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L'ultimo cavaliere - Gordon Pascià nel Sudan
di Gianni Rapetti ©
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Il grande albero era ancora là, sulla riva del Nilo, ma tutto il resto era irriconoscibile. Del palazzo bianco del Pascià di Khartum rimanevano poche rovine annerite mentre il giardino era ormai ridotto ad un roveto impenetrabile. Davanti alle truppe in divisa kaki irrigidite nel "presentat-arm", l'Union Jack ed il vessillo rosso del Khedivè d'Egitto si alzavano al suono dei rispettivi inni nazionali.

Quando la banda dell' 11º reggimento di fanteria sudanese intonò le prime note di "Abide With Me" (Resta con me), l'inno favorito di Gordon Pascià, i testimoni raccontano che persino la dura scorza del generale Horatio Herbert Kitchener si sciolse un poco e il suo volto intagliato nel legno si rigò di lacrime.

Era il 4 settembre 1898. Due giorni prima, poche miglia a ovest, nei pressi Omdurman, le truppe anglo-egiziane e le mitragliatrici Maxim avevano distrutto l'esercito di Abdullahi il Khalifa, successore del leader fondamentalista islamico Mohammed Ahmad, il Mahdi. Insieme alle bandiere nere e verdi, sulla piana di Kerreri giacevano ancora i corpi di 20.000 dervisci tra morti e feriti. La Pax Britannica era stata ripristinata nelle terre desertiche del Sudan e la minaccia dell'integralismo era stata, per il momento, stornata. Kitchener, il vendicatore, stava finalmente liberando la coscienza della Nazione dal peso della tragica uccisione di Gordon, rimasta impunita per 13 anni.

Mentre l'inno religioso volgeva al termine, in quello che era stato il giardino del Pascià bianco di Equatoria, Kitchener pensò che la vendetta non era ancora completa. Si recò al mausoleo che i seguaci avevano eretto sulla tomba del Mahdi, ordinò che fosse raso al suolo, fece riesumare i resti del nemico mortale dell'Impero e li fece disperdere nel grande fiume. Conservò per sé il teschio, come macabro trofeo di guerra, per servire da serbatoio per l'inchiostro sulla sua scrivania da campo.

Nella prima metà dell'Ottocento l'Egitto aveva conosciuto una straordinaria espansione politica ed economica sotto la dinastia di Mohammed Alì, il militare di origine albanese che aveva preso il potere nel 1805 nell'ambito, almeno nominale, dell'Impero Ottomano.

Ammiratore dell'Occidente, Mohammed Alì avviò la modernizzazione del paese anche attraverso l'apertura a massicci investimenti europei soprattutto nelle infrastrutture. Gli inglesi vedevano in un Egitto amico la possibilità di accorciare la rotta da e verso l'India, dapprima via terra, con una ferrovia da Suez attraverso Il Cairo fino ad Alessandria. Poi furono i francesi ad iniziare i lavori di scavo del canale negli anni 1860. Quando Ismail, nipote di Mohammed Alì e ora autoproclamatosi Khedivè (dal persiano antico, re), inaugurò il canale di Suez nel 1869, l'Egitto non divenne un nuovo stato dell'Europa, come affermava orgogliosamente il suo sovrano. La società che gestiva il canale era in mano agli investitori di Londra e Parigi; i debiti accumulati per la costruzione di ferrovie lungo il Nilo alimentavano una spirale che strangolava le casse statali; inoltre la ripresa delle esportazioni americane di cotone dopo la fine della Guerra Civile metteva in crisi la principale risorsa del paese. Abilissimo uomo di pubbliche relazioni, Ismail si era circondato di consiglieri economici e militari occidentali ed invitava personalmente i ricchi passeggeri europei delle navi in transito a Suez ed Alessandria, sperando di attirare gli investimenti stranieri.

Tuttavia le difficoltà economiche non fermavano le ambizioni imperialistiche del Khedivè verso il Sudan e il Centrafrica, le terre dell'avorio e dei mercanti di schiavi. L'appoggio politico britannico era indispensabile per questa operazione, visto che nel palazzo del Cairo e nell'esercito egiziano gli schiavi si contavano a migliaia. Ismail abbracciò, più o meno sinceramente, la causa della lotta alla schiavitù, e scelse un condottiero senza macchia e senza paura che potesse dare corpo alla speranza di Livingstone, aprire l'Africa al commercio e far cessare il traffico di uomini.

