussia e Austria. In questo modo viene definito lo scenario nel quale si sono svolti gli
avvenimenti, mettendo in risalto gli aspetti salienti della superiorità prussiana in tutti gli aspetti, dal tecnologico, al militare, ecc. Il libro si legge velocemente ed è abbastanza chiaro. L'autore fa ampio ricorso alla bibliografia esistente, riuscendo a condensare in un opera alla porta-ta di tutti, numerosi e diversi testi in materia.
Argomento: Storia dell'Austria - Recensione di Mauro Tosi (01/07)
Il tramonto di un Impero - La fine degli Asburgo di Edward Crankshaw, Mursia
Il libro ripercorre la storia dell'Impero Austriaco dal 1848 al 1918, tratteggiando tutti gli avvenimenti che ebbero il loro culmine al termine della I Guerra Mondiale, con la dissoluzione dell'Impero d'Austria-Ungheria.
Tra tutti spicca la figura di Francesco Giuseppe, testimone della fine di un epoca caratterizzata dalla Santa Alleanza e l'inizio di una nuova era, positivista e nazionalista dove l'impero era diventato anacronistico. Il libro è completo, facile nella lettura e nella comprensione. L'autore, pur non tralasciando alcun particolare storico, è in grado di creare un quadro chiaro e completo degli avvenimenti politici, militari e sociali di un mondo avviato al tramonto, ma che ha vissuto con orgoglio sino alla fine.
Argomento: Contesa asiatica fra Gran Bretagna e Russia - Recensione di Bruno (06/06)

Parlare del "Grande Gioco" da una parte risveglia ricordi di epoche andate, con soldati dalla giubba rossa ed imprese avventurose, dall'altra porta la nostra attenzione ad una zona del mondo ancora oggi continuamente al centro di contese internazionali. La sfida, nell'800, era per il controllo di una zona dal valore strategico elevato, e con qualche importanza come mercato: le steppe e le montagne dell'Asia Centrale erano state dimenticate dalla storia dopo il
declino della Via della Seta, e i loro governanti erano emiri musulmani dispotici e spietati, ignoranti del resto del mondo e quasi invariabilmente ostili a qualunque penetrazione straniera. La curiosità inglese per questi territori era meno giustificata dall'interesse economico che dalla preoccupazione per le mosse russe: controllare quell'area voleva dire minacciare l'India (gemma dell'Impero Britannico), e questa potenziale minaccia poteva essere moneta di scambio
quando gli Zar desideravano espandersi verso Costantinopoli, loro antico sogno, o nei Balcani. I Russi d'altra parte erano costantemente minacciati dalle incursioni dei predoni, che riducevano mercanti e popolani in schiavitù, portando una costante offesa al potere zarista. Il libro (oltre 500 pagine) narra delle imprese svolte da ambo le parti, tra viaggi interminabili e camuffamenti improbabili, carceri ed esecuzioni, momenti di cavalleria, atti di eroismo e battaglie disperate... il tutto sullo sfondo dell'ultima zona "non mappata" del mondo. Dal momento che l'autore è anglosassone, particolare rilievo viene dato alle gesta rocambolesche degli intraprendenti ufficiali di sua Maestà. Merita una lettura.
Argomento: Esercito Cinese - Recensione di Roberto Bagna (10/02)
L'Esercito Imperiale Cinese di Luca Tesi, M.I.R. Edizioni 2000 (19,63 Euro)
L'autore traccia la storia degli eserciti cinesi dal 1800 a.c. al 1979 d.c. epoca dell'invasione del Vietnam. L'opera è abbastanza equilibrata nella trattazione, infatti una buona metà del libro è dedicata agli eventi succedutisi fino al 1900. Rimane comunque una trattazione a carattere generale ma con alcuni approfondimenti anche su eventi poco conosciuti, come le attività di guerriglia nel Tibet occupato finanziate dalla C.I.A. e protrattesi fino ai primi anni '70. La materia, a parte qualche espressione un po' "colorita" dell'autore, è trattata con un buon rigore storico, Sono esaminati lo sviluppo, la composizione, ed in qualche caso le tattiche dei vari eserciti succedutisi sotto le varie dinastie cinesi fino alla proclamazione della Repubblica. Viene poi esaminata la lunga guerra civile e la guerra contro i giapponesi fino alla presa del potere da parte di Mao. L'ultima parte del libro esamina le guerre della Repubblica Popolare in Corea, Tibet, e Vietnam; considerando anche gli scontri di confine con L'Unione Sovietica. Il libro è illustrato con fotografie in bianco e nero e con tavole uniformologiche tratte dai libri della Osprey relativi all'argomento, purtroppo anch'esse sono in bianco e nero. E' un libro senz'altro interessante anche per l'argomento trattato, che rimane generalmente poco conosciuto e costituisce un utile complemento ad un libro sulla storia della Cina. Il libro può anche essere ordinato direttamente dal sito web dell'editore www.miredizioni.it. Una curiosità, l'autore ha anche scritto la prefazione all'edizione del 1999, sempre della stessa casa editrice, di "Bestie, uomini, e dei" di Ferdinand Ossendowski nel quale l'autore descrive i suoi viaggi nella Mongolia del 1921 in pieno periodo rivoluzionario ed il suo incontro con il barone Urgen Khan. Questo libro è servito a Hugo Pratt come ispirazione per l'avventura di Corto Maltese "Corte sconta detta arcana" ambientata appunto in Mongolia e dove il barone Urgen è uno dei personaggi.
