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La battaglia di Mezzo Agosto, sessanta anni dopo: vittoria di chi?
di Antonio Maraziti ©
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Sessanta anni possono sembrare davvero troppi per pensare di poter dire ancora qualcosa di nuovo su questa battaglia aeronavale (di entità paragonabile a quelle, ben più note e celebrate, che ebbero per teatro il Pacifico, quali Midway, Mar dei Coralli e Leyte) che per alcuni giorni della metà di Agosto del 1942 infiammò il Mediterraneo centrale, divenuto teatro di acerrimi scontri tra un convoglio britannico diretto a Malta, scortato da una potente squadra di navi da guerra, e le forze aeree e navali italo tedesche. Tuttavia è davvero poco tempo che, nel nostro paese, si è iniziato a guardare con la necessaria serenità a quegli avvenimenti, dopo decenni in cui la Storia è stata scritta, quasi unicamente, dai vincitori.

I fatti sono troppo noti perché ci si soffermi più del minimo necessario. La notte tra il 9 e il 10 agosto 1942, proveniente dell'Inghilterra, era transitato per lo stretto di Gibilterra un convoglio costituito da 14 moderni e veloci mercantili (la crema della marina mercantile britannica, rinforzata da alcune unità americane, tra le quali la petroliera da 10000 tonnellate Ohio) diretto verso l'isola di Malta, che necessitava disperatamente di rifornimenti per poter riprendere la propria funzione di base aeronavale per le forze britanniche che insidiavano i convogli dell'Asse tra l'Italia e la Libia. Nome in codice dell'operazione: "Pedestal" (piedistallo).

Dopo il rovescio subito nella battaglia di Mezzo Giugno (dei 17 mercantili diretti a Malta ne erano giunti solo due), gli inglesi avevano deciso di far scortare il convoglio dalla più possente armata navale che avesse fino ad allora solcato il Mediterraneo: due navi da battaglia (Nelson e Rodney), tre portaerei (Victorious, Indomitable, Eagle), 7 incrociatori e 24 cacciatorpediniere.

L'11 avvenne la prima grave perdita per i britannici: la portaerei Eagle fu affondata dal sommergibile tedesco U.73 (t.v. Rosenbaum) a sud delle Baleari. Per tutta la giornata del 12, il gruppo navale fu oggetto di pesantissimi attacchi da parte della Luftwaffe e dell'Aeronautica della Sardegna, che, nonostante l'impiego, da parte degli italiani, di nuove armi antinave (motobombe FFF a corsa circolare, bombe perforanti da 650 kg, un aereo-bomba radiocomandato) ottennero risultati deludenti: solo il piroscafo Deucalion fu gravemente danneggiato da uno Junkers Ju.88 tedesco, mentre lievi danni riportò la portaerei Victorious (una delle bombe da 650 Kg, lanciata da un cacciabombardiere Reggiane Re.2001, non riuscì a perforare il ponte corazzato ed esplose all'esterno, causando 6 morti ma pochi danni materiali). Per il resto, l'artiglieria contraerei delle navi, disposte attorno ai mercantili quale formidabile schermo, e gli aerei da caccia imbarcati sulle portaerei causarono gravi perdite ai bombardieri, agli aerosiluranti e ai tuffatori italiani e tedeschi, impedendo loro di conseguire validi successi.

Nella serata del 12 fu la volta dell'Aeronautica della Sicilia ad attaccare il convoglio, e stavolta gli aerei italiani riuscirono a fare una vittima, il cacciatorpediniere Foresight, affondato dagli S.79 del 132º Gruppo Aerosiluranti, mentre la corazzata Rodney fu lievemente danneggiata da una bomba sganciata da uno Ju.87 Stuka italiano del 102º Gruppo Bombardamento a Tuffo. Ben più gravi furono i danni causati dal successivo attacco degli Stuka tedeschi, i quali colpirono con tre bombe la portaerei Indomitable, danneggiandola seriamente.

Ad ogni modo, superati i violentissimi attacchi aerei con perdite dolorose ma accettabili (uno solo dei preziosi mercantili era stato danneggiato), gli inglesi erano fiduciosi di riuscire a compiere indenni anche la pericolosa traversata del Canale di Sicilia. In accordo con i piani dell'Ammiragliato, che non intendeva far transitare le unità da guerra maggiori nell'ultimo, più rischioso tratto della rotta verso Malta, nella prima serata del 12 il grosso delle unità pesanti inglesi (le due corazzate, la portaerei rimasta, e alcuni incrociatori e cacciatorpediniere) fece rotta verso Gibilterra, lasciando 4 incrociatori e 10 caccia a guardia del convoglio.

