It.Cultura.Storia.Militare On-Line
invia stampa testo grande testo standard
Bookmark and Share
[HOME] > [icsm ARTICOLI] > [Ricerche: II GM]
Una guerra dimenticata
di Roberto Roggero ©
[torna indietro]
Agosto 1945: in Estremo Oriente, si svolgono le ultime battaglie della seconda guerra mondiale. L'Unione Sovietica attacca l'esercito giapponese in Manciuria, in uno scontro che non tutti i libri di storia ricordano, e che coinvolse oltre due milioni di uomini.

Dopo aver conquistato rapidamente grandi estensioni nel continente asiatico, in Cina, Mongolia, Malesia, Nuova Guinea, Birmania, Indie Olandesi, Filippine e parte degli arcipelaghi del Pacifico meridionale, dall'estate 1942, dopo la sconfitta alle isole Midway, anche per il Giappone inizia la guerra difensiva, così come succede per l'alleata Germania dopo la sconfitta di Stalingrado. Oltre un milione di soldati nipponici (su un esercito di circa 5 milioni e mezzo) erano schierati nel Man-Chu-Kuo e in Corea, a presidio dell'esteso confine con l'Unione Sovietica e la Repubblica Popolare di Mongolia. In questi territori, russi e giapponesi si erano già scontrati, nel 1938 sul lago Chassan e nel '39 presso Chalchin-Gol e dal 1905 l'impero del Sol Levante esercitava il suo dominio anche sulla antica Ryojun, più nota come Port Arthur, sulla costa del Pacifico.

All'inizio del 1943, USA e URSS cominciano a valutare le possibilità di intraprendere azioni in grande stile in Estremo Oriente e, dopo la conclusione degli accordi segreti, Stalin ordina alla Stavka, il comando supremo, di avviarne la preparazione. In quel periodo, le forze sovietiche in Estremo Oriente ammontavano a circa 25 divisioni (di cui 2 corazzate e 2 di cavalleria) e poco più di 1500 aerei, agli ordini di ufficiali veterani della guerra in Europa e al comando superiore del generale Purkajev, ma le truppe non avevano una reale esperienza di combattimento. In un regime di assoluta segretezza, iniziano le manovre per ammassare grandi forze ai confini orientali, trasferendo, in un periodo di quasi quattro mesi ininterrotti, numerose divisioni esperte, attraverso le grandi distanze di oltre 10mila Km, in un'impresa logistica ancora oggi esempio mirabile di organizzazione e rapidità. Dalla Prussia Orientale sono trasferite le armate 5ª e 39ª, dalla Cecoslovacchia la 53ª e la celebre 6ª armata corazzata Guardie del generale Kravcenko, le quali avevano lasciato la quasi totalità delle attrezzature in Europa poiché l'industria sovietica, con gli aiuti di quella americana, aveva provveduto ad ammassare carri e aerei di nuova fabbricazione direttamente nelle zone di raccolta.

Nell'imminenza dell'attacco, le truppe sovietiche ammontavano a 11 armate miste, di cui una corazzata, pari a 76 divisioni russe, 4 mongole, con 4 corpi d'armata corazzati e meccanizzati, oltre a diverse unità autonome. Un totale di 1.500.000 uomini con oltre 26mila cannoni, 6000 carri armati e quasi 4000 aerei divisi in tre Squadre comandate dal generale d'aviazione Novikov. All'operazione avrebbero partecipato anche la Squadra Navale del Pacifico e la Flottiglia Fluviale Amur, agli ordini dell'ammiraglio Kutznetov. Altre 20 divisioni erano pronte per le operazioni contro l'isola di Sachalin, la penisola di Kamchatka e la Mongolia sud-orientale. Il comando in capo fu affidato al maresciallo Valivievskji, già capo dello Stato Maggiore Supremo, coadiuvato dalla squadra di intendenza dell'Armata Rossa (generale Vinogradov), con il generale Ivanov come capo di Stato Maggiore e il generale Scikin come ufficiale politico.

L'attacco seguì un piano studiato dal maresciallo Malinovskji e approvato dal comando supremo, con una rapida avanzata attraverso i valichi delle montagne del Grande Khingan, per raggrupparsi al di là di essi e irrompere nelle pianure; la fanteria avrebbe posto l'assedio a quelle città che non si fossero arrese in breve, mentre i carri armati del generale Plijev avrebbero aperto la marcia verso sud, in direzione Pechino. L'operazione, quindi, venne divisa in tre parti: il Fronte Trans-Bajkal del maresciallo Malinovskji, futuro ministro della Difesa, doveva attraversare il deserto di Gobi (compito affidato alle avanguardie meccanizzate del generale Plijev) e le montagne del Khingan, per irrompere nella Manciuria centrale; il 1º Fronte Estremo Oriente del maresciallo Meretzkov doveva attaccare in direzione di Mu-Tan-Chiang e Mukden, per congiungersi con il precedente; il 2º Fronte Estremo Oriente del generale Purkajev doveva oltrepassare il fiume Sungari e impegnare il nemico nella vallata dell'Amur.