Figlio di un generale, Charles Gordon naque a Woolwich, presso Londra, il 28 gennaio 1833. A 19 anni entrò nei Royal Engineers come sottotenente e partecipò alla Guerra in Crimea. Nel 1860 avvenne la svolta della sua carriera militare. Venne inviato in Cina dove comandò le truppe anglo-francesi che parteciparono alla liberazione di Pechino durante la seconda guerra dell'oppio. Grazie alla fama acquisita sul campo, l'imperatore cinese gli chiese di condurre un'armata di contadini e irregolari contro il movimento nazionalista T'ai-p'ing, che aveva creato un potere autonomo nelle regioni intorno a Nanchino. Le imprese di questo "Esercito Sempre Vittorioso" fruttarono a Gordon la nomina a mandarino di prima classe.

Gordon "il Cinese" era ormai diventato lo stereotipo dell'eroe coloniale britannico, profondamente cristiano e patriottico, una vera e propria icona dell'Impero Vittoriano, capace, con il suo rigore morale protestante, di cancellare le fosche imprese di molti avventurieri senza scrupoli che percorrevano i domini di Sua Maestà.

Il colonnello Gordon prese servizio come governatore della provincia di Equatoria nel 1873 con il preciso mandato di eliminare il traffico di schiavi dalla regione ed espandere l'impero egiziano fino alla zona dei Grandi Laghi. Dalla capitale di Equatoria, Gondokoro (nei pressi dell'odierna Juba), Gordon cercò di risalire ulteriormente il Nilo, anche a costo di far trasportare dai soldati sudanesi il suo battello, il Khedivè, attraverso le cataratte del fiume. La determinazione nel portare a termine questa missione aveva qualcosa di mistico. Ed infatti Gordon, che non mancava di citare fatti e personaggi della Bibbia nelle lettere che inviava ai suoi familiari, si sentiva portatore di quella civiltà che, sotto forma di libero commercio, avrebbe migliorato le condizioni di vita dei neri sudanesi e li avrebbe liberati dalla paura della schiavitù. A dire la verità, ripensando ai rapaci funzionari egiziani che calavano a sud ogni volta che veniva fondata una nuova stazione commerciale lungo il Nilo, Gordon era assalito da più di un dubbio sulla limpidezza della sua missione. Scoraggiato dal fallimento dei contatti con il re Mtesa di Buganda (pressappoco l'odierno Uganda), e convinto che Dio stesso alimentasse i suoi dubbi, Gordon rientrò al Cairo per rinunciare all'incarico.

Nel 1876 la pressione dei debiti costrinse Ismail a dichiarare la bancarotta. Francia e Inghilterra istituirono la Caisse de la Dette Publique, un organismo internazionale che doveva controllare le finanze egiziane per garantire il pagamento degli interessi agli investitori europei. Di fatto lo stato egiziano era stato commissariato dagli stranieri. Gordon era deciso a rassegnare le dimissioni. Le contraddizioni del regime egiziano e la sua corruzione lo avevano profondamente deluso. Ma era ancora convinto di poter eliminare il commercio di schiavi dal Sudan se solo avesse avuto pieni poteri nell'intera regione. Ismail lo nominò governatore generale e Gordon si recò subito a Khartum, la sua nuova capitale, per guidare la partita decisiva contro i trafficanti.

Zobeir Pascià era al tempo stesso il numero uno dei mercanti di schiavi e il governatore della provincia del Darfur. Gordon convinse il Khedivè a porlo agli arresti. Per tutta risposta, una furiosa ribellione si accese nelle provincie sudanesi, guidata proprio dal figlio ventenne di Zobeir, Suleiman. La repressione della rivolta, condotta da Gordon e dal suo luogotenente, Romolo Gessi, fu feroce. A farne le spese furono proprio le decine di migliaia di schiavi che venivano coinvolti nei combattimenti o abbandonati nel deserto dai mercanti in fuga. Tutti gli sforzi sembravano vani e Gordon era preda di profonde crisi depressive. Nessuno avrebbe potuto portare la civiltà in quelle regioni e il senso d'impotenza lo faceva desiderare la morte. Mutava umore come cambiava vestito e passava da momenti di nera disperazione a fasi di esaltazione maniacale. "Sono come il fuoco", diceva, "e calo sui miei nemici come un dardo". A volte stava in silenzio per giorni interi, altre volte si lanciava in furiose corse solitarie con il cammello nel deserto, arricchendo la sua leggenda di nuovi particolari.

