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La Campagna di Grecia e la fine della guerra parallela
© Enrico G. Dapei
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All'inizio dell'estate del 1940, buona parte della pubblica opinione europea aveva la sensazione che la guerra fosse ormai alla fine. Hitler, convinto della prossima richiesta inglese di armistizio, annunciava una parziale smobilitazione del suo esercito, seguito poco tempo dopo da Mussolini che dava mandato allo Stato Maggiore di smobilitare una parte delle nostre divisioni.

Il primo dava per scontato che la Gran Bretagna, rimasta sola a difesa di un'Europa occidentale in mani tedesche e che non poteva attendersi aiuti dai lontani ed isolazionisti Stati Uniti - e ancor meno dalla Russia, formalmente alleata della Germania - fosse ormai costretta a scendere a patti. Il secondo agiva di riflesso, reputando che la prossima resa inglese avrebbe portato ad un lungo periodo di pace, durante il quale avrebbe avuto il tempo di provare a porre rimedio all'impreparazione bellica italiana, mentre con la smobilitazione avrebbe placato i nascenti malumori della popolazione.

Ma gli inglesi non avevano nessuna intenzione di arrendersi.

La Luftwaffe si logorerà nei bombardamenti notturni senza ottenere risultati concreti e la macchina da guerra nazista si volgerà ad Oriente per l'operazione Barbarossa, rimandando a tempi migliori - che non arriveranno mai - l'operazione Leone marino.

La guerra mondiale, nell'estate del 1940, era ancora agli inizi.

I Balcani e i piani strategici nel cassetto

Mussolini aveva spesso ventilato l'idea di muovere guerra alla Jugoslavia, per rivendicare il possesso della Croazia e della Dalmazia. La "conquista" dell'Albania del 6 aprile 1939, oltre che per questioni di prestigio, poteva servire anche come trampolino di lancio per una politica di espansione nell'area balcanica.

Per l'invasione della Jugoslavia era stato predisposto un piano - denominato "5E", poi "Esigenza E" e successivamente "P.R. 12bis" - che prevedeva l'impiego di cinque armate che avrebbero operato in Stiria e Carinzia, dalla frontiera giuliana e friulana e dal territorio albanese, facendo leva anche sui differenti gruppi etnici della nazione slava e sfruttando l'irredentismo croato. Il piano rimase, come la maggior parte dei piani elaborati dal nostro Stato Maggiore, una pura esercitazione accademica, anche a causa dell'opposizione dei tedeschi che non volevano compromettere l'equilibrio della zona e volevano evitare complicazioni alla vigilia dell'intervento contro la Russia.

Anche contro la Grecia esisteva un piano di guerra, elaborato nel 1939 dai generali Guzzoni e Pariani; il piano prevedeva l'utilizzo di venti divisioni e stimava in un anno il tempo necessario alla predisposizione operativa dello stesso. Pure questo piano, inizialmente considerato secondario rispetto a quello contro la Jugoslavia, rimase nel cassetto fino a dopo l'entrata in guerra dell'Italia.

I piani strategici italiani riguardavano i più disparati scacchieri europei e venivano redatti sulla spinta dell'altalenante politica estera mussoliniana, nella convinzione che non sarebbero mai veramente serviti. Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, i continui mutamenti d'indirizzo del duce subirono un'accelerazione e gli ordini ed i contrordini si succedevano senza soluzione di continuità. Qualche esempio: l'11 agosto "il Duce ordina che per giorno 20 settembre dobbiamo essere pronti all'est" ossia verso la Jugoslavia. Il 30 agosto un'altra disposizione ordinava allo Stato Maggiore di "iniziare senza indugio gli studi per l'occupazione non solo della contea di Nizza, ma di tutto il territorio francese fino al Rodano". Il 17 settembre nuova direttiva: "effettuare al più presto lo studio di occupazione dell'isola" (la Corsica) "con truppe della Sardegna".(1)

