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Rodi Settembre 1942 sabotaggio agli aeroporti
di L.A. Maltoni ©
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Premessa

Nella notte del 13 settembre 1943 unità commando inglesi penetrarono in due aeroporti militari dell'isola di Rodi distruggendo con successo numerosi velivoli bombardieri e caccia. L'azione, militarmente riuscita, non mutò ovviamente i rapporti di forza nell'aerea e rimase in sostanza "unica". Sebbene essa possa apparire un episodio trascurabile nell'ambito degli eventi bellici di quell'anno, tuttavia essa riveste una straordinaria importanza da un punto di vista storico militare. Le ragioni della peculiarità di quest'azione che merita oggi di essere ricordata sono: Perché gli inglesi scelsero aeroporti fortemente presidiati nel cuore del territorio nemico? Perché il Comando Aeronautica dell'Egeo non fu in grado di impedire quest'azione pur aspettandosi attacchi nemici insidiosi? Ed ancora perché i dettagliati piani di difesa aerea disposti da Superaereo non furono applicati? Per rispondere a queste domande bisogna tracciare un quadro storico militare di questo scenario tradizionalmente poco considerato e poco noto.

Quadro storico militare

Sebbene il possedimento italiano del Dodecaneso fosse una formidabile piattaforma da cui lanciare attacchi aeronavali verso i traffici, i depositi petroliferi ed i porti del Mediterraneo Orientale del nemico, quest'opportunità non si avverò mai in grande scala. Lo scenario strategico dagli anni 30, per cui le forze armate si erano attrezzate e che prevedeva l'uso di tale presidio verso l'area dei Dardanelli, era totalmente cambiato con l'attacco italiano dell'ottobre 1940 alla Grecia. Gli inglesi, in virtù di un precedente accordo politico militare con la Grecia, s'impadronirono delle basi aeronavali greche tra cui l'isola di Creta. Pur essendo il Dodecaneso lontano ed isolato dalla madrepatria, né il Comando Supremo, focalizzato nella guerra in Nord Africa e nella infelice campagna greco - albanese, né Supermarina pensarono mai di usare questo possedimento come settore destinato a impegnare e distrarre forze nemiche dall'area libico mediterranea.

Delle forze presenti in Egeo, circa 40.000 militari italiani delle tre armi, la gran parte apparteneva al Regio Esercito. Truppe presidiarie poco addestrate e preparate al combattimento in campo aperto che vivevano in condizioni materiali e psicologiche difficili, in perenne attesa di un'invasione da mare che non sarebbe mai avvenuta. Nel settembre 1942 oltre 5.000 militari italiani erano inabili al combattimento, la malaria endemica nelle isole colpiva duramente gli uomini, febbri ed altre malattie dovute alle precarie condizioni igieniche ne minavano il morale e l'efficienza. Le isole erano costellate di batterie costiere della Regia Marina ma con pezzi navali obsoleti ed uno scarso addestramento al tiro. L'unico tentativo da parte della Marina di dislocare una forza navale di un certo rilievo, fallì a metà luglio 1940. L'ammiraglio Cavagnari, capo di SM della marina volle, infatti, inviare la II Divisione incrociatori leggeri (Bande Nere e Colleoni) nella base navale di Portolago (Lero) allo scopo di recare il massimo danno al traffico mercantile nemico. L'idea eccellente ed originale, considerando la trascuratezza degli alti comandi sull'Egeo, era stata pianificata bene. L'ordine d'operazioni n.1512 di Cavagnari all'amm.glio Casardi, com.te della II Divisione era chiaro, bombardare obiettivi costieri nella zona di Sollum e quindi dirigere a Portolago per condurre una specie di "guerra corsara". Tuttavia il destino ci mise lo zampino, l'azione contro gli obiettivi costieri fu annullata e quindi Casardi diresse il giorno 17 luglio da Tripoli a Lero. Tuttavia alle ore 06 del giorno 19 luglio gli incrociatori italiani trovarono sulla loro rotta, tra Capo Spada e Cerigotto, cinque caccia britannici e l'incrociatore Sydney. Ne nacque uno scontro navale che vide il Colleoni soccombere, colpito gravemente da due unità inglesi, Casardi a bordo del Bande Nere nulla poté fare per contrastare il nemico e dovette allontanarsi a gran velocità. Il Colleoni affondò colpito e silurato ripetutamente. Da quel funesto scontro nessuno a Supermarina pensò più all'Egeo, in pratica le uniche unità navali colà dislocate furono MAS ed un gruppo sommergibili che non rappresentò mai un problema per la Mediterranean Fleet.

