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Argomento: Fronte Nord Africano - Recensione di Maurizio 61 (04/09)

Ore 17,30 del 28 giugno 1940, nel cielo sopra Tobruk il trimotore S.79 con a bordo Italo Balbo viene abbattuto dal fuoco della nostra contraerea. Da quel momento le varie teorie complottistiche non hanno mai cessato di "suggerire" varie motivazioni e vari scenari per cui il Maresciallo dell'Aria fù assassinato per ordine del Duce e non si trattò di un incidente. Certo, Mussolini e Balbo non si amavano, il Maresciallo era stato contrario sia all'entrata in guerra a fianco della Germania sia alle leggi razziali e la sua "promozione" a Governatore della Libia doveva averlo amareggiato non poco, ma da qui a vociferare di un Balbo impegnato a tramare un golpe per abbattere il Duce e quindi da questi eliminato con un contro-complotto che come un perfetto sincronismo svizzero avrebbe dovuto coinvolgere nell'ordine: 1) un attacco aereo inglese ad una nostra base aereonavale; 2) l'aereo del Maresciallo che arriva proprio pochissimi minuti dopo l'attacco con le difese della base ancora in stato di allarme; 3) centinaia di uomini della difesa antiaerea della base stessa dislocati sia a terra che su unità navali, beh sinceramente mi sembra che tutto questo vada ben oltre le italiche capacità organizzative. Sul trimotore S.79 assieme a Italo Balbo viaggiavano altre otto persone, una di queste era Nello Quilici, giornalista e storico che accompagnava il Maresciallo per redigere un Diario di Guerra, ed è proprio il figlio, Folco Quilici, notissimo scrittore e regista a recarsi nella baia di Tobruk, in un viaggio che mescola i sentimenti con la storia cercando di ricostruire gli ultimi giorni del padre a fianco del Maresciallo dell'Aria. Il viaggio di Quilici diventa anche l'occasione per una rievocazione degli anni immediatamenti precedenti il conflitto, con il padre impegnato come giornalista nel "Corriere Padano", il giornale di Balbo, un giornale che in più di qualche occasione non si dimostrò particolarmente tenero con il Regime e le sue decisioni. L'autore rivela anche che alcune pagine del Diario di Guerra, che viene qui presentato per la prima volta, sono scomparse, ponendo inevitabili interrogativi su quello che in esse suo padre aveva scritto. Quella del 28 giugno 1940 fu una tragedia, ma fu solo una delle prime che attendevano il nostro Paese e le sue Forze Armate. Forze Armate che già dopo poche settimane di guerra mostravano la loro impreparazione; la stessa impreparazione in cui si era fatta notare, ironia della sorte, anche la contraerea di Tobruk che fino a quel fatidico giorno non era riuscita ad abbattere nessun aereo nemico! Importanti sono i completamenti al libro, tra cui un saggio delle storico dell'Aereonautica Gregory Alegi, che offre un'analisi molto accurata dei fatti; nella parte centrale del volume sono presentate una ventina di foto, tra cui un paio ritraggono il vecchio incrociatore corazzato San Giorgio (uno dei primi "candidati" ad aver sparato il colpo fatale), rimodernato e utilizzato alla fonda nella baia come unità antiaerea; in più al volume è allegato un DVD intitolato "Balbo aviatore" un film-documentario curato da Quilici e da Alegi sulla figura del Maresciallo dell'Aria. Per concludere, un libro molto interessante, altrettanto il DVD che consiglio di vedere prima di passare alla lettura del volume.
Argomento: Campagna d'Africa - Recensione di chetti6 (11/08)
La battaglia di El Alamein di Michael Carver, Baldini & Castoldi
A differenza del precedente ottimo libro di Carver "Tobruk", questo secondo volume sulla campagna africana si rivela molto noioso, pesante, eccessivamente ricco di nomi delle varie unità impegnate senza peraltro aiutare il lettore con cartine adeguate, quelle presenti sono pochissime e troppo generali. Si fa molta fatica a mantenere il filo narrativo, sperando sempre che il prossimo capitolo sia un po' più discorsivo. Alcuni capitoli sono comunque da salvare come quelli riguardanti le pressioni esercitate da Churchill sugli alti comandi inglesi, ma troppo poco.
Testo che consiglio soltanto a dei veri appassionati della battaglia di El Alamein.
Argomento: Campagnia di Grecia - Recensione di Davide Botta (11/08)

In questo libro, scritto nel 1961, Fusco presenta con uno stile fresco e asciutto la triste pagina militare, chiamata "Evenienza G", che nelle intenzioni del regime doveva risolversi in un'invasione inarrestabile del territorio greco, sulla falsa riga del blitzkrieg tedesco in Europa orientale. Purtroppo, come tutti sappiamo, le cose non sono andate così e salvo una prima avanzata ottenuta dall'effetto sorpresa, tutti i combattimenti si sono tenuti in territorio albanese. Senza mezzi termini, il giornalista spezzino, denuncia le mancanze e gli errori dei nostri alti comandi. Errori che hanno mandato allo sbaraglio le nostre truppe in un territorio tremendo senza un'adeguata guida, senza mezzi e risorse. Truppe che però combatterono eroicamente, nonostante tutte le avversità, dall'ottobre 1940 all'aprile 1941: Fusco riporta toccanti descrizioni delle vicende belliche del fronte. Prima della postfazione di Beppe Benvenuto, Fusco dedica, nonostante sia fuori tema rispetto allo scenario da lui trattato, qualche pagina all'eccidio di Cefalonia per denunciarne l'orrore.
Argomento: Guerra Navale nel Mediterraneo - Recensione di Bruno (09/06)

Questo libro è un'opera revisionista che certamente ha suscitato curiosità da noi, ed è stata finalmente tradotta, con alcuni chiarimenti e rettifiche che vengono a puntualizzare certe imprecisioni dell'autore. Non è eccessivo definirlo revisionista, in quanto Sadkovich ribalta i giudizi sprezzanti dati da parte anglosassone sulla "dago fleet," questa "flotta di terroni" che aveva osato sfidare la Royal Navy uscendone ridicolizzata, e cerca di dimostrare che gli Italiani hanno sempre affrontato con aggressività il nemico e che, in fondo, la loro "vera" guerra, la guerra dei convogli, l'hanno praticamente vinta tenendo le rotte aperte fino all'ultimo o quasi. Da parte dei recensori si è già detto a ragione che Sadkovich prende le difese degli Italiani "anche troppo." Se siete appassionati dell'argomento, tenetene conto: questo non può essere il testo definitivo in materia.
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Argomento: Mareth 1943 - Recensione di Susanna Tartari (09/06)

Nel marzo del 1943, la 1ª Armata italiana del generale Messe, nuova denominazione dell'Armata Corazzata Italo Tedesca, dopo una ritirata iniziata cinque mesi prima ad El Alamein in Egitto, si trincera infine sulla linea del Mareth, nella Tunisia meridionale, per affrontarvi il suo nemico di sempre, la poderosa 8ª Armata inglese. Lo scontro che ne seguirà, la cosiddetta battaglia del Mareth, avrà due vincitori: gli italo-tedeschi sul piano tattico e gli Alleati su quello strategico. Nonostante lo squilibrio di forze, tutto a favore dell'8ª Armata di Montgomery, la 1ª Armata italiana riesce a fermare per una settimana gli attacchi avversari ed evita di essere intrappolata dalla manovre alleate, comprese quelle del II Corpo americano, assai insidiose perché attuate alle sue spalle. Con la ritirata sulla linea degli Akarit, in ogni caso, le forze dell'Asse sanciscono la loro disfatta e consentono agli Alleati di portare vittoriosamente a termine la campagna di Tunisia. L'Alto comando alleato può ora prepararsi per l'imminente invasione dell'Europa. La campagna di Tunisia, insieme alla terza battaglia di El Alamein, fu la migliore prova bellica dei soldati italiani della Seconda Guerra Mondiale. Lo provano i tanti scontri, spesso vittoriosi, condotti coraggiosamente contro un nemico infinitamente superiore in uomini, mezzi ed armi. Copertina
Argomento: Guerra Navale nel Mediterraneo - Recensione di Maximus (11/03)

