It.Cultura.Storia.Militare On-Line
invia stampa testo grande testo standard
Bookmark and Share
[HOME] > [icsm ARTICOLI] > [Ricerche: Varie]
Le mine navali e di sbarramento
di Bruno Spadi ©
[torna indietro]
Le guerre passate hanno lasciato ricordi indelebili negli occhi di tanti nostri vecchi. Con il passare del tempo però questi sono andati scemando, con la scomparsa di molti di loro si è andato a perdere quel ricordo di cose che mai più dovrebbero tornare. Sfortunatamente è, con il dimenticarle, che si rischia di farle tornare. Qualcuno fortunatamente ha messo sulla carta le proprie esperienze nella speranza di renderle sempre vive nella mente di chi le leggerà. Voglio anch'io fare accadere qualcosa di simile, nella speranza che avvenimenti cosi tragici non abbiano più a venire. In queste pagine narrerò la storia delle Mine navali. Qualcuno potrebbe pensare che questo non centra nulla con ciò che quotidianamente facciamo, ma chi pratica lo sport della subacquea e si immerge spesso, potrebbe prima o poi finire con l'incontrare una di queste silenziose quanto insidiose armi di difesa di cui il mare è letteralmente cosparso. Conoscerle può aiutare a vedere questi ordigni in una luce diversa, quella della storia.

Una mina tedesca mentre viene caricata su un posamine
Tutti abbiamo visto una volta almeno in tv o in qualche vecchia foto come appaiono le mine navali, quelle sfere metalliche assomiglianti ad un riccio utilizzate per affondare le navi che vi urtavano contro o che solo vi passavano vicino. Anche se appaiono invenzioni della grande guerra e quindi abbastanza moderne, l'idea nacque già nel lontano 1600. Allora gli Inglesi usarono bidoni galleggianti pieni di polvere nera contro la flotta di Luigi XIII. L'attivazione avveniva attraverso un acciarino da fucile inserito all'interno del barile che scattava al minimo urto. Questo provocando una scintilla faceva esplodere la polvere, provocando gravi danni alla nave e spesso anche l'affondamento. Ma non ebbero grande successo, le navi affondate furono poche e qualcuna anche tra la stessa flotta Inglese. Era cosi che i bidoni alla deriva diventavano pericolosi anche per chi li rilasciava, ma fu l'inizio di una nuova era per il combattimento navale e la difesa dei porti.

Un capitano della flotta pontificia ebbe l'idea di difendere i porti Italiani dalle incursioni barbaresche con recipienti galleggianti capaci di esplodere al contatto con le navi nemiche, l'idea allora ebbe maggior successo, gli ordigni erano legati a grosse pietre calate sul basso fondo, i barili non andarono alla deriva, al massimo affondavano dopo un po' di tempo senza danno per nessuno.

Inglesi e Americani tra il 1700 e il 1800 intrapresero studi sull'efficacia dell'esplosione subacquea.

Sappiamo che l'acqua è incomprimibile e trasporta l'onda dell'esplosione pressoché integra per lunghi spazi scaricandola sulle pareti delle imbarcazioni; queste non avendo dall'altra parte una resistenza sufficiente se non l'aria dei comparti interni della nave stessa, cedono a questa forza d'urto o onda d'urto, provocando la rottura del fasciame con conseguente apertura di varie vie d'acqua. Se aggiungiamo a questo il fatto che le paratie stagne sono state inserite nelle navi solo alla fine del 1800, possiamo immaginare che un "relativamente" piccolo squarcio poteva allora, affondare una nave anche di grandi dimensioni. Tra i nomi illustri che parteciparono alle ricerche e sperimentazioni vi era anche Samuel Colt, padre della rivoltella che prese il suo nome e che tanto ha dato al famoso west, la Colt oggi, produce armi per caccia e tiro.

Urtante sul suo supporto
Nella metà del 1800 il lido di Venezia fu difeso con mine navali, queste furono le prime e più potenti mine esplosive marine progettate a quel tempo, contenevano ciascuna oltre 200 Kg. di esplosivo. Ma fu solo agli inizi del '900 e anche grazie ad un Italiano, il guardiamarina Emanuele Elia, che con poche semplici idee, permise un salto di qualità nella costruzione e la posa delle mine. Ricordiamo che solo dal 1860 furono perfezionati gli esplosivi detonanti come oggi li conosciamo, questi diedero grande impulso all'esplosivistica mondiale e con rammarico anche alle armi per la guerra.