Davanti a questo imponente schieramento, i giapponesi avevano una quarantina di divisioni di fanteria, 2 divisioni corazzate e 2 di cavalleria, alcune unità autonome, dislocate nel Man-Chu-Kuo, in Corea, sull'isola Sachalin e nelle isole Curili, concentrate in maggior parte nell'esercito del Kuan-Tung, insieme a quello del Man-Chu-Kuo e della Mongolia Interna, agli ordini del generale Yamada. Un totale di 1.300.000 uomini con poco più di mille carri armati, 6000 cannoni, 200 aerei e 25 unità navali. Lungo parte della frontiera si trovava poi un massiccio sistema difensivo fisso, distribuito su 4500 postazioni e bunker in cemento armato. Gli ordini del generale Yamada contro un eventuale attacco russo erano di organizzare la resistenza, principalmente lungo la linea di difesa fissa, e procedere all'allestimento di contrattacchi nel più breve tempo possibile, oppure di raccogliere gli eserciti nella zona di Mukden e Kuan-Tung con una serie di ripiegamenti strategici e attuare la tattica della guerriglia. Tali piani sarebbero stati sconvolti dalla stupefacente rpidità delle truppe sovietiche, che avrebbero costretto il generale Ushiroku, comandante del Gruppo d'Armate III, a dividere le forze per tentare di difendere contemporaneamente le pianure centrali e il territorio di Port Arthur. L'8 agosto l'URSS dichiara guerra al Giappone e il giorno seguente inizia l'attacco.

La battaglia

Il maresciallo Meretzkov, nella parte orientale dello schieramento, aveva di fronte la parte più forte del sistema difensivo di fortificazioni, costruito oltre vent'anni prima e profondo fino a 30Km, su terreni particolarmente impervi, crateri di vulcani inattivi, rocce e fitte foreste. La 85a armata, sulla destra, doveva oltrepassare il territorio paludoso del fiume Ussuri mentre la 25ª, sulla sinistra, doveva smantellare le fortificazioni, con particolare attenzione alla zona di Dunnin. Meretzkov decide di concentrare le proprie forze in un'unica massa di sfondamento, riunendole nella grande 5ª armata del generale Krilov, esperto tattico, veterano della battaglia di Stalingrado e comandante delle truppe d'impiego tattico e delle artiglierie di razzi. Come rinforzo, pone la 1ª armata, per un attacco concentrico a nord ovest di Vladivostok, con l'assalto delle fanterie protette da artiglieria e aviazione, immediatamente seguito dalle truppe corazzate verso il lago Hanka e intorno a Dunnin. Il generale Purkajev avrebbe attaccato a sua volta, attraversando i fiumi Amur e Ussuri nella sua zona, con una manovra avvolgente da nord, verso le città di Harbin e Tsitsihar, avviando, nel contempo, le operazioni sull'isola Sachalin e le Curili.

Sul fronte politico, intanto, l'Unione Sovietica ottiene l'appoggio della Cina, in seguito a trattati segreti fra Staline Chiang-Kai-Shek, con i quali il dittatore russo poteva esercitare il protettorato sul territorio di Port Arthur, sulla parte meridionale di Sachalin e nell'arcipelago delle Curili. Tali accordi, conclusi il 6 agosto 1945 e di grande valore politico, furono messi in secondo piano dal tragico avvenimento che colpì la città giapponese di Hiroshima, in seguito al quale, il Giappone si affrettò ad offrire a Inghilterra e Stati Uniti una proposta di accettazione di resa nella quale era compresa la clausola del rispetto dell'istituzione imperiale nipponica. Washington e Londra, però, avevano imposto la totale resa incondizionata e, dopo aver respinto la proposta, il 9 agosto una seconda esplosione atomica colpì la città di Nagasaki, bersaglio secondario dal momento che su Tokyo, obiettivo principale, vi sono spessi banchi di nubi.