Nel luglio 1879 Gessi catturò e giustiziò Suleiman. La rivolta era finalmente domata, ma le piste nel deserto erano punteggiate da scheletri e resti umani. Il prezzo della vittoria era stato pagato anche da donne e bambini innocenti.

Intanto il Khedivè continuava a destreggiarsi tra le pressioni delle potenze europee e il risentimento delle classi medie egiziane, specialmente degli ufficiali dell'esercito, nei confronti dell'ingerenza straniera. Nel febbraio 1879, Ismail pensò di sfruttare una piccola rivolta militare contro il Primo Ministro, il cristiano armeno Nubar Pascià, per riprendere il pieno controllo del paese. Ma era un'alleanza impossibile quella tra un rappresentante dell'odiata élite turca, che aveva "venduto" il paese agli stranieri, e la casta militare egiziana costretta a subire umiliazioni per decenni. Il rischioso gioco del Khedivè venne scoperto e Ismail fu costretto ad abdicare.

Ormai definitivamente disilluso sulle possibilità dell'Egitto di governare il suo mini-impero sudanese con giustizia ed equità, Gordon rassegnò le dimissioni nelle mani del giovane figlio e successore di Ismail, Tewfik, il 23 agosto 1879. L'incontro tra i due fu sereno e alla fine entrambi sembrarono più sollevati. Londra pensò di potersi servire ancora del carisma del missionario-guerriero e Gordon, ora non più "il Cinese", bensì il "Pascià", venne inviato in missione diplomatica in Abissinia, India, Cina, Mauritius e Sudafrica.

Nel frattempo il risentimento delle popolazioni locali per le umiliazioni subite dalle potenze europee non era finito con il dominio di Ismail. Nel giugno 1881, un oscuro eremita di Dongola, Mohammed Ahmed, si proclamò il Mahdi, il Guidato, e lanciò la jihad per ripristinare la purezza della fede islamica nelle province del Sudan sottoposte alla corrotta dominazione egiziana. La risposta dei sudanesi fu al di sopra delle sue aspettative. La repressione del commercio degli schiavi operata da Gordon aveva provocato risentimento tra i mercanti musulmani che per secoli avevano vissuto di quel traffico. I pastori del Kordofan mal sopportavano il pesantissimo regime fiscale egiziano. Infine tutti i fedeli musulmani erano scandalizzati sia dalla presenza di numerosi infedeli tra gli amministratori governativi, sia dalla scarsa osservanza del Corano da parte dei funzionari turchi ed egiziani. In breve tempo la bandiera nera della rivolta incendiò tutto il Sudan e non solo.

Nel settembre 1881 una sollevazione dei quadri dell'esercito, un episodio drammaticamente ricorrente nella storia di quel paese, tentò di restituire l'Egitto agli egiziani. Ci furono massacri di europei e assalti alle loro proprietà e dovette intervenire un corpo di spedizione al comando del generale Garnet Wolseley per ristabilire lo status quo. Ora di fatto alla guida del paese, gli inglesi cercarono di riguadagnare il controllo del Sudan, ma il 5 novembre 1883, un'armata di 10.000 soldati egiziani, al comando del generale britannico Hicks Pascià, venne completamente distrutta ad El Obeid dall'esercito del Mahdi. Il premier inglese William Gladstone decise, in accordo con il suo ministro al Cairo, sir Evelyn Baring, di abbandonare per il momento i sogni imperiali nel Sudan e di evacuare immediatamente tutte le guarnigioni egiziane sopravvissute. Il Khedivè, ormai completamente esautorato dal potere non poté fare altro che avvallare la decisione.

Per un'impresa che appariva disperata ai più, occorreva un eroe "ispirato e pazzo", come lo aveva definito Gladstone: il generale Charles Gordon.