Argomento: Esercito Svizzero - Recensione di Marco Marianetti (03/02)
Il formidabile esercito svizzero di John McPhee, Adelphi (20.000 Lire)
Libro curioso, ma interessante scritto dal giornalista americano del New Yorker, che analizza l'organizzazione e la filosofia di uno degli eserciti più sorprendenti al mondo. Se vogliamo, il testo è tanto più curioso poiché viene edito dalla prestigiosa ed eclettica casa editrice Adelphi. In sostanza, con lo sguardo stupito e indagatore di uno statunitense, McPhee "scopre" l'esercito del paese che è sinonimo stesso di neutralità, un esercito che non solo non ha mai combattuto una guerra da 500 anni, ma che non fa parte praticamente di nessuna organizzazione internazionale, per il timore che ciò possa in qualche modo compromettere il suo status di assoluta non belligeranza. Cionondimeno la Svizzera possiede uno degli eserciti più addestrati e ben armati del mondo; un esercito che vede coinvolti tutti i suoi cittadini lungo tutta la vita, periodici richiami sotto le armi nella riserva. Un esercito che cela, ben nascosti nelle sue montagne e foreste, basi militari, arsenali, rampe missilistiche, che ha già studiato piani di resistenza e controffensiva nel caso di invasione, che non esita a spendere somme considerevoli per restare sempre al passo con le potenze europee. L'autore approfondisce anche l'aspetto umano, seguendo i soldati nelle missioni di addestramento, sottolineando l'aspetto di soldati-borghesi che caratterizza l'armata elvetica. Non dimentichiamo che i soldati svizzeri furono, nel Rinascimento, i combattenti più richiesti da tutti gli stati in lotta e alla ricerca di mercenari e che uno dei migliori eserciti moderni, quello israeliano è la fotocopia medio orientale di quello svizzero e costituisce, sul campo di battaglia, la migliore prova della validità dell'intuizione elvetica del concetto di esercito di popolo.
Argomento: Le radici della guerra - Recensione di Marco Marianetti (03/02)

Nell'introduzione, l'autore ci svela il suo punto di partenza e la sua ispirazione per il saggio in questione: la comprensione del fenomeno della svalutazione della vita umana e della morte di massa. Il sottotitolo è di per sé emblematico "Dalla tragedia al mito dei caduti" e traccia alla perfezione il tema e lo svolgimento dell'argomento da parte di Mosse. Come le grandi guerre mondiali hanno mutato l'approccio dell'uomo moderno alla carneficina dei campi di battaglia del novecento, come ha cercato di esorcizzarne l'orrore e di mitizzare il ricordo dei caduti in guerra. Il culto dei morti, la trasfigurazione dell'esperienza bellica, secondo l'autore, è una peculiarità degli ultimi grandi conflitti, in particolar modo della Prima Guerra Mondiale, ma non estraneo anche a quella che la seguì. Come vennero onorati i morti? Come le società uscite dalla Belle Epoque superarono il trauma del tutto nuovo della scomparsa di una generazione fra i lampi della battaglia? E come fecero i figli e i superstiti del 1915 a tuffarsi di nuovo nel 1939 in un'altra guerra per molti versi peggiore della prima? Credo, ma non ne sono sicuro, che il libro sia la traduzione del saggio di Mosse intitolato "Fallen Soldiers", più volte citato dagli studi di Eric Leed; in effetti il titolo italiano non è precisamente un capolavoro di chiarezza, ma il testo è vivamente consigliato per comprendere come fu superato, o forse solo velato, il ricordo delle più grandi guerre della storia.
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