Il testo, di oltre cinquecento pagine, tratta dell'attività della Regia Marina Italiana durante il secondo conflitto mondiale. L'Autore dedica spazio pure ad argomenti di notevole interesse (il ruolo di Malta,il radar) che hanno influito sulle vicende belliche. Sostanzialmente il testo si può dividere in due parti: nella prima vengono descritti e commentati i principali eventi bellici che hanno visto impegnate le nostre forze navali (Battaglia di Punto Stilo, di Capo Teulada, attacco inglese a Taranto, etc), eventi in cui le nostre forze hanno in genere tutt'altro che brillato. L'Autore, giustamente a mio avviso, non risparmia critiche all'operato svolto da Supermarina e dai comandanti delle nostre forze (in particolare l'ammiraglio Iachino) per i risultati modestissimi o gli autentici disastri subiti dalle nostre forze navali. Nella seconda parte del testo l'Autore parla della battaglia dei convogli, ossia la lotta effettuata dalla Regia Marina per l'invio di uomini e mezzi tramite le rotte marittime. L'Autore mette in risalto che la spedizione sul mare di rinforzi non riguardava solo il Nordafrica, ma anche il Dodecaneso (Rodi, etc) e i Balcani,impegnando risorse (navi mercantili e da guerra) che sarebbero state utilissime per i trasporti in Nordafrica. Secondo il Giorgerini la battaglia dei convogli sarebbe stata la vera e principale attivita della Regia Marina durante la guerra, un attività che, sempre secondo l'Autore, avrebbe visto la vittoria della nostra Marina. A riprova di ciò vengono utilizzati dati statistici che dimostrano che la maggior parte di ciò che veniva inviato in Nordafrica giungeva a destinazione. Un dato è che ben l'80% del carburante inviato dall'Italia raggiunse i porti africani. A mio avviso questa tesi non è condivisibile. In primo luogo l'attività degli Alleati contro il nostro traffico spesso fu modesta o addirittura inesistente. Parlare in questo caso di vittoria della battaglia dei convogli è assurdo, dato che se non vi è contrasto nemico non si può parlare neppure di battaglia, tantomeno di vittoria! Inoltre l'Autore sembra non considerare affatto che senza il massiccio intervento tedesco (Luftwaffe e Kriegsmarine) e della Regia Aeronautica gli Alleati avrebbero potuto tranquillamente trasformare Malta in una base aereonavale continuamente attiva. Basta ricordare che nel breve periodo di tempo nel quale gli inglesi stabilirono una piccola forza navale (la forza K) le nostre perdite di materiali raggiunsero punte enormi (a settembre del 1941 raggiunsero il 70%). Ricordo inoltre che gli sforzi alleati per bloccare il nostro traffico navale si concentrarono in determinati periodi decisivi (Operazione Crusader, El Alamein) creando problemi enormi per le nostre truppe a causa del ritardo o del non arrivo dei rifornimenti necessari. A mio avviso si tratta di un testo da leggere, ma da leggere con il dovuto spirito critico.
Seconda recensione by Antonio M. (05/02)
Terza recensione by Bruno (09/03)
Quarta recensione by Federico Colombo (01/06)
Seconda recensione by Antonio M. (05/02)
Terza recensione by Bruno (09/03)
Quarta recensione by Federico Colombo (01/06)
Argomento: Campagna in Africa Settentrionale - Recensione di Chetti6 (08/05)

Questo libro è uno dei pochissimi a trattare della campagna alleata in Africa nord-occidentale (dagli sbarchi di Torch alla caduta di Tunisi e Biserta), una campagna ingiustamente trascurata soltanto perché meno conosciuta e reclamizzata dello scontro svoltosi più ad est tra Rommel e Montgomery, ma non per questo meno ricca di personaggi (Patton, Eisenhower solo per citarne alcuni) e di battaglie (basta ricordare i durissimi scontri a Kasserine, a quota 609 o a Longstop Hill). L'importanza di questa campagna non va tanto ricercata nell avere accelerato il crollo dell'Asse in Nordafrica ma nell'avere trasformato in un vero esercito l'US Army, presentatosi all'inizio del 1942 completamente impreparato e inesperto, insegnando ai soldati ad odiare il nemico e agli ufficiali a comandare. Atkinson si rivela infatti molto obiettivo durante il suo racconto, criticando aspramente la struttura di comando americana, i numerosi errori commessi da generali rivelatisi impreparati al combattimento e mostra come questo primo approccio alla guerra in un teatro secondario sia riuscito ad eliminare, purtroppo a spese di 70.000 soldati alleati caduti, tutti gli elementi meno adatti dal vertice dell'esercito, preparandolo allo scontro vero con la Wermacht nel cuore dell'Europa. Atkinson riporta anche le personalità dei vari comandanti alleati, il loro mutamento caratteriale avvenuto a partire dall'entrata in guerra: emblematica è la maturazione di Eisenhower passato dall'essere considerato all'inizio un subordinato ben addestrato e leale ma incerto come comandante in capo a vero e proprio comandante. Un esercito all'alba è veramente un ottimo libro, molto scorrevole, con un ritmo incalzante, preciso nella documentazione dei personaggi e con un apparato cartografico che accompagna tutte le principali battaglie. Sicuramente da leggere non solo per avere un quadro completo degli scontri in Africa ma, soprattutto, per comprendere le enormi difficoltà che hanno accompagnato l'entrata in guerra degli Stati Uniti e la complicata convivenza con i cugini inglesi.
Argomento: Campagna in Africa Settentrionale - Recensione di Chetti6 (08/05)

Decisamento un ottimo testo questo di Carver, perché avendo militato come generale nell 8a Armata fa uno studio approfondito della guerra nel deserto dal punto di vista britannico dando una minuziosa descrizione di tutti i combattimenti tra le forze del Commonwealth e il DAK avvenuti nei dintorni di Tobruk, ossia l'operazione Crusader e la successiva battaglia di Gazala, fino alla caduta della roccaforte. Entrambe le operazioni sono riportate nei minimi dettagli (un livello di precisione che non sono riuscito a trovare in nessun altro testo da me letto sulla campagna d'Africa), in particolare per quanto riguarda l'operazione Crusader, il tutto corredato da ottime cartine su cui poter seguire gli spostamenti dei contendenti. Vengono spesso riportati per particolari scontri degli estratti delle storie ufficiali dei vari reggimenti (Rifle Brigade, etc), le parti più significative di ordini inviati dai comandanti o la corrispondenza tra Auchinleck e Churchill, mentre quasi nulla è riportato da testi italiani o tedeschi, anche se per questi ultimi conviene leggere il libro di P. Carell "Le volpi del deserto". Nonostante sia inglese Carver non lesina critiche ai suoi connazionali su come siano state gestite le varie operazioni o sulla loro testardaggine a non volere utilizzare come arma controcarro i loro pezzi da contraerea, come magistralmente insegnato dai tedeschi con il loro 88 mm. Insomma un libro che, anziché in libreria, sarà più facile rintracciare in qualche mercatino dell usato, ma che di sicuro sarà apprezzato da quanti vogliano saperne molto di più sulla camapagna africana. Copertina
Argomento: Campagna in Africa Settentrionale - Recensione di Chetti6 (06/05)

