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La grande battaglia di Kulikovo Polje ossia Pian delle Beccacce, 1380 d.C.
di Aldo C. Marturano ©
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Su questa battaglia è fiorita, specialmente nell'editoria (scriptoria) dei conventi russi di cui abbiamo già parlato, tutta una letteratura (e, aggiungiamo, non solo in lingua russa e non solo nei conventi russi, ma anche in Bulgaria e in altri ambienti ortodossi soprattutto slavi), già subito dopo la sua conclusione, e, diciamolo pure, su informazioni di prima mano.

Molti sono i poemi e le varianti che circolarono in Russia su questo famoso scontro, ma di queste composizioni, che volevano in parte far rivivere gli antichi epici scontri della Rus di Kiev di Santa Olga e di San Vladimiro, la più importante è la raccolta chiamata l'Epopea dell'Oltredon (Zadonsc'cina) in cui furono messi insieme relazioni, racconti, testimonianze, addirittura raccolti senza interruzione fino al XVII sec., sotto forma d'epos ritmato ad eterna gloria della nascita della nuova Russia!

Salta agli occhi però, lo stile di questa mole di scritti che richiama immediatamente quello del Cantare d'Igor, poema epico russo della fine del XII sec. dove si esalta l'eroismo sfortunato del principe Igor contro i Cumani (Polovzi). In questo Cantare è l'esaltazione della battaglia in sé, l'eroismo del protagonista e non la vittoria o la sconfitta che viene solennemente cantata. L'esistenza di questo poema metterebbe in dubbio la veridicità di quanto si racconta sull'epopea del Don, proprio perché le imprese di Pian delle Beccacce (Kulikovo Polje in russo) sono raccontate nello stesso modo e quasi con le stesse parole del Cantare, tanto che alcuni passi sembrano copiati pari-pari da quell'antico poema. Ci è venuto addirittura il dubbio che il più antico personaggio d'Igor, sicuramente noto a Mosca del XIV sec., avendo influenzato moltissimo il carattere e l'atteggiamento di Demetrio tramandatici, abbia in qualche modo portato alla massima sublimazione della figura di quest'ultimo principe moscovita per evidenziare la sua maggiore importanza e che, alla fine, la figura di Demetrio sia un tantino troppo esaltata e non rispondente alla realtà, se non addirittura inventata di sana pianta.

Dunque lo schema dell'epos di Pian delle Beccacce è quello classico già usato nel passato per glorificare altri Rjurikidi ed è comunque delineato molto chiaramente: da una parte c'è l'armata del santo principe Demetrio, sceso in santa crociata. Dall'altra i pagani infedeli di Mamai, contro i quali solo Demetrio vincerà, perché agisce nel nome della vera fede cristiana, la fede russa, brandendo la Croce di Cristo come arma più importante!

In questi poemi tuttavia, sono nascoste gran parte delle nostre informazioni che ci permettono di tessere il racconto dei reali avvenimenti di quel lontanissimo 1380. A queste fonti tradizionali, certo, se ne accompagnano altre, che però ci sono sembrate secondarie, quanto al contenuto. Anche l'archeologia ha dato un piccolo contributo e qualche scarsa conferma, ma sicuramente gli avvenimenti, come ci sono giunti, sfrondati dell'immaginazione e della fantasia "edificante" degl'ispirati monaci amanuensi, non possono che esser quelli che racconteremo più avanti, giusto perché hanno resistito alla severa critica storica russa di questi ultimi anni.

E ritorniamo allora ai fatti. Demetrio, prima di rimettersi in marcia, pensa bene di consultarsi con i suoi generali e con i principi presenti, in un gran consiglio tenuto nel villaggio, diventato poi giustamente famoso, di Cjòrnovo, non lontano dalla sua Mosca.

Le opinioni dei suoi uomini non sono unanimi.

Alcuni insistono sul passare subito sulla riva destra del Don e portarsi in avanti, altri addirittura avrebbero voluto rinunciare e tornare indietro. Passare il Don, dicevano ancor altri, era un atto senza ritorno. Una volta compiuto, bisognava dare battaglia senz'altro indugio, perché sarebbero stati immediatamente dopo il guado in vista del nemico. Nessuno conosceva la zona così bene, da muoversi con sicurezza contro un nemico che avrebbe attaccato, non appena li avesse visti. C'era chi insisteva sul fatto che, una volta passati sull'altra riva del fiume, in qualunque caso bisognava distruggere i ponti, perché in tal maniera i Lituani stavolta non avrebbero avuto più la possibilità di usarli e sferrare un attacco di sorpresa sulla retroguardia russa.