Appare chiaro ora perché l'unica arma che poteva in qualche modo ostacolare i traffici marittimi nemici e recare un qualche danno agli impianti ed ai porti nemici era la Regia Aeronautica.

La fama dell'Aeronautica dell'Egeo è principalmente legata alla guerra aeronavale ed alle imprese dei più famosi aerosiluratori come Buscaglia, Muti, Graziani, Cimicchi, Faggioni, tuttavia essa operò infaticabilmente tutti i giorni, condizioni meteo permettendo, per trentanove lunghi mesi eseguendo ricognizioni a lungo raggio sino al Golfo della Sirte, bombardamenti diurni e notturni contro il principale porto nemico di Alessandria base della Mediterrranean Fleet, il terminale petrolifero di Haifa, vena giugulare dei rifornimenti nemici e decine di salvataggi in mare con gli idrovolanti Cant Z 506 Airone. L'Aeronautica dell'Egeo compì 5.410 missioni belliche tra il 10-6-1940 e l'8-9-1943. Ad essa va ascritto un primato ancora imbattuto e poco noto, il volo bellico più lungo senza rifornimento nella zona d'operazioni occidentale, il bombardamento delle raffinerie dell'isola di Bahrein effettuato da quattro trimotori S 82 del 41.º gruppo autonomo partiti da Gadurrà il 18 ottobre 1940 al comando del ten.col. Ettore Muti. Un volo di circa 4.100 km. della durata di 15 ore e 30 min., un "beau geste" perfettamente riuscito ma purtroppo assolutamente ininfluente ai fini del conflitto.

Ed appare quindi chiaro perché gli inglesi temevano gli aerosiluranti italiani molto di più delle navi italiane o dei sommergibili che appunto in quell'aerea non esistevano.

Gli aeroporti del Dodecaneso e le loro difese

Il Comando Aeronautica dell'Egeo fu costituito in data 1-3-1937. Esso era equiparato come poteri ad una ZAT, Zona Aerea Territoriale, di cui primo comandante fu il col. Ezio Padovani, sostituito nel 1940 dal gen.Umberto Cappa, quindi dal gen.Ulisse Longo cui subentrò nel marzo 1943 il gen. Alberto Briganti che alla data dell'armistizio fu catturato dai tedeschi insieme con il Governatore amm.glio Inigo Campioni. ll Comandante delle Forze Armate Italiane dell'Egeo -Egeomil- era proprio il Governatore dell'isola che cumulava pertanto tutto il potere civile e militare. All'entrata in guerra il 10 giugno 1940, l'Aeronautica dell'Egeo era comandata dal gen. Ulisse Longo mentre Comandante in capo di tutte le forze italiane dell'Egeo era De Vecchi De Val Cismon ben presto sostituito per manifesta incapacità militare (dicembre 1940) dal gen. Bastico. Un anno e mezzo dopo (24 luglio 1941) l'ammiraglio Inigo Campioni lo sostituì. Sicuramente egli vi fù esiliato per il deludente comportamento nel confronto con gli inglesi a Capo Teulada (26-27 novembre 1940).