Durante la campagna africana, all'ombra del più vasto conflitto tra il Deutsche Afrika Korps di Rommel e l'ottava armata britannica, hanno operato alcuni reparti speciali britannici come il Long Range Desert Group, il SAS di Stirling e il PPA di Peniakoff, i cui centri operativi si trovavano nel bel mezzo del deserto, in oasi sperdute. In particolare, al centro del libro di Gordon ci sono le imprese del Long Range Desert Group, un corpo d'élite utilizzato per missioni molto temerarie tipo: perlustrazione delle retrovie nemiche, infiltrazione di agenti segreti, sabotaggi ai depositi di rifornimento tedeschi ed italiani, ecc.. Il ruolo rivestito da queste forze speciali di sicuro, come ammesso dallo stesso Gordon, non fu decisivo per le sorti della campagna ma ne costituì un fattore degno di nota, infatti le loro azioni non sono citate nè nel libro di Correlli Barnett, nè in quello di Petacco ed invece sono più volte riportate da Paul Carell in "Le volpi del deserto", proprio perché avendo Carell militato presso il comando supremo della Wermacht durante la guerra, sapeva quanto pericolose fossero le azioni portate da questi corpi alle già vacillanti linee di rifornimento italo-tedesche durante l'avanzata. Il testo si rivela anche interessante per il fatto che riporta la storia del Long Range Desert Group fin dai primi suoi passi, permettendo di capire le difficoltà insite nella creazione di un corpo speciale, la sua difficile convivenza con altri reparti d'élite e nel suo corretto utilizzo come forza "non convenzionale": infatti Gordon, oltre a riconoscere i giusti meriti ed il valore di questi uomini, non lesina critiche al modo in cui talvolta sono stati impiegati, per esempio come quando si è voluto utilizzarle per azioni di vasta portata come quelle su Tobruk, Bengasi, Gialo e Barce, rivelatesi missioni suicide proprio perché non adatte a corpi la cui forza si basava sulla velocità e sulla sorpresa o come quando, dopo la fine della campagna africana, mancando una struttura in grado di gestire tali forze, fu stabilito di impiegarle, con pessimi risultati, nella conquista delle piccole isole greche, in missioni completamente diverse da quelle per cui tale corpo era stato creato. Molto interessanti i primi capitoli del libro, che sottolineano come già durante la prima guerra mondiale esistevano unità speciali operanti nel deserto come le Light Car Patrols inglesi, la cui esperienza fu sciaguratamente accantonata, e sorprendente è pure lo scoprire che gli Italiani possedevano alcuni reparti denominati "Raggruppamenti sahariani" di estrema efficacia, guidati da persone molto competenti e ben equipaggiati, stimati e temuti dagli stessi inglesi, reparti poi misteriosamente sciolti proprio nel momento del bisogno. Questo di Gordon è quindi un libro da leggere perché illustra "l'altra guerra del deserto", non riportata in nessun testo, permettendo di allargare gli orizzonti sulla campagna africana; la narrazione è scorrevole, incalzante e corredata da foto davvero inedite.
Argomento: Campagna in Africa Settentrionale - Recensione di Chetti6 (05/05)

L'Armata nel deserto è un libro molto critico che a differenza dei "Generali del deserto" di Correlli Barnett, "Le volpi del deserto" di P. Carell ma anche di "Storia militare della II guerra mondiale" di B.L. Hart si propone di riesaminare tutta la campagna africana alla luce della rivelazione che gli inglesi, grazie ad Ultra, erano in grado di conoscere nei minimi dettagli le mosse di Rommel, i suoi obiettivi.. e non erano i "traditori" italiani a rivelare le sue mosse, come per molto (troppo) tempo è stato propagandato. Nonostante questo la figura di Rommel dovrebbe uscirne ancora più ingigantita ed invece in tutto il testo Petacco non risparmia critiche al feldmaresciallo per come ha condotto alcune delle sue operazioni militari, per la sua testardaggine o per come trattava con poca "eleganza" gli alleati italiani e i suoi stessi collaboratori (Kesselring, von Arnin), critiche che gli estimatori di Rommel di sicuro non gradiranno (strano che invece sia Correlli, scrittore inglese, nel suo libro a incensare il tedesco e ad affossare suoi connazionali come Montgomery). Anche l'apparato militare italiano non viene (giustamente) risparmiato da Petacco, che analizza in particolare il comportamento di alcuni nostri pezzi grossi come Mussolini, Graziani (sempre centinaia di chilometri lontano dal fronte), mentre grande onore l'autore tributa agli ufficiali sul campo, costretti a battersi da soli contro gli inglesi e contro l'arroganza tedesca, e ai nostri soldati, che di fronte a una scarsità di mezzi e armi sconcertante molte volte si dimostrarono superiori ai tedeschi per valore e sacrificio, doti riconosciute anche dai comandanti inglesi. Un libro questo di Petacco che si legge molto velocemente perché l'autore non si addentra in un linguaggio troppo tattico, ma delle varie operazioni dà schema generale per poi approfondire altri argomenti (le conseguenze delle rivelazioni di Ultra, il problema dei rifornimenti, etc). Da leggere perché uno dei pochi libri a rivisitare la guerra alla luce delle rivelazioni di Ultra.
Argomento: Cefalonia - Recensione di Bruno (05/05)

Cefalonia non più come uno dei momenti fondanti della resistenza italiana, ma come tragedia di soldati che volevano tornare in patria in sicuezza e con onore. Questo libro, che trovo orrendamente insoddisfacente dal punto di vista militare, si occupa di come si sia arrivati alla decisione di resistere, sfata in parte la storia del "referendum" con cui i militari avrebbero deciso di battersi (non è stata una consultazione estesa a tutte le truppe ma è servita a "tastare il polso" dei soldati), traccia le figure dei protagonisti coinvolti, tra cui la tragica figura del generale Gandin. Egli era considerato filotedesco, ma certamente ci teneva, più che altro, a fare il suo dovere onorevolmente. Il libro fa capire che Gandin fu forse influenzato dai più focosi soldati anti-tedeschi, e in parte fu influenzato dai lontani comandi in patria che nel disastro dell'8 settembre, pavidi e cinici, incoraggiavano gli altri ad andare al mattatoio mentre si mettevano prudentemente in salvo. Nessun eroismo di Gandin, un buon mediatore che cercava di sfruttare i sui contatti personali coi Tedeschi per evitare il macello, ma non poteva che essere trascinato dagli eventi. Nessuna ribellione al nazifascismo della truppa, che si era in buona parte stancata dell'alleato germanico e della guerra, e non voleva rimanere in un'isola dimenticata dai principali flussi strategici del conflitto. Se dobbiamo dar ragione a questo libro, a Cefalonia c'è stato sì un olocausto, ma non lo possiamo etichettare come "momento di riscatto" che ci fa passare dal campo dei colpevoli della storia al campo dei giusti e dei vincitori. Non poteva apparire così ai protagonisti di allora, e non dovremmo sfruttare l'evento a posteriori per voler vedere (a forza!) un raggio di luce scaturire dalla "morte della patria" dell'8 settembre.
Argomento: Battaglia di Creta - Recensione di Bruno (05/05)