Demetrio ascolta tutti, ma è impaziente. Vinta la sua innata irrisolutezza, ad un bel momento chiude ogni ulteriore discorso e dice:

"Ci conviene o fratelli sacrificare le nostre terre per la vera fede cristiana affinché non siano catturate le nostre città dai pagani e non vengano saccheggiate le sante chiese di Dio" e ancora "Fratelli miei (questo era il modo in cui i principi si chiamavano fra di loro), è meglio una morte onorevole e visto che siamo già qui è impensabile, senza disonore, decidere di ritornare. Perciò andremo avanti e affidiamo le nostre sorti al Signore per la difesa della nostra fede e della nostra chiesa".

A queste parole i principi russi non hanno altri argomenti e rispondono anche loro con altrettanta solennità:

"O signore e principe russo! Abbiamo deciso di sacrificare la nostra vita al tuo servizio ed è giunta l'ora di versare il nostro sangue per te e col nostro sangue ci sentiremo battezzati ancora una volta".

Il dado ormai è tratto.

Si chiamano i genieri e i pontieri, si costruiscono le strade e i ponti per attraversare il grande fiume, e il 6 settembre si comincia la traversata. Il fiume qui è abbastanza largo, ma i guadi giusti sono stati già individuati.

Prima di mettersi in marcia però, com'è consuetudine, Demetrio tiene il suo discorso agli uomini armati e, dopo che tutti hanno pregato, inginocchiati all'alba di un fosco mattino, è stata letta la lettera che Sergio ha scritto a tutti i russi in guerra.

Finalmente l'insegna di Demetrio, con la figura del Salvatore ricamata in oro, viene benedetta e poi innalzata: è il segnale di mettersi in marcia.

Ci si mette in cammino, non senza aver prima ascoltato le notizie degli esploratori mandati in avanscoperta, i quali hanno confermato la presenza degli uomini di Mamai nella pianura oltre il Don dove nidificano le beccacce. La processione d'uomini, carri, animali e materiali è lunghissima, ma abbastanza ordinata e spedita. Quando tutti hanno attraversato il Don, si smontano e si distruggono i ponti. Demetrio vuole, non solo impedire ai Lituani un attacco inaspettato da tergo, ma anche impedire, con questo, un ripiegamento dei suoi, in caso di sconfitta ed eventuali defezioni degli altri udel. Se è così, questa è una manovra innovativa nella solita tattica russa negli scontri fra principi, quando c'era un fuggi-fuggi generale alla minima difficoltà in campo, secondo le ricerche storico-militari moderne russe.

In conclusione la Battaglia di Pian delle Beccacce è un vero e proprio grande esperimento della guerra medievale che dimostrerà come un esercito unito e sotto un unico comando supremo può vincere, persino senza grandi perdite! Si decide di proseguire la marcia di sera per scegliere meglio le postazioni, poiché di giorno sarà difficile muoversi a causa della fitta nebbia che s'alza dal terreno umido e acquitrinoso, e delle micidiali zanzare che provocano la febbre terzana, e poi perché le beccacce di giorno dormicchiano e spaventate dal trepestio di cavalli e uomini farebbero troppo baccano!

In effetti, passando da una riva all'altra, c'è un cambiamento quasi improvviso del paesaggio, poiché si passa da una quota un po' più alta ad una sensibilmente inferiore. Qui già comincia la steppa perché gli alberi si fanno più rari e ci sono macchie lungo le rive con tanti cespugli, di piante che non tutti i russi conoscono. Un paesaggio certamente famigliare a Mamai, ma molto meno ai Russi che, provenendo dalle foreste del nord fitte e impenetrabili, si trovano ora in un ambiente del tutto nuovo...