A Rodi esistevano tre aeroporti armati, Maritsa codifica militare 801, Gadurrà codifica militare 806, Cattavia codifica militare 805. Gli aerosiluranti S 79 operavano da Gadurrà a causa della condizione ottimale della sua pista. Dall'inizio della guerra gli inglesi avevano preso di mira più volte Maritsa e quindi Gadurrà. A causa della distanza dalle basi mediorientali la RAF era costretta ad impiegare i bombardieri bimotori Vickers Wellington che tuttavia erano piuttosto lenti e facilmente intercettabili dai biplani CR 42 o dai G 50. I Wellington peraltro non avevano scorta caccia e quindi l'insuccesso delle azioni aeree spinse gli inglesi ad effettuare bombardamenti notturni ed in un'occasione un azione aeronavale combinata (15 marzo 1942) in cui otto cacciatorpediniere bombardarono la città ed i porto mentre una formazione di Wellington prendeva di mira gli aeroporti. In uno scenario bellico convenzionale i piani di difesa della Regia erano orientati soprattutto alla difesa antiaerea, attuata con misure passive come la dispersione dei velivoli sul campo all'interno di muri o trincee parascheggia. Se effettivamente tali misure furono abbastanza efficaci contro i bombardamenti aerei inglesi non lo erano altrettanto dal punto di vista degli attacchi da terra.

La conferma che Superareo ed Egeomil fossero allertati e preoccupati della minaccia commandos viene da una (profetica) lettera di risposta di Superareo a Egeomil del 14 giugno precedente in cui si affermava "Il completamento della difesa fissa con il servizio di sorveglianza riveste carattere di particolare urgenza in quanto da fonti varie si ha notizia che gli inglesi stanno costituendo delle Divisioni Commandos per atti di sabotaggio". Conseguenza pratica l'assegnazione a Rodi di 200 avieri della classe 1922 che avevano appena terminato l'addestramento basico.

Alla data del 13 settembre, un centinaio di questi neofiti, pressoché decimati dalle "febbri di acclimatazione e dalle ustioni solari" si trovava ancora in addestramento a Rodi.

Riassumendo possiamo affermare che sebbene Superareo, Egeomil ed il Comando Aeronautica Egeo fossero consapevoli ed allertati su prevedibili azioni di sabotaggio, ritenevano ancora probabili e pericolosi attacchi su scala limitata quali aviosbarchi, aviolanci e sbarchi dal mare, che, seppure non configurabili come vere e proprie invasioni avrebbero potuto infliggere gravi danni alla linea di volo. Questa convinzione (risalente agli anni 30) era ancora fortemente radicata ed in qualche modo aveva avuto conferma dall'invasione di Castelrosso (febbraio 1941). Pertanto il Comando Aeronautica Egeo aveva strutturato le sue difese più pensando ad azioni massicce di paracadutisti e sbarchi dal mare. In caso di sbarco contro Maritsa gli Stormi sarebbero decollati verso il sud dell'isola a Cattavia oppure verso gli aeroporti sicuri come Scarpanto e Cos.

Vediamo ora la situazione delle difese quella fatidica sera. A Gadurrà erano presenti 528 unità della Regia, di cui 163 specialisti e 365 di governo. Fanteria, 106 unità. Reali Carabinieri 20 unità. In servizio erano 25 sentinelle dell'esercito e 6 dell'Aeronautica. Quattro pattuglie miste di 6 elementi cadauno (avieri e carabinieri).

Insomma di circa 650 uomini presenti, erano in servizio di vigilanza meno del 10 percento. Armamento standard moschetto 91/38 con baionetta, due o tre bombe a mano, i carabinieri avevano inoltre la pistola Beretta cal. 9 corto. Nessuno aveva armi automatiche come il MAB. L'unico soldato che fisicamente intercettò due commandos doveva vigilare 10 velivoli su un fronte di 150 metri senza neanche una torcia elettrica. Infine vorrei ricordare un dato importante trascurato nelle indagini successive, in quel periodo erano in corso lavori di ampliamento della pista di Gadurrà e molta manodopera locale vi era impiegata, e certamente tra di essi molte spie degli inglesi.