I due avvenimenti, determinarono la ferrea volontà di resistere negli eserciti giapponesi del Man-Chu-Kuo, anche davanti alle preponderanti forze nemiche. Il 10 agosto, i sovietici, con la 6ª armata corazzata della Guardia, e le armate 39a e 53a, oltrepassano i valichi del Grande Khingan eliminando una dopo l'altra le sacche di resistenza giapponesi, incontrando più difficoltà per il maltempo che per gli isolati contrattacchi nemici, tuttavia, il primo assalto alla importante città di Hailar fallì. In conformità agli ordini ricevuti per una rapida avanzata, il generale Lucinskji, comandante delle avanguardie, pose l'assedio alla città mentre le divisioni mobili proseguivano, superando gli ultimi passi montani l'11 agosto. Sulle cime vi furono alcuni scontri che i potenti reparti corazzati sovietici superarono senza grossi problemi e il giorno 12 le colonne avanzate irrompono nelle pianure, arrivando a Hsin-King, nodo di grande importanza strategica.

All'estremità orientale del fronte, il maresciallo Meretzkov, con il 1º Fronte, incontra una tenace quanto inaspettata resistenza da parte delle guarnigioni giapponesi all'interno dei bunker, ed aveva quindi pensato di far distruggere le installazioni dalle artiglierie, per poi organizzare un attacco notturno con le fanterie sostenute da potenti riflettori. Fu solo a causa del maltempo, un autentico uragano, che il progetto non poté essere attuato e, per questo, Meretzkov decise di attaccare con le sole divisioni di fanteria, che dovevano dividersi in gruppi d'assalto per interrompere le comunicazioni fra le fortificazioni difensive fisse e distruggerle separatamente, cominciando dai comandi principali. Nel pomeriggio del 9 agosto, 15 divisioni attaccano contemporaneamente e, in due giorni di scontri violentissimi, avanzano di circa 50 Km oltre i confini sovietici fino a Mulin, incontrando una resistenza disperata da parte degli isolati reparti giapponesi, accecati dalla disperazione e dal rifiuto della sconfitta, inaccettabile secondo il codice d'onore nipponico. Di frequente, capitava che singoli soldati sbucavano dalla boscaglia imbottiti di esplosivo e si gettavano sotto i carri armati sovietici, oppure accadeva che i plotoni russi in avanscoperta cadessero vittima di imboscate, andando incontro a morte certa dopo aver subito atroci torture. Era la tattica della guerriglia suicida, tristemente nota agli inglesi che combatterono nella giungla birmana e ai marines nelle sperdute isole del Pacifico.

L'11 agosto, la 5ª armata sovietica oltrepassa la valle de fiume Mudan a seguito di un'altra drammatica battaglia, ma il Gruppo d'Armate giapponese del settore organizza efficaci contrattacchi che riescono a bloccare i russi davanti alla città di Mu-Tan-Chang. A questo punto entra in campo l'aviazione: con incursioni e bombardamenti a tappeto costringe i giapponesi a retrocedere e, la sera dello stesso 11 agosto, la città è presidiata dagli attaccanti. Più a sud, la 25ª armata travolge la resistenza nipponica intorno a Dunnin e si prepara ad allargarsi verso Vladivostok e il confine con la Corea dove, nel frattempo, stavano avvenendo gli sbarchi del corpo Fucilieri di marina nelle località di Najin e Chingjin. Sul fronte settentrionale, il 10 agosto era iniziato l'attacco del 2º Fronte Estremo Oriente, composto in maggior parte da divisioni di recente formazione con poca esperienza di guerra. Nonostante la prudenza dei comandanti, le armate sovietiche 2ª e 15ª attraversano il fiume Amur intorno a Chabarovsk e Blagovescensk, accerchiando le altre città del territorio ed effettuando il congiungimento con le unità della 15ª Flottiglia Fluviale che risaliva il fiume verso Harbin.

A Sachalin, una divisione sovietica attacca da sud mentre alla base di Gavan, sulla terraferma di fronte all'isola, si ultimavano i preparativi per uno sbarco di rinforzo, diretto anche alla penisola di Kamchatka. Un altro corpo di spedizione, nel frattempo, si preparava per lo sbarco a Shumshu, la più settentrionale delle isole Curili. Più ad ovest, intanto, in pieno deserto di Gobi, era partito l'attacco più massiccio con il Fronte Trans-Bajkal del maresciallo Malinovskji. L'inospitale territorio fu attraversato con rapidità sorprendente, e i giapponesi duramente sconfitti nelle cruente battaglie di So-Lun, Kalgan e Hailar. Il 19 agosto le truppe corazzate sovietiche si impossessano dei centri più importanti nelle pianure di Man-Chu-Kuo. Nella mattinata del 20 agosto, in prossimità di Cheng-Te, le avanguardie della 6ª armata corazzata Guardie incontrano i reparti della 8ª armata di Liberazione, formazione della Cina comunista giunta da sud, isolando così l'intero Man-Chu-Kuo centrale. Davanti alla evidente impossibilità di continuare la lotta, i giapponesi cominciano a deporre le armi, a seguito di un ordinanza del comando del Gruppo d'Armate III diramato ancora prima delle ufficiali disposizioni del comandante dell'esercito del Kuan-Tung, generale Yamada, mentre numerosi reparti di paracadutisti russi scendono nelle regioni del Man-Chu-Kuo non ancora liberate.