E' difficile oggi descrivere Pian delle Beccacce come dovette apparire agli occhi di Demetrio e dei suoi, ben più di cinque secoli fa. Persino le correnti d'acqua che lo solcavano hanno modificato parzialmente i loro letti e la cittadina di Kascira, dove era stato scelto il grande guado, è oggi spostata, dalla riva dov'era su quella opposta.

Tuttavia, se oggi partite da Mosca in direzione della città di Tula, subito dopo la cittadina di Bogoròdizk, nelle vicinanze del palazzo comitale, una volta appartenente ai conti Bobrinskii, si arriva ad un incrocio dove c'è indicato Kulikovo Polje ovvero Pian delle Beccacce. Non molto lontano, a ca. 7-8 km, dall'annesso villaggio di Monastìrscin c'è, sulla cima della collinetta (la famosa Collina Rossa di Mamai alta ca. 100 metri) al centro di questo vasto piano, una colonna di ghisa eretta nel 1850 a ricordo di questa battaglia. Vicino c'è anche una chiesa dedicata a san Sergio di Radonezh, costruita successivamente per accogliere molti dei cadaveri intrasportabili dei caduti, alla quale è annesso un piccolo museo, dove è possibile ammirare alcuni dei reperti archeologici ritrovati sul campo di battaglia.

La morfologia del terreno è ancora riconoscibile come quella di tanti secoli fa: da ovest ad est, lungo una specie di gola non molto profonda, scorre la Neprjadva verso nord provenendo dal sud e facendo un'ansa intorno ad una collinetta, dove oggi c'è il villaggio di Rodzhestvenko. Di qui la Neprjadva confluisce nel Don che scende da nord qualche decina di km più ad est e, ormai diventata tutta acqua del Don, la corrente scorre verso l'attuale villaggio di Kulikovo, svoltando, qualche chilometro più avanti, leggermente verso sud dove incontra un altro piccolo affluente, la Smolka.

Questo rio scorre anch'esso dentro una specie di fosso profondo, a sud di una collinetta che lo divide dal Don che scorre più a nord.

Così, sia ad ovest sia ad est, i Russi ebbero a disposizione due collinette boscose, dove fu schierata, a sinistra fra gli alberi e sotto il comando di Demetrio figlio d'Olgherd, una piccola armata di rinforzo, che sarebbe dovuta intervenire in caso di necessità. A destra invece, nascosti fra i cespugli, Vladimiro di Serpukhov e Bobrok, si schierarono con un'altra grossa forza di riserva, in attesa d'ordini.

Qualche chilometro più a sud si elevava la sopradetta Collina Rossa, sulla cui cima spianata si vedeva sventolare già il vessillo della tenda di Mamai, perché lì tutt'intorno in serata era stato disposto il grosso dell'accampamento dei Tatari. Lungo i declivi della collina si era accampato il grande contingente genovese a piedi, che avrebbe dovuto affiancare la terribile cavalleria mongola con gli archi lunghi e decidere le sorti della battaglia. Dietro, invece, c'era il resto degli armati dei nomadi: una vera marea di gente, quasi tutti a cavallo.

I russi durante la notte anch'essi si schierarono, dopo le varie esplorazioni fatte sul campo, distribuiti su cinque linee. Al centro del Piano, con alle spalle le due collinette e i due fiumicelli sopradetti, c'è il grosso del contingente moscovita, al comando del bojaro Timoteo Veljaminov, del principe Andrea di Polozk (l'altro figlio d'Olgherd) e d'altre figure minori. Poi c'è la copertura di Demetrio con i suoi e, agli ordini di Simeone Obolenskii e Giovanni Tarusskii, le truppe frontali che si scontreranno per prime col nemico.

Il lato destro dell'armata è in attesa dietro la collina e il lato sinistro in vista è agli ordini di Basilio, principe di Jaroslavl, e Teodoro Malozhskii. Vladimiro di Serpukhov e Bobrok, come abbiamo visto, rimangono appostati sull'altura a sinistra, oggi chiamata Querceto Verde (Zeljonaja Dubrava) nel territorio di Monastirscin, abbiamo detto come riserva.

Demetrio si affretta ora a passare fra i suoi, incoraggiando ogni armato:

"Fratelli miei carissimi, figli di Cristo, piccoli e grandi, la notte sta per passare e il giorno ci porta la minaccia nemica. Ognuno mantenga il posto assegnatogli e, state sicuri, che ciascuno di noi berrà dalla stessa tazza del dolore o della vittoria."