Nel bailamme di queste direttive, Mussolini aveva affidato al generale Geloso la revisione del piano Guzzoni-Pariani, indicando come obiettivo non più la conquista dell'intero paese ma quello di "un colpo di mano" nell'Epiro. Questo nuovo piano, del mese di luglio, prevedeva l'impiego di sole dieci divisioni, che Lo Stato Maggiore del Regio Esercito portò inizialmente ad undici. A settembre, col nome di "Emergenza G", il piano subì un ulteriore rimaneggiamento e, partendo dal presupposto che i bulgari avrebbero attaccato a loro volta la Grecia - o che i greci avrebbero accettato passivamente l'occupazione di una larga parte del loro paese - l'obiettivo dell'azione fu ravvicinato e le divisioni furono ridotte ad otto più alcuni reparti autonomi. Questo piano, che si fondava su premesse tutte da verificare, che mirava ad obiettivi secondari, che era militarmente poco ambizioso e politicamente incerto, fece carriera; ed ebbe successo - dopo che tutti i presupposti per la sua attuazione erano venuti a mancare - proprio perché era poco impegnativo nella parte militare.

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I preparativi e le decisioni per la guerra

L'Italia potrebbe operare con buone probabilità di riuscita per convincere Metaxàs, il generale che da quattro anni governa la Grecia con una dittatura di stampo fascista, a schierarsi con l'Asse. Ma a Mussolini non interessa avere un altro alleato, ciò che desidera è un nemico da sconfiggere. Sia che la Gran Bretagna ceda di lì a poco sia che la guerra duri più a lungo, ciò che interessa al duce è la sua "guerra parallela" e, per poterla perseguire, c'è bisogno di un avversario alla portata delle nostre non esaltanti potenzialità belliche.

La Grecia sembra avere i requisiti necessari per diventare il "nemico ideale": appare militarmente debole, è geograficamente vicina e - secondo le notizie raccolte da Ciano, uno dei più grandi sostenitori di questa guerra - ha una classe politica e militare tutt'altro che solida, probabilmente corruttibile e poco disposta a battersi, così come larghe fasce della popolazione che sono descritte come apatiche e poco interessate ai destini nazionali.

Per trasformare un potenziale amico in un acerrimo nemico si iniziano a costruire i deboli capi d'accusa, ossia la pretesa connivenza con l'Inghilterra, alla cui flotta la Grecia offrirebbe protezione e rifornimenti, e l'oppressione delle minoranze albanesi in Ciamuria, che l'Italia - protettrice dell'Albania - non può tollerare.

La stampa italiana inizia una violenta campagna anti-greca e i rapporti tra i due paesi cominciano a deteriorarsi, nonostante la stretta neutralità alla quale si attiene Metaxàs. Le provocazioni e le minacce italiane si susseguono, raggiungendo il culmine con il siluramento, da parte di un nostro sommergibile, dell'incrociatore "Helli" nel porto di Tino durante le celebrazioni dell'Assunta il 15 agosto.

Continuano nel frattempo, però, gli ondeggiamenti e le incertezze mussoliniane. Il punto di riferimento costante per le scelte strategiche italiane non è rappresentato dagli Stati amici o neutrali, o da considerazioni di necessità belliche, ma dalla Germania: tenuto per lo più all'oscuro dei progetti di Hitler e costretto a seguirne le iniziative, Mussolini arranca alla ricerca di occasioni da cogliere e di bottini da dividere. Lo Stato Maggiore italiano vive alla giornata, cercando di seguire il dittatore, e comandante supremo, nei suoi quotidiani cambiamenti di vedute.

