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La battaglia sul fiume Kalka
di Aldo C. Marturano ©
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Questa battaglia fu l'ultima impresa disperata di Kiev per ferimare i Tatari che avanzavano dalle steppe dell'Est e prelude alla caduta di Kiev nel 1240 e il dilagare dei Tatari (conosciuti in Occidente come Mongoli o Tartari) in Europa.

Subedei e Gebe, assaltano la Georgia, passano il Kura, il fiume di Tbilisi, capitale di questo sfortunato regno cristiano, e giungono sotto Derbent (nelle vicinanze dell'odierna Bakù). In questa occasione Alani e Circassi (nelle Cronache sono chiamati rispettivamente Jasi e Kasoghi), venuti a sapere della terribile minaccia che sta per valicare il massiccio del Caucaso, cercano immediatamente di far lega coi vicini Polovzi e insieme a loro e ai locali abitanti delle montagne, a forze unite, tentano d'impedire il passaggio e interrompere la marcia ai Tatari.

I generali tatari però avevano accumulato abbastanza informazioni ed esperienze e conoscevano bene la debolezza soprattutto degli Alani e così, dopo una battaglia senza esito, ricorsero agli stratagemmi soliti. Mandarono dei messi ai Polovzi promettendo loro che se fossero diventati alleati, nessuno avrebbe fatto loro del male, ma che lasciassero Alani e Circassi a sbrigarsela da soli. Naturalmente le proposte erano accompagnate da ricchissimi doni e impegni formali a lasciare ai Polovzi il saccheggio di qualsiasi città o villaggio che fosse stato conquistato nella steppa dai Tatari. Costoro, inorgogliti dalle parole e soprattutto abbagliati dai regali e dalle promesse dei messi tatari, abbandonarono i loro alleati al loro destino e si ritirarono nelle loro steppe in attesa. Lo scopo di Subedei (Gebe era rimasto in retroguardia) era però quello di riuscire a guadagnare tempo per riportarsi al più presto sulle pianure coi suoi cavalli e i suoi armati in modo da poter così ritornare alla tattica militare abituale che li aveva portati alla vittoria fino a quel momento.

L'impresa riuscì e i Tatari, giunti nella steppa e rimessisi a loro agio in sella ai cavalli, ripresero le razzie in tutti i villaggi che incontravano, senza alcun ritegno. Naturalmente i Polovzi non stettero a guardare che ci si prendesse gioco di loro e ci furono pesanti scontri che però finirono con la sconfitta di questi ultimi. Ricordiamo qui, per provare che i Polovzi erano ormai avviati verso una completa russificazione e sedentarizzazione, che il figlio di Kobjak si chiamava Daniele e quello di Konciak, Giorgio, e perciò erano battezzati quando morirono, proprio nelle suddette battaglie. Tutte queste notizie giunsero sino alle orecchie dei Cronachisti russi che scrissero:

"Nell'anno 6732 (è il computo degli anni secondo lo stile bizantino e corrisponde al nostro 1223-1224 d. C.)... a causa dei nostri peccati, sono giunti dei pagani (nel testo si dice "figli di Agar" ossia della schiava di Abramo che aveva generato gli Arabi) sconosciuti. Nessuno sa bene chi siano e da dove provengano, nè che lingua parlino nè di che stirpe siano o quale sia la loro fede. Li chiamano tatari, ma altri li chiamano tauromeni e altri peceneghi. Altri ancora, fra cui il vescovo di Patara, Metodio, attestano che costoro sono usciti dal deserto di Jetreb... Dio solo sa chi siano e da dove vengono. I saggi, coloro che sanno interpretare i libri sanno bene chi sono, noi però lo ignoriamo e, affinché i principi russi lo ricordino, abbiamo qui scritto di loro e delle disgrazie che sono capitate ai principi per causa loro. Abbiamo infatti saputo che hanno conquistato le terre di molte genti..."