Una descrizione di ampio respiro sul famoso attacco delle forze aerotrasportate tedesche a Creta, questo libro si occupa anche della lunga resistenza seguita all'occupazione dell'isola, ad opera di patrioti greci e di molti soldati alleati rimasti indietro. I paracadutisti, che avevano sperimentato significativi successi nei primi mesi di guerra, incontrarono una resistenza ben organizzata da parte delle unità del Commonwealth, che sappiamo oggi essere state ben informate (per merito dell'intelligence britannica) sul loro imminente arrivo. Il libro mostra il risultato impietoso del primo giorno, una vera mattanza per queste truppe di elite e il clamoroso errore alleato, solo in parte dovuto agli scarsi mezzi di comando e comunicazioni, per cui un aeroporto venne lasciato cadere nelle mani degli attaccanti sempre più in difficoltà. Da lì in poi fu solo questione di giorni per le truppe regolari tedesche affluite in forze: Creta finì per essere una sconfitta britannica, con dolorose perdite anche per la marina che dovette evacuare le truppe in ritirata. Anche i tedeschi vi impararono una lezione, pagandola a caro prezzo: l'impiego dei paracadutisti su larga scala, indipendentemente da un certo numero di errori commessi a Creta ma rimediabili in futuro, portava facilmente a perdite troppo pesanti. Il libro beneficia dell'esperienza di Beevor, non nuovo al lavoro divulgativo ben ricercato e ben esposto. Essendo una storia un po' insolita nell'ambito della seconda guerra mondiale, la lettura di "Creta" è senz'altro consigliata.
Argomento: Guerra in Nord Africa - Recensione di Massimiliano Magli (05/05)

La guerra d'Africa rappresentò uno dei momenti militarmente più interessanti e complessi della seconda guerra mondiale, su una fronte in cui furono coinvolti gli eserciti italiano, tedesco, inglese, americano e francese. Con l'intervento degli alleati tedeschi nello scontro con le forze britanniche, gli italiani poterono spingersi fino a un centinaio di chilometri da Alessandria, prendendosi una rivincita pressoché impossibile senza l'aiuto germanico che pure, giunto ad El Alamein, segnò il passo, contrastato dai campi minati inglesi, dal deserto, dalla carenza di carburante e, non ultimo, dall'arrivo degli americani. Ancora oggi la guerra d'Africa è campagna esemplare per gli errori commessi, come pure per le geniali soluzioni adottate nei ripetuti rovesciamenti di fronte, ottenuti da Rommel e Montgomery. L'opera procede da un'analisi serrata dei territori di battaglia: dal rapporto millenario tra Italia e Libia alle considerazioni morfologiche e geografiche, con cenni storici e curiosità che la storiografia ufficiale ha spesso ignorato. Quindi, affronta tappa per tappa l'esperienza italiana in Nord Africa: l'avanzata in Egitto, la disfatta in Cirenaica, la "Guerra dei Convogli", il conflitto aeronavale, la Blitzkrieg nel deserto, le tre battaglie di El Alamein e la ritirata in Tunisia, Stalingrado del Mediterraneo. Il secondo volume è dedicato all'apparato bellico degli eserciti in Nord Africa e nel Mediterraneo, con un'accurata analisi tecnica e balistica di armamenti, mezzi d'assalto e strumentazioni ausiliarie. Una suggestiva rassegna delle forze in campo schierate da Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti che in questa campagna poterono esperire le potenzialità di mezzi mai impegnati prima. Il volume dedica grande spazio alla descrizione, modello per modello, di navi corazzate, aerei da caccia e da bombardamento, carri armati e autoblindo, veicoli da trasporto e motociclette, artiglierie e semoventi. Sono altresì esplicate sigle, abbreviazioni e terminologia militare degli eserciti in lotta. L'autore: Dario Gariglio vive a Torino, dov'è nato nel 1942. Studioso di storia moderna, contemporanea e militare, da molti anni interviene con articoli e saggi su periodici di storia e archeologia ed è autore di numerose conferenze. Copertina volume I. Copertina volume II.
Argomento: Campagna in Africa Settentrionale - Recensione di Emanuele Cattarossi (11/04)

Come finì la guerra in Africa nel racconto del Generale Giovanni Messe, comandante della 1ª Armata Italiana in Tunisia. L'autore ricostruisce la storia delle operazione in Africa Settentrionale, ne mette in luce l'importanza strategica e il grave sbaglio nell'averlo sottovalutato. Ricorda poi le operazioni italo-tedesca in Tunisia, il suo arrivo in Tunisia, gli ultimi colpi di Rommel, le battaglie sul Mareth, sull'Akarit e a Enfidaville, l'estrema resistenza a Capo Bon e la resa il 13 maggio 1943. Un testo importante quello del generale Messe, corredato da relazioni sugli ultimi combattimenti in nord-africa e cartine geografiche, che offre la possibilità di approfondire l'ultima fase della campagna africana spesso dimenticata o poco conosciuta. A quanti interessa l'argomento, questo è un testo da non perdere.
Argomento: Operazioni Navali nel Mediterraneo - Recensione di Emanuele Cattarossi (01/03)

L'obbiettivo al quale questo libro punta è la ricostruzione dei principali scontri che videro impegnate le forze navali italiane nel Mediterraneo. Arrigo Petacco raggiunge questo obbiettivo attraverso una descrizione chiara ed asciutta dei fatti. Uno per uno, da Punta Stilo fino al viaggio verso Malta, il lettore si troverà a ripercorrere le varie battaglie che videro impegnata la Regia Marina in opposizione alla sua controparte inglese, la Mediterrean Fleet. Nessun particolare viene trascurato dall'autore nel suo lavoro. In questo modo il lettore può rendersi conto del grado di impreparazione della marina italiana, dei pregi e dei difetti delle nostre navi e di come venne condotta la squadra navale italiana nel confronto con la marina inglese. Accanto a ciò si potrà apprezzare il coraggio e la decisione che i singoli dimostrarono in diverse occasioni prima frà tutte l'attacco dei nostri incursori ad Alessandria. Nel libro, alla parte descrittiva degli scontri fanno da corollario alcuni elementi che aiutano il lettore nella comprensione degli avvenimenti: diverse cartine che ricostruiscono i luoghi delle battaglie e i movimenti negli scontri; una serie di tavole viene dedicata ai mezzi aerei e navali impiegati da ambo le parti; sono riportati i bollettini militari italiani ed inglesi che commentavano lo svolgimento degli azioni sul mare, entrambi spesso fortemente viziati da esigenze di propaganda. Non mancano infine importanti testimonianze di chi a quei fatti prese parte attiva. Queste aiutano il lettore a rendersi pienamente conto delle aspettative, delle speranze, delle delusioni e delle frustazioni che caritterizzarono il lungo confronto navale nel Mediterraneo. Nell'ambito dei libri riguardanti le operazioni navali della Regia Marina la lettura di questo testo può risultare un importante arricchimento.
Seconda recensione by Chetti6 (04/04)
Seconda recensione by Chetti6 (04/04)
Argomento: Guerra in Nordafrica e Mediterraneo - Recensione di Maximus (12/03)
Generali nella polvere di Piero Baroni, Luigi Reverdito Editore
Per molto tempo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale si sono attribuiti i non positivi risultati ottenuti dalle nostre Forze Armate alla superiorita qualitativa e quantitativa del nemico,causata dalla decisione mussoliniana di entrare in guerra nel giugno del 1940 quando le nostre Forze Armate non erano pronte a sostenere il conflitto. L'Autore del libro si concentra sull analisi delle forze (mezzi e uomini) che si contrapposero nella parte iniziale (sino al febbraio del 1941) nel Nordafrica e nel Mediterraneo, giungendo a conclusioni assai differenti da quelle tradizionali. Un'analisi precisa e puntigliosa porta l'Autore a concludere che nell'estate del 1940 le forze dell Impero Britannico in Egitto scarseggiavano sia di uomini e di mezzi, rendendo estremamente difficile una difesa delle posizioni inglesi. Nel testo vengono descritti esaurientemente le indecisioni, l'incapacità dei vertici militari sia in Libia che a Roma di sfruttare a fondo la situazione favorevole alle nostre armi e che impedirono di cogliere successi che avrebbero potuto forse cambiare il corso degli avvenimenti successivi. Appena la situazione britannica in Patria migliorò (successo inglese nella Battaglia d Inghilterra) Churchill potè inviare alle sue truppe in Egitto rifornimenti limitati,ma che permisero alle stesse di contrattaccare (operazione Compass). L'Autore dedica ampio spazio a questa offensiva britannica, mettendo bene in luce che il trionfo della stessa (130.000 prigionieri, un migliaio di cannoni, centinaia di carri armati nostri tra distrutti o catturati) fu dovuta in gran parte ai numerosi errori strategici e tattici del maresciallo Graziani e dei suoi alti ufficiali. Nel testo si trovano inoltre informazioni precise riguardo alle vicende del radar italiano, informazioni che L'Autore ha avuto intervistando l ingegner Tiberio,ideatore del radar italiano. In pratica l'ingegner Tiberio, pur svantaggiato da scarsi finanziamenti dovuti all'indifferenza delle nostre autorità navali era riuscito ad ideare un prototipo funzionante del radar, esistente già ad inizio guerra. Purtroppo le nostre autorità navali si interessarono al radar nostrano solo quando si accorsero che la flotta inglese lo utilizzava (battaglia di Capo Matapan). Un libro polemico nei confronti dei vertici politici e militari dell'epoca, ma una polemica supportata da fatti concreti e difficilmente confutabili. Ho notato alcune inesattezze, non su tutte le conclusioni dell'Autore sono d'accordo, ma ritengo che si tratti di un testo che merita decisamente di essere letto.
Argomento: Battaglia di El Alamein - Recensione di Bruno (09/03)

