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L'Esercito dei Re
di Omar Gatti ©
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Le modalità della nascita di Roma sono state discusse ed approfondite da innumerevoli studiosi nel corso dei secoli. Ancora oggi è difficile pronunciarsi sugli inizi di Roma, permeati di leggende e mitizzazioni. Inesistenti le fonti contemporanee agli eventi, vi sono gli scritti di Cicerone, Tito Livio o Dionigi di Alicarnasso, ma è lecito pensare che ci siano stati abbellimenti ed aggiunte varie atte a nobilitare i natali della città eterna. Molti documenti riguardanti la fondazione di Roma andarono distrutti durante il sacco gallico della città del 390 a.C. per cui anche gli annalisti di Roma hanno dovuto far riferimento alle leggende che circolavano. Questa mancanza di dati certi e plausibili ha costretto gli studiosi e gli archeologi a riferirsi ai reperti archeologici ritrovati durante gli scavi. Ma anche qui le cose si complicano perché le fonti numismatiche, simbolo dello sviluppo economico e culturale della città, sono praticamente inesistenti, visto che Roma non si dotò di un sistema monetario prima del III a.C.

Tra le numerose leggende che fiorirono attorno ai natali di Roma (quella di Romè, figlio di Telefo,a sua volta figlio di Eracle,c he avrebbe fatto di Roma una città etrusca, o quella di Romos, figlio di Ulisse, secondo cui la città sarebbe stata greca) la più famosa, e certamente la più bella, è quella che riguarda Enea, figlio di Anchise e di Venere, che scappato dalla città di Troia in fiamme trova rifugio sulle sponde del Lazio. Suo figlio Ascanio avrebbe successivamente fondato la città di Alba Longa. I suoi discendenti, Romolo e Remo, figli gemelli del dio Marte e di una vestale albana, abbandonati dal nonno dispotico, allattati da una lupa, avrebbero poi vendicato il loro abbandono uccidendo il nonno. Si sarebbero in seguito spostati da Alba Longa per fondare una nuova città. Dopo aver consultato gli oracoli che designarono Romolo come fondatore, ci fu un violento litigio tra i due e Romolo uccise il fratello Remo per averlo sfidato apertamente attraversando il segno da lui stesso tracciato come limite cittadino. Inizia così con un gesto di sangue la storia della città che dominerà il mondo. Secondo la tradizione era il 21 Aprile 753 a.C., ed i romani cominciarono ad enumerare i giorni da quella data utilizzando la formula Ab Urbe condita.

Una data così netta è certamente frutto di fantasia, perché Roma è il risultato di un processo lungo ed articolato, raggruppamenti di villaggi attorno ai sette colli (Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio, Palatino, Campidoglio, Aventino). Il posto era un crocevia dei commerci tra la Magna Grecia e l'Etruria, con il Tevere che offriva riparo e fertilità ai campi, rimanendo al di fuori della portata dei pirati che infestavano le coste tirrene e con l'isola Tiberina che garantiva protezione contro gli assedi e le invasioni. Anche Livio, nella sua Storia Romana, lo ha ben osservato:

Non senza ragione gli dei e gli uomini scelsero quel luogo per fondare la città: dei colli assai salubri, un fiume adatto per trasportare le biade dai paesi dell'interno e per ricevere merci dal mare, il mare vicino per offrire i suoi vantaggi, ma non esposto per troppa vicinanza alla minaccia di flotte nemiche, una posizione centrale dell'Italia, singolarmente propizia allo sviluppo della città.

Riscontri di ciò si hanno dagli scavi archeologici: sistemazioni di tombe, templi votivi e delle capanne dove viene indicata anche la casa di Romolo (casa Romuli). Si trovano anche i segni una prima cinta muraria che però lasciava esterni il Campidoglio, il Quirinale ed il Viminale. Questo quindi è il primo dato di fatto della storia militare romana: il piccolo villaggio di pastori doveva difendersi dagli assalti di villaggi vicini. Infatti delle sepolture rinvenute sui colli rimasti estranei alla cinta muraria hanno fatto venire alle luce corredi che contengono elmi, armi, scudi e anche dei carri da combattimento che indicano la presenza di un popolo estraneo a quello che inizialmente popolava Roma. Un popolo di guerrieri, che praticava il rito dell'inumazioni dei suoi signori della guerra con l'elemento più simbolico della loro gloria terrena: il carro da guerra. Arma antica, simbolo ancestrale di nobiltà ,così antica che lo stesso Omero non ne conosce più l'uso in combattimento (infatti gli eroi omerici nell'Iliade, che narra di fatti accaduti probabilmente nel XIII a.C., arrivano sui carri ma poi combattono appiedati) ma che aveva una forte carica ideologica e simbolica. Questo popolo di guerrieri sicuramente preoccupava fortemente il piccolo villaggio che era Roma tanto da costringerlo ad erigere una cinta muraria difensiva.