E vediamo allora la situazione intorno a Kiev in quel periodo. Abbiamo lasciato il nuovo Velikii Knjaz Mstislav, figlio di Romano di Smolensk, mentre nel 1219 a Galic', chiamato dai bojari locali, succedeva un altro Mstislav detto l'Ardito, figlio di Mstislav il Coraggioso. Il già defunto Coraggioso a sua volta era lo zio di Mstislav di Kiev. Purtroppo, come il nostro lettore avrà notato, il ripetersi dei nomi di famiglia fra i Rjurikidi porta in questi anni ad avere molti parenti con lo stesso nome. Non possiamo farci nulla e bisognerà perciò fare attenzione a non causare confusione fra i diversi personaggi che incontreremo in questo nostro racconto, ricorrendo ai soprannomi.

Mstislav di Galic' (l'Ardito) era sposato con una figlia del khan Kotjan e quando dagli spalti della città fu annunciato che lungo il Dnestr era stato avvistato proprio il khan con i suoi "non in assetto di guerra", si pensò immediatamente che i Polovzi fossero venuti a chiedere aiuto per qualche loro problema urgente. Kotjan portava con sé varii doni per suo genero e ragazzi e ragazze per i bojari della città. Infatti, sapeva bene come andavano le cose a Galic' dove il principe non decideva alcunché senza l'approvazione dei bojari locali! Solo se questi potenti lo avessero bene accolto, avrebbe potuto parlare con Mstislav ed esporgli i suoi guai! Tutto andò per il verso giusto e finalmente il consiglio presieduto dal knjaz si riunì e il khan poté spiegare la ragione della sua visita.

Naturalmente è ascoltato con benevolenza e in parte pure creduto, quando racconta quel che è successo giorni or sono negli scontri con i Tatari, ma quando poi spiega che è qui per chiedere aiuto perché sa che i Tatari muoveranno presto verso occidente e quindi verso il Dnepr, sarà lo stesso Mstislav a cercare in tutti i modi di ridimensionare le esagerate paure del suocero. Comunque che stia tranquillo, Kotjan! Si aspetterà la fine dell'inverno e subito dopo si intraprenderà qualche azione. Così ha deciso il Consiglio di Galic'! Kotjan dunque deve subire l'affronto di vedere ancora per un po' i Tatari svernare nelle sue terre e addirittura non poter impedire che persino la sua Crimea venga devastata e che Soldaja venga assediata, espugnata e saccheggiata. Subedei con queste sue azioni cerca in realtà di rendersi conto della situazione nella steppa e saggiare le difese dei Polovzi e addirittura si avvicina così al Vallo Serpentino.

Queste notizie giungono a Mstislav di Galic' il quale, ormai convinto dell'emergenza, chiama Kotjan e con l'approvazione dei bojari si reca subito a Kiev insieme ai doni (dei Polovzi) necessari per essere ascoltati dal Velikii knjaz. Costui non crede che la faccenda sia così grave e urgente, ma Mstislav di Galic' insiste e dopo molti discorsi finalmente si indice una nuova assemblea dei principi più importanti delle Terre Russe intorno a Kiev. A presiedere, com'è la regola, è il Velikii knjaz di Kiev, Mstislav figlio di Romano. E' presente Mstislav di Galic', figlio di Mstislav il Coraggioso, e con lui c'è anche Mstislav di Cerni'gov, figlio di Svjatoslav, e infine Mstislav detto il Muto di Volynia, oltre a Kotjan e i suoi alleati e gli altri khan parenti. Con insistenza i Polovzi chiedono la formazione di una lega comune contro i Tatari, sottolineando che, se i Russi non li aiutano, i Polovzi oggi saranno certamente battuti, ma domani toccherebbe a Kiev e agli altri udel subire la stessa sorte. Ancora una volta Kotjan tira fuori i cavalli della steppa, famosi per la loro resistenza, i maestosi cammelli bactriani ed altri animali d'allevamento, ma soprattutto fa sfilare le tante ragazze da servizio.. per convincere i Russi! Addirittura uno dei khan del gruppo si fa battezzare proprio in quell'occasione!

