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Argomento: Battaglia di Aboukir - Recensione di Marco S. (08/07)

Si tratta di un libro oggi un po' datato, edito nel duecentesimo anniversario della battaglia. L'autrice è una docente universitaria a Parigi, archeologa navale, ed ha anche ricoperto parecchi incarichi presso vari enti di studio della
Difesa (Centre d'Etudes d'Histoire de la Defense; Institut des Hautes Etudes de la Defense Nationale). Come ogni buon lavoro accademico, il libro si basa essenzialmente su fonti primarie, cioè i dispacci tra Bonaparte, il Direttorio ed i vari
comandanti coinvolti, oltre i vari decreti ed ordinanze emessi, sempre regolarmente annotati dall'autrice con tanto di coordinate di archivio. Ma conta anche su una rispettabilissima bibliografia che fa da supporto e assicura il necessario respiro storico alla critica sulla battaglia. Numerosi ed interessanti le statistiche e gli ordini di battaglia.
L'autrice sfata il luogo comune che l'impresa d'Egitto sia stata solo il frutto geniale e temerario della smisurata ambizione del giovane Napoleone che, come noto, in quegli anni si poneva in indiretta competizione addirittura con Alessandro Magno. Infatti, senza voler risalire alla spedizione in Egitto di re S.Luigi nel sec.XIII ed ai successivi progetti, legati ancora allo spirito delle crociate, i privilegi commerciali in Egitto costituivano già una delle capitolazioni del famoso e secolare trattato di alleanza del 1536, stipulato dal re di Francia Francesco I con il sultano Solimano e più volte rinnovato. La crisi dell'impero ottomano, seguita alla sconfitta di Vienna del 1683, la perdita di controllo sull'Egitto da parte del sultano a favore dei Memelucchi, la competizione coloniale tra Francia, Gran Bretagna ed Olanda, portano gradualmente la Francia ad appuntare le sue mire sull'Egitto, sin dall'inizio del sec.XVIII, in quanto via alternativa per il controllo dei commerci verso l'Oriente e come sbocco coloniale.
Nel 1777 era già stato approntato dalla Marine Royale uno studio completo delle acque costiere egiziane e del regime del Nilo, che individuava proprio nella baia di Aboukir il migliore ancoraggio per la flotta. Contestualmente vi era anche un piano operativo per una operazione anfibia di invasione, che avrebbe coinvolto 5 vascelli di linea, 7 fregate, 3 sciabecchi, 6 mezze galere, 80 navi da trasporto, per trasportare 18000 uomini, 40 pezzi da campagna, e vari obici, artiglierie di assedio e materiali del genio. In questo piano è previsto il comando unificato delle operazioni navali e terrestri, da affidare ad un "ufficiale abile ed audace", capace di tenere in pugno la complessità di un'operazione anfibia: pur nei gravi limiti che comportava tale soluzione, questo piano sembrava "aspettare" proprio un generale come Bonaparte! Bonaparte! (1). Non c'è quindi molto da stupirsi se, volendo sfruttare la perdita di influenza nel Mediterraneo da parte della Royal Navy, conseguente al Trattato di Campoformio, il Direttorio e Napoleone decidessero proprio la spedizione in Egitto e riuscirono ad approntarla in poche settimane. In realtà molto era già stato messo "nero su bianco" da 20 anni, anche se la scala dell'operazione sarebbe stata quasi doppia ed anche la scorta di vascelli più adeguata alla attuale minaccia inglese (ma il convoglio di trasporto sarebbe stato molto più frammentato, su circa 300 unità minori, di cui solo 11 armate a nave ed il resto brick, polacche, tartane, etc.).
L'operazione, come è noto, ebbe iniziale fortuna, perché la divisione inglese sotto il comando di Nelson, incaricata di dare la caccia al convoglio di Napoleone per l'Egitto, prima lo raggiunse e lo incrociò nella bruma senza avvistarlo, quindi lo precedette inconsapevolmente in Egitto di soli due giorni (28 giugno); non trovandolo là, Nelson si convinse che non fosse l'Egitto la sua vera destinazione e quindi se ne andò a "caccia di farfalle" sulle coste dell'Anatolia, di Creta e di Malta, regalando un mese esatto di tranquillità a Napoleone. In tutto questo mese Napoleone, comandante in capo, e l'amm.Brueys, comandante della squadra navale, non trovarono niente di meglio che attendere Nelson all'ancora nella baia di Aboukir, dove la flotta francese venne annientata il primo agosto 1798, con conseguenze strategiche e politiche catastrofiche.