Romolo diede alla neonata città un'organizzazione sociale, religiosa e militare. Fu lui ad istituire la legione (in latino Legio da legere=scegliere, perché i soldati erano scelti nella leva militare) colonna portante dell'esercito romano per tutta la sua durata. Questi, secondo la tradizione, divise il popolo nelle tre tribù dei Tities - i Latini? -, Ramnes – i Sabini o gli agricoltori? - e Luceres – gli Etruschi? [Da notare la radice luc - lucumone]-, tribù che rappresentavano le diverse etnie culturali che popolavano l'Urbe.

Ogni tribù doveva fornire 1.000 fanti, divisi in 10 centurie (gruppi di 100 uomini), e 100 cavalieri (1 centuria), per cui la primitiva legione romulea era costituita da 3.000 fanti e 300 cavalieri. I 3.000 fanti erano comandati da 3 comandanti (Tribuni milititum); i 300 cavalieri da 3 comandanti della cavalleria (Tribuni celerum). Il termine celeres (veloci), con cui i più antichi cavalieri erano denominati, è rapportato alla velocità della loro azione. Probabilmente la cavalleria era utilizzata per attacchi lampo, per scompaginare le file degli schieramenti nemici e per poi inseguirli una volta messi in rotta. Le guerre che Roma intraprese sotto i suoi primi re furono solo piccole scaramucce per l'affermazione del villaggio nei confronti di quelli vicini. All'inizio il legionario, ovvero il soldato che occupava le fila della legione, si procurava da solo l'equipaggiamento e le armi offensive e difensive erano molto simili a quelle degli opliti greci, anche se i Romani combattevano in formazioni meno chiuse. Ma la caratteristica peculiare di questa battaglia non era la tattica bensì la forza bruta del singolo infatti bisogna pensare a dei soldati che pur in gruppo, alla fine combattono l'uno a molta distanza dall'altro. Più che a delle battaglie organizzate bisogna immaginarsi delle grandi zuffe, simili a delle odierne risse da strada, in cui i soldati armati di rozze spade o di mazze,cercavano di darle il più possibile evitando di prenderle, infischiandosene della tattica e della strategia.

In questo periodo fu soprattutto un susseguirsi di battaglie e campagne militari contro le cittadelle limitrofe. Romolo fu un re guerrafondaio, al contrario di Numa Pompilio, che istiuì il tempio del dio Giano. Questo tempio fu elevato a simbolo della pace e della guerra. Se fosse stato aperto avrebbe significato che la città era in guerra, mentre se le porte fossero state chiuse voleva dire che la pace regnava in tutti i popoli intorno. Per fortuna, o purtroppo, nella millenaria storia di Roma venne chiuso soltanto un limitatissimo numero di volte. Sotto il regno di Tullio Ostillio, per una banale razzia di contadini albani, venne saccheggiata e distrutta la 0città di Alba Longa, sua metropoli spirituale (cioè madre patria, perché il suo fondatore era originario di quella città), mentre i suoi abitanti deportati e inglobati nella popolazione dell'Urbe. Il suo successore, Anco Marzio è l'inventore del cerimoniale bellico, ovvero del complesso rituale della dichiarazione di guerra ad una città nemica. Quando l'inviato arrivava alla frontiera romana esclamava:

Ascolta Giove; ascoltate frontiere, ascoltami sacro Diritto. Io sono il rappresentante del popolo romano. Vengo per una missione giusta e santa, abbiate fiducia delle mie parole. Se io non mi attengo a ciò che è santo e giusto possa io non ritrovare più la mia terra natia.

Quindi l'ambasciatore ripeteva la formula al primo uomo che incontrava, al momento di entrare nella città nemica e quando arriva nel foro dove consegna la dichiarazione di guerra o il reclamo che può far portare ad una guerra. Se entro il 33esimo giorno dalla consegna del reclamo la città nemica non ha risposto, il messaggero proclama nel foro avversario:

Non è giusto chi non ripara un danno da egli stesso causato, e a questo proposito chiederò consiglio in patria, ai più anziani tra i miei cittadini su come ottenere quello che ci aspetta di diritto.

Solitamente il consiglio dei savi romani era la guerra.

Ma la vera rivoluzione del sistema militare romano fu attuata da Servio Tullio. Tra i sette re che governarono la Roma arcaica, Servio Tullio è quello che si conosce meglio, grazie all'opera storiografica di Livio e Dionigi di Alicarnasso.