La resa del Giappone, il 15 agosto, aveva causato grande confusione, e non fu seguita da molti dei reparti ancora in armi. Lo stesso generale Yamada proibisce l'esecuzione degli ordini diramati precedentemente per la deposizione delle armi, finchè non avesse ricevuto un ordine scritto e firmato dall'imperatore. Anche dopo aver udito via radio il proclama ufficiale, in accordo con gli ufficiali del proprio stato maggiore, decide di continuare la lotta fino alla morte, ma deve tornare sulla decisione all'arrivo di un membro della famiglia reale con l'atteso ordine di resa.

Il 18 agosto, Yamada acetta la resa e invia il suo capo di stato maggiore, generale Hata, al comando del maresciallo Vasilievskji, per firmare la capitolazione dell'esercito del Kuan-Tung. Nonostante la resa incondizionata, i sovietici non fermarono l'avanzata, secondo gli ordini di Mosca che stabilivano l'occupazione della massima parte di territorio, per godere di una posizione di estremo vantaggio alla conclusione delle ostilità e all'entrata in vigore delle clausole del trattato. Secondo gli ordini, Valilievskji avviò l'operazione di un corpo aviotrasportato che presidiasse saldamente le ultime zone del Man-Chu-Kuo rimaste indifese, come Kirin, Harbin e, specialmente, Port Arthur, occupata il 22 agosto. Molto più ad ovest, il generale Plijev aveva completato la propria missione alla testa delle divisioni mongole e, lasciatosi alle spalle il deserto di Gobi, puntava diretto su Pechino e la costa del Pacifico. In seguito ad accordi con gli Stati Uniti, la 25ª armata sovietica, entrata in Corea, eavanza fino al famoso 38º parallelo, dove conclude le manovre operative. Sachalin e le isole Curili sono occupate completamente il 23 agosto dopo la durissima battaglia di Shumshu. Lo stesso giorno, Stalin emana l'ordine di fermare gli attacchi, e la vittoria fu celebrata con l'allestimento di grandi parate nelle città occupate di Mukden, Port Arthur e Harbin.

A questo punto, iniziava la triste avventura delle migliaia di prigionieri giapponesi, appartenenti quasi totalmente all'esercito del Kuan-Tung, che sarebbero stati deportati nelle remote regioni siberiane, a costituire la forza lavoro di Stalin per l'allestimento di nuove opere di difesa. Di molti di loro non si sarebbe saputo più nulla. Secondo le cifre del comando russo, la grande battagli del Man-Chu-Kuo costò ai giapponesi oltre 83mila morti e 600mila prigionieri, compresi 148 generali. Tokyio ammise la perdita di 25mila soldati, ma sono senz'altro le stime sovietiche quelle più vicine alla verità. I sovietici denunciarono circa 8000 morti e oltre 25mila feriti. I sovietici, nonostante che le battaglie del Man-Chu-Kuo fossero di esito decisamente scontato, fecero tesoro dell'esperienza, specie nella tattica del rapido avanzamento di truppe corazzate, sostenute da rifornimenti aerei, e nelle operazioni aviotrasportate che non avevano potuto realizzare in Europa, fatta eccezione per l'impiego dei paracadutisti sul corso del Dnepr nel '43, risoltosi in un fallimento. Il 2 settembre, a bordo della corazzata americana Missouri, nella rada di Tokyo, si tiene la cerimonia ufficiale della resa del Giappone, che doveva accettare un umiliante trattato senza condizioni, dopo essere stato la grande potenza che aveva conquistato un dominio pari a quasi la metà della superficie degli Stati Uniti.

Bibliografia

M. MacIntosh, Seconda Guerra Mondiale, Rizzoli 1967;
Col. N. Eronin, Memorie, Rizzoli/Purnell, 1967.
RIPRODUZIONE RISERVATA ©
[HOME] > [icsm ARTICOLI] > [Ricerche: II GM]