La tentazione di far ricadere la colpa di tutto su Brueys è forte. Non era voluto entrare nel porto di Alessandria, in cui avrebbe anche goduto della protezione di una cintura di scogli affioranti e secche, che ne chiudevano completamente la rada, salvo tre stretti passaggi. I vascelli, però, avevano a disposizione un solo passaggio, in 25 piedi di fondale, che sin dal 13 luglio il capitano di fregata Barrè aveva provveduto a sondare e poi contrassegnare con gavitelli, mancando ai francesi affidabili piloti locali. Nel suo ultimo messaggio, prima della battaglia, anche Napoleone avrebbe ordinato a Brueys di entrare in Alessandria oppure andarsene a Corfù (vedremo più avanti perché si usi il condizionale). Ma l'ammiraglio non se la sentì di entrare: i suoi maggiori vascelli pescavano 22 piedi (circa 7 metri) e questo significa che poteva contare su un metro o poco più di franco sotto la chiglia. L'autrice non si pronuncia nè a favore, nè contro la decisione di Brueys, ma a me pare di poter dire che, in quelle condizioni, la sua decisione sia stata corretta. Entrare ed uscire attraverso quel solo passaggio, avrebbe richiesto sempre mare calmo e vento a favore, lasciando perdere le correnti e considerando trascurabili le maree, peraltro certo già scontate da Barrè nei suoi sondaggi. Senza contare che al nemico bastava affondare in quel passaggio una qualunque imbarcazione, per imbottigliare in rada i vascelli francesi, così come bastava che si incagliasse l'ultimo vascello in entrata od il primo in uscita, per bloccarvi dentro tutto il resto della squadra.
Anche l'opzione di andare a Corfù non piacque a Brueys: a quanto pare scarseggiavano i viveri per la traversata, perché la squadra era stata chiamata a cedere grandi quantità di biscotto per alimentare l'armata di Bonaparte (2). E poi Brueys non scalpitava per abbandonare il teatro di operazioni, per rinunciare alla gloria dell'impresa e lasciarla tutta all'esercito. Tanto più che, dopo così tanti giorni di tregua, si era ormai convinto che gli inglesi avessero rinunciato ad attaccare la squadra francese. Era difficile immaginare che, in quei precisi giorni, Nelson stesse invece percorrendo a vuoto il Mediterraneo centrale, alla sua affanosa ricerca, con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue, scrivendo nervosi rapporti a Jervis in cui sempre concludeva stra-giurando che non avrebbe lasciato passare cinque minuti per attaccare la squadra francese, non appena l'avesse avvistata! (E così sarebbe stato, non esitando ad impegnare battaglia nel pomeriggio inoltrato).
Nel complesso, Bruyes appariva troppo dipendente da Napoleone: continuava a sottoporgli ogni suo problema, in attesa di ordini o chiarimenti che spesso sembravano non arrivare mai. Certo l'ammiraglio francese non aveva nulla in comune con Nelson a Capo S.Vincenzo e neanche con il giovane Bonaparte a Tolone, personaggi che i superiori dovevano tenere a briglie corte, per evitare di subire le loro decisioni! Ma se Brueys era dipendente da Napoleone, ciò era anche perché egli "dipendeva" a tutti gli effetti da lui: il generale corso infatti continuava ad essere il comandante in capo dell'intera operazione, come designato dal Direttorio, anche quando ormai era sbarcato, separato dalla flotta e totalmente coinvolto in una difficile campagna terrestre. E Bonaparte non rinunciò mai formalmente a questa sua prerogativa, per lasciare a Brueys piena libertà d'azione. Sul tema del rapporto Napoleone-Brueys, l'autrice insinua un argomento che pare molto più che un sospetto. Sarebbe infatti certo che Napoleone, da Primo Console, abbia monomesso gli archivi relativi alla campagna d'Egitto ed infatti non si ritrovano i suoi ordini originali a Brueys, ma solo in copia. Molti elementi lasciano supporre che, prima di Aboukir, con la campagna terrestre ancora indecisa, Napoleone vedesse con favore la permanenza della squadra in Egitto e che il carteggio con Brueys avesse quindi avuto ben diverso tenore da quello che risulta oggi negli archivi (cioè l'ordine a Brueys di entrare in Alessandria o andarsene a Corfù). Napoleone risolse per i posteri tutta la questione, addebitando la sconfitta all'indecisione di Brueys, ma riscattandolo per la sua morte molto valorosa in battaglia (e forse anche molto opportuna).