A poco più di un mese dall'inizio delle operazioni, il Comando Supremo scrive ancora che "gli ordini del Duce nei riguardi di eventuali operazioni da effettuare contro la Jugoslavia, la Grecia e la Francia .. (sono) ordini orientativi verso le varie ipotesi che si possono presentare in dipendenza dell'incerta e mutevole situazione politica internazionale". Il generale Visconti Prasca, comandante delle truppe italiane in Albania, deve nel frattempo tenersi pronto per una delle ipotesi possibili: offensiva contro la Grecia, offensiva contro la Jugoslavia, difensiva su entrambi i fronti.(2)

Ad ogni ordine segue un contrordine, tanto che il 4 ottobre (vale a dire a poco più di tre settimane dall'ultimatum alla Grecia) Badoglio invia un telegramma a Visconti Prasca nel quale si legge che "devono essere continuati e tenuti aggiornati gli studi sulla situazione delle operazioni allestite per la emergenza "G". Tale attuazione però è al momento rinviata: le truppe dell'Albania devono essere dislocate in modo che possano rapidamente schierarsi ma nello stesso tempo in buone condizioni logistiche tenendo conto delle esigenze della stagione".(3)

Allarmati - e non poteva essere altrimenti - da questa aggressività manifestata così apertamente e per così lungo tempo, i greci nel frattempo non rimangono passivi ed iniziano a mobilitare. Sono in una situazione difficile, poiché oltre alla prospettiva di un attacco italiano incombe su di essi anche la minaccia bulgara che rivendica da tempo uno sbocco sull'Egeo, tant'è che il loro piano difensivo reca la sigla "IB", Italia-Bulgaria appunto. Metaxàs non vuole assumere atteggiamenti che potrebbero essere considerati provocatori: la mobilitazione è massiccia, ma avviene tramite un ingegnoso sistema di sigle alfanumeriche che riesce a mascherare la preparazione in atto. "Le armi, le specialità, i corpi e i servizi di ogni classe", come ha spiegato il nostro addetto militare Mondini, "vennero contraddistinti da una sigla. Quando veniva annunciato il richiamo alle armi di una serie di queste sigle, la massa della popolazione e lo straniero non avevano, almeno sul principio, alcuna indicazione sulla specie e la quantità dei richiamati".(4)

La morfologia del paese, per un terzo insulare e con migliaia di chilometri di coste, rappresenterebbe un'ulteriore complicazione per la preparazione difensiva, causando grandi dispersioni di forze. Ma l'insistenza italiana sull'irredentismo ciamuriota e gli sbarchi di truppe in Albania indicano come molto probabile un'azione militare verso l'Epiro, e il dispositivo greco si conforma a questa previsione. L'Italia prepara quindi la sua guerra preavvertendo il nemico ed indicandogli il luogo dell'attacco, rinunciando in partenza alla sorpresa. Scriveva Clausewitz che la sorpresa è la "base di tutte le imprese di guerra, poiché senza sorpresa non si concepisce la possibilità di ottenere la superiorità nel punto decisivo .. Segreto e rapidità .. suppongono nel governo e nel condottiero una grande energia e, nell'esercito, una grande serietà nel servizio". Doti evidentemente sconosciute al nostro governo ed ai nostri vertici militari.

"Il lavoro di trasformazione dell'apparecchio militare in Albania", secondo il generale Visconti Prasca, "da svolgersi a tempi accelerati, secondo il nuovo orientamento politico, avrebbe potuto procedere con serenità e ordine se da Roma non fossero giunti continuamente ordini e contrordini che intralciavano l'azione organizzativa".(5)

Mussolini è deciso all'azione, ma ancora non ha deciso quale azione intraprendere. Il regime è in depressione, la guerra opportunistica sta durando più del previsto ed il prestigio delle nostre forze armate è in fase calante. Dopo anni di propaganda bellicista abbiamo dovuto giocare le nostre carte militari ed il risultato è stato peggiore di ogni previsione: tutto sta andando male, dalla piccola battaglia delle Alpi all'aborto offensivo in Africa, alle deludenti prove della nostra aviazione e a quelle non entusiasmanti della nostra marina. C'è assoluto bisogno di un successo militare, non importa dove, basta che arrivi in fretta.