Le recinzioni del campo verso mare erano complete, ma verso l'interno lato NE, erano stati aperti varchi per decentrare i velivoli, misura valida per i bombardamenti ma controproducente per i sabotaggi. Queste recinzioni erano poi rimaste aperte, nessuno le aveva richiuse con i cavalli di frisia. Invece a Maritsa nella stessa notte, erano presenti 698 unità dell'aeronautica, 122 fanti, 15 carabinieri. Le sentinelle erano 35 e le pattuglie erano 18. Un nucleo di 30 uomini di pronto intervento era dislocato al posto di guardia ed altri alla polveriera (esterna però al campo). I velivoli inefficienti o più decentrati o di minore "valore" bellico non erano presidiati da sentinelle ma periodicamente controllati dalle ronde di pattuglia. L'aeroporto aveva una recinzione incompleta a causa della mancanza di filo spinato, ma naturalmente poco avrebbe potuto contro i commandos addestrati ed equipaggiati.

L'azione del 13 settembre 1942

Porto di Beirut, notte del 31 agosto 1942, il sommergibile greco "Papanicolis" lasciava l'ormeggio, a bordo 10 uomini del Middle East Commando e due cittadini greci di Rodi. Il cap.Allot era il comandante del nucleo composto da un capitano greco, un tenente inglese, un sottotenente di vascello greco, un sergente inglese, un caporale e quattro soldati inglesi. Dei due cittadini rodioti, fuggiti dall'isola nel novembre del 1941 uno era bigliettaio a bordo delle corriere che collegavano varie località dell'isola, essi avevano la funzione di guide ed interpreti.

Il commando sbarcò alle ore 23 del 4 settembre in zona isolata nel sud est dell'isola nota come Clisura di Cumello (Baia di Arcangelo), utilizzarono alcuni canotti pneumatici ed una speciale canoa ripiegabile chiamata "Folboat" (dall'inglese to foald - piegare) che sarà una dei mezzi speciali più utilizzati dai commando M.E.C. (nel 1944 personale M.E.C. penetrato con folboats nel porto di Leros affonderà due ex cacciatorpediniere italiani catturati poi dai tedeschi). Gli uomini erano armati di pistole Webley Scott, alcune bombe a mano, un mitra Tompson per sezione, esplosivi e detonatori a tempo. Abbandonati i canotti si nascosero nei giorni 5 e 6 in una grotta nei pressi di S.Giorgio verso Malona (da notare che la stessa grotta fu probabilmente utilizzata dal Maggiore Jellicoe del M.E.C. in missione speciale per i negoziati dell'armistizio nel settembre 1943 dopo le convulse giornate di combattimenti tra italiani e tedeschi, che determinarono la resa dell'isola a questi ultimi). La sera del 6, ripresero la marcia ed ad un bivio si divisero in due gruppi, una sezione diretta a Gadurrà e l'altra a Maritsa. Arrivate a destinazione le unità di nascosero su punti dominanti i due aeroporti e ne osservarono per diversi gironi con potenti binocoli l'attività giornaliera. L'accurata programmazione del sabotaggio prevedeva dopo l'azione, il ricongiungimento presso la stessa grotta (S.Giorgio) ed il reimbarco tra i giorni 16 e 18. Avrebbero comunicato col sommergibile con segnalazioni luminose codificate. Effettivamente nella notte del 18, un MAS italiano avvistò ed attaccò senza esito un sommergibile nemico nei pressi della baia d'Arcangelo. La notte del 13 fu prescelta perché senza luna e con tempo nuvoloso.