Ma anche a voler assolvere Brueys per non aver cercato rifugio in Alessandria o a Corfù, rimane probabilmente censurabile per non essersi preparato a dovere a combattere contro Nelson, nè predisponendosi al combattimento sotto vela, nè adottando un ancoraggio più efficace dal punto di vista difensivo. Contro la possibilità di combattere sotto vela, militava l'insufficente numero di persone imbarcate, che sulla maggioranza delle navi impediva di servire adeguatamente i cannoni, specie se il combattimento fosse stato su due bordi. In merito all'ancoraggio della squadra francese, ho già toccato il tema in un articolo scritto su icsm e presente in questo sito ("Battaglia del Nilo: lo schieramento di Brueys" 24/07/02). In estrema sintesi, l'ancoraggio adottato da Brueys non fu efficace, perché lasciava troppa acqua libera tra le navi e le secche, secche che avrebbero dovuto impedire alle navi inglesi di aggirare i fianchi ed insinuarsi alle spalle del cordone difensivo, cosa che invece furono in grado di fare senza eccessivi problemi. In tal modo tutta la flotta inglese potè concentrarsi sulla parte sopravvento della linea francese, prendendola tra due fuochi e battendola separatamente, man mano scendendo il vento per impegnare le aliquote successive.
L'autrice però ci ricorda che questa manovra aggirante riuscì anche perché le navi della retroguardia, al comando del contrammiraglio Villeneuve,invece di filare i cavi delle ancore e di risalire il vento in soccorso del centro, fuggirono vergognosamente a Malta, come anche il contrammiraglio Decres con alcune sue fregate. Eppure questi due ufficiali, insieme al contrammiraglio Ganteaume (3), vennero poi portati in "palma di mano" da Napoleone ed elevati ai massimi gradi della marina (Decres ne diventerà ministro e gli altri due avranno i maggiori comandi di squadra, peraltro deludendo entrambi). Napoleone, Primo Console e poi Imperatore, non istituirà mai una commissione d'inchiesta per giudicare le responsabilità della sconfitta di Aboukir: un fatto notevole, visto che parliamo di una delle più gravi sconfitte subite dalla Francia nella sua storia. Queste sconcertanti "simpatie" di Bonaparte vengono messe a confronto con l'inspiegabile trascuratezza nel riconoscere i meriti di molti ufficiali che combatterono valorosamente ad Aboukir e con altrettanto inspiegabili e viscerali "antipatie". Clamoroso il caso del contrammiraglio Blanquet du Chayla, comandante dell'avanguardia, con insegna sul vascello da 80 "Franklin". Durante il combattimento ad Aboukir, du Chayla si espose con sprezzo del pericolo e venne colpito al volto: un colpo che lo lascerà in coma per parecchi giorni e che ne sfigurerà per sempre il viso, per la perdita del naso. Il suo vascello combattè bene, ebbe più di 400 morti, ben più della metà dell'equipaggio (solo l'"Orient", saltata in aria, ne ebbe di più) e quando si trovò ridotto con soli tre cannoni ancora incavalcati, il comandante ammainò la bandiera, incosciente l'ammiraglio. Eppure Napoleone volle considerare vergognoso il "comportamento" di du Chayla, per aver ammainato la bandiera ammiraglia (da "incosciente", è proprio il caso di dirlo!) non cambiando mai la sua opinione, malgrado i numerosi tentativi di intercessione di molti colleghi del valoroso ufficiale; du Chayla dovrà lasciare la marina e verrà riabilitato solo con la Restaurazione. Visto che Napoleone non era un cretino e, volendo, sapeva riconoscere ed apprezzare il reale valore militare delle persone, c'è in effetti qualcosa di strano in questi stridenti favoritismi, che possono anche far sospettare la necessità di legare a se determinate persone e di screditarne altre, magari in relazione alla loro esatta conoscenza di determinati fatti scomodi, relativi al disastro di Aboukir.