Il 4 ottobre Hitler e Mussolini si incontrano al Brennero ed il führer ribadisce l'invito a desistere da un intervento nei Balcani, poiché - secondo lui - presto avverrà lo sbarco in Inghilterra e la pace tornerà in Europa. Mussolini, rassicurato da queste parole, non solo decide di mettere da parte i piani d'invasione ma dà inizio ad un'ampia smobilitazione delle nostre forze armate. Lo Stato Maggiore dell'Esercito manifesta la sua contrarietà alla decisione, e in un promemoria il generale Roatta dichiara che "deve essere ben chiaro che se si volessero in futuro compiere operazioni in più di quelle previste per la massa di manovra, occorrerebbe procedere ad una nuova mobilitazione totale .. in via orientativa una nuova mobilitazione totale non si potrebbe iniziare prima di aprile 1941".(6)

Ai primi di ottobre lo Stato maggiore ed il sottosegretario alla guerra Soddu sono ancora convinti che della Grecia non ci si debba più preoccupare. Pare che il problema da affrontare sia solo quello dello svernamento delle truppe in Albania.

Ancora l'11 ottobre, in una riunione dei capi di Stato Maggiore, Badoglio comunica che la campagna di Grecia è definitivamente accantonata. Ma quello stesso giorno, a cose fatte, i tedeschi informano Mussolini di aver accolto la richiesta di protezione del governo rumeno, inviando truppe a difesa del bacino petrolifero di Ploesti. Un'ennesima iniziativa militare è stata presa da Hitler senza consultare il camerata del Patto d'Acciaio e un nuovo passo è stato compiuto verso quella supremazia assoluta della Germania in Europa che il duce vuole contrastare per quanto possibile. Ciano annota nei suoi diari che Mussolini è indignato: "Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto. Questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia. Così l'equilibrio verrà ristabilito .. Ormai il Duce sembra deciso ad agire. In realtà, credo l'operazione utile e facile.""(7). In quel giorno e nei due successivi l'idea di attaccare la Grecia prende forma e consistenza.

Il 15 ottobre il duce convoca una riunione ristretta a Palazzo Venezia: oltre a Ciano ed a Badoglio, capo di Stato Maggiore Generale, sono presenti l'ambasciatore in Albania Jacomoni, il sottosegretario alla Guerra generale Soddu, il comandante delle truppe in Albania generale Visconti Prasca, ed il sottocapo di Stato Maggiore generale Roatta. Incredibilmente non è ritenuta utile la presenza dei capi di Stato Maggiore della Marina e dell'Aeronautica, l'ammiraglio Cavagnari ed il generale Pricolo. Della riunione è rimasto un verbale completo, che testimonia la stupefacente leggerezza con la quale si decide la campagna di Grecia:

Mussolini apre la seduta spiegando che "lo scopo della riunione e di definire le modalità dell'azione che ho deciso di iniziare contro la Grecia. Questa azione, in un primo tempo deve avere obiettivi di carattere marittimo e territoriale .. in un secondo tempo, o in concomitanza con queste azioni, l'occupazione generale della Grecia .. ho stabilito anche la data, cioè il 26 di questo mese .. La Bulgaria può costituire una pedina nel nostro gioco ed io farò i passi necessari perché non perda questa occasione unica".(8) La Bulgaria, pedina essenziale per l'"Emergenza G", che avrebbe immobilizzato ed impegnato il maggior nerbo delle divisioni greche, viene considerata come un fattore d'importanza marginale ..

Jacomoni ha la parola subito dopo e descrive i greci come "ostentamente noncuranti", anche se ora appaiono "decisi ad opporsi alla nostra azione".

Ciano conferma l'analisi dell'ambasciatore: "Vi é una scissione netta tra la popolazione ed una classe dirigente, politica, plutocratica, che è quella che anima la resistenza e mantiene vivo lo spirito anglofilo nel paese. E' questa una piccolissima classe molto ricca, mentre l'altra parte è indifferente a tutti gli avvenimenti, compreso quello della nostra invasione".(9)

Visconti Prasca non ha tentennamenti: "l'operazione sarà pronta per il 26 e si presenta sotto auspici molto favorevoli ed è realizzabile in dieci o quindici giorni .. è stata preparata fin nei minimi particolari ed è perfetta per quanto umanamente possibile". Le forze elleniche sono "calcolate a circa trentamila uomini e noi abbiamo una superiorità di due a uno". Il morale dei nostri soldati "è altissimo, l'entusiasmo è al massimo grado, mentre i greci non sono gente contenta di battersi".(10)

Queste affermazioni non possono che rafforzare ulteriormente Mussolini nella sua decisione: il Comandante superiore di Albania lo sta assicurando che l'operazione è stata predisposta accuratamente e che tutto sarà pronto per il 26.