Dopo aver messo tutti a riposare, Demetrio e Bobrok si avventurano fra i cespugli del Pian delle Beccacce in avanscoperta e, resisi conto della situazione, ritornano all'accampamento.

E la tradizione aggiunge, a questo punto, una nota favolistica sul comportamento di Demetrio poco prima della battaglia che noi riportiamo, poiché la scena risponde allo spirito del tempo che, abbiamo detto più d'una volta, è pieno di segni, presagi e predizioni astrologiche.

Sembra che Bobrok, oltre ad avere un talento militare indiscusso, possedesse anche delle facoltà divinatorie. Durante la notte, quando va a chiamare Demetrio e gli consiglia di dare un'occhiata in giro per una ricognizione, gli chiede anche se non voglia sapere in anticipo ciò che succederà a Pian delle Beccacce.

Naturalmente Demetrio accetta e Bobrok lo conduce fra la Neprjadva e il Don. Poi gli dice: "Principe, voltati verso i Tatari ed ascolta". Nel silenzio della notte dal campo tataro arrivano tutti tipi di suoni minacciosi e spaventosi, compresi quelli degli ululati dei lupi (!?) che annunciano sempre una grande disgrazia. Subito dopo Bobrok gli dice di volgersi ora dalla parte del campo russo e di ascoltare. Da questa parte tutto è tranquillo, rumori sinistri particolari non ce ne sono. A questo punto Bobrok svela che questi sono due segnali del destino ed indicano che andrà bene ai russi e male ai tatari, ma.. Bobrok annuncia che ha anche un altro presentimento. Infatti, scende da cavallo e pone l'orecchio sulla nuda terra e ascolta. Quando si rialza ha il viso stravolto e Demetrio naturalmente gli chiede che cosa ha sentito, ma non ottiene risposta.

Alle insistenze di Demetrio, Bobrok risponde che gli svelerà tutto quanto lui ha sentito, ma che deve rimanere un segreto per tutti gli altri. Demetrio promette e Bobrok gli svela che è vero, lui vincerà perché Dio ha disposto così, ma purtroppo moltissimi Russi cadranno sul campo e molto sangue russo arrossirà le acque del fiume.

"Che sia fatta la volontà del Signore" dice Demetrio e se ne ritornano al campo.

Quella notte persino una delle sentinelle ebbe un sogno che raccontò al suo principe ed era simile a quello di un soldato d'Alessandro Nevskii, il grande trisavolo di Demetrio, che aveva vinto i Cavalieri Portaspada nel grande nord. A parte dunque questi presagi ammonitori un po' incredibili, è chiaro che i movimenti dei Russi, bene o male, sono tenuti sotto controllo a vista anche da Mamai e dai suoi. Inaftti i Tatari hanno mandato i loro esploratori al comando di un certo Melik (è il nome tramandato, anche se probabilmente è solo un generale – in arabo malik - il cui nome rimase ignoto). Questi si sono spinti quanto più vicino possibile all'accampamento russo. Anche loro così hanno raccolto qualche dettaglio in più, che Mamai stesso vorrebbe controllare dall'alto della collina, se non fosse così buio.

Arriva l'8 settembre, la festa della Vergine Santissima. L'alba è piena di densa nebbia e non ci si può muovere, finché il sole non la disperde, e ciò accade intorno alle 11.

L'andamento della battaglia non è noto esattamente nei suoi particolari, a causa delle diverse (talvolta anche contrastanti) notizie riportate dai testimoni oculari che si trovavano in posizioni diverse, ma a grandi linee la ricostruzione è abbastanza agevole e noi abbiamo preferito riassumerla, come segue.

Di solito, nelle guerre di quei tempi, non sempre i due gruppi d'armati venivano allo scontro diretto e finale. C'era sempre in testa il cosiddetto "campione", un gigante forzuto che doveva impersonare la potenza di tutto il resto dei suoi compagni. Costui doveva scontrarsi per primo con il suo pari dello schieramento avversario, tentando di vincerlo nel corpo-a-corpo. Chi dei due prevaleva permetteva al proprio esercito di avanzare e di attaccare per primo oppure persino di dichiararne la vittoria, se c'era un accordo previo fra gli avversari.