E. Elia nel 1897 in una sola ora sbarrò il porto di La Spezia utilizzando la nave Washington e 20 uomini per il piazzamento delle denominate "torpedini", caricate con il nuovo esplosivo: il tritolo, potentissimo trinitrotoluene (deriva dalla nitrazione per tre volte del toluene mentre per la polvere da sparo basta una sola), è usato ancora oggi. Il tutto era contenuto in casse da 150 a 300 Kg. capaci di affondare ogni tipo di nave solcasse i mari a quei tempi. Il tritolo, è una sostanza di colore giallo paglierino, è un esplosivo ad alto potenziale, secondo solo alla nitroglicerina, questo è inattaccabile dall'acqua e quindi l'esplosivo d'elezione per essere impiegato in usi marittimi. Non per niente ancora oggi l'esplosivo contenuto nelle torpedini affondate e allagate è comunque capace di esplodere se innescato adeguatamente.

Mine allineate sul ponte di una nave posamine
Ma l'idea più importante per il lavoro delle "posamine", le navi che verranno da allora usate per sistemare in mare le mine fissandole al fondo, fu l'invenzione del carrello d'ancoraggio per le mine stesse. Grazie a questo sistema di fissaggio della mina, la posa in mare diventava semplice e veloce tanto che una nave poteva, in venti minuti, posare uno sbarramento di 12 Km. procedendo alla velocità di venti nodi (quasi 40 Km/h).

Fino ad allora le mine erano fissate al fondo con grosse ancore o blocchi in cemento, il problema stava nello scegliere il punto giusto dove posarle, laddove il fondo permetteva alla lunghezza del cavo di trattenere la mina a pelo dell'acqua quindi quasi invisibile.

Il carrello invece, era un cassone in ferro di grande peso che durante il trasporto reggeva sopra di se la mina, rendendo questo più semplice e sicuro, al suo interno aveva un sistema capace di srotolare il cavo in acciaio che doveva tenere la mina ancorata a lui e di trattenerla ad una profondità stabilita e calcolata in precedenza grazie ad un sistema a pressostato. La scelta della zona di ancoraggio non era più fatta a seconda della profondità ma al bisogno o dove era probabile il passaggio del nemico.

Mina di tipo italiano sul carrello
Il carrello era chiamato cosi perché aveva quattro ruote simili a quelle del treno, ma molto più piccole, capaci di scorrere su una vera e propria rotaia in miniatura posta sui ponti delle navi adibite a posare le mine in mare, da qui il nome di posamine. Il carrello con la mina poteva cosi correre sulle rotaie che erano imbullonate sul ponte della nave, verso poppa. Preparato e tarato il pressostato per la profondità scelta, il carrello con la mina sopra, veniva allora fatto correre verso poppa e quando la raggiungeva seguendo la rotaia finiva fuoribordo cadendo in mare. A questo punto la mina galleggiava mentre il carrello, di peso veramente considerevole, oltre 700Kg. (quelli Tedeschi), affondava lasciando srotolare il cavo che era avvolto ad un grosso rocchetto metallico. Ma giunto il carrello alla profondità programmata, il pressostato sotto la pressione dell'acqua in profondità faceva scattare un freno che bloccava il rocchetto e quindi il cavo. Ora carrello e mina affondavano insieme per alcuni metri, poi il carrello toccava il fondo e tratteneva cosi la mina a pochi metri dalla superficie. La torpedine era cosi invisibile e maggiormente insidiosa rimanendo in agguato a pelo d'acqua. (solitamente tra i 5 e i 10 mt.) ma anche oltre per lo sbarramento contro sommergibili.

Ampolla in vetro spezzata e batteria
Queste mine presero il nome del loro inventore: Elia, presto si affiancheranno le mine Bollo, dal nome dell'Amm. G.Bollo, altro specialista di armi subacquee. Tutte queste mine furono usate in ugual misura nella I G.M. Ma solo nel secondo conflitto mondiale si arrivò ad un largo uso di esse, bisogna ricordare che questi ordigni non sono discriminanti ed esplodono all'urto con qualsiasi nave, amica o nemica.

I campi minati venivano comunque segnati su specifiche carte segregate ma non solo; non di rado il cavo che teneva ancorate al fondo le mine si spezzava e queste andavano alla deriva per chilometri. Sapere da dove queste erano sfuggite era importante per "rattoppare" eventuali buchi negli sbarramenti preparati, cosi campi e mine vennero numerati singolarmente.