A Gadurrà i 5 uomini del commando entrarono in azione probabilmente intorno alle 22,30, piazzarono alcune cariche diversive vicino al deposito allestimento bombe sito a nord ovest fuori dalla zona aeroportuale, s'infiltrarono quindi nel campo di volo dalla zona NO scavalcando un muretto. Nell'oscurità totale forzarono gli sportelli d'accesso dei primi tre Cant Z 1007 collocando le cariche all'interno, quindi svitarono i tappi dei serbatoi lasciando colare al'esterno il carburante. Velocemente ed indisturbati raggiunsero la zona nord est del campo vicino al torrente Gadouras dove collocarono cariche esplosive sotto tre caccia G 50, due CR 42 ed un bombardiere Cant Z 1007. Nella strada del ritorno alle 23,30 incapparono in una sentinella, il soldato Falone Camillo, 1.º plotone, 7ª compagnia, 9º Reggimento, Divisione Fanteria Regina, Secondo le affermazioni rese da quest'ultimo durante gli interrogatori, verso le ore 24 egli udì un rumore provenire da un G 50 ed intimò l'alt ma vide un cagnolino bianco ed attribuì all'animale l'origine dei rumori. Si mise quindi il fucile a bracciarm quando due uomini in divisa sahariana, sbucati dall'oscurità gli puntarono la pistola intimandogli in italiano "stai zitto o t'ammazziamo". Il fante dichiarò di essere svenuto dalla paura e non aver avuto la forza di sparare almeno in aria nonostante il moschetto 91/38 avesse il colpo in canna. Riavutosi dopo 15 minuti, corse alla tenda del s.ten. Onofri comandante del plotone che diede l'allarme generale antiparacadutisti e chiamò il ten. Nacca com.te di compagnia. Mentre tutti gli uomini disponibili erano inquadrati in pattuglioni per fronteggiare un presunto attacco in forze, alle ore 0,15 cominciarono ad udirsi una serie d'esplosioni provenienti dalla zona NO esterna al campo. Alle ore 01 iniziarono una serie d'esplosioni all'interno del campo intervallate a cinque minuti. Saltarono in aria tre Fiat G.50, 2 CR 42, due Cant Z 1007 mentre altri due furono gravemente danneggiati. Sino alle 2,30 arsero i roghi dei velivoli nonostante l'accorrere delle autobotti antincendio. Nessun altro italiano vide od ebbe alcun sentore del commando.

Riassumendo, i cinque uomini impiegarono tra 30 e 40 minuti per sabotare 9 aerei, percorsero indisturbati poco meno di 2 chilometri (andata e ritorno) nell'aerea aeroportuale presidiata da 7 sentinelle, passarono a meno di cento metri dalle tende dei militari del 1.º plotone e tutto ciò senza essere intercettati se non per sbaglio ma senza comunque subire alcun contrasto. Scomparvero nel nulla così come erano apparsi.

Le cose andarono diversamente a Maritsa, i commandos penetrarono dal lato sud est del campo dal fosso collegato al torrente Maritsa ma non risciurono a ad innescare tutti gli ordigni perché disturbati dalle pattuglie di ronda. Alle 2,15 le esplosioni diversive esterne al campo causarono l'allarme generale e subito dopo echeggiarono due esplosioni che distrussero un Cant Z 1007 e ne danneggiarono un altro. Sia a Gadurrà che a Maritsa non vi furono scontri a fuoco né perdite umane. Egeomil organizzò immediatamente azioni di rastrellamento che portarono alla cattura, due giorni dopo, di otto uomini del commando e dei due rodioti mentre un tenente inglese ed un soldato riuscirono probabilmente a sottrarsi all'arresto con la copertura dell'organizzazione di fiancheggiatori locali. Il giorno dopo l'amm.glio Inigo Campioni, Governatore dell'isola nonché com.te d'Egeomil effettuò un accurato sopralluogo sugli aeroporti disponendo un'approfondita inchiesta le cui risultanze ufficiali furono inviate il 14 ottobre al Comando supremo ed a Superareo. Come appendice non poteva mancare il solito disguido burocratico all'italiana, Superaereo fu avvertito da Egeomil ben 24 dopo l'avvenimento, la cosa destò le comprensibili ire di quest'ente ma la scusa fu che si pensava fosse il Comando Supremo (immediatamente informato) a doverlo fare, insomma un altro bell' esempio di coordinamento e comunicazione.