Il 18 gennaio 1884, Gordon lasciò Londra e, un mese dopo, giunse a Khartum a bordo del suo battello, il Tewfikieh, salutato dalla folla esultante. Verso la metà di marzo, dopo solo tre settimane dal suo arrivo, un primo gruppo di 4.000 dervisci occupò Halfaya e tagliò i fili del telegrafo. Nessun messaggio poté più raggiungere il Cairo e di Gordon Pascià non si ebbero più notizie per diversi mesi.

Khartum contava allora 34.000 abitanti, compresi gli 8.000 soldati egiziani che dovevano difenderla. Insieme ai suoi collaboratori, il tenente colonnello inglese Stewart e l'egiziano Mohammed Alì Pascià, Gordon aveva organizzato la difesa. Dato che la città sorgeva su una penisola alla confluenza del Nilo Bianco con il Nilo Azzurro, era stata scavata una trincea fortificata lunga 10 chilometri che univa i due fiumi, per prevenire attacchi dalla terraferma. Alcune ridotte erano state costruite nella vicina Omdurman e sulla rive opposte al centro abitato. Il controllo delle vie d'acqua era assicurato da una eterogenea flottiglia di otto battelli, armati con i pochi pezzi disponibili e corazzati con materiali di fortuna. Il pericolo, però poteva venire dai banchi di sabbia che sarebbero emersi nella stagione secca.

Da una rapida stima risultò che le scorte alimentari sarebbero bastate fino al mese di settembre. Gordon pensava che una colonna di soccorso sarebbe giunta in tempo, ma, non volendo rimanere con le mani in mano, e visto che il grosso dell'esercito del Mahdi ancora non compariva, decise di adottare una strategia di difesa attiva. Iniziò una serie di veloci raids oltre le linee nemiche per procurarsi cibo e munizioni.

Intanto, i brevi e saltuari messaggi che Gordon era riuscito a far arrivare al Cairo, tramite coraggiosi corrieri, non erano riusciti a scuotere l'imperturbabilità di Baring e Gladstone. Entrambi avevano la sensazione che si volesse trascinare l'Inghilterra in una avventura dai grandi rischi e dagli scarsi vantaggi e non capivano, o fingevano di non capire, la drammaticità della situazione a Khartum. La fama di Gordon venne allora in suo aiuto. Infatti, la pressione dei quotidiani inglesi sul governo perché organizzasse una spedizione di salvataggio era fortissima. Gladstone fu costretto a cedere all'opinione pubblica e nell'agosto 1884 il generale Wolseley fu incaricato di guidare l'operazione.

Nello stesso mese, grazie alla piena del Nilo, si moltiplicavano i successi delle incursioni contro i dervisci. La flottiglia di Mohammed Alì trasportava la fanteria e copriva le rapide azioni di truppe a cavallo o cammellate che agivano sulla riva e, alla fine, trasportava il bottino nella città assediata. Ora Gordon e i suoi si sentivano così sicuri che pensavano di rompere l'assedio con le loro forze. E commisero un errore fatale. Mohammed Alì, d'accordo con il suo comandante, volle spingersi fino a El Ilafun, un villaggio situato a 30 chilometri dal Nilo, all'interno di una zona boscosa ma ricca di grano, olio e caffè. Il giorno seguente i quattro battelli della flottiglia rientrarono a Khartum portando una tragica notizia: Mohammed Alì ed i suoi 1.000 uomini erano caduti in un'imboscata ed erano stati massacrati. La partita era di nuovo in mano al Mahdi, anche perché si avvicinavano le secche autunnali che avrebbero limitato la navigazione sul fiume. Gordon decise di inviare verso l'Egitto il più piccolo dei suoi battelli, l'Abbas, con Stewart, il console inglese, quello francese, alcuni civili europei ed una scorta di 50 soldati egiziani. Per dare ulteriore importanza alla missione, Gordon consegnò a Stewart l'unica copia del cifrario ufficiale del Foreign Office in suo possesso. Questa sorta di SOS vivente doveva discendere il fiume per incontrare gli eventuali soccorsi e trasmettere l'urgenza della situazione a Khartum. Nella notte del 9 settembre 1884, l'Abbas lasciò la città e sparì sbuffando nell'oscurità.