A questo scopo il vecchio Sergio di Radonezh, credendo probabilmente che questa fosse una battaglia come quelle solite fra i principi parenti, aveva mandato il suo monaco, fratello Peresvet, un gigante di grossa e forte corporatura, affinché fosse proprio lui (oltre che a portare i conforti religiosi ai caduti) ad aprire la battaglia "in nome di Dio", prima con la liturgia e le benedizioni, visto che ai monaci era interdetto uccidere esseri umani, e soltanto dopo con l'uso della forza. Ciononostante Peresvet, assegnato alla retroguardia con Vladimiro di Serpukhov, al sentire la fama di quanti morti avrebbe seminato intorno a sè Celubei (nelle Cronache chiamato anche con altri nomi; Timur Murzà o Tavrul), un pecenego d'enorme corporatura scelto dei Tatari come testa del drappello d'assalto, chiedendo perdono a Dio, si arma e affronta il Tataro gigante.

Mentre il grosso di ciascuna armata rimane indietro, alle spalle del rispettivo campione, Peresvet e Celubei si scontrano, ma il destino vuole che il Tataro riesca per primo a tirar giù Peresvet da cavallo. La lotta è senza risparmio di forze, ma alla fine.. entrambi i giganti in questo corpo-a-corpo cadono vittime dei loro stessi formidabili colpi! E' un cattivo presagio ed infatti, in qualche modo, annuncia una battaglia senza quartiere e con molti morti, per tutti.

Demetrio non è più dietro la sua insegna, perché ha preferito mescolarsi fra i giovani dell'avanguardia, in modo da essere sempre nel pieno della battaglia e poter decidere le mosse strategiche con più cognizione di causa, e sotto l'insegna propria vi ha messo il giovane bojaro Michele Brenko, facendogli indossare la sua armatura.

Mamai invece rimarrà a guardare dall'alto..

E la battaglia così riprende..

La prima mossa tocca a Mamai, che scatena i suoi arcieri e all'improvviso la cavalleria tatara irrompe nel Piano, come un fiume in piena che si riversa improvvisamente a gran velocità quasi scaturendo con impeto dalle viscere della terra sotto la Collina Rossa.

E' ormai passata un'ora e la battaglia già infuria al centro della Piana e dello schieramento russo e, benché gli armati cadano da entrambe le parti, i Russi continuano a perdere posizioni sotto l'impeto della focosa cavalleria tatara. Ecco come descrive il culmine della battaglia il Cronachista:

"Si scontrarono con gran forza. Con rabbia si uccisero gli uni con gli altri e non solo con le armi, ma, a causa della calca, molti morirono schiacciati dagli zoccoli dei cavalli, perché non c'era posto dove muoversi in quel Pian delle Beccacce: Quel posto fra il Don la Neprjadva era stretto, in verità. Si vedeva sangue dappertutto mentre le lame delle spade brillavano come lampi. Il rumore era forte e assordante sia per i colpi d'ascia che per l'incrociarsi delle spade, tanto che non era possibile avere una visione completa di tutta la battaglia. Già muoiono in tanti, molti eroi russi cadono come alberi colpiti dal fulmine. Anche l'erba è secca sotto il sole e calpestata dagli zoccoli.."

Verso le quattro del pomeriggio la battaglia sembra ormai persa per i Russi. Bobrok e Vladimiro di Serpukhov però sono ancora nascosti nella loro postazione e fremono impazienti di intervenire. C'è vento contrario e sarebbe pericoloso scendere in campo adesso col rischio di non veder nulla con la polvere negli occhi, per cui indugiano ancora. Non appena, però, cambia la direzione del vento, ecco che i due retroguardisti con i loro uomini freschi finalmente si lanciano in campo al galoppo. Bobrok e Vladimiro, per fortuna o ispirazione divina, hanno scelto il momento giusto, proprio quando i Tatari stanno inseguendo i resti dell'ala sinistra russa, ormai in rotta. Uscendo dai cespugli e riuscendo ad attaccare i Tatari dal fianco e da tergo, il nemico è respinto e sbaragliato. La tradizione racconta che i tatari, non appena videro questi nuovi armati russi, per la sorpresa gridarono disperati:

"Ahinoi! Ahinoi! I cristiani ci hanno superati nei piani. I migliori di loro si sono tenuti nascosti ed ora che le nostre membra sono stanche, dopo ore di battaglia, ci attaccano, loro freschi. Chi li potrà battere ora?"