Un libro decisamente datato, la mia copia è di una edizione messa in circolazione per approfittare dei 60 anni dalla battaglia di El Alamein, ma in realtà la prima stampa è del 1962. Ricco di dettagli sulle varie fasi degli assalti britannici (e del Commonwealth), e questo è senz'altro un punto interessante, il libro pasticcia a volte con le molte cartine introdotte nel testo, fini nel dettaglio ma che lasciano il lettore non espertissimo un po' confuso sul quadro generale. L'autore si danna a convincerci che Montgomery fosse un genio della guerra, e che Rommel abbia logorato le sue forze in contrattacchi inutili perché abilmente ingannato dai diabolici trabocchetti di questa divinità della guerra. Roba che lascia perplessi, indipendentemente dall'opinione che si può avere su Montgomery. Trattandosi di una battaglia di logoramento (e difficilmente si poteva trasformarla in qualcosa d'altro, per motivi geografici) c'è da dubitare che la genialità di chiunque potesse dispiegare le ali ad El Alamein. L'impressione che mi è rimasta è che il vanaglorioso generale 'quindici a uno' avesse in fondo una qualità: quella di essere un puntiglioso professionista del mestiere della guerra, laddove i suoi predecessori erano stati sempre un po' approssimativi. Giudizio finale su questo libro: mediocre. Se avete il mito di Montgomery però compratevelo assolutamente.
Argomento: Campagna in Africa Settentrionale - Recensione di Emanuele Cattarossi (04/03)

Questo testo ricostruisce i combattimenti tra l Afrika Korps di Rommel e l Ottava armata Britannica. Uno studio minuzioso basato su una grande bibliografia e su testimonianze dei sopravvissuti alla campagna in Africa Settentrionale. Nel corso degli anni diverse sono le leggende fiorite sulla guerra nel deserto, combattuta tra il 1940 e il 1942. Tuttavia diversi sono i punti oscuri legati agli scontri in Africa Settentrionale: la rete di interferenze politiche; la responsabilità degli alti gradi di comando; le capacità di comando di Rommel; il reale ruolo giocato delle unità degli alleati italiani, i bersaglieri e i marò del San Marco; la differenze tra i materiali messi in campo dalle forze contrapposte; successi italiani spesso dimenticati (El Mechili ad esempio). Su tutto questo gli autori hanno voluto far luce. In questo libro troviamo un repertorio fotografico in gran parte inedito. Numerose cartine poi aiutano il lettore moderno a rivivere quei momenti e lo mettono di fronte alla bruciante testimonianza di una pagina indimenticata della seconda guerra mondiale. Copertina
Argomento: Campagna in Africa Settentrionale - Recensione di Emanuele Cattarossi (03/03)
Takfir di Paolo Caccia-Dominioni e Giuseppe Izzo, Mursia
La parola Takfir, da cui prende il nome il libro, è presa dall'arabo e sta a significare Espiazione. Il deserto, il cielo, il fumo delle esplosioni, il colore dei morti, il clamore della battaglia, le carcasse dei mezzi distrutti. Tutto diviene Takfir. Tutto diviene espiazione sotto gli occhi dei due autori. Takfir è più che un libro: costituisce una sfida. La sfida di chi combatté la battaglia di El Alamein e ne uscì vivo. La sfida di chi volle raccontare quei fatti mostrando quello che i loro occhi avevano visto in quei tremendi giorni. Takfir rappresenta una descrizione della battaglia di El Alamein diversa da tante ricostruzioni storiche. Takfir è una testimonianza greggia, in cattivo italiano, un racconto da caporale, presentato da chi ha la visuale corta. La voce di un attore secondario, da mezza scena, incapace di valutare l'assieme dello spettacolo quale appare agli illustrissimi del palco d'onore. Così in un giorno del febbraio '43 uno sconosciuto esprimeva il desiderio di leggere un resoconto dei fatti di El Alamein. Paolo Caccia Dominioni e Giuseppe Izzo sono riusciti perfettamente nel realizzare quanto si sarebbe voluto sapere. Così Paolo Caccia-Dominioni racconta le vicende del 31º Guastatori ad Alamein dal suo impiego in battaglia nel X corpo d armata italiano fino al riuscito sganciamento dal fronte. Intense sono le pagine dedicate al forzamento dell'accerchiamento inglese a Khor el Bayat dove il 31º guastatori e la 15ª compagnia artieri d'arresto sfuggirono agli inglesi. Non è da meno Giuseppe Izzo che a Alamein comandava il V battaglione paracadutisti della divisione Folgore. Viene riassunto il ciclo operativo del battaglione dall'arrivo sul fronte fino al combattimento di Nagb Rala dove Izzo venne ferito al termine di un vittorioso contrattacco del suo battaglione. In più questo libro è corredato da una serie di appendici che riportano documenti, ordini del giorno, motivazioni di ricompense, disegni, canti, rapporti di combattimento e carte operative riguardanti schieramenti, operazioni, itinerari del 31º Guastatori e della divisione Folgore. Insomma, un libro bellissimo, intenso, chiaro e semplice. Un libro sincero, capace di raccontare verità spesso dimenticate.
Argomento: Campagna di Grecia - Recensione di Bondir (09/02)

Narrazione prevalentemente politica della guerra di Grecia. Illustrando le decisioni e le azioni degli alti comandi italiani, politici e militari, l'autore mette in evidenza le scarse capacità di analisi e il dilettantismo con cui fu preparata questa campagna. Da Mussolini a Ciano passando per De Vecchi e per i comaandanti dell'Esercito, vengono narrati tutti i preparativi alla guerra e la conduzione della stessa che porteranno ad una schiacciante sconfitta nonostante gli eroici atti dei soldati coinvolti. Giudizio: Critica feroce ma sagace dei comandi italiani durante questa guerra a difesa del valore dei semplici soldati tacciati per anni di scarso impegno. Ottima a fine libro la raccolta di documenti ufficiali che comprovano le critiche mosse alle gerarchie italiane dall'autore.
Argomento: Generali Inglesi in Africa Settentrionale - Recensione di Emanuele Cattarossi (07/02)