Anche Badoglio interviene, affermando che "l'operazione per l'Epiro studiata da Visconti Prasca va bene .. per non fermarci all'Epiro bisognerebbe intensificare l'invio di truppe .. Studiare quindi subito il problema dell'occupazione totale della Grecia". Quindi nessuno dei presenti sembra nutrire dubbi sull'operazione che si sta per intraprendere. Visconti Prasca non sembra sentire la necessità di rapidi rinforzi, infatti dichiara che "l'invio di altre truppe dipende da quello che è lo svolgimento del piano, e non possono essere mandate che ad Epiro occupato". Più tardi, con altre cinque o sei divisioni, anche Atene sarebbe caduta.

La discussione, se così si può chiamarla, si conclude dopo solo un'ora e mezza con la seguente sintesi di Mussolini: "Offensiva in Epiro, osservazione e pressione su Salonicco e, in un secondo tempo, marcia su Atene".(11)

Nel colloquio che sta alla base della nefasta decisione d'intraprendere la campagna di Grecia, quattro elementi hanno giocato un ruolo importante: l'ansia del duce di "ripagare" Hitler; la faciloneria di Visconti Prasca; la leggerezza di Ciano che considera l'Albania un suo feudo personale e che vuole la "sua" guerra; la pavida acquiescenza di Badoglio e Roatta, che sicuramente intuiscono i rischi connessi all'inconsistente piano operativo ma non sanno difendere il loro punto di vista. Nella vicenda il peggior consigliere di Mussolini è Visconti Prasca, la cui riluttanza ad accettare l'invio immediato di nuove divisioni ha una spiegazione semplice e meschina: il timore di essere sostituito da qualche collega più anziano se le truppe al suo comando diventassero troppo imponenti.

Tutti gli elementi caratterizzanti il piano "Emergenza G" - l'alleanza bulgara, le venti divisioni necessarie per occupare la Grecia, i tempi per la preparazione e lo sbarco di truppe e mezzi, la questione dei trasporti - sono stati trascurati, ma nessuno dei presenti ha reputato necessario contrastare la decisione di Mussolini. Più tardi il memorialismo tenterà di dar credito a contrasti e resistenze. La verità è che nessuno si assume la responsabilità delle proprie opinioni, nessuno dà le dimissioni, nessuno rischia la testa, tutti puntano sulla carta della facile vittoria.

La barca della guerra è pronta al varo, tutti hanno dato una mano, non resta che calarla in acqua. Non avrà dunque tutti i torti Mussolini quando nel febbraio del 1941 ricorderà "l'accordo assoluto di tutti i fattori militari responsabili".(12)

E mentre l'Italia si accinge ad iniziare la sua prima vera campagna militare in Europa, lo Stato Maggiore smobilita venti delle quaranta divisioni tenute nella valle del Po e 300.000 soldati tornano a casa. E' un duro colpo per la qualità dell'addestramento e dell'affiatamento delle nostre truppe, ma rinunciamo alle riserve perché il regime vuole placare i malumori popolari e dare l'impressione che le nostre forze bastano ed avanzano alla sicura vittoria.

Concetti operativi tattici e strategici

Mussolini non può non essersi reso conto della necessità di disporre di venti divisioni per occupare l'intera Grecia, ma ha fretta di muovere all'attacco. Vuole mettere i tedeschi di fronte al fatto compiuto, perché ha il timore che altrimenti Hitler lo costringerà a fermarsi. Non gli importa tanto di raggiungere una rapida vittoria definitiva, quanto di provocare subito la guerra: dopo l'Epiro sarà il turno di Atene e, tagliata la Grecia in due, il resto verrà da sé. Un iniziale successo parziale è sufficiente, e l'entusiasta Visconti Prasca glielo ha preannunciato.