La sorpresa ha il suo effetto. Costretti contro la riva della Neprjadva i Tatari combattono ormai sulla difensiva e appena possono, scavalcando i cadaveri dei compagni, fuggono verso la Collina Rossa, dove sicuramente sperano di trovar rifugio e riunirsi ai loro capi.

Continua così la lotta finchè le sorti della battaglia passano ormai chiaramente in mano ai Russi. Mamai che ha visto la disfatta del suo esercito, non può far altro che fuggire di gran corsa anche lui verso la steppa del sud.

I Russi lo inseguono finché possono e finché conviene, ma non vanno oltre il rio Mecià, per timore di finire in una zona sconosciuta e troppo lontana dal resto dell'armata per esser soccorsi nel caso peggiore. Per Mamai è finita, perché neanche i Lituani sono arrivati a dargli man forte. Ha saputo dai suoi esploratori che il principe Jagellone è rimasto attestato, a poche decine di chilometri dal Pian delle Beccacce, ma non si è mai mosso.

Sembra che la ragione di questa improvvisa decisione lituana sia a seguito di una lite con Oleg di Rjazan. Giorni dopo riferiranno a Demetrio che hanno sentito Jagellone urlare contro Oleg:

"La Lituania non è mai stata presa in considerazione da Rjazan', ed io adesso dovrei unirmi a questo principe, perché mai? Che follia!"

E difatti Jagellone, appena ha udito che Mamai è in fuga, anche lui, al galoppo, se ne ritorna a Vilnius. L'importante per lui è che i Tatari non abbiano sconfinato nel suo territorio intorno a Kiev e a Smolensk. Inoltre, non vuole incontrare i Russi i quali, ormai riguadagnata la via del ritorno e imbaldanziti dalla vittoria, potrebbero rivolgersi contro di lui e batterlo pesantemente. Perciò, decide che è meglio tagliar la corda. E Oleg di Rjazan'? Rimane da solo e con pochi dei suoi e vorrebbe seguire Jagellone allo scopo di rifugiarsi in Lituania, ma, arrivato al confine del Principato di Smolensk, ha un ripensamento. Si ferma improvvisamente e dice ai suoi, secondo quanto racconta la tradizione:

"Voglio aspettare qui la notizia che il Gran Principe di Mosca sta attraversando i miei domini sul ritorno a Mosca e solo quando saprò che si è rinchiuso nel suo Cremlino, ritornerò a Rjazan'."

Logicamente avrà pensato, se in Lituania non lo accogliessero, che farebbe senza terre e alleanze? E' meglio attendere che Mosca celebri la sua vittoria. Di certo nell'euforia dei festeggiamenti nessuno penserà a delle ritorsioni contro di lui, per la sua defezione dal campo di battaglia. Così, magari, potrà anche lui trarre miglior profitto dalla vittoria degli altri.

Veramente c'è anche un'altra versione tramandataci sui movimenti di questo principe e cioè che Oleg sia stato inviato proprio da Demetrio per fermare Jagellone, magari con la preghiera che costui desistesse dall'attaccare i Russi e che si schierasse contro l'infedele. Se è così, è per questo suo servigio, infatti, che Oleg può ora ritornare nelle sue terre. Sarebbe la dovuta ricompensa, dato che Mosca ha vinto.

Quella che sia la verità, questo Oleg di Rjazan' appare come un opportunista senza pari! Intanto a Pian delle Beccacce, si cominciano a contare le perdite. Tutti però chiedono: dov'è Demetrio? Nessuno lo sa e non si vede. Non l'avevano avvisato di mettersi al centro dell'armata per evitare di essere ucciso al primo scontro? Lui, no! Si era mescolato coi suoi, proprio nell'avanguardia svestendosi delle proprie insegne, e gettato nella mischia. Qualcuno riferisce che era stato ferito proprio quando era andato all'attacco e pesantemente ferito fra gli altri cadaveri. Non appena i Russi ritornano dall'inseguimento dei tatari in fuga, si dà fiato alle trombe per il raduno dei superstiti e si comanda di cercarlo, almeno per poterlo seppellire con onore, mentre si contano i vivi e i morti e si controlla quali siano i feriti ancora curabili e quali invece, intrasportabili, da lasciare sul campo.