Servio è uno straniero etrusco e da quello che si evince dal nome Servio (servus) probabilmente un ex schiavo. Divenuto genero di Tarquinio Prisco grazie alla moglie di questi, Tanaquilla, una donna energica che lo aiuterà nella scalata al potere. Secondo alcuni era in realtà un condottiero etrusco resosi signore di Roma dopo aver eliminato il partito dei Tarquini. A lui è comunque attribuita la prima importante riforma della società romana, dopo che Numa Pompilio aveva riformato la religione. Egli divise i cittadini in 5 classi censitarie, basate sull'avere di ciascuno, per cui i più ricchi costituirono la prima classe e gli altri, proporzionalmente al censo, le altre quattro classi.

Classi Assi Numero Centurie Totale
I 100.000 18 cavalleria
80 fanteria
98
II 75.000 20 fanteria
III 50.000 20 fanteria
IV 25.000 20 fanteria leggera ed ausiliari
V 11.000 30 arcieri e frombolieri
VI Proletarii 5 falegnami fabbri maniscalchi

La fanteria pesante dell'esercito romano venne formata dalle prime tre classi di censo. Le classi erano divise in un certo numero di centurie, di cui metà di iuniores (giovani), addetti alle armi, e metà di seniores (anziani), assegnati alla difesa della città e dovevano procurarsi a proprie spese l'equipaggiamento militare.

La prima classe doveva avere la completa armatura; la seconda e la terza classe, avendo, al posto del clipeus,il pesante scudo ovale, lo scutum, un grande scudo rettangolare bombato di legno e cuoio con guarnizioni metalliche al centro e sui bordi, che proteggeva la persona dalle spalle ai piedi, facevano a meno della corazza, e la terza classe anche degli schinieri; la quarta classe non aveva armi di difesa, ma solo di offesa; la quinta classe aveva unicamente fionde (fundae) e proiettili di pietra (lapides missiles). Le centurie degli equites (cavalieri) furono portate a 18, con un effettivo di 1.800 cavalieri.

Con Servio Tullio venne introdotta la tattica oplitica, in base alla quale gli opliti, aventi la pesante armatura di bronzo, combattevano in schieramento serrato, falangitico alla maniera degli eserciti cittadini ellenici. La tattica oplitica venne sviluppata dalle poleis greche a partire dal VII sec a.C. e divenne la tattica regina delle battaglie in terra ellenica. I protagonisti sui campi di battaglia erano gli opliti (dal greco oplon, lo scudo), fanti pesanti schierati in ranghi compatti, ed armati di lunghe lance d'urto. L'evento bellico a quei tempi si svolgeva in un luogo convenuto, ad un orario predefinito, tra due schieramenti che avevano pressappoco la stessa lunghezza e profondità e lo stesso numero di soldati. Solitamente uno schieramento oplitico (o falange dopo le innovazioni di Filippo II di Macedonia) era costruita da una massa di uomini disposti su file da otto o dodici elementi.

La battaglia consisteva nello scontro frontale tra i due schieramenti, le falangi,i n cui il massimo delle perdite si aveva nella prima ora di combattimento. Lo schieramento che respingeva indietro l'altro, costringendolo ad abbandonare sul terreno i propri morti e feriti aveva vinto la battaglia campale. I perdenti chiedevano una tregua, trattavano la restituzione dei morti e dei feriti ed accettavano le condizioni di pace che sarebbero durate fino allo scontro successivo. L'urto tra le falangi è un momento drammatico, un'esperienza sconvolgente per i soldati che vi partecipano. Gli schieramenti si scontrano in frastuono tremendo di bronzo, tra urla di guerra e di dolore, con i flautisti che suonano le cariche di battaglia per tenere alto il morale delle truppe. L'obbiettivo è disunire le compatte fila della falange nemica per poterne fermare la carica offensiva, per poi abbattersi sul nemico in preda al panico.

Questa situazione sminuiva la figura del comandante in quanto stratega militare. La sua importanza era soprattutto psicologica, poiché egli era schierato in prima linea ed il suo esempio aveva un effetto trascinante sullo schieramento. Innumerevoli esempi di ciò si hanno leggendo le pagine di Erodoto o Tucidide che mostrano i re spartani schierati in prima fila all'estrema destra, intenti a compiere azioni degne di essere ricordate. In pratica la morte del comandante comportava la sconfitta della sua armata, come re Leonida alle Termopili. Questo metodo di combattere, così violento e feroce ha però una notevole motivazione. Per potersi schierare nella falange, il soldato-cittadino non ha bisogno di lunghi e costosi addestramenti perché non è richiesta la capacità di maneggiare le armi, ma solo il coraggio e la saldezza di nervi. Secondo le battaglie di quest'epoca sono sempre risolutive perché la fine della battaglia coincide con il termine della guerra. Per dei cittadini-soldati è molto importante non essere impegnate in lunghe e lontane campagne militari che li sottrarrebbero al lavoro nei campi, unica fonte di guadagno a loro disposizione.