La campagna d'Africa, le forze inglesi e i loro comandanti. Su questa linea si muove Correlli Barnett per analizzare tre anni di guerra in Africa Settentrionale. In questo libro vengono descritti i comandanti che comandarono l'8ª armata britannica (originariamente chiamata Western Desert Force). Archibald Wavell, Richard O'Connor, Alan Cunningham, Neil Ritchie, Claude Auchinleck ed infine Bernard Law Montgomery. La conduzione della campagna d'Africa da parte di questi comandanti viene passata attentamente al vaglio. Risalta quindi all'attenzione del lettore le grandi capacità tattiche di O'Connor, con forze ridotte riuscì a polverizzare la decima armata italiana, e di Auchinleck, capace di fermare Rommel davanti ad El Alamein e di raddrizzare la disperata situazione venutasi a creare dopo le battaglie di Gazala, Tobruk, e Marsa Matruh. Viene una volta di più in superficie l'inadeguatezza di Ritchie come comandante dell'8ª armata e tutti gli errori macroscopici compiuti da Cunningham nel corso dell'operazione "Crusader" a causa di un suo progressivo esaurimento fisico. Brilla la conduzione strategica di Wavell che nel periodo '40-'41: rispose con grande sangue freddo al compito affidatogli. Da una situazione impossibile seppe ricavare successi insperati come la conquista della Cirenaica e dell'Africa Orientale Italiana. Dal libro di Correlli Barnett esce invece ridimensionato Montgomery. L'autore non è affatto tenero con lui: gli imputa un esasperata vanagloria e un continuo esibizionismo a fronte di risultati solo nominalmente trionfali. Basti rivedere la conduzione della terza battaglia di El Alamein dove l'8ª armata britannica, pur vantando nei confronti dell'Africakorps una schiacciante superiorità di uomini e mezzi, a lungo "oscillò sull'orlo della disfatta". Dieci giorni furono necessari per piegare le truppe di Rommel e nonostante tutti gli sforzi profusi Montgomery non fu in grado di annientare completamente l'avversario dandogli la possibilità di protrarre la guerra in Africa per molti mesi ancora. Alle spalle di questi comandanti si muovono altri ufficiali inglesi che presero parte alla guerra nel deserto: Norrie, Gott, de Guingand, Dorman-Smith, Creagh, Ramsden, Messervy, Beresford-Pierse, Freyberg e altri ancora. A volte corresponsabili degli errori dei loro comandanti, altre volte travolti da Rommel, in altri casi capaci da soli di raddrizzare situazioni disperate. Correlli Barnett mette grande impegno in questo libro, aprendo una forte polemica contro generali dalla mentalità sorpassata che con i loro errori contribuirono ad alimentare la leggenda di Rommel. Per gli appassionati della Campagna d'Africa questo libro costituisce un interessante punto di vista britannico sulle vicende.
Argomento: Afrikakorps - Recensione di Emanuele Cattarossi (07/02)

Questa è la storia delle oramai leggendarie divisioni dell'Afrikakorps e dei soldati italiani che combatterono agli ordini di Erwin Rommel, la "Volpe del Deserto" Dalle prime imprese in Cirenaica fino
alla resa in Tunisia. E in mezzo le battaglie per Tobruk, la resistenza al passo Halfaya, le battaglie di Ain-el-Gazala, Bir-Hacheim, Marsa Matruh, le tre battaglie di El Alamein, la ritirata verso la Tunisia, Kasserine e l'ultima resistenza in Africa. In "Le volpi del deserto" risuonano il rombo dei panzer tedeschi e dei reparti esploranti nel deserto, i colpi del mitico 88mm e le picchiate degli Stukas. Un libro avvincente e allo stesso un resoconto completo della campagna africana dal punto di vista tedesco. Paul Carell racconta le imprese dell'Afrikakorps basandosi sulle testimonianze dirette dei protagonisti e racconta in quale maniera Rommel e suoi uomini supplirono con il loro valore alla superiorità di uomini e mezzi che il nemico gli opponeva, arrivando ad un passo dal trionfo.
Argomento: Assedio di Tobruk - Recensione di Bruno (05/06)

Questo è un libro in inglese che risponde a una curiosità che molti potranno aver avuto: come si viveva, da dentro, il periodo dell'assedio di Tobruk? Dalla parte dell'attaccante, la città si rivelò subito un osso duro: i primi due tentativi di Rommel costarono il primo una gran quantità di caduti tedeschi, il secondo una bruttissima figura per la fanteria della divisione Trento. Per i difensori non era comunque tutto rose e fiori. Il libro racconta delle privazioni e delle difficoltà di vivere un'esistenza primitiva nel porto semidistrutto, del costante pericolo di bombardamenti aerei e di artiglieria, del quotidiano sacrificio della marina britannica, che percorreva una vera e propria rotta del terrore per portare i rifornimenti alla guarnigione. L'assedio non fu comunque mai del tutto statico, perché i tentativi di sortita e raid da parte alleata continuarono, per giustificare lo scopo della guarnigione assediata, vista da Churchill come "una spina nel fianco" di Rommel. Il premier inglese, che non era affatto tenero verso i suoi comandi militari in Medio Oriente, volle fortemente questa battaglia, e i fatti gli diedero ragione... fino al 1942 (ma questa è un'altra storia).
Argomento: Scontri nel Mare Egeo - Recensione di Bruno (06/05)

Questo libro in inglese sulla sfortunata campagna dell'Egeo definisce follia il tentativo di Churchill di spostare ad est l'interesse degli alleati anziché concentrare tutto sull'infruttuosa campagna italiana e sull'invasione in Normandia. In effetti, se tale strategia fosse stata appoggiata dagli Americani forse avrebbe potuto strappare qualche paese balcanico dall'influenza sovietica. Così come andò, comunque, fu in effetti azzardato tentare di mantenere il possesso del Dodecaneso italiano: la reazione tedesca fu immediata ed energica, sia pure con mezzi piuttosto limitati, e trasformò in disastro la spedizione britannica. Il libro racconta la storia da un punto di vista strettamente inglese, con qualche concessione alla voce dei tedeschi, e raramente a quella degli italiani. Per quanto riguarda la performance dei nostri connazionali, viene sprezzantemente giudicata quasi nulla, quasi come se non fossero nemmeno stati presenti nelle isole contese. Un paio di episodi di eroismo vengono tuttavia riconosciuti. Visto lo sfascio del nostro esercito frastornato dal cambiamento di fronte, l'atteggiamento dello scrittore può non essere del tutto mistificatorio, lascio a chi leggerà ogni giudizio. Il libro è corredato di alcune interessanti fotografie, ma le cartine sono insufficienti soprattutto per quanto riguarda la frastagliata geografia di Leros, dove il tormentato andirivieni dei combattimenti non può essere seguito decentemente avendo a disposizione pochi centimetri di mappa. La storia delle operazioni dà la giusta attenzione alle operazioni aeree e navali, dando l'atmosfera di una battaglia complessa che ha visto impegnate tutte le armi, compresi (da parte tedesca) le bombe teleguidate e i paracadutisti. Il punto forte sono le numerose testimonianze personali, che danno l'idea di una lotta senza quartiere e non priva dei suoi aspetti orrendi. Dai convogli sorpresi e affondati, a volte con il mitragliamento dei naufraghi in acqua, al sacrificio quotidiano dei Beaufighters che erano i soli caccia britannici a poter operare a lungo raggio, alla strage sistematica degli ufficiali italiani per ordine del Fuehrer. Il libro, in definitiva, l'ho trovato piacevole nonostante i problemi che ho esposto.
Argomento: Biografia - Recensione di Giuseppe Finizio (01/12)

"Nato Per Volare" è la biografia di un pilota dell'USAAF, il Ten. Col. William Pershing Benedict, che combatté in Africa Settentrionale e in Italia tra il luglio del 1942 e il dicembre del 1944. Non si tratta della consueta agiografia dedicata ad un asso della caccia, come tante ne abbiamo sfogliate e riposte svogliatamente nello scaffale di qualche libreria. Bill Benedict,detto "il Rosso", ma anche "lo Scroccone", è un personaggio sui generis, mirabile solista nell'aria e indisciplinato cowboy alla Tom Mix sulla terra, rappresenta tutte le contraddizioni della generazione di giovani piloti americani che giunse in Europa nel 1942.Bill non attese neppure Pearl Harbour per arruolarsi. Non avendo potuto entrare nell'USAAF per il suo modesto curriculum studii, riuscì ad accedere al British and Commonwealth Air Training Program e a conseguire il brevetto in Canada nell'estate del 1941. Da qui fu trasferito ad una OTU (Operational Training Unit) in Gran Bretagna dove iniziò a volare sugli Hurricane e gli Spitfire. Già da allora sviluppò un atteggiamento possessivo nei riguardi di quelli che considerava i "suoi" velivoli che in seguito doveva creargli non pochi guai. L'8 luglio del 1942 ebbe il battesimo del fuoco: ai comandi di un Hurricane del 127º Squadron abbattè due Me 109. Partecipò quindi all'immane scontro di El Alamein scortando le formazioni di bombardieri che compivano incursioni tattiche dietro la linea del fronte ed effettuando attacchi al suolo nella zona degli scontri. Il 15 dicembre venne finalmente accolta la sua domanda di trasferimento nell'USAAF dettata anche da motivazioni economiche (la paga era tripla di quella della RAF !). Con i P-40 del 66º US Fighter Squadron (57º Fighter Group) iniziarono anche i problemi disciplinari di Bill. La sua passione per gli aerei lo spinse infatti ad impossessarsi di un SM-79 catturato dagli inglesi sull'aeroporto di Tripoli e a farne il velivolo da trasporto del 66º FS (nel libro vi sono alcune foto del velivolo ribattezzato "Oca Verde"). Confermando la sua inclinazione per i velivoli dell'Asse, alla fine di settembre 1943 sfilò da sotto il naso del legittimo equipaggio un nuovissimo Piaggio P-108 che sfasciò di lì a poco in atterraggio e altrettanto fece con un Fiat CR-42 con insegne britanniche. Fu sfiorato l'incidente diplomatico,ma "Lo scroccone" riuscì a farla franca anche questa volta. Il 12 dicembre, anzi, fu inaspettatamente promosso al comando dello 66º Fighter Squadron che dal successivo gennaio passò sui P-47 Thunderbolt. Le nuove responsabilità non mutarono però il suo atteggiamento nei confronti dei compagni di squadriglia e, soprattutto,dei superiori: i primi lo ammiravano senza amarlo (qualcuno lo odiava addirittura), i secondi lo consideravano un piantagrane che, nonostante lo straordinario curriculum di volo, meritava una lezione. Era un virtuoso del volo e come tale un solitario. Dopo il trasferimento al 526º Fighter Squadron (86º FG) il neopromosso maggiore Benedict non mancò di offrire ai suoi detrattori ulteriori spunti per agire. Prima finì davanti ad una corte marziale per avere sottratto una jeep e poi, in una sortita volontaria con tempo cattivo da tutti sconsigliata, morì il suo giovanissimo ed inesperto gregario. La misura era colma. Il 16 dicembre 1944 Bill saliva su un Dc-3 per ritornare negli USA. Non tornò più a combattere. Dopo la guerra ebbe diversi comandi in patria. Il 3 maggio del 1952 raggiunse il Polo Nord, primo nella storia, con un velivolo C-54. Dopo il ritiro avvenuto nel 1962 continuò a volare per una compagnia privata che svolgeva il servizio antincendio. Su uno di questi velivoli trovò la morte il 31 agosto 1974 urtando la cima di un albero. Forse è così che "Il Rosso" avrebbe voluto morire: ai comandi di un aereo con il sole negli occhi. Per l'ampia documentazione di prima mano e la sagacia interpretativa dell'autore, questo volume, che speriamo abbia presto una edizione all'altezza del contenuto, si impone all'attenzione degli studiosi della guerra aerea nel Mediterraneo come vera opera di storia, quale non si saprebbe desiderare più accurata ed onesta. Copertina.
Argomento: Bombardamento del porto di Bari - Recensione di Giuseppe Finizio (08/02)

Questo libro, scritto da un veterano della Royal Navy, narra di una vicenda avvenuta sul nostro suolo durante la guerra e che, incredibilmente, ancora incide sulla vita e il lavoro di un gruppo di nostri connazionali. Nel tardo pomeriggio del 2 dicembre 1943 una novantina di bombardieri Ju-88A del II. Flieger Korps decollati dagli aeroporti della Pianura Padana bombardarono il porto di Bari. La loro missione era di interrompere il flusso di rifornimenti che alimentavano l'avanzata degli alleati sul suolo italico e quindi di alleggerire la pressione da questi esercitata sulle forze tedesche a sud di Roma. Le conseguenze, impreviste ma, come vedremo, non imprevedibili, furono disastrose. Tra le navi USA attraccate a Bari ve ne era una (ma c'è chi dice che fossero tre), la John Harvey, che trasportava, tra l'altro, 100 t. di bombe caricate all'iprite, il famigerato gas che tanti lutti aveva cagionato sui campi di battaglia della prima guerra mondiale. Non si sa a tutt'oggi con certezza perché gli americani avessero deciso l'invio sul fronte italiano di quest'arma micidiale. Appare tuttavia non insensato pensare che lo stallo a cui le operazioni soggiacevano ne avesse consigliato un suo utilizzo in extremis. L'incursione della Luftwaffe vanificò ogni tentativo in tal senso. Il libro di Mr Southern, attraverso una meticolosa raccolta di testimonianze soprattutto di parte britannica (il porto di Bari era sotto comando inglese), ci narra la storia delle conseguenze immediate e a lungo termine della liberazione nell'aria e nell'acqua di una così ingente quantità di iprite. L'autore parla con pietà e commozione della sua esperienza personale nell'inferno del porto di Bari avvolto dalle fiamme,della precisione chirurgica con cui i bombardieri tedeschi colpirono le navi in porto da bassissima quota, della contraerea, che pur disponendo di oltre 100 pezzi, tra leggeri e pesanti, era virtualmente cieca a causa del malfunzionamento del radar, ingannato anche dal lancio di sottili strisce d'alluminio (inventate dagli inglesi e note come chaffs o window) che resero impossibile l'analisi della consistenza, della velocità, della direzione e della quota dei velivoli in avvicinamento. Ma il suo interesse va soprattutto alla triste sorte di centinaia di militari e civili che quella notte, senza saperlo, furono contaminati dall'iprite e che morirono nei giorni e nelle settimane successive tra atroci sofferenze senza che il personale sanitario, tenuto colpevolmente all'oscuro di tutto, potesse intervenire efficacemente. Se la cortina di silenzio alzata dalle autorità militari alleate all'epoca era giustificata da evidenti ragioni di opportunità (i tedeschi, venuti a conoscenza del fatto, avrebbero potuto utilizzare preventivamente le scorte di gas tossici stivate in Germania), appare incomprensibile la ragione per cui questo muro di gomma sia sopravvissuto per quasi mezzo secolo dopo la fine delle ostilità. Eppure solo da una decennio i reduci inglesi, ammalatisi nel frattempo in gran numero di tumore, sono riusciti ad ottenere un trattamento pensionistico privilegiato. Durante l'estate del 1944 le bombe all'iprite inesplose ancora giacenti a Bari furono infine affondate al largo di Molfetta innescando una serie di "incidenti" tra i pescatori locali, l'ultimo dei quali risale addirittura al 1994. Negli anni '50 un equipe di medici britannici si recò in Puglia per raccogliere dati sulle numerose morti improvvise registrate tra la popolazione locale a suo tempo esposta al gas tossico. La situazione è attualmente monitorata dalle autorità sanitarie locali che non si nascondono la necessità di una bonifica dei fondali marini di determinate zone in cui - è bene ricordarlo - la pesca non è mai stata proibita. Ci auguriamo che questo volume venga presto tradotto in italiano e serva a stimolare gli studi su una vicenda dai contorni ancora oscuri, soprattutto per quanto riguarda il ruolo del governo italiano e le sue iniziative in favore delle popolazioni locali nel dopoguerra. La storiografia militare l'ha definita la Pearl Harbour italiana, ma per i civili il bombardamento di Bari ebbe tutte le caratteristiche di una piccola Hiroshima. Copertina
Argomento: Battaglia di El Alamein - Recensione di Bruno (09/03)