Mstislav di Galic' naturalmente perorò per la sua parte quanto Kotjan e i suoi richiedevano e alla fine sembrò che gli elementi per prepararsi con diligenza allo scontro con questi famigerati Tatari ci fossero proprio tutti. E così fu deciso: Si sarebbe andati tutti insieme contro i Tatari! Anzi, si sarebbe richiesta anche la partecipazione del principe di Suzdal che sembrava da tempo non essere più interessato alle faccende di Kiev. Suzdal, infatti, rispose, ma con poco entusiasmo e, mentre da Rostov-la-Grande fu destinato il suo principe con la druzhina, la vicina Rjazan' si rifiutò.

Tutto, in definitiva, era pronto verso la fine di aprile dell'anno 1223. Il punto di concentramento degli armati fu una cittadina della riva destra del Dnepr vicino ad Olesce, presso la cosiddetta Isola del Variago. Di qui si guadò e poi gli armati continuarono a piedi per dirigersi a Perejaslavl, lasciando che la cavalleria, invece, giungesse via terra. Riassumendo, c'erano dunque le forze di Kiev, di Smolensk, di Cernìgov, di Novgorod dei Severiani, della Volynia e della Galizia e, con grande sopresa di tutti e quale prova che i Tatari erano molto vicini.. si fecero annunciare persino i messi di Subedei! Costoro avevano ricevuto istruzioni precise suggerite dalle circostanze di cercare di dividere gli alleati e soprattutto tentavano di sapere quanti erano gli armati e che armi avevano e di raccogliere qualsiasi altra informazione militare utile. Le Cronache riportano le loro parole:

"Abbiamo saputo che state preparandovi a intervenire armati contro di noi, benché noi non abbiamo mai occupato le vostre terre, ma solo quelle dei Polovzi che sono nostri cavalieri e soggetti. Facciamo quindi la pace. Noi non abbiamo intenzione di attaccarvi. Abbianmo anche saputo che i Polovzi vi hanno sempre causato grossi guai e allora, di quelli che sono ricorsi a voi, perché non vi prendete terre e proprietà e non li cacciate via?"

Naturalmente gli alleati non si fecero convincere e rimandarono i Tatari senza alcuna risposta particolare. Una cosa importantissima non fu registrata dai Russi e questo fu il loro più grande errore: i Tatari avevano ormai capito che la grande e ricca Rus' di Kiev aveva due centri nevralgici: Kiev, il centro politico, e Novgorod la Grande! Occorreva prima di tutto abbattere il centro politico, mentre il centro economico sarebbe stato un obiettivo secondario, dato che lo si poteva controllare già dalle vie d'acqua che esso sfruttava per i commerci. Questo dunque fu il piano sul quale si stavano concentrando i Tatari a dispetto della miopia di Kiev.

E così, come se questa fosse stata una spedizione contro i soliti nomadi della steppa, la faccenda fu condotta nella massima calma. Si aspettò ancora un momento gli armati a piedi dalla Galizia che arrivarono giusto in tempo dopo essere discesi lungo il Dnestr e aver risalito il Dnepr fino all'isola di Hortiza sulle barche, vicino alle rapide. Anche i Cappelli Neri arrivarono e, finalmente, ci si mise in cammino verso sud.

In avanscoperta erano stati mandati intanto i principi più giovani con altri uomini per cercare di conoscere, seguendo non visti i messi tatari, la consistenza e l'armamento del nemico. Al ritorno questi raccontarono che a loro i Tatari erano sembrati talmente inferiori da essere addirittura dal punto di vista militare peggio dei Polovzi. Solo uno degli esploratori, più vecchio e più esperto, avvertì al contrario che a lui sembravano essere dei buonissimi cavallerizzi e degli arcieri formidabili.