Il giorno successivo all'inizio delle operazioni, l'addetto militare tedesco scrive in un suo memorandum che "la superiorità italiana non è probabilmente sufficientemente grande per soddisfare le aspettative di un rapido successo, se i greci opporranno una resistenza seria".(13) Il piano di Visconti Prasca appare quindi, ad un osservatore esterno, manifestamente temerario ed illogico.

Ma la colpa è tutta da addossare al comandante delle nostre truppe in Albania? I primi rovesci che subiranno le nostre forze armate, sono da imputare solo alle sue troppo ottimistiche valutazioni e ai suoi errati concetti strategici?

Leggiamo alcuni brani della sua appassionata autodifesa, tratti dal suo libro "Io ho aggredito la Grecia" del 1946: "Nel breve volgere di poche settimane i concetti operativi per l'azione contro la Grecia erano passati per due fasi. Nella prima, Mussolini aveva prospettato l'eventualità di un colpo di mano nell'Epiro da attuarsi nel termine di quindici giorni. La Grecia non aveva ancora mobilitato le sue forze e noi avremmo agito con le forze esistenti in Albania, i cui organici avrebbero dovuto essere rafforzati e completati nel modo più rapido. Raggiunto di sorpresa l'obiettivo dell'occupazione dell'Epiro, ne sarebbe mutata la nostra situazione strategica e specialmente quella logistica poiché avremmo potuto disporre dei porti marittimi meridionali di quella regione. Sarebbe così stato eliminato il principale difetto indebolitore della nostra situazione militare in Albania rispetto alla Grecia, e cioè la distanza da Durazzo, nostro principale porto di sbarco, dalla frontiera greca .." L'ipotesi fu abbandonata perché "resa anche ineseguibile da quando la stampa italiana aveva palesato al pubblico, a grandi grida, le intenzioni aggressive .. Inoltre lo S.M. aveva svelato il progetto di un'azione di sorpresa sull'Epiro e ritardato con l'afflusso macchinoso delle divisioni organiche anziché degli elementi di completamento di quelle già esistenti in Albania. Con lo sbarco delle divisioni organiche le nostre intenzioni assunsero chiaramente l'aspetto della preparazione ad una "battaglia schierata" ed era evidente che i greci si sarebbero affrettati alle corrispondenti contromisure".

La possibilità di compiere un fulmineo "colpo di mano" nell'Epiro è dunque sfumata a causa dei tentennamenti della nostra politica. Abbiamo perso il vantaggio della sorpresa, e ciò è grave, ma Visconti Prasca era al corrente di ciò quando profondeva il suo ottimismo in merito all'azione ("l'operazione .. si presenta sotto auspici molto favorevoli ed è realizzabile in dieci o quindici giorni") nella riunione del 15 ottobre.

Il generale continua poi la sua disamina, ponendo l'accento su due gravi e per lui imprevedibili fattori che inficiarono il proseguimento dell'offensiva: lo scarso contributo dell'aviazione e la mancata presa di Corfù.

"L'ultima guerra ha dimostrato che a parità di altre condizioni vince chi abbia il dominio dell'aria .. La nostra preponderanza aerea era tale che l'aviazione greca rispetto alla nostra poteva considerarsi inesistente .. Era anche evidente che l'aviazione da bombardamento dovesse avere essenzialmente un compito tattico a raggio ristretto sul campo di battaglia per moltiplicare l'efficienza delle truppe terrestri. La Grecia non presentava obiettivi industriali di qualche importanza, né centri logistici vitali .. L'impiego in massa della nostra aviazione da bombardamento sul campo tattico doveva accentuare la nostra superiorità di forze ed impedire, o almeno ostacolare e rallentare, con l'azione sulle immediate retrovie del nemico, l'afflusso delle sue forze dall'interno del territorio .. Le azioni terrestri dovevano essere integrate dall'occupazione di Corfù .. I greci prevedevano che la nostra azione mirasