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Argomento: Pearl Harbor - Recensione di Emanuele Cattarossi (07/02)

Peter Herde racconta in tutti i suoi retroscena la storia dell'attacco a Pearl Harbor. Per farlo attinge da estese fonti (tra cui anche quelle Italiane a cui lo stesso Herde esprime il suo ringraziamento) di tutto il mondo. Ne risulta un'opera completa, considerata a buon dire, come il testo più completo mai scritto riguardo a quello che negli Stati Uniti venne chiamato "Il giorno dell'Infamia". Pearl Harbor quindi viene descritto non solo come arditissima operazione militare ma pure come capolinea di un intensa partita diplomatica tra Giappone e Stati Uniti. Dopo mesi di consultazioni infruttuose, la parola passò alle armi, segnando una svolta al conflitto che dal 7 dicembre 1941 diveniva veramente mondiale. Herde spiega nei minimi dettagli la preparazione giapponese all'operazione e l'impreparazione americana a ricevere il colpo; la mancata intercettazione dei piani giapponesi e il "giallo" della dichiarazione di guerra. Un colpo "quasi" magistrale l'attacco sferrato da Yamamoto. Ma fu proprio per via di quel quasi, rappresentato dalle portaerei americane scampate al disastro, se gli equilibri nel pacifico vennero poi mutati sei mesi dopo a Midway. Per chi sia interessato alla guerra combattuta nel Pacifico questo libro costituisce una tappa obbligata.
Seconda recensione by Federico Colombo (09/05)
Seconda recensione by Federico Colombo (09/05)
Argomento: Campagna del Pacifico - Recensione di Norbert (02/03)

Autobiografia dell'asso Gregory Boyington. Molto asciutta e molto antieroica. Il comandante del famovo VMF 214 ci parla della sua esperienza, prima con le "Tigri Volanti" in Cina, poi con i Marines nel Pacifico, quindi prigioniero di guerra dei giapponesi, sottolineando spesso la sua 'non eccezionalità', le sue manchevolezze (in particolare, la passione per l'alcool) e dando un interessantissima vista "dal di dentro" del conflitto nel Pacifico. Personalmente conoscevo 'Pappy' solo attraverso la famosa serie TV: nel libro ho trovato una persona abbastanza umile, di buon carattere e non presuntuosa, che riesce a non odiare neppure i propri nemici (sia giapponesi sia ... americani). Una persona particolare. Un eroe che, come quasi sempre accade, non si è trasformato nel "monumento a se stesso" ma che tende quasi a sottacere, per una sorta di pudore, le prove che ha affrontato e superato. Un buon libro che consiglio ai lettori di ICSM. Copertina
Seconda recensione by Paolo Soprani (03/03)
Seconda recensione by Paolo Soprani (03/03)
Argomento: Campagna del Pacifico - Recensione di Norbert (02/03)

Poderoso tomo sulla Guerra nel Pacifico, mi pare un ottimo testo base, comprendente praticamente tutte le battaglie combattute nel teatro di interesse. Io non avevo letto nulla sull'argomento, salvo lo strano "Tenebre Addio" di William Manchester e l'autobiografia di Greg Boyington. Forse principalmente per questo ho trovato lo stile un po' pesante e un po' scarso di critiche per alcune scelte (mi vengono in mente i pungenti commenti di Manchester per lo sbarco di Peleliu) E' possibile anche che il libro risenta dell'età. Sicuramente risente di una traduzione non perfetta. La prima volta che lessi di un'unità (giapponese?) che aveva rischiato di 'abbordare' un'altra unità della propria Marina ho riso e pensato al Corsaro Nero. Poi ho capito che intendeva "speronare". E tutt'ora non ho capito cosa precisamente intendesse il traduttore con "smantellare". Perché non mi par corretto dire, ad esempio, che un incrociatore fu rapidamente 'smantellato' dal tiro nemico. Un'altra piccola pecca, a mio avviso, è l'assenza di cartine "di teatro". C'è una cartina dell'intero Pacifico ad ovest delle Hawaii, e molte mappe delle singole isole o arcipelaghi. Ma manca una serie di cartine che permetta di capire la posizione reciproca dei vari campi di battaglia.
Argomento: Guerra nel Pacifico - Recensione di Marco S. (07/02)
Midway - The japanese story di Mitsuo Fuchida e Masatake Okumiya, Cassel
Military Paperbacks, Londra 2002
E' la ristampa di un grande libro, cioè quello pubblicato la prima volta nel 1955 dalla Naval Institute Press "Midway The Battle That Doomed Japan", che a sua volta era stato tradotto dal giapponese. I due autori erano aviatori navali della Marina Imperiale nipponica ed il comandante Fuchida è stato il suo massimo esperto di aviazione d'attacco imbarcata. Già comandante dei gruppi di volo che attaccarono Pearl Harbor (fu colui che lanciò il famoso messaggio "Tora, Tora, Tora") e poi incaricato dalla marina giapponese di redigere un dettagliato rapporto-studio sulle cause del disastro di Midway. Pochi uomini sono quindi più qualificati di lui sull'argomento, come dimostra l'onore delle introduzioni al libro, firmate (letteralmente!) nientepopodimeno che dagli ammiragli Spruance e Kondo. Viene istintivo abbinare il nome di Fuchida a quello del comandante Minoru Genda, massimo esperto della Marina Imperiale per l'aviazione da caccia. Entrambi erano imbarcati sull'"Akagi", durante la fatale missione a Midway, ed entrambi si ammalarono gravemente prima di raggiungere l'obiettivo (attacco di appendicite acuta per Fuchida, con conseguente intervento chirurgico a bordo, e polmonite per Genda). Se pensiamo che, nel momento decisivo, l'amm.Nagumo si trovò privo di due consiglieri di tale livello, possiamo considerare anche questa mancanza come un fattore importante per la sconfitta giapponese! Venendo al libro, in generale non c'è nulla di nuovo, anche perché molti testi che sono serviti a formarci un'opinione sulle cause della sconfitta giapponese a Midway, hanno a suo tempo pescato a piene mani dal lavoro di Fuchida e Okumiya. Abbiamo però l'occasione di vedere molti giudizi noti, formulati con tratto e dettagli professionali, che solo un esperto aviatore navale dell'epoca può dare, facendoci rivivere lo spirito in cui maturò la decisione per l'operazione MI, il dibattito in seno alla marina nipponica, così come il successivo svolgimento tattico.
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Argomento: Guerra nel Pacifico - Recensione di Bruno (06/02)
The Fall of the Philippines di Louis Morton, National Historical Society
Riedizione di un libro edito nell'immediato dopoguerra dalle forze armate USA, è un testo in inglese e fa parte di un'ampia collana (purtroppo parte delle mappe cui si fa riferimento sono in un atlante storico che fa parte della collana). Questo volume esamina, prevalentemente dal punto di vista terrestre, la conquista nipponica delle Filippine. Campagna poco nota ma interessante, combattuta tra forze relativamente poco numerose in un vasto territorio: le forze iniziali Giapponesi si logorarono troppo e dovettero sospendere l'attacco per ricevere rinforzi. Riuscirono a chiudere la campagna solo poco prima che la marea della guerra s'invertisse a loro sfavore.
Argomento: Guerra nel Pacifico - Recensione di Marco S. (02/02)
The First Team - Pacific Naval Air Combat from Pearl Harbor to Midway di John B. Lundstrom, Naval Institute Press, Annapolis, 1984, pagg.547 ($ 49.95) (gennaio 2002 constatata disponibilità su sito www.usni.org)
E' un grande libro. L'idea base è quella di illustrare la vita operativa degli squadron da caccia imbarcati dell'US Navy nel Pacifico e nel periodo considerato (per la precisione si tratta degli squadron VF-2, VF-3, VF-42, VF-6, VF-8). Il volume si basa su interviste originali di una settantina di piloti, anche giapponesi, su tutti i rapporti delle unità citate, su decine di diari privati e studi non pubblicati, oltre che su tutti i libri e gli articoli pertinenti. Si dà conto della consistenza periodica dei velivoli in carico ai reparti, indicando il numero, la versione, il BuNo, il pilota "titolare" di ogni velivolo. In combattimento viene data la consistenza di ogni sezione di CAP o di scorta, fornendo quasi sempre le stesse informazioni, salvo il pilota effettivo (si tenga conto che il pilota titolare aveva solo rilevanza burocratica, specie su un ponte di volo e gli aerei venivano facilmente scambiati). Sulla base dei rapporti e delle testimonianze di ambo le parti, vengono ricostruiti minutamente e rigorosamente i combattimenti tra caccia, isolando efficacemente le singole mischie come entità relativamente autonome e dando largo spazio alle comunicazioni radio del Fighter Director e dei piloti. Anche la parte strategica è ben inquadrata (l'autore ha scritto pure un saggio strategico sui primi 6 mesi della Guerra nel Pacifico: "The First South Pacific Campaign", quindi qualcosa ne sa). Le battaglie descritte sono Pearl Harbor, i vari raid della primavera del 1942 (Marshall, Boungaville, Wake, Marcus, Tokyo), Mar dei Coralli e Midway ed i periodi intermedi. Ci sono numerose fotografie (comprese quelle ufficiali di tutti i citati reparti) ed una serie di interessanti appendici:
1.L'addestramento di un pilota da caccia imbarcato US Navy
2.Fondamenti di tiro con le mitragliatrici fisse (le tecniche insegnate ai piloti da caccia US Navy del 1942, in particolare il tiro in deflessione)
3.Colori, insegne e distintivi dei reparti da caccia US Navy (con profili in bianco e nero)
4.Le formazioni di volo e la "Thach Weave" (la famosa tecnica di combattimento viene illustrata con alcuni schemi, tra cui i disegni originali di Thach)
5.Metodi di combattimento giapponesi (della caccia, ovvio)
6.Lista di tutti i piloti da caccia US Navy che hanno operato nel Pacifico nel periodo considerato, con età, grado, corpo di appartenenza, squadron, anno di arruolamento, decorazioni, e giorno, mese, anno, grado e causa della cessazione del servizio. Leggendo questo libro abbiamo imparato che c'è qualcosa di più divertente dei romanzi, vale a dire la pura realtà, quando ben raccontata, senza sacrificare per nulla il rigore storico. E leggendo questo libro, anche il neofita diventa rapidamente un "esperto" di aviazione navale nel Pacifico 1942. Credo che per saperne di più ci sia soltanto un turno d'imbarco in zona di guerra su una della "fast carriers" americane, nel 1942!
1.L'addestramento di un pilota da caccia imbarcato US Navy
2.Fondamenti di tiro con le mitragliatrici fisse (le tecniche insegnate ai piloti da caccia US Navy del 1942, in particolare il tiro in deflessione)
3.Colori, insegne e distintivi dei reparti da caccia US Navy (con profili in bianco e nero)
4.Le formazioni di volo e la "Thach Weave" (la famosa tecnica di combattimento viene illustrata con alcuni schemi, tra cui i disegni originali di Thach)
5.Metodi di combattimento giapponesi (della caccia, ovvio)
6.Lista di tutti i piloti da caccia US Navy che hanno operato nel Pacifico nel periodo considerato, con età, grado, corpo di appartenenza, squadron, anno di arruolamento, decorazioni, e giorno, mese, anno, grado e causa della cessazione del servizio. Leggendo questo libro abbiamo imparato che c'è qualcosa di più divertente dei romanzi, vale a dire la pura realtà, quando ben raccontata, senza sacrificare per nulla il rigore storico. E leggendo questo libro, anche il neofita diventa rapidamente un "esperto" di aviazione navale nel Pacifico 1942. Credo che per saperne di più ci sia soltanto un turno d'imbarco in zona di guerra su una della "fast carriers" americane, nel 1942!
Argomento: Guerra nel Pacifico - Recensione di Marco S. (02/02)
The First Team and the Guadalcanal Campaign - Naval Fighter Combat from August to November 1942 di John B. Lundstrom, Naval Institute Press, Annapolis 1994, pagg.627 ($ 49.95) (gennaio 2002 constatata disponibilità su sito www.usni.org)
Ideale continuazione del primo volume, è pubblicato a ben 10 anni di distanza, a riprova dell'impegno di ricerca dell'autore, che pure fa di mestiere il curatore di un museo militare. Il numero delle pagine e la brevità del periodo trattato (4 mesi), dovrebbero già da soli dare l'idea del dettaglio raggiunto. Lo schema è il medesimo di quello già descritto nel primo volume e non lo ripeteremo. Impressionante il numero di testimoni contattati (oltre 100), tra cui i famosi assi Carl e Foss, anche se il volume si concentra solo sui piloti da caccia dell'US Navy e non dei Marines. Appendici un po' più rimaneggiate, con la lista dei piloti, i colori e le insegne, l'elenco dei BuNo degli F4F e qualche altro dossier minore. A mio giudizio, comunque, questo secondo libro non ha lo stesso impatto del primo, per molti motivi. Lo stile di Lundstrom non è più una novità e questo effetto "deja vu" hail suo peso. Inoltre, una serie di fattori specifici contribuivano a rendere il primo volume più appassionante: I piloti da caccia dei vari squadron erano ancora un gruppetto ristretto, che si poteva seguire bene, anche in molte vicende non strettamente operative. C'era tutto l'impegno tattico e tecnico per rendere l'F4F competitivo contro lo Zero. Per esempio la controversia tra le 4 mg dell'F4F-3 (preferite da Thach) o le 6 mg dell'F4F-4, richieste dalla standardizzazione con i "Martlet" inglesi. Oppure i problemi di installazione e di manutenzione dei nuovi serbatoi autostagnanti e delle corazze, dove contava molto l'abilità individuale dell'"engineering officer", che in realtà era scelto "alla buona" tra i piloti più versati in meccanica (famoso in questo senso era Art Brassfield del VF-42) C'era lo sviluppo della tattica della "Beam Defense" o "Thach Weave" e così via. In questo secondo volume non c'è niente di tutto questo. C'è solo la guerra, la campagna di Guadalcanal, con tutti i suoi orrori e con in giro ben poca voglia di fare goliardate (dato l'attrito subito dai reparti di volo, CACTUS era altrimenti nota tra di essi come "The Meatgrinder", Il Tritacarne) Ovviamente vengono anche descritte le battaglie navali di Guadalcanal e di Santa Cruz. Per quanto riguarda l'F4F, l'interesse si attenua, perché gran parte dei problemi tecnico-tattici sono già stati risolti nei primi 6 mesi di guerra e si tratta solo di metterli in pratica, in attesa dell'arrivo di aerei più prestanti (F6F ed F4U). Il libro rimane comunque una delle principali opere di riferimento per la Campagna, in particolare per la storia di VF-5, VF-6, VF-10, VF-71 e VF-72 a Guadalcanal.
Argomento: Guerra nel Pacifico - Recensione di Marco S. (02/02)
Kaigun - Strategy, Tactics and Technology in the Imperial Japanese Navy 1887-1941 di David C.Evans e Mark R.Peattie, Naval Institute Press, Annapolis 1997, pagg.661, ($ 49.95) (gennaio 2002 constatata disponibilità su sito www.usni.org)
"Kaigun" in giapponese significa "Marina". Con riferimento al Giappone, il libro esamina l'evoluzione dei tre elementi fondamentali in cui si struttura il potere marittimo: strategia, tattica e tecnologia. E' difficile anche solo riassumere il contenuto del corposo volume, che descrive in dettaglio l'evoluzione delle dottrine tattiche e strategiche
giapponesi e, di conseguenza, le particolari caratteristiche costruttive conferite ai mezzi navali per attuarle. Il tutto basandosi in gran parte su fonti originali giapponesi, per ovvi motivi non facilmente accessibili, né facilmente interpretabili. Dalle sue prime grandi vittorie (Fiume Yalu nel 1894 e Tsushima nel 1905) la marina giapponese trasse l'insegnamento che il modo migliore per difendere gli interessi marittimi del paese, fosse la difensiva strategica (attendere
il nemico avanzante e batterlo in prossimità delle proprie acque territoriali), unita alla grande efficacia tattica, basata sull'eccellenza tecnologica e dottrinale. La flotta nemica avanzante, sarebbe stata logorata e distrutta grazie alla
superiorità delle armi e dell'addestramento nel combattimento notturno (vedi il pesante armamento artigliesco e subacqueo degli incrociatori classe Mogami, per esempio). La flotta nemica avanzante sarebbe stata logorata anche dal maggior raggio d'azione di tutte le armi navali giapponesi: artiglierie (vedi i 460mm della Yamato), siluri (vedi il siluro "Tipo 93" battezzato dagli occidentali "Long Lance", sembra da S. E. Morison), aerei (vedi l'A6M "Zero" ed il G4M "Betty"). A parte il fatto che tutti i vantaggi conseguiti in un campo, di norma comportavano penalizzazioni in altri (instabilità per i Mogami, eccessiva vulnerabilità per gli aerei, "gigantismo" per le Yamato), gli autori fanno giustamente rilevare che l'errore della Marina Imperiale giapponese era quello di confondere la strategia con la tattica. La grande battaglia navale, la "Jutland del Pacifico", appena corretta dall'impiego massiccio di aviazione navale, non era per essa solo uno dei possibili sviluppi di una strategia marittima, ma piuttosto lo scopo tutta la strategia, il solo ambito in cui perseguire la vittoria sul mare. Mancava del tutto la grande strategia, intesa come branca della politica, capace di incorporare le operazioni navali in un contesto economico, diplomatico, politico, commerciale. Pertanto si perdevano di vista interi settori della tecnica militare marittima, come la guerra al traffico nemico, la difesa del proprio traffico (ASW in particolare, cosa sconcertante per un paese che sarebbe sceso in guerra per affermare i suoi diritti sulle materie prime dell'Indonesia), l'assalto anfibio. Senza contare che se il Giappone era riuscito a padroneggiare bene le tecnologie della rivoluzione industriale, era quasi al palo per quanto riguardava l'elettronica, e questo significava gravi limitazioni per radar, sonar, comunicazioni ed intelligence (sembra strano dirlo oggi!) L'operazione di Pearl Harbor, concepita da Yamamoto per prevenire attacchi ai fianchi da parte dell'US Navy durante le operazioni nelle Filippine, è giudicata dagli autori inutile e marginale nei suoi effetti strategici, e dirompente per gli effetti politici (oltre che un evidente stravolgimento della tradizionale strategia difensiva della Marina Imperiale) Non condivido del tutto il giudizio degli autori, perché non è affatto detto che le navi da battaglia americane, avanzanti verso le Filippine secondo il "Piano Orange", sarebbero state necessariamente massacrate dai soli Betty del "Kaigun" di base nei Mandati, in analogia alla fine del Repulse e el Prince of Wales. Si dimentica che la linea da battaglia americana, contrariamente alle due navi inglesi, sarebbe stata scortata da portaerei di squadra, in grado di mantenere su di esse un nutrito CAP difensivo (e comunque le navi da battaglia sarebbero state ben più di due!) Per quanto riguarda gli effetti politici, sono d'accordo solo in parte: ancora una volta si sopravvaluta troppo l'"effetto incazzatura" del popolo americano per determinare l'esito della guerra. Per finire, non mi trovo del tutto daccordo con le conclusioni degli autori, i quali affermano che la Marina Imperiale giapponese sia morta senza lasciare nessuna eredità al suo popolo ed alla storia. E' stata una grande marina, messa in piedi da un popolo che aveva poche risorse naturali e fino a 120 anni fa era letteralmente nel Medio Evo. Se ha fallito la prova, appena incontrata una vera potenza marittima, ha fallito con onore, dimostrando di saper fare molte buone cose con pochi mezzi. Il fatto che non condivida alcuni giudizi degli autori, nulla toglie al livello tecnico dell'opera che si diffonde sulle dottrine tattiche e strategiche e le tecnologie della Marina Imperiale giapponese, senza arrivare a conclusioni rivoluzionarie, ma gettando su di esse una luce nuova. Il testo chiude con una galleria biografica di tutti gli ammiragli giapponesi.
Argomento: Guerra nel Pacifico - Recensione di Marco S. (02/02)
Fast Carriers - The Forging of an Air Navy di Clark G. Reynolds, Naval Institute Press,
Annapolis 1992, pagg.503 (ristampa di un volume del 1968), ($ 38.95) (gennaio 2002 constatata disponibilità su sito www.usni.org)
Il libro descrive la faticosa affermazione delle portaerei e dell'aviazione navale nell'US Navy durante la Guerra del Pacifico. Ma questa difficoltà viene vista soprattutto come conseguenza dell'esclusione dei "naval aviators" dai più importanti comandi, sia supremi che operativi. L'autore fa notare come, fino al 1943, il "Gun Club" (cioè la lobby degli artiglieri) avesse un peso eccessivo nella condotta strategica delle operazioni. Molto spesso, i cannonieri operavano sotto le mentite spoglie di "latecomer naval aviators" (potremmo chiamarli "aviatori navali tardivi") cioè ufficiali specialisti in artiglieria o in altre armi, qualificatisi aviatori in tarda età solo per avere più possibilità di carriera (come è noto, sin dagli anni '30, per comandare una portaerei erano richieste le "wings of gold", le ali d'oro di aviatore). Costoro sapevano (forse) pilotare un aeroplano, ma non avevano alcuna pratica operativa del suo impiego militare e, quel che è peggio, mantenevano il loro giri di amicizie e di favoritismi nell'ambito del "Gun Club". Tra i più famosi "latecomer" ricordiamo l'ammiraglio King (Cominch, poi CNO, cioè il Capo di Stato Maggiore della Marina, Naval Aviator nel 1927 a 48 anni), l'ammiraglio Halsey (che proveniva dai cacciatorpediniere, Naval Aviator nel 1934 a 52 anni), il comandante poi ammiraglio Ted Sherman. All'inizio della guerra, ai vertici della US Navy vi era solo un "vero" aviatore navale, l'ammiraglio John Towers (Naval Aviator n.3, a 26 nel 1911), ovviamente a capo del Bureau of Aeronautics (Bu.Aer): un pioniere, che aveva dedicato tutta la carriera allo sviluppo dell'aviazione navale. L'autore sostiene che egli sarebbe stato la persona più adatta per il comando delle portaerei nel Pacifico, ma il "Cominch" Ernie King lo avversava al massimo grado e gli impediva in tutti i modi di mettersi in luce (Reynolds, comunque, appare un po' contradditorio quando si diffonde nel lodare le qualità di Towers come amministratore). In ogni caso, per molto tempo le portaerei vennero comandate da esponenti del "Gun Club" od aviatori "latecomers" che ad esso facevano riferimento. Tra i primi, ricordiamo Fletcher e Spruance, tra i secondi Halsey, e McCain (quest'ultimo grande protetto di King, aviatore a 52 anni nel 1936). Dall'esame meticoloso delle operazioni della Guerra nel Pacifico, l'autore mette in luce i contrasti, gli errori tattici e strategici, che costituirono il duro scotto da pagare all'inesperienza in generale, ma anche a quella particolare di molti ammiragli. Se alcuni giudizi manichei possono lasciare qualche dubbio, il testo ha il merito di gettare luce sulla realtà dei rapporti all'interno dei comandi navali americani e sull'influenza che ebbero sulla strategia. Solo nel 1944 gli aviatori navali riuscirono ad accedere alla "stanza dei bottoni", quando l'ammiraglio Marc Mitscher (Naval Aviator n.33 a 29 anni, anno 1916) ricevette il comando della 3a Divisione Portaerei. "Saltato il tappo", gli aviatori navali conquistarono rapidamente l'US Navy, con la complicità del Segretario della Marina James Forrestal (Naval Aviator n.154 a 26 anni, 1918). Già nel 1950 un aviatore navale veniva messo alla guida del Bureau of Ordnance, il covo del "Gun Club"! Si tratta di un libro da leggere, per sbirciare "dietro alle quinte" dell'US Navy durante la Guerra del Pacifico.
Argomento: Sbarco di Tarawa - Recensione di Bruno (11/99)
Utmost Savagery di Joseph H. Alexander, Ballantine Publishing 1998 (34.000 Lire)
L'autore afferma che dei 5.000 marines che assaltarono il 20-11-1943, un terzo morì prima di notte. Le perdite giapponesi furono probabilmente altrettanto gravi e il comandante della guarnigione, per quanto si è potuto ricostruire, sarebbe morto il primo giorno mentre cercava di spostare il suo comando. La difesa giapponese era stata preparata per mesi con tutti i mezzi possibili sebbene scarseggiasse il cemento per costruire solidi bunkers; gli americani dovettero fronteggiare ostacoli antisbarco posti tra la barriera corallina e le spiagge, postazioni di mitragliatrici posizionate in maniera molto insidiosa, cannoni costieri e antiaerei, mine e quant'altro. Il tutto in un'isola molto spoglia e strettissima, dove le posizioni contrapposte erano posizionate a pochi metri di distanza nei tre giorni di lotta.
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