L'Italia, durante il secondo conflitto, disseminò i suoi mari di oltre 25.000 mine di propria produzione oltre a 12.000 di produzione Tedesca, queste ultime molto più sofisticate nel sistema di detonazione della carica esplosiva. Il sistema adottato fino allora dagli Italiani, vedeva montati sull'involucro esterno della mina, la mina è costituita da una sfera metallica a tenuta stagna in cui vi era un contenitore (piccolo bidone metallico) che racchiudeva l'esplosivo, questo è sospeso al centro della sfera esterna tenuto da bracci radiali, anch'essi sempre in ferro, degli "urtanti", (lunghi cilindri in piombo nel cui interno vi era una fiala di acido), erano posizionati nella parte alta della mina, il punto più probabile dove sarebbe stata urtata. Urtando la mina questi si piegavano con estrema facilità, la fiala si rompeva e l'acido colava attraverso un piccolo tubicino nella seconda cassa interna, quella dell'esplosivo. L'acido raggiungeva cosi una miscela di clorato di potassa e zucchero producendo una fiamma caldissima e la conseguente detonazione dell'esplosivo.

Antico disegno che rappresenta le mine italiane
Le nuove mine Tedesche invece, utilizzavano lo stesso principio dell'urtante in piombo con all'interno una fiala di vetro contenente acido, ma in questo caso l'acido liberato colava su una batteria "secca" posta subito sotto l'urtante stesso. In questo modo si produceva al contatto dell'acido con la batteria una forte corrente capace di alimentare i detonatori elettrici posti nella cassa dell'esplosivo. Queste mine si adattarono meglio all'uso di altri tipi di sensori quali ad esempio, quelli magnetici, capaci di attivarsi al solo passaggio di una grossa nave discriminando le più piccole o i pescherecci in legno, quelli a pressione barostatica, capaci di sentire la variazione di pressione provocata dall'onda al passaggio di una nave e quelli acustici, attivati dal rumore delle eliche; queste potevano essere posate anche su bassi fondali, potendo lavorare dal fondo senza bisogno di venire a diretto contatto con le navi nemiche, ma cosa ancora più micidiale potevano essere attivate da più sensori contemporaneamente, inglobando in esse ad esempio sensori magnetici e sonori. In Italia la ditta Pignone di Firenze (oggi fa parte del gruppo Americano General Electric) produsse le mine P125, P150 e P200 contenenti rispettivamente 125, 150 e 200 Kg. di esplosivo, mentre le mine Elia ne contenevano 145 Kg. e le Bollo 130 Kg.. A tutte queste vanno aggiunte le mine risalenti alla prima guerra mondiale di tipo Francese con 100 Kg. di esplosivo e un tipo Austriaco, la C15, anche questa con 100 Kg. di esplosivo, ne va di fatto tenuto conto, anche se la maggior parte furono recuperate o esplosero, ancora molte si trovano silenziosamente posate sul fondo e il loro contenuto esplosivo è ancora capace di portare a termine il lavoro per cui è stato costruito, anche se la parte innescante non ha più alcuna capacità attivante.

La mina con i suoi urtanti e i tubi che portano l'acido nel contenitore dell'esplosivo, nelle mine Tedesche questi tubi furono sostituiti da fili elettrici che portavano energia direttamente al detonatore posto all'interno dell'esplosivo

Ritrovamento di un cavo su fondale sabbioso
Durante la II G.M. i Francesi prima e poi gli Inglesi dissero che gli Italiani avevano un nuovo ordigno per la guerra antinave, quando alcune navi affondarono a causa di un urto contro mine alla deriva che probabilmente si erano staccate dal carrello a causa di forti mareggiate, pensarono che l'esercito Italico avesse a disposizione una mina viaggiante capace di colpire le navi a grande distanza. In realtà le mine alla deriva erano realmente armi efficaci ed insidiose ma anche pericolose per gli stessi Italiani che non le usarono mai volontariamente anzi, furono presto prodotte mine che dopo un certo periodo affondavano o si auto-distruggevano.

La lunghezza del cavo che tratteneva la mina, variava dai 200 ai 1.000 mt., la maggior parte delle mine Italiane aveva lunghezza del cavo di soli 200 mt., mentre la loro capacità operativa, cioè la profondità a cui potevano essere affondate le mine senza problemi di entrata d'acqua era per la P125 di solo 12 mt., per la P145 (Elia) 60 mt., ma la P200 arrivava anche a 100 mt. con un peso totale mina/carrello di 1.150 Kg.

Carrello di una mina Tedesca e il grosso rocchetto
Ma perché immergere le mine a tale profondità? Certamente non per sbarrare il passo ad una nave. Per interrompere l'offensiva dei sommergibili che divennero dopo il 1943 la forza principale e detentrice della supremazia marittima Tedesca. Inglesi e Francesi sistemarono molte mine a grande profondità a protezione dei porti e dei passaggi obbligati dei loro convogli contro l'attacco dei sommergibili dell'asse.


Mina
Oggi l'uso delle mine è stato soppiantato dal satellite, capace di monitorare in ogni momento lo spostamento di ogni nave sulla superficie del mare, e dal missile. Un solo missile può raggiungere il bersaglio in pochi minuti con la precisione di 6 mt. alla distanza di 4.000 Km., ciò risparmia la posa e la bonifica di ampi tratti di mare e poi posare delle mine sotto l'occhio vigile di un satellite sarebbe cosa inutile. Ecco allora che le mine si sono trasformate in rivelatori acustici e magnetici, dalle dimensioni inferiori a quelle di una bombola per gpl, capaci di rilevare la presenza di navi e sommergibili e inviare un segnale di avvistamento ad un centro di ricezione posto a terra attraverso il solito satellite o a navi e aerei adibiti a controllo di superficie.

Mina su un alto fondale
Le mine navali sembra quindi abbiano oramai assolto al loro compito, nell'epoca del missile intercontinentale a testata multipla, capace di colpire più bersagli con un solo lancio, questa arma è pronta per prendere il suo posto nei musei navali di tutto il mondo. Non è raro imbattersi in una di esse, spesso perché trascinate dalle reti a strascico in acque più basse, dato che di solito sono confinate nei fondali profondi dove la pressione e il tempo ha avuto la meglio sulla resistenza del metallo, mentre i fondali più bassi furono bonificati dopo la guerra.

Comunque chiunque dovesse imbattersi in una di esse, dovrà farne comunicazione alla Capitaneria di Porto di competenza che provvederà al disinnesco in breve tempo. Per il resto l'osservazione cauta non comporta pericoli.


Galleria fotografica

Nota: le foto di oggetti subacquei pericolosi presentate, sono state fatte a grande profondità e gli stessi non presentano pericolo per la navigazione, inoltre gli ordigni ritrovati non sono in grado di autoinnescarsi. La ricerca e l'avvicinamento di tali oggetti è sconsigliata a persone non qualificate.


La mina: è visibile nettamente il punto di saldatura delle due semisfere esterne che permettevano il galleggiamento della cassa interna contenente l'esplosivo e i detonatori.

Una panoramica in profondità della mina ritrovata.

Controllo.

Controllo della mina, la stessa presenta tre fori da 40mm. probabilmente è una delle mine affondate dai cacciatorpediniere che dopo il conflitto vennero a sminare il mare da questi ordigni, sparavano alle mine in superficie per farle esplodere, ma molte affondavano solamente.
Operazione per il recupero di un carrello d'ancoraggio per mine navali

Il carrello della mina dove si trova oggi, affondato nella sabbia.

Sempre il carrello della mina; è visibile il portellino da dove veniva impostata la profondità usando un apposita chiave.

Il carrello della mina. E' visibile il rocchetto dove era avvolto il cavo e il sistema a pressostato per il suo funzionamento e blocco.

Questo carrello di mina è tedesco, lo stesso visibile in una delle foto qui sotto, finito nella rete di una strascicante è stato fotografato da noi.

Il carrello e la sua parte superiore dove veniva fissata la mina prima di essere lasciata in mare.

La foto del gruppo sub che ha sollevato il carrello per poterlo meglio studiare, sono serviti due palloni per un totale di 750Kg di spinta verticale per sollevarlo (in acqua) si stima che il peso in aria sia di almeno 1000-1200kg.

Foto di una mina tedesca prima di essere caricata su un posamine, la stessa che noi abbiamo trovato (carrello e mina).

Queste mine contenute nei carrelli che si vedono erano rilasciate attraverso aperture speciali dai sommergibili attraverso speciali portelli; non tutti i sommergibili potevano farlo.

In questa vecchia foto è possibile vedere una mina Elia di prima generazione e il sistema di urtanti di tipo meccanico, gli urtanti montati a raggiera intorno al "bidone" esplosivo azionavano meccanicamente il detonatore all'interno.

Una vecchia foto di una mina Elia immersa, emergono dall'acqua solo gli urtanti laterali.

Marinai spingono un carrello con mina in mare.

Una mina italiana P200 cioè da 200kg di esplosivo.
 

La flangia con l'urtante in piombo di una mina navale.

La posizione in cui si trovava la flangia prima di essere rimossa.

Nella foto da sinistra: il contenitore in gomma in cui trova posto l'ampolla in vetro (al centro) contenente l'acido, che una volta rotta l'ampolla inonda la pila (a destra) che emette una scarica elettrica istantanea, questa aziona i detonatori della cassa dell'esplosivo.
 
RIPRODUZIONE RISERVATA ©
[HOME] > [icsm ARTICOLI] > [Ricerche: Varie]