Un altro europeo stava cercando di fare qualcosa per liberare la città, ma questa volta all'insaputa di Gordon. Rudolf Slatin era un trentenne avventuriero e mercenario austriaco, ex-soldato dell'esercito imperiale ed ex-governatore della provincia di Darfur. Era stato sconfitto e catturato nei primi mesi della rivolta e, grazie all sua conversione all'Islam, era stato risparmiato dal Mahdi che ora lo teneva presso la sua corte con il nuovo nome di Abdul Kadir.

La notte del 14 ottobre 1884, mentre Gordon era convinto di veder arrivare da un momento all'altro le giubbe rosse di Wolseley comandate dal fido Stewart (era stato avvertito della vicinanza dei soccorsi dal messaggio di un giovane maggiore, Horatio Herbert Kitchener), e mentre l'armata del Mahdi era ad appena un giorno di marcia da Khartum, Kadir-Slatin venne convocato alla presenza del Guidato. Nell'oscurità della tenda il Mahdi lo ricevette con il suo sorriso ieratico, mostrando lo spazio tra i due incisivi superiori, segno di buona fortuna, almeno nel Sudan. Il leader della rivolta voleva l'aiuto del vecchio amico di Gordon per convincerlo ad arrendersi, e Slatin, accettò di fare da intermediario. Finalmente avrebbe avuto la sua grande occasione. Quella stessa notte scrisse una lettera in tedesco avvertendo Gordon della sua volontà di fuggire dalla prigionia e di fornire aiuto grazie alla profonda conoscenza dell'esercito derviscio. La lettera fu inoltrata a Khartum, ma la staffetta ritornò al campo senza risposta. Slatin scrisse una seconda missiva, ma anche questa volta Gordon rimase muto.

Egli non sarebbe mai venuto meno alla sua parola, nemmeno nei confronti del Mahdi, e quindi non avrebbe mai potuto dare la possibilità a Slatin di fuggire. Inoltre non gli aveva perdonato la sua abiura del Cristianesimo. Gordon avrebbe fatto a meno di lui. Prima che sorgesse l'alba del 15 ottobre, il Guidato, avendo intuito qualcosa, fece mettere Slatin ai ferri. La disperazione per essere stato ignorato dal suo vecchio amico si unì al dolore che gli provocavano le pesanti catene.

Qualche giorno dopo, il 22 ottobre, una solenne lettera recante il sigillo del Mahdi annunciò a Gordon la cattura dell'Abbas e l'uccisione dei suoi passeggeri. Questa notizia, unita agli attacchi sempre più frequenti portati dagli assedianti alle difese di Khartum, rendevano la situazione quasi disperata. Ma Gordon sarebbe stato ancora più preoccupato se avesse saputo cosa accadeva realmente nel campo di Wolseley, colui che avrebbe dovuto salvarlo.

I 10.000 soldati inglesi che verso metà novembre stavano ancora risalendo il Nilo tra Assuan e Wadi Halfa erano la quintessenza dell'esercito vittoriano. Ammassati sulla flottiglia di battelli o abbarbicati ai bizzosi cammelli, con le loro divise rosse, gli elmetti bianchi e gli occhialoni da sole blu, ancorchè pittoreschi, avrebbero sicuramente terrorizzato i selvaggi sudanesi, almeno così pensavano i loro comandanti. Ma sottovalutare il nemico non fu il solo errore di Wolseley. Alla più rischiosa e più breve rotta da Suakin, sul Mar Rosso, a Khartum, il generale aveva preferito la più sicura, ma infinitamente più lunga risalita del Nilo, in ferrovia fino ad Assyut, in battello fino a Wadi Halfa e in barca, alla maniera degli indiani canadesi, fino a destinazione. Alle difficoltà logistiche si aggiunse l'esagerata cautela di Wolseley che non volle nemmeno attraversare tratti di deserto per "tagliare" le anse del fiume, specie quella tra Korti e Metemma. Il comandante inglese non aveva capito che stava partecipando ad una gara di corsa e non ad una crociera sul Nilo. Il 17 novembre, mentre l'avanguardia cammellata, il Camel Corps, aspettava a Debba il grosso delle truppe che stavano risalendo il fiume, Wolseley ricevette nel suo campo a Wadi Halfa un "inglesissimo" messaggio di Gordon datato 4 novembre: "Possiamo resistere 40 giorni con facilità, dopo sarà difficile". Un ufficiale dello staff commentò ad un giornalista: "se Gordon dice che può resistere per sei settimane, significa che può farlo per sei mesi". Wolseley era assillato da mille preoccupazioni, ma quella di arrivare troppo tardi per salvare Khartum non sembrava nemmeno sfiorarlo. Non modificò di una virgola la sua strategia.

Il 2 gennaio 1885, un inviato da Khartum raccontò di combattimenti furiosi lungo il perimetro difensivo. Wolseley decise di inviare il Camel Corps attraverso il deserto da Korti a Metemma per stabilire un contatto diretto con Gordon via fiume, e conoscere così la reale situazione dell'assedio. L'8 gennaio Sir Herbert Stewart iniziò la sua marcia verso Metemma con una divisione della Naval Brigade, uno squadrone di ussari, una batteria di cannoni e i 1600 uomini e 2500 cammelli del Camel Corps. Della colonna faceva parte anche Charles Wilson, capo del servizio informazioni, che, da Metemma, avrebbe raggiunto Khartum in battello con un piccolo drappello di uomini.

Dopo una lenta marcia nel deserto durata dieci giorni, gli inglesi giunsero all'oasi di Abu Klea, l'ultima prima della loro destinazione finale. Quella notte, era il 18 gennaio, nel campo inglese si udirono i tamburi di guerra e la mattina dopo 10.000 dervisci attaccarono urlando. La battaglia fu un vero massacro, ma la carica coraggiosa ed indiscriminata dei mahdisti venne fermata dalla disciplina del quadrato inglese. In una seconda battaglia ad Abu Kru, trovò la morte lo stesso Stewart e Wilson, ora divenuto comandante, riuscì a giungere a Metemma solo alcuni giorni dopo. Il 21 gennaio, Wilson salpò per Khartum con il Bordein, che Gordon aveva inviato come ultima invocazione d'aiuto, e 20 soldati. Indossavano le giubbe rosse più ordinate che si erano potute trovare tra tutti i sopravvissuti alle due battaglie. Wilson non sapeva come riferire a Gordon che il grosso dei soccorsi sarebbe giunto non prima di marzo.

Nell'udire la notizia delle due sconfitte di Abu Klea e Abu Kru, il Mahdi e quasi tutti gli emiri pensarono di levare l'assedio e ritirarsi verso El Obeid. Ma presto si accorsero dell'esiguità della colonna di Stewart e Wilson. Il 26 gennaio, due ore prima dell'alba, il Mahdi diede l'ordine finale di attacco. Un parapetto fangoso all'estremità sud-occidentale della linea difensiva fu la breccia attraverso la quale si riversarono gli Ansar, gli Aiutanti, i fedeli soldati del Guidato.

La guarnigione poteva opporre ormai ben poca resistenza. Da metà gennaio le scorte alimentari erano finite e a Khartum si mangiava di tutto: cani, asini, topi, gomma e cuore di palma. La dissenteria toglieva le residue forze ed i soldati erano troppo deboli per reggersi in piedi. Gordon cercava di infondere coraggio e visitava le difese da un punto all'altro, ma quando i dervisci si riversarono in città fu come il rompersi di una diga. I soldati venivano massacrati e decapitati ritualmente, le donne violentate e spartite tra i razziatori come schiave, i civili torturati fin quando non rivelavano dove celavano oro e argento. Si stima che quel giorno, quando finalmente il Mahdi ordinò ai suoi uomini di sospendere il saccheggio, morirono quasi 4.000 civili e 6.000 soldati.

Due giorni dopo il Bordein giunse a Khartum e Wilson potè vedere con i suoi occhi le rovine ancora fumanti e migliaia di guerrieri urlanti assiepati sulle rive del Nilo. Il battello venne bersagliato da una pioggia di proiettili e riuscì a tornare indietro solo per miracolo. A Wilson spettò l'ingrato compito di comunicare al mondo la caduta di Khartum e la più che probabile morte del suo eroico difensore.