La prof.ssa Battesti, comunque, malgrado l'accurata analisi delle responsabilità, sembra poi ridimensionarne la rilevanza, concludendo che le origini della sconfitta furono dovute in essenza alla mancanza di una mentalità navale nella marina francese. Da tutti i comandanti militari francesi, a tutti i livelli, era dato per scontato che la squadra navale sarebbe dovuta rimanere a disposizione dell'armata in Egitto, possibilmente entrando nel porto di Alessandria. In mancanza, avrebbe dovuto difendere la sua posizione statica ad Aboukir, magari per l'occasione persino alzando le vele, altrimenti avrebbe dovuto rifugiarsi a Corfù e rinunciare al suo ruolo strategico. Nessun comandante francese prese mai in considerazione, neanche a posteriori, che la squadra navale dovesse comportarsi come un marina, facendo cioè la sua campagna d'Egitto in mare, per esempio incrociando al largo di Alessandria per assumere il controllo delle acque circostanti o, addirittura, per cercare e mantenere il contatto con la squadra britannica. In questo senso, secondo l'autrice, tutti i capi politici e militari della Francia furono un po' responsabili della sconfitta.
Note
1. Il comando delle operazioni anfibie è stato uno dei problemi di più difficile soluzione nella storia militare. Si cominciò ad affrontarlo in termini moderni proprio durante il XVIII secolo, nel senso di attribuire la direzione delle operazioni di sbarco al solo comandante in mare, fintanto che il comandante militare delle forze da sbarco non avesse consolidato la testa di ponte sulla spiaggia, dopodichè il comandante in mare riacquistava la sua autonomia, restando sottoposto al comandante a terra per le operazioni di rifornimento e di supporto di fuoco, fino al termine della fase anfibia, quando la flotta poteva sganciarsi definitivamente. Solo il progresso delle comunicazioni, durante la Seconda Guerra Mondiale, renderà veramente praticabile questo complesso schema di comandi successivi, tipico delle moderne operazioni anfibie. Non stupisce quindi che la pianificazione delle operazioni anfibie del XVIII secolo, cercasse una quadratura del problema affidandosi alle qualità eccezionali di un unico comandante. [torna su]
2. Questa è una delle giustificazioni che reggono meno, poiché la flotta francese sarebbe stata comunque in grado di rimanere almeno un mese al largo dell'Egitto senza rifornimenti. Inoltre, dopo Aboukir, diverse navi francesi riusciranno a fuggire direttamente a Malta e non risulta che da esse ne sia disceso un equipaggio fatto di larve umane, devastate dalla fame. [torna su]
3. Il cui merito più eclatante, in questa battaglia, pare essere stato quello di essersi "miracolosamente" salvato dall'esplosione dell'"Orient" e quindi di essere, a suo malgrado, l'unico ammiraglio a presentarsi a Napoleone a terra, in Egitto, dopo la battaglia, essendo gli altri morti, in coma o fuggiti a Malta. [torna su]
L'autrice sfata il luogo comune che l'impresa d'Egitto sia stata solo il frutto geniale e temerario della smisurata ambizione del giovane Napoleone che, come noto, in quegli anni si poneva in indiretta competizione addirittura con Alessandro Magno. Infatti, senza voler risalire alla spedizione in Egitto di re S.Luigi nel sec.XIII ed ai successivi progetti, legati ancora allo spirito delle crociate, i privilegi commerciali in Egitto costituivano già una delle capitolazioni del famoso e secolare trattato di alleanza del 1536, stipulato dal re di Francia Francesco I con il sultano Solimano e più volte rinnovato. La crisi dell'impero ottomano, seguita alla sconfitta di Vienna del 1683, la perdita di controllo sull'Egitto da parte del sultano a favore dei Memelucchi, la competizione coloniale tra Francia, Gran Bretagna ed Olanda, portano gradualmente la Francia ad appuntare le sue mire sull'Egitto, sin dall'inizio del sec.XVIII, in quanto via alternativa per il controllo dei commerci verso l'Oriente e come sbocco coloniale.