L'esito della vicenda ed un'analisi critica

Gli uomini del commando si rifiutarono dopo l'arresto di fornire informazioni sulla missione e come prigionieri di guerra furono inviati a Taranto, di loro ignoriamo il destino. Avevano con se dettagliatissime mappe scala 1:25.000 simili alle nostre IGM, ulteriore prova della accurata pianificazione. I due rodioti collaboratori del commando furono condannati a morte, la pena fu eseguita solo per il più anziano dei due mediante fucilazione, l'altro più giovane fu condannato all'ergastolo. Il servizio informazioni di Egeomil arrestò ed imprigionò numerosi infiltrati e spie rodiote. Il fante Falone fu denunciato al tribunale militare per abbandono di posto e codardia di fronte al nemico. Non potendosi ascrivere specifiche responsabilità a tutte le altre sentinelle della zona circostante non si procedette disciplinarmente contro di loro. L'inchiesta aperta dall'amm.glio Campioni fu molto approfondita ma nessuno degli ufficiali al comando al momento furono incriminati, il solo provvedimento concreto fu la rimozione del maggiore Plinio Di Rollo, com.te della base di Gadurrà sostituito dal colonnello Achille Lorito. L'inchiesta mise tuttavia drammaticamente in luce le carenze della difesa aerea aeroportuale, carenze sia di tipo concettuale che di carattere organizzativo. Infatti, si dimostrò:

  1. Che non esistevano piani organici di difesa ma vigevano semplici consuetudini che mutavano in funzione delle circostanze e dell'avvicendamento del personale.

  2. Le sentinelle non disponevano di torce tascabili

  3. Una sola sentinella poteva essere facilmente sopraffatta

  4. Le sentinelle ai velivoli non giravano intorno ai velivoli controllandoli periodicamente

  5. Il personale di guardia sia dell'Esercito sia dell'Aeronautica non era sufficientemente preparato militarmente allo scontro a fuoco ravvicinato

  6. Le recinzioni erano insufficienti o mancanti anche se non erano ritenute elemento decisivo
La ricostruzione del fante Falone fu ritenuta poco veritiera e contraddittoria ma è difficile oggi stabilire effettivamente come andarono le cose, probabilmente se egli avesse aperto il fuco l'allarme sarebbe scattato subito ma ormai, come fu appurato le bombe erano già state collocate.

Il dato di fatto inoppugnabile è che nessuno tra i militari ebbe la minima consapevolezza che potesse trattarsi di un sabotaggio o di un'azione insidiosa portata da terra e non dal cielo, essi, sia di Gadurrà sia di Maritsa ingannati dalle esplosioni diversive ritennero trattasi di un attacco aereo d'alta quota. Tuttavia appare evidente che migliore organizzazione di vigilanza ed una quantità superiore di personale a Maritsa aveva impedito gli esiti disastrosi di Gadurrà.

A novembre del 1942 il Comando Aeronautica Egeo elaborò un dettagliato piano di difesa dei due aeroporti ma ancora una volta l'enfasi era posta sull'aviosbarco od il lancio in forze di paracadutisti. Una delle precauzioni contro l'atteraggio d'alianti fu quello di predisporre alcuni autocarri carichi di fusti vuoti di benzina. All'allarme paracadutisti sarebbero stati gettati sul campo di volo.

Quest'azione non rilevante dal punto di vista militare causò un notevole trauma a Superaereo che già dagli inizi del 1942, vista la piega del conflitto nel Mediterraneo ed in Nord Africa aveva cominciato a prendere consapevolezza della vulnerabilità degli aeroporti al punto da redigere un corposo studio - direttiva sulla difesa aerea. Il sabotaggio degli aeroporti di Rodi umiliò sia Superaereo sia Egeomil, ma si trovarono in ogni modo le attenuanti generiche per tutti. Nonostante la disastrosa esperienza sia italiana che tedesca in Nord Africa, dove i Desert Rats e lo Special Air Service scorazzavano a piacimento dietro le linee nemiche, nessuno si era seriamente posto il problema di creare una specifica unità militare aeronautica di vigilanza ed intervento rapido a difesa degli aeroporti. Ma a livello locale la ferita lasciò un segno al punto che il Comando Aeronautica Egeo abbandonò nella prima metà del 1943 due aeroporti, il primo Cattavia sito nella parte sud dell'isola di Rodi e quello di Scarpanto o Karpatos, isola più occidentale e vicina a Creta.