Nessuno saprà mai con certezza come morì Gordon Pascià. Un tale Bordeini Bey, mercante di Khartum e sedicente testimone oculare, raccontò che Gordon si era trincerato nel suo palazzo per farne l'ultima ridotta. Quando la massa urlante entrò nell'atrio, egli apparve sullo scalone che portava al primo piano, nello splendore della sua uniforme bianca di Pascià, la mano sulla spada che portava al fianco. I dervisci, superato un primo comprensibile momento di sorpresa, cominciarono ad avanzare cautamente su per la scala. Fu allora che una lancia, gettata da uno sconosciuto Ansar, trapassò da parte a parte il petto di Gordon. Mancava ancora un'ora all'alba del 26 gennaio 1885.

La sera di quello stesso giorno, Rudolf Slatin si trovava ancora prigioniero nel campo del Mahdi a Omdurman e poteva ancora sentire i rumori del saccheggio. L'entrata della sua tenda si aprì e due dervisci posarono un fagotto ai suoi piedi. Con attenzione il telo venne aperto e si scoprì la testa di un uomo bianco. I baffi erano già grigi e gli occhi azzurri e semi chiusi sembravano guardarlo. Slatin lo riconobbe immediatamente.

Un grido d'aiuto

Il diario autografo di Gordon venne inviato con il vapore Bordein verso Metemma il 14 dicembre 1884. Le ultime pagine di questa sorta di giornale dell'assedio sono un'ultima, disperata richiesta di aiuto.

13 dicembre 1884. Oggi è il duecentosettantaseiesimo giorno della nostra pena. I battelli salirono e attaccarono gli arabi a Bourrè (certamente questo ritardo ha un effetto depressivo su tutti). Invieremo il Bordein dopodomani e con il battello spedirò questo diario. Spedisco questo diario perché ho poche speranze di salvarlo se la città cadrà. Vi ho scritto una sorta di accordo che proporrei a Zobeir Pascià per il futuro governo del Sudan. Oggi gli arabi hanno sparato un solo colpo verso il palazzo da Goba, ma è esploso in aria.

14 dicembre 1884. Gli arabi hanno sparato due colpi verso il palazzo questa mattina.
10:30 am. I battelli punzecchiano gli arabi giù verso Omdurman, sono proprio come MOLLETTE !
11:30 am. I battelli sono rientrati; è stata colpita la batteria del Bordein. Invieremo il Bordein domani con questo diario. Se fossi al comando dei 200 uomini del corpo di spedizione, che sono tutto ciò che ci sarebbe necessario al momento, mi fermerei poco sotto Halfaya e attaccherei gli arabi in quel punto prima di venire qui a Khartum. Poi comunicherei con il Forte Nord a agirei secondo le circostanze. ORA PRENDETE NOTA DI QUESTO: se il corpo di spedizione - e chiedo non più di 200 uomini - non viene entro dieci giorni, la città potrebbe cadere.

Ho fatto del mio meglio per l'onore della nostra Patria. Addio.

Bibliografia

I seguenti testi sono presenti nel catalogo Tuttostoria:
228LG015 (23) Featherstone, Don, Khartoum 1885 - General Gordon's last stand, Great Battles Series, Osprey, Londra, 1993
228LG015 (29) Featherstone, Don, Omdurman 1898 - Kitchener's victory in the Sudan, Great Battles Series, Osprey, Londra, 1994
228H001 (59) Wilkinson-Latham, Robert, The Sudan Campaigns 1881-1898, Men-at-Arms Series, Osprey, Londra, 1976
228H001 (201) Barthorp, Michael, The British Army on Campaign (4): 1882-1902, Men-at-Arms Series, Osprey, Londra, 1988
282G095 Stevens, G.W., With Kitchener to Khartoum
280G036 Pollock, John, Kitchener - The Road to Omdurman
218G159 Bond, Brian, Victorian Military Campaigns
282G342 Knight, Ian, a cura di, Marching to the Drums
Pakenham, Thomas, The Scramble for Africa, George Weidenfeld & Nicolson, Londra, 1991 (non presente nel catalogo Tuttostoria)
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