Nel 1777 era già stato approntato dalla Marine Royale uno studio completo delle acque costiere egiziane e del regime del Nilo, che individuava proprio nella baia di Aboukir il migliore ancoraggio per la flotta. Contestualmente vi era anche un piano operativo per una operazione anfibia di invasione, che avrebbe coinvolto 5 vascelli di linea, 7 fregate, 3 sciabecchi, 6 mezze galere, 80 navi da trasporto, per trasportare 18000 uomini, 40 pezzi da campagna, e vari obici, artiglierie di assedio e materiali del genio. In questo piano è previsto il comando unificato delle operazioni navali e terrestri, da affidare ad un "ufficiale abile ed audace", capace di tenere in pugno la complessità di un'operazione anfibia: pur nei gravi limiti che comportava tale soluzione, questo piano sembrava "aspettare" proprio un generale come Bonaparte! Bonaparte! (1). Non c'è quindi molto da stupirsi se, volendo sfruttare la perdita di influenza nel Mediterraneo da parte della Royal Navy, conseguente al Trattato di Campoformio, il Direttorio e Napoleone decidessero proprio la spedizione in Egitto e riuscirono ad approntarla in poche settimane. In realtà molto era già stato messo "nero su bianco" da 20 anni, anche se la scala dell'operazione sarebbe stata quasi doppia ed anche la scorta di vascelli più adeguata alla attuale minaccia inglese (ma il convoglio di trasporto sarebbe stato molto più frammentato, su circa 300 unità minori, di cui solo 11 armate a nave ed il resto brick, polacche, tartane, etc.).
L'operazione, come è noto, ebbe iniziale fortuna, perché la divisione inglese sotto il comando di Nelson, incaricata di dare la caccia al convoglio di Napoleone per l'Egitto, prima lo raggiunse e lo incrociò nella bruma senza avvistarlo, quindi lo precedette inconsapevolmente in Egitto di soli due giorni (28 giugno); non trovandolo là, Nelson si convinse che non fosse l'Egitto la sua vera destinazione e quindi se ne andò a "caccia di farfalle" sulle coste dell'Anatolia, di Creta e di Malta, regalando un mese esatto di tranquillità a Napoleone. In tutto questo mese Napoleone, comandante in capo, e l'amm.Brueys, comandante della squadra navale, non trovarono niente di meglio che attendere Nelson all'ancora nella baia di Aboukir, dove la flotta francese venne annientata il primo agosto 1798, con conseguenze strategiche e politiche catastrofiche.
La tentazione di far ricadere la colpa di tutto su Brueys è forte. Non era voluto entrare nel porto di Alessandria, in cui avrebbe anche goduto della protezione di una cintura di scogli affioranti e secche, che ne chiudevano completamente la rada, salvo tre stretti passaggi. I vascelli, però, avevano a disposizione un solo passaggio, in 25 piedi di fondale, che sin dal 13 luglio il capitano di fregata Barrè aveva provveduto a sondare e poi contrassegnare con gavitelli, mancando ai francesi affidabili piloti locali. Nel suo ultimo messaggio, prima della battaglia, anche Napoleone avrebbe ordinato a Brueys di entrare in Alessandria oppure andarsene a Corfù (vedremo più avanti perché si usi il condizionale). Ma l'ammiraglio non se la sentì di entrare: i suoi maggiori vascelli pescavano 22 piedi (circa 7 metri) e questo significa che poteva contare su un metro o poco più di franco sotto la chiglia. L'autrice non si pronuncia nè a favore, nè contro la decisione di Brueys, ma a me pare di poter dire che, in quelle condizioni, la sua decisione sia stata corretta. Entrare ed uscire attraverso quel solo passaggio, avrebbe richiesto sempre mare calmo e vento a favore, lasciando perdere le correnti e considerando trascurabili le maree, peraltro certo già scontate da Barrè nei suoi sondaggi. Senza contare che al nemico bastava affondare in quel passaggio una qualunque imbarcazione, per imbottigliare in rada i vascelli francesi, così come bastava che si incagliasse l'ultimo vascello in entrata od il primo in uscita, per bloccarvi dentro tutto il resto della squadra.
Anche l'opzione di andare a Corfù non piacque a Brueys: a quanto pare scarseggiavano i viveri per la traversata, perché la squadra era stata chiamata a cedere grandi quantità di biscotto per alimentare l'armata di Bonaparte (2). E poi Brueys non scalpitava per abbandonare il teatro di operazioni, per rinunciare alla gloria dell'impresa e lasciarla tutta all'esercito. Tanto più che, dopo così tanti giorni di tregua, si era ormai convinto che gli inglesi avessero rinunciato ad attaccare la squadra francese. Era difficile immaginare che, in quei precisi giorni, Nelson stesse invece percorrendo a vuoto il Mediterraneo centrale, alla sua affanosa ricerca, con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue, scrivendo nervosi rapporti a Jervis in cui sempre concludeva stra-giurando che non avrebbe lasciato passare cinque minuti per attaccare la squadra francese, non appena l'avesse avvistata! (E così sarebbe stato, non esitando ad impegnare battaglia nel pomeriggio inoltrato).