Già lungo la confluenza del fiume Hortiza col Dnepr ci fu il primo avvistamento dei Tatari. Non essendoci un comando unificato, il giovane Danilo di Volynia decise senza consultarsi con Mstislav di attraversare il Dnepr e si lanciò all'attacco. I Tatari secondo la loro solita tattica mostrarono di fuggire tirandosi dietro i russi. A questo punto, affinché non lo si accusasse di codardia, Mstislav di Galic' seguì il nipote e dopo un lungo inseguimento riuscirono insieme ad avere uno scontro frontale con l'avanguardia tatara la quale si fece facilmente battere. Con questo primo apparente successo gli armati alleati diressero verso sudest dove presumibilmente avrebbero incontrato il grosso delle truppe nemiche. Con una marcia di circa dieci giorni giunsero così sulle rive del fiume Kalka (l'odierno Kaliec).

Nessun nemico era in vista e così quando tutti gli armati si raccolsero, si fece consiglio. Il Velikii knjaz era per attestarsi in quella posizione e attendere il nemico, mentre Mstislav di Galic' era per continuare la ricognizione e stanare il nemico. A questo punto Mstislav di Kiev si attestò su un'altura che dominava il fiume e si organizzò per l'attesa, come aveva deciso sin dall'inizio, mentre Mstislav di Galic' e gli altri alleati, sicuri della presenza dei Tatari sulla riva opposta, decisero di attraversare il fiume e di ingaggiare battaglia. Nel frattempo si lasciò che Danilo e il khan Jarun coi loro uomini tenessero occupati i Tatari con le loro scaramucce, non appena questi si facessero vivi.

I Tatari, infatti, erano lì e facilmente circondarono gli armati dei due sopradetti, mentre accorrevano anche gli altri principi russi. Lo scontro fu terribile e i Polovzi com'era loro costume, appena videro che stavano perdendo troppe forze, rinunciarono e fuggirono. Ciò sparse il panico nelle file degli alleati russi che si trovarono improvvisamente il nemico da tutti i lati e, giacchè questo prevaleva per il suo numero molto grande, le sorti della battaglia non erano molto favorevoli.

La battaglia comunque proseguì per tre giorni quasi senza interruzione tanto che Subedei, sempre accorto a non sprecare inutilmente forze in una regione a lui ostile, chiese una tregua. Il generale tataro aveva, infatti, notato che una parte di russi si trovava sull'altura e questi avrebbero potuto essere pericolosi. Mandò così da questi il suo messo che annunciò che Subedei aveva deciso di interrompere lo scontro e che avrebbe lasciato che Mstislav di Kiev se ne tornasse incolume coi suoi, se la sua partecipazione alla guerra si fosse fermata qui. Mstislav, avendo visto i tanti morti delle druzhine russe, pensò bene di salvare almeno la propria e acconsentì a ritirarsi.

Naturalmente, invece che lasciato andare, fu assalito dai Tatari e sbaragliato del tutto. I Tatari non avendo alcun bottino da fare, eccetto cadaveri e carcasse, lasciarono il campo e si allontanarono verso sudest, mentre gli alleati si ritrovarono in fuga a contare i loro morti e ad accusarsi vicendevolmente dell'insuccesso. Mstislav di Cernìgov cadde in battaglia, Mstislav di Galic' insieme con Mstislav il Muto e Danilo di Volynia riuscirono a raggiungere le loro barche che fecero subito bruciare dopo essere giunti sull'altra riva per non correre il rischio di essere inseguiti ed infine Mstislav di Kiev rimase ucciso nella mischia dei fuggitivi.

Per quanto riguarda i Tatari, continuando la loro marcia verso est, si scontrarono prima coi Bulgari del Volga battendoli senza grossi problemi, dopodiché proseguirono oltre il Jaik per ricongiungersi con il grosso dell'armata oltre il Caspio, nella steppa poco a nord del Khwarismshah. E possiamo immaginarci i visi e i cuori dei russi sopravvissuti alla cocente sconfitta mentre ritornavano lungo la riva sinistra del Dnepr.

Tratto da: RASDRABLIENIE, Atena 2006, © di ALDO C. MARTURANO
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