Una storia di El Alamein da parte inglese (purtroppo non ancora tradotta, per quanto ne so) ma equilibrata, scritta con attenzione al dettaglio e agli antefatti. Latimer non è per nulla tenero verso il vincitore Montgomery, di sicuro non ne è ammiratore, ma lo analizza realisticamente senza sentire il bisogno di demolirlo né di negarne le qualità. Resta in fondo l'impressione che, forse, fosse l'uomo giusto nelle circostanze del momento. Agli Italiani è dedicata una rara, quasi inedita equanimità: Latimer spazza via in un attimo la falsa impressione della propaganda di guerra "in cui gli anglosassoni si sono crogiolati" e dedica alle forze italiane il giusto spazio, fino a mostrare una foto con una folla di prigionieri con la didascalia: "si è parlato molto delle folle di Italiani che si arrendevano. Questi sono Tedeschi." Senza cadere in alcuna eccessiva rivalutazione delle nostre scarse fortune militari, l'autore forse ha sentito il bisogno di ripagare qualche torto del passato. Questo libro è decisamente un lavoro moderno, accurato nei dettagli e negli aneddoti gustosi, nonché nelle indispensabili cartine geografiche, una esposizione onesta che non intende fare del sensazionalismo o chissà quali revisioni, ma non concede spazio ai miti e ai sentito dire che spesso hanno falsato la storia del teatro mediterraneo.
Argomento: Unità neozelandesi nel teatro Mediterraneo - Recensione di Giuseppe Finizio (08/02)
4th New Zealand Armoured Brigade in Italy e 2nd New Zealand Cavalry Regiment in the Mediterranean di Jeffrey Plowman e Malcolm Thomas, Kiwi Armour
Due titoli di una nuova collana, Kiwi Armour, che ci riguardano direttamente trattandosi di unità che combatterono la campagna d'Italia da Cassino fino a Trieste. Non si tratta della storia ufficiale delle operazioni, ma di una narrazione, per così dire, "dal basso" della guerra dei carristi neozelandesi nel Mediterraneo, senza enfasi e con un tanto di humour che non guasta affatto nelle narrazioni belliche. Ogni volumetto consta di una cinquantina di pagine accompagnate da oltre 80 foto, quasi tutte inedite, e da una tavola di profili a colori. Gli autori hanno scritto un saggio pregevolissimo interrogando decine di veterani di cui hanno filtrato le esperienze con sagacia e rigore storico ineccepibili. Il primo fascicolo, dedicato alla 4ª Brigata Corazzata, prende le mosse dalla decisione dal gen. Freyberg di creare una forza corazzata autonoma che potesse appoggiare le operazioni della 2ª Divisione Neozelandese in partenza per l'Africa Settentrionale nel 1940. I rovesci subiti durante la prima battaglia di El Alamein nel luglio del 1942 confermarono tutti timori di Freyberg e di fatto condussero alla formazione della 4ª Brigata Corazzata che giunse in Italia il 22 ottobre 1943 per attestarsi sul fiume Sangro. Nel gennaio del 1944 essa fu spostata sul fronte adriatico, di fronte a Cassino, e inquadrata nel nuovo Corpo d'Armata neozelandese (2ª Divisione neozelanese, 4ª Divisione indiana, 78ª Divisione Britannica con il supporto del Comando B della 1ª Divisione corazzata USA).Qui il comandante neozelandese, ossessionato dai ripetuti insuccessi, pretese la distruzione dell'abbazia di Montecassino che non servì comunque a piegare la resistenza tedesca la quale si protrasse fino al 18 maggio, quando la fanteria britannica entrò a Cassino appoggiata proprio dai neozelandesi del 19º Rgt Corazzato. Al 18º Rgt.Corazzato,assegnato all'8ª Divisione indiana, toccò invece l'inseguimento del nemico fino ad Avezzano, sul versante tirrenico.Dopo la conquista di Roma (4 giugno) l'avanzata della 2ª Divisione NZ proseguì fino a Firenze (4 agosto). Spostata di nuovo sul versante adriatico, l'unità partecipò alla presa di Rimini (17 settembre 1944) proseguendo in una lenta e sanguinosa avanzata che la condusse a Faenza per Natale. L'epilogo della campagna iniziò il 9 aprile 1945 con l'attraversamento del fiume Senio e si concluse per i neozelandesi a Trieste il 2 maggio. Molto più vasto fu il ciclo operativo del Reggimento di Cavalleria esplorante della 2ª Divisione NZ equipaggiato con i carri leggeri Vickers Mark III/VI e le cingolette Bren Carrier. Dopo la sfortunata campagna di Grecia e l'abbandono di Creta, sottoposta ad un audace assalto tedesco dall'aria, il Reggimento partecipò,nel novembre del 1941, all'Operazione Crusader, il cui obiettivo era la riconquista di Tobruk , e alla presa di Bardia (2 gennaio 1942) in cui ebbe un ruolo preminente. Con la battaglia di El Alamein le sorti della campagna furono decise,ma l'inseguimento di ciò che restava dell'Afrika Korps durò altri sei mesi che videro i neozelandesi duramente impegnati da un nemico sfuggente e tatticamente abilissimo. Il battesimo del fuoco del Rgt. esplorante in Italia avvenne il 12 novembre 1943 sul fiume Sangro. Nel frattempo l'unità era stata riequipaggiata con le autoblinde americane Staghound Mk.I con cui seguì le sorti della 2ª Divisione NZ fino all'arrivo a Trieste di cui abbiamo detto. L'originalità del soggetto, il taglio narrativo coinvolgente, i capitoli dedicati alle mimetiche, ai distintivi e financo alle uniformi, uniti ad un apparato iconografico di prim'ordine, fanno di questi due volumetti un "must" per tutti gli studiosi della campagna d'Italia e i modellisti di veicoli corazzati che vi troveranno modifiche campali mai prima documentate. Per l'acquisto ci si può rivolgere direttamente ad uno degli autori, e.mail: plowman.holmes@xtra.co.nz.
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