I romani, influenzati soprattutto dai popoli della Magna Grecia, adottarono originariamente questa tattica anche se combattevano in ranghi meno stretti e con schieramenti più esigui denominati centurie. Il servizio militare era un diritto-dovere per il cittadino di Roma. Tutti dovevano partecipare all'attività militare della città in modo proporzionale al censo, anche perché il prestigio più alto per un romano, e per tutti i popoli antichi, era quello della prodezza sul campo di battaglia. Una virtù molto importante, basti pensare che il grande tragediografo Eschilo, sulla sua lapide in Sicilia, volle riportata un' epigrafe funebre da lui stesso dettata in precedenza:

Qui giace Eschilo figlio di Euforione, ateniese
morto a Gela ricca di messi.
Il suo valore lo possono testimoniare
il bosco sacro di Maratona ed il medo dalle fitte chiome.

Non un cenno alla sua poetica ed alle sue tragedie che lo avrebbero reso immortale, ma solo il vanto di aver combattuto a Maratona contro i persiani con valore. L'equipaggiamento era a proprio carico ed è per questo che solo i ricchi, quasi tutti appartenenti alla nobiltà, potevano permettersi la costosissima armatura politica. Tale equipaggiamento comprendeva sia armi difensive come l'elmo di cuoio (galea), lo scudo rotondo di bronzo (clipeus), gli schinieri di bronzo (ocreae) e la corazza di bronzo (lorica), sia armi offensive, la lancia da urto (hasta) e la spada corta (gladius), atta a colpire di taglio e di punta. L'elmo era di tipo corinzio, forgiato in bronzo perché più economico del ferro, chiuso e dotato di paraguance, paranaso e paranuca, che opprimeva l'oplita e ne abbassava drasticamente la visuale. Successivamente ci si dotò di elmi aperti, più leggeri e che consentivano una migliore visuale del campo di battaglia.

Le corazze metalliche erano a due valve, spesso di forma anatomica, tenute allacciate con delle cinghie e delle fibbie sui fianchi. Le corazze di cuoio o di lino pesto, di cui si dotavano le classi meno abbienti, erano sospese a due spallacci allacciati sul davanti ad anelli che sporgevano sul pettorale. L'oplita era inizialmente protetto da corsetti di bronzo, pesanti e soffocanti sopratutto nella spaventosa calura delle estati italiane, per cui successivamente venne introdotto un corsetto di cuoio protetto sull'addome da pendoni di cuoio rinforzati da lamine metalliche che consentivano il movimento assicurando al contempo una certa protezione dai colpi di punta. Le gambe erano protette da schinieri di forma anatomica dalla caviglia al ginocchio e più raramente da cosciali allacciati sul retro coscia. Lo scudo era considerato l'arma simbolo dell'oplita,dal quale prendeva anche il nome. Rotondo od ovale copriva il mento fino alle ginocchia e veniva imbracciato sulla sinistra in modo che in battaglia, nello schieramento compatto, andasse a difendere il lato destro del compagno vicino. La battaglia avveniva inizialmente con lo scontro di lance da colpo e poi finiva con le spade,anche se questo tipo di armi non veniva utilizzato spesso durante le battaglie.

In quel periodo l'esercito romano non era un esercito permanente,ma un unità che veniva reclutata nel momento delle campagne militari o in caso di aggressione,per poi venire sciolto ed i componenti ritornavano alle loro attività lavorative. La riforma di Servio Tullio è stata la prima importante riforma sociale romana, una riforma che rendeva elitaria la società e oligarchico il governo della città. La figura di Servio è tuttavia troppo simile a quella di Solone ed alla sua riforma ateniese, per renderla veramente storica,quindi gli studiosi sono propensi a credere che si sia trattato di una consuetudine senatoria divenuta poi legge.

Roma si impose come città dominatrice del Lazio.Con la cacciata dell'ultimo re etrusco, che Tacito attribuisce a L. Bruto, venne stabilita la Repubblica romana. L. Bruto divenne anche il primo console romano insieme a Publio Valerio, meglio conosciuto come Publicola (amico del popolo).

Con Tarquinio il Superbo finisce l'epoca di Roma regia, il periodo più oscuro ed ancestrale della sua storia millenaria. Dopo duecentoquarantacinque anni dalla sua fondazione i suoi leggendari re avevano trasformato un semplice villaggio di pastori in una città in fermento, dominatrice del Lazio. E questa egemonia l'avrebbe portata in rotta di collisione con l'Etruria prima, e la Magna Grecia poi.

Omar Gatti
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