Fu allora che il disastro si abbattè inaspettato sugli inglesi. Sulla loro rotta, all'altezza del Banco Skerki, al largo di Biserta, era infatti in agguato il sommergibile italiano Axum (t. v. Ferrini) che manovrò in modo da inquadrare più bersagli contemporaneamente e lanciò quattro siluri, che andarono tutti a segno. Uno di essi danneggiò gravemente l'incrociatore Nigeria (nave ammiraglia della forza britannica), due affondarono l'incrociatore antiaereo Cairo, il quarto colpì la petroliera Ohio, che riuscì tuttavia a proseguire. Poco dopo, alle ultime luci del crepuscolo, nello scompiglio causato dell'attacco del sommergibile (i caccia stavano infatti prestando soccorso alle unità colpite e recuperando i naufraghi), piombarono sul convoglio i bombardieri e gli aerosiluranti tedeschi, che approfittarono dei varchi apertisi nello schermo antiaereo per affondare due mercantili (l'Empire Hope e il già danneggiato Deucalion) e danneggiarne altri quattro (il Rochester Castle, il Brisbane Star, il Clan Ferguson e il Santa Elisa). Poco dopo, ancora approfittando del fatto che la formazione navale inglese era sempre più disunita, il sommergibile italiano Alagi (t. v. Puccini) colpì con in siluro l'incrociatore Kenya, il quale, seppure danneggiato, riuscì a continuare la rotta. Poco dopo il sommergibile Bronzo (t. v. Buldrini) finì il danneggiato piroscafo Clan Ferguson.

La disastrosa serie di attacchi scatenò il panico tra gli equipaggi di molti mercantili, alcuni dei quali invertirono la rotta per tornarsene a Gibilterra, cosicchè dei cacciatorpediniere dovettero tornare indietro a riprenderli. Al calare della notte tra il 12 e il 13, quello che era stato un blocco unico di navi si era trasformato in una processione di unità militari e mercantili, alcune integre, altre danneggiate, distanziate tra loro di parecchie miglia. Ciò proprio al momento del transito nel punto più pericoloso della rotta, il Canale di Sicilia. Là, infatti, al largo di Capo Bon, in corrispondenza dei pochi passaggi liberi tra i banchi di mine, erano in agguato le motosiluranti e i MAS italiani e le Schnellboote tedesche. Per tutta la notte fu un susseguirsi di attacchi in cui le piccole unità si insidiavano coraggiosamente tra le navi nemiche, lanciando i loro micidiali siluri.

Fu un nuovo disastro per gli inglesi e un trionfo per la marina italiana: le motosiluranti MS 16 e MS 22 affondarono l'incrociatore Manchester (il maggiore successo di tutta la guerra per un'unità di quel tipo); la MS 31 affondò il piroscafo Glenorchy; il MAS 557 silurò il piroscafo Santa Elisa che, carico in buona parte di benzina per aerei, s'incendiò; il MAS 564 danneggiò il piroscafo Rochester Castle; il MAS 554 affondò il piroscafo americano Almeria Lykes (prematuramente abbandonato dall'equipaggio quando ancora poteva essere salvato); infine, il MAS 553 affondò il piroscafo Wairangi. Le motosiluranti tedesche non furono altrettanto fortunate: non colsero alcun successo ed ebbero a lamentare il danneggiamento grave dell'unità S.58.

Il mattino del giorno successivo, il 13, dopo che quello che restava della formazione navale inglese era in qualche modo riuscito a ricompattarsi, la Luftwaffe colse nuovi successi, affondando il piroscafo Waimarama, colpendo il Melbourne Star e il Dorset e danneggiando ulteriormente la petroliera Ohio, mentre sfortunati furono gli aerosiluranti italiani: un siluro si impigliò senza esplodere nel paramine del piroscafo Port Chalmers, mentre altri due, diretti verso il danneggiato Brisbane Star (che, distaccato dal convoglio, procedeva costeggiando la Tunisia), affondarono per un difetto di stabilizzazione. La petroliera Ohio fu soggetta a ulteriori attacchi degli Stuka italiani, che riuscirono solo a provocare ulteriori danni. Anche il grosso delle navi da guerra inglesi in rotta verso Gibilterra fu pesantemente attaccato, ma senza conseguenze. Gli attacchi aerei proseguirono per tutta la giornata ma senza esiti, anche grazie ai caccia di scorta levatisi da Malta non appena il convoglio era entrato nel loro raggio d'azione. In serata fecero ingresso nel porto della Valletta a Malta l'unico piroscafo indenne, il Port Chalmers, e due piroscafi danneggiati, il Melbourne Star e il Rochester Castle, mentre, nonostante i tentativi di rimorchiarlo in porto, affondava, a sole 90 miglia da Malta, il danneggiato Dorset. Nel primo pomeriggio del 14 giunse il danneggiato Brisbane Star, mentre fu solo al mattino del 15 che la preziosa petroliera Ohio, ridotta ad un relitto semiaffondato, potè essere rimorchiata nel porto.