Nel corso del marzo-aprile 1943 Egeomil riteneva imminente uno sbarco degli Alleati e pertanto il Comando Aeronautica rafforzò ulteriormente le difese aeroportuali disponendo una serie d'esercitazioni a fuoco degli avieri. Ogni aviere aveva a disposizione un moschetto mod. 91/38 con 100 colpi e 4 bombe a mano. Tuttavia non c'erano elmetti mod.33 a sufficienza perciò alcuni avieri dovettero utilizzare quelli della I G.M. recuperati chissà come e dove. Per ovviare alla carenza di mitragliatrici leggere si pensò di sbarcare quelle in dotazione ai bombardieri di cal 12,7 e 6,7 riutilizzandole a terra con l'uso d'appositi cavalletti. Tuttavia non esisteva la certezza e la fiducia di poter resistere ad un attacco alleato in grande stile per questo motivo mentre ci si disponeva alla difesa erano contemporaneamente definite le direttive per un rischieramento prima sugli aeroporti di Creta e poi su quello di Kalamaki in Grecia. L'ipotesi di rischieramento su Creta decadde poiché si constatò che la Luftwaffe aveva concesso la disponibilità di una serie di campi inagibili o inadeguati pretendendo per di più che gli Stormi della Regia passassero direttamente sotto il controllo del X Fliegkorp, richiesta inaccettabile che spinse i vertici ad optare per il territorio greco.

Analizzando criticamente l'azione inglese possiamo osservare che sebbene la stessa fosse stata condotta con estrema professionalità e secondo una tecnica già sperimentata negli aeroporti del Nord Africa vi fu un grave errore, la sottovalutazione delle probabilità di sopravvivenza di un gruppo relativamente numeroso in un territorio fortemente sorvegliato e presidiato sia a terra che a mare. Le forze militari italiane, infatti, conoscevano come le loro tasche l'isola. L'altro grave errore fu quello di non dotare d'apparati radio il commando e di prolungarne eccessivamente la permanenza sull'isola. Appare poi evidente che la scelta degli obiettivi fu totalmente strumentale alla facilità di penetrazione e fuga poiché sarebbe stato più logico e militarmente pagante distruggere gli S 79, di cui la Regia era a corto ed unica vera minaccia per il naviglio mercantile e militare inglese. Tuttavia gli S 79 erano stati parcheggiati non sappiano quanto consapevolmente, sul lato SO a ridosso delle colline, posizione protetta da eventuali tiri dal mare e fortemente presidiata da nidi di mitragliatrici. Se i commandos avessero deciso di attaccare gli S 79 sarebbero dovuti arrivare dalle colline soprastanti dominate dalla batteria navale italiana Dandolo e fuggire dalla stessa direzione, essendo loro interdetta la fuga dai tre quadranti (sud est mare spiaggia - sud ovest scogliera - nord est pista, via di fuga molto pericolosa perché verso la carrozzabile Lindos - Rodi).

La cattura dei commandos così come tutta la vicenda, per quanto coperta dal segreto, arrivò alle lunghe orecchie del M.E.C. tramite la rete spionistica molto ramificata ed attiva sull'isola ed è lecito dedurre che di questi errori il M.E.C. ne fece tesoro al punto di non ritentare attacchi simili sino alla fine del 1943, quando la situazione mutò radicalmente. Infatti, dopo l'8 settembre Rodi cadde in mano tedesca, seguirono le isole di Kos e Leros (che rimase in mano italiana ed inglese sino al novembre 1943) ed il Dodecaneso passò di mano. La strategia militare inglese si definì proprio nel novembre 1943 e quindi sino all'aprile 1945 i tedeschi vissero blindati nella costante morsa dei commandos inglesi del M.E.C. che sotto la guida del col.Turnbull assunse la denominazione di Independant Command in the Aegean stabilendo il suo quartiere generale nell'isola di Symi a un ora di battello da Rodi, proprio sotto il naso dei tedeschi.

Roma 18.6.2000

Luciano Alberghini Maltoni

Fonti utilizzate per l'articolo:

ARCHIVIO STORICO AERONAUTICA MILITARE - Fondo Difesa Aerea - Fondo A.R.P. - Fondo ex 1.º Reparto
ARCHIVO CENTRALE DI STATO - Fondo Ministero Aeronautica, Gabinetto del Ministro.
IMPERIAL WAR MUSEUM - Documents Section
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