Le insegne sono state di nuovo piantate ritte nel suolo. Anzi, un gonfalone svetta più alto degli altri: la santissima icona a doppia faccia (cioè dipinta dai due lati) della Madonna del Don, regalata a Demetrio, si racconta, dai Russi di quelle parti, poco prima di mettersi in marcia!

Intanto, trapela qualche notizia sull'identità dei caduti: fra i morti ci sono il portainsegne di Demetrio, Michele Brenko, Nicola Veljaminov, quaranta giovani bojari moscoviti, dodici principi di Lago Bianco e una decina di bojari novgorodesi e.. in tutto 12 principi e 483 bojari!

Nel frattempo, i grandi eroi che potrebbero già essere immediatamente acclamati in trionfo sono Vladimiro di Serpukhov e il grande Bobrok che hanno davvero risolto la battaglia a favore dei russi. I numeri poi sono quelli che sono: 40 mila armati soltanto sono ancora in condizioni di proseguire il cammino con le proprie forze Più di due terzi dell'armata è andata perduta e il principe di Mosca stesso è ancora disteso su una barella, praticamente inerte.

Demetrio, infatti, è stato appena ritrovato. Era sotto i rami di un albero cadutogli addosso. E' gravemente ferito e coperto di sangue per i colpi di spada infertigli. E' lavato ed aiutato a ritornare in sé, per apparire di nuovo in pubblico. Non appena si riprende, tutti gli astanti gli gridano: "Sire! Abbiamo vinto!"

E' vero hanno vinto, anzi alcuni dei generali stanno già discutendo su come fare ad attestarsi nella steppa per impedire ogni ritorno immediato di Mamai e già si prevedono compiti duri e difficili. Nel caso che Demetrio non sopravvivesse o non fosse in grado di comandare, chissà chi potrà riuscire a portarli a termine, dato che i figli di Demetrio sono ancora molto piccoli. Una cosa è ormai sulla bocca di tutti: la necessità di chiudere al più presto e per sempre la partita coi Tatari.

Non ci sarebbe molto di notevole dopo questa vittoria, oltre al magro bottino lasciato da Mamai sul campo, se non si tenessero presenti i seguenti punti:

Quelli i punti notevoli, ma ce ne sono altri, questi più strani. Se rileggiamo gli avvenimenti fin qui raccontati siamo subito attratti da alcune incongruenze molto misteriose. Ci sono dunque parecchie ombre intorno alla Battaglia del Pian delle Beccacce e ci è sorto il sospetto che le Cronache abbiamo creato un personaggio, che in realtà non è mai esistito ed una battaglia che così importante non è stata mai.

Vogliamo qui ricordare che le Cronache che parlano della Battaglia di Pian delle Beccacce, sono molto tarde e sembrano costruite in modo tale da far apparire uno scontro insignificante coi Tatari come un enorme conflitto. I numeri stessi sono gonfiati e ci siamo chiesti anche: quale principe russo avrebbe partecipato sapendo bene che non si espugnavano città e che quindi non c'era bottino da spartirsi? Ed inoltre: i Russi erano famosi per le loro qualità militari navigando per i fiumi più che sulla terra, e allora come mai ci si avventura con fanti e cavalli in terreno paludoso come quello di Pian delle Beccacce? E come mai i Genovesi, pur avendo partecipato alla battaglia, non la ricordano fra gli eventi notevoli del loro Oriente?

In definitiva siamo titubanti ad ammettere che Pian delle Beccacce abbia veramente avuto la valenza che il Cronografo ha attribuito ad essa e che invece sia una grossa mistificazione voluta dalla Chiesa Russa per confermare il ruolo di Mosca nella regione della Bassa, contro Tver e la Lituania.

Tratto da PIAN DELLE BECCACCE, Athena ediz. Poggiardo 2005
con encomio di S.S. Alessio II, Patriarca in vita di tutte le Russie
© di ALDO C. MARTURANO
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