In tutta l'operazione, grandi assenti erano state le unità maggiori (navi da battaglia, incrociatori, cacciatorpediniere) della Regia Marina. La flotta italiana non era intervenuta nonostante la favorevole situazione (un convoglio disunito, molte unità nemiche danneggiate) per timore di attacchi, soprattutto notturni, di navi e aerei nemici. Questo atteggiamento rinunciatario sicuramente impedì di rendere ancora più completa la vittoria dell'Asse e comunque non risparmiò la perdita di due incrociatori (il Bolzano e l'Attendolo) seriamente danneggiati dal sommergibile britannico Unbroken (Lt. Mars) mentre rientravano alla base dopo l'abortita missione.

Dei 14 mercantili inglesi, ad ogni modo, ne erano giunti a Malta solo 5. I britannici avevano perso nell'operazione una portaerei, due incrociatori e un cacciatorpediniere, oltre a dieci moderni mercantili veloci (la Ohio infatti, ridotta a un rottame, affondò dopo essere stata scaricata), preziosissimi in quel periodo in cui gli U-Boote causavano pesanti perdite in Atlantico. Inoltre, una portaerei due incrociatori, tre cacciatorpediniere e tre mercantili furono seriamente danneggiati e rimasero fuori servizio per parecchi mesi. La RAF perse 5 aerei, mentre la FAA (l'aviazione navale) ne perse 29, di cui 16 affondati con la portaerei Eagle.

Le perdite dell'Asse furono di due sommergibili italiani affondati (il Cobalto e il Dagapur, entrambi speronati da cacciatorpediniere nemici che restarono a loro volta seriamente danneggiati), due incrociatori italiani e una Schnellboote tedesca danneggiati, 42 aerei italiani (compreso l'aereo-bomba radiocomandato, messo fuori uso da un banale guasto al radiocomando) e 19 aerei tedeschi perduti.

E' fuor di dubbio che sul campo, anzi sul mare, si sia trattato di un notevole successo per le forze aeronavali dell'Asse, il cui merito va attribuito, prima di tutti, alle unità insidiose della Regia Marina (motosiluranti, MAS e sommergibili). Lo stesso Ammiragliato britannico non potè che ammettere che "non è stato certo un bel risultato l'aver condotto a destinazione cinque navi del convoglio su un complesso di quattordici potentemente scortate, specialmente se si tiene conto delle perdite della scorta", mentre il Vice Ammiraglio Syfret, comandante della spedizione, osservò che "le perdite della forza F [il convoglio e la sua scorta] furono spiacevolmente forti, e il numero di piroscafi che raggiunsero Malta dolorosamente piccolo".

E' indubbio che i cinque mercantili, con buona parte del carico intatto, furono comunque preziosi per l'affamata isola di Malta, tanto più che, saggiamente, in previsione delle inevitabili perdite, ciascuno di essi era stato caricato con un'ampia varieta' di rifornimenti (benzina, oli combustibili, munizioni, farina, ecc...) in modo tale che ogni singola nave potesse essere utile alla guarnigione e alla popolazione di Malta anche se fosse arrivata da sola in porto.

Qualche osservazione a parte merita l'avventura (una vera epopea, anzi) della Ohio: il fatto che la petroliera con lo scafo squarciato, le macchine distrutte, il timone inservibile, appesantita dalle migliaia di tonnellate d'acqua imbarcate, sia stata rimorchiata a Malta sotto i continui attacchi aerei, rappresenta indubbiamente un'impresa senza eguali, che merita l'elogio del coraggio, della determinazione e della perizia marinaresca di coloro i quali la portarono a termine.

Qualcuno però ha voluto vedere in quest'impresa una sorta di "lieto fine", quasi di stampo hollywoodiano, per gli alleati, un segno della loro "vittoria strategica" in questa cruenta battaglia. Qualche storico, anche serio e preparato, lasciandosi forse prendere un po' troppo la mano, ha sostenuto che condurre a Malta il carico della Ohio fosse il fine principale di tutta l'operazione Pedestal, e che quindi l'arrivo della petroliera ne avesse segnato il successo. Tale successo avrebbe inoltre rappresentato il punto di svolta della battaglia del Mediterraneo e dell'intera campagna d'Africa, consentendo a Malta di riprendere il proprio ruolo offensivo contro i convogli dell'Asse per l'Africa e causando, quindi, la quasi interruzione dei rifornimenti che, alla fine, cagionò la sconfitta i Rommel.