Nel complesso, Bruyes appariva troppo dipendente da Napoleone: continuava a sottoporgli ogni suo problema, in attesa di ordini o chiarimenti che spesso sembravano non arrivare mai. Certo l'ammiraglio francese non aveva nulla in comune con Nelson a Capo S.Vincenzo e neanche con il giovane Bonaparte a Tolone, personaggi che i superiori dovevano tenere a briglie corte, per evitare di subire le loro decisioni! Ma se Brueys era dipendente da Napoleone, ciò era anche perché egli "dipendeva" a tutti gli effetti da lui: il generale corso infatti continuava ad essere il comandante in capo dell'intera operazione, come designato dal Direttorio, anche quando ormai era sbarcato, separato dalla flotta e totalmente coinvolto in una difficile campagna terrestre. E Bonaparte non rinunciò mai formalmente a questa sua prerogativa, per lasciare a Brueys piena libertà d'azione. Sul tema del rapporto Napoleone-Brueys, l'autrice insinua un argomento che pare molto più che un sospetto. Sarebbe infatti certo che Napoleone, da Primo Console, abbia monomesso gli archivi relativi alla campagna d'Egitto ed infatti non si ritrovano i suoi ordini originali a Brueys, ma solo in copia. Molti elementi lasciano supporre che, prima di Aboukir, con la campagna terrestre ancora indecisa, Napoleone vedesse con favore la permanenza della squadra in Egitto e che il carteggio con Brueys avesse quindi avuto ben diverso tenore da quello che risulta oggi negli archivi (cioè l'ordine a Brueys di entrare in Alessandria o andarsene a Corfù). Napoleone risolse per i posteri tutta la questione, addebitando la sconfitta all'indecisione di Brueys, ma riscattandolo per la sua morte molto valorosa in battaglia (e forse anche molto opportuna).
Ma anche a voler assolvere Brueys per non aver cercato rifugio in Alessandria o a Corfù, rimane probabilmente censurabile per non essersi preparato a dovere a combattere contro Nelson, nè predisponendosi al combattimento sotto vela, nè adottando un ancoraggio più efficace dal punto di vista difensivo. Contro la possibilità di combattere sotto vela, militava l'insufficente numero di persone imbarcate, che sulla maggioranza delle navi impediva di servire adeguatamente i cannoni, specie se il combattimento fosse stato su due bordi. In merito all'ancoraggio della squadra francese, ho già toccato il tema in un articolo scritto su icsm e presente in questo sito ("Battaglia del Nilo: lo schieramento di Brueys" 24/07/02). In estrema sintesi, l'ancoraggio adottato da Brueys non fu efficace, perché lasciava troppa acqua libera tra le navi e le secche, secche che avrebbero dovuto impedire alle navi inglesi di aggirare i fianchi ed insinuarsi alle spalle del cordone difensivo, cosa che invece furono in grado di fare senza eccessivi problemi. In tal modo tutta la flotta inglese potè concentrarsi sulla parte sopravvento della linea francese, prendendola tra due fuochi e battendola separatamente, man mano scendendo il vento per impegnare le aliquote successive.