Questa catena di deduzioni lascia molto perplessi in più punti. Due parole, innanzi tutto, sull'importanza relativa della petroliera rispetto agli altri mercantili. Abbiamo fatto già notare come tutti i piroscafi trasportassero nel loro carico anche prodotti petroliferi in fusti (benzina avio, oli combustibili, nafta); la Ohio era sì importante alla riuscita della missione di rifornimento, ma non indispensabile. Mai avrebbero gli inglesi commesso l'errore, come recita un loro celebre detto, di "mettere tutte le uova nello stesso paniere"! La quantità di carico ancora contenuta nelle cisterne della Ohio (in alcune delle quali, lesionate, l'acqua di mare si era sostituita al carburante) non era molto superiore a quella già portata a Malta dagli altri quattro mercantili (circa 5000 tonnellate). Che la quantità totale di rifornimenti giunti sull'isola fosse comunque insufficiente rispetto al necessario è testimoniato anche dal fatto che all'inizio di ottobre ripresero i viaggi di rifornimento dei sommergibili. Ai primi di novembre fu quindi tentato l'invio, in due distinte missioni, di tre mercantili non scortati carichi di cibo e combustibili. Il primo mercantile (l'Empire Patrol), partito da Alessandria, dovette rientrare a Cipro in quanto avvistato dalla ricognizione tedesca e con noie meccaniche, mentre gli altri due (l'Ardeola e il Tadorna), che, partiti da Gibilterra, avevano tentato di costeggiare la Tunisia, furono bloccati e internati dai francesi di Vichy. Successivamente, furono impiegati i posamine veloci Welshman e Manxman per far giungere a Malta rifornimenti urgenti. Gli inglesi si guardarono bene dal tentare nuovamente un'operazione in grande stile come "Pedestal".

Comunque, il carico della Ohio e degli altri mercantili fu certo prezioso per gli aerei e i sommergibili britannici, che ripresero in breve a insidiare le linee di comunicazione tra l'Italia e la Libia. Ma, come recentemente Giorgio Giorgerini ha chiarito nel suo libro "La guerra italiana sul mare", tali linee di comunicazione non furono in quel periodo seriamente messe in pericolo, nè tantomeno bloccate, se non nelle ultime settimane della resistenza italiana in Libia (nel dicembre 1942-gennaio 1943), quando le insidie maggiori non venivano più da Malta ma dalle basi avanzate nemiche, situate ormai a poche decine di miglia dall'unico porto rimastoci, Tripoli. Nel settembre 1942, ad esempio, su circa 97000 tonnellate (tra merci e carburanti) partite dall'Italia, ne arrivarono in Libia circa 87000 (l'89%). Non si può certo parlare, quindi, di linee di comunicazione "tagliate" dalle forze basate a Malta, tanto più che esse furono responsabili solo di una parte, per quanto preponderante (il 70% circa) di dette perdite.

E chiaro quindi che, se crisi di rifornimenti vi fu per l'Asse, essa fu dovuta più alla scarsità di materiali che partivano dalla Madrepatria e alla difficoltà di farli giungere via terra dai porti libici alla linea del fronte, che alle perdite causate da aerei e sommergibili basati a Malta.

Alla luce di quanto esposto, mi pare di poter concludere che molto limitato fu il significato strategico dell'arrivo a Malta di cinque malconci mercantili. Ben superiore fu invece la valenza strategica di un altro aspetto della battaglia di Mezzo Agosto, aspetto che molti storici dimenticano, nonostante sia stato esposto chiaramente ed in maniera ben documentata già nel 1986 da Francesco Mattesini (uno dei pochi studiosi di Storia Aeronavale nel nostro paese) nel suo ottimo libro "La battaglia aeronavale di Mezzo Agosto" (ed. dell'Ateneo).

In quel periodo gli Stati Maggiori alleati stavano già pianificando le operazioni di sbarco nell'Africa nordoccidentale. I piani iniziali prevedevano di sbarcare non solo in Marocco e Algeria, ma anche in Tunisia, allo scopo i prendere alle spalle l'armata italo-tedesca. Ma, sotto l'impressione del disastro dell'operazione Pedestal, e anche in considerazione del fatto che le perdite subite tra le unità da guerra (in special modo le due portaerei) non erano ripianabili, gli Alleati non se la sentirono di tentare un'altra operazione in forze nel Mediterraneo centrale, e rinunciarono quindi allo sbarco in Tunisia. Ciò consentì alle forze dell'Asse di sbarcare a loro volta in tale territorio, fronteggiando quindi le armate alleate e prolungando di diversi mesi la resistenza in Africa, cosa che ritardò l'apertura del "secondo fronte" in Europa con l'invasione della Sicilia.

Se un importante significato strategico si vuole cercare per la battaglia di Mezzo Agosto, questo mi sembra preponderante. La battaglia appare quindi un successo dell'Asse sotto ogni aspetto, tattico e strategico; se tale successo non riuscì a cambiare il corso della guerra in Africa e nel Mediterraneo, fu perché esso era ormai segnato dall'entrata in campo della potenza industriale degli Stati Uniti, che già stavano riversando sul fronte egiziano enormi quantità di armamenti d'ogni tipo.
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