L'autrice però ci ricorda che questa manovra aggirante riuscì anche perché le navi della retroguardia, al comando del contrammiraglio Villeneuve,invece di filare i cavi delle ancore e di risalire il vento in soccorso del centro, fuggirono vergognosamente a Malta, come anche il contrammiraglio Decres con alcune sue fregate. Eppure questi due ufficiali, insieme al contrammiraglio Ganteaume (3), vennero poi portati in "palma di mano" da Napoleone ed elevati ai massimi gradi della marina (Decres ne diventerà ministro e gli altri due avranno i maggiori comandi di squadra, peraltro deludendo entrambi). Napoleone, Primo Console e poi Imperatore, non istituirà mai una commissione d'inchiesta per giudicare le responsabilità della sconfitta di Aboukir: un fatto notevole, visto che parliamo di una delle più gravi sconfitte subite dalla Francia nella sua storia. Queste sconcertanti "simpatie" di Bonaparte vengono messe a confronto con l'inspiegabile trascuratezza nel riconoscere i meriti di molti ufficiali che combatterono valorosamente ad Aboukir e con altrettanto inspiegabili e viscerali "antipatie". Clamoroso il caso del contrammiraglio Blanquet du Chayla, comandante dell'avanguardia, con insegna sul vascello da 80 "Franklin". Durante il combattimento ad Aboukir, du Chayla si espose con sprezzo del pericolo e venne colpito al volto: un colpo che lo lascerà in coma per parecchi giorni e che ne sfigurerà per sempre il viso, per la perdita del naso. Il suo vascello combattè bene, ebbe più di 400 morti, ben più della metà dell'equipaggio (solo l'"Orient", saltata in aria, ne ebbe di più) e quando si trovò ridotto con soli tre cannoni ancora incavalcati, il comandante ammainò la bandiera, incosciente l'ammiraglio. Eppure Napoleone volle considerare vergognoso il "comportamento" di du Chayla, per aver ammainato la bandiera ammiraglia (da "incosciente", è proprio il caso di dirlo!) non cambiando mai la sua opinione, malgrado i numerosi tentativi di intercessione di molti colleghi del valoroso ufficiale; du Chayla dovrà lasciare la marina e verrà riabilitato solo con la Restaurazione. Visto che Napoleone non era un cretino e, volendo, sapeva riconoscere ed apprezzare il reale valore militare delle persone, c'è in effetti qualcosa di strano in questi stridenti favoritismi, che possono anche far sospettare la necessità di legare a se determinate persone e di screditarne altre, magari in relazione alla loro esatta conoscenza di determinati fatti scomodi, relativi al disastro di Aboukir.
La prof.ssa Battesti, comunque, malgrado l'accurata analisi delle responsabilità, sembra poi ridimensionarne la rilevanza, concludendo che le origini della sconfitta furono dovute in essenza alla mancanza di una mentalità navale nella marina francese. Da tutti i comandanti militari francesi, a tutti i livelli, era dato per scontato che la squadra navale sarebbe dovuta rimanere a disposizione dell'armata in Egitto, possibilmente entrando nel porto di Alessandria. In mancanza, avrebbe dovuto difendere la sua posizione statica ad Aboukir, magari per l'occasione persino alzando le vele, altrimenti avrebbe dovuto rifugiarsi a Corfù e rinunciare al suo ruolo strategico. Nessun comandante francese prese mai in considerazione, neanche a posteriori, che la squadra navale dovesse comportarsi come un marina, facendo cioè la sua campagna d'Egitto in mare, per esempio incrociando al largo di Alessandria per assumere il controllo delle acque circostanti o, addirittura, per cercare e mantenere il contatto con la squadra britannica. In questo senso, secondo l'autrice, tutti i capi politici e militari della Francia furono un po' responsabili della sconfitta.
Note
1. Il comando delle operazioni anfibie è stato uno dei problemi di più difficile soluzione nella storia militare. Si cominciò ad affrontarlo in termini moderni proprio durante il XVIII secolo, nel senso di attribuire la direzione delle operazioni di sbarco al solo comandante in mare, fintanto che il comandante militare delle forze da sbarco non avesse consolidato la testa di ponte sulla spiaggia, dopodichè il comandante in mare riacquistava la sua autonomia, restando sottoposto al comandante a terra per le operazioni di rifornimento e di supporto di fuoco, fino al termine della fase anfibia, quando la flotta poteva sganciarsi definitivamente. Solo il progresso delle comunicazioni, durante la Seconda Guerra Mondiale, renderà veramente praticabile questo complesso schema di comandi successivi, tipico delle moderne operazioni anfibie. Non stupisce quindi che la pianificazione delle operazioni anfibie del XVIII secolo, cercasse una quadratura del problema affidandosi alle qualità eccezionali di un unico comandante. [torna su]
2. Questa è una delle giustificazioni che reggono meno, poiché la flotta francese sarebbe stata comunque in grado di rimanere almeno un mese al largo dell'Egitto senza rifornimenti. Inoltre, dopo Aboukir, diverse navi francesi riusciranno a fuggire direttamente a Malta e non risulta che da esse ne sia disceso un equipaggio fatto di larve umane, devastate dalla fame. [torna su]
3. Il cui merito più eclatante, in questa battaglia, pare essere stato quello di essersi "miracolosamente" salvato dall'esplosione dell'"Orient" e quindi di essere, a suo malgrado, l'unico ammiraglio a presentarsi a Napoleone a terra, in Egitto, dopo la battaglia, essendo gli altri morti, in coma o fuggiti a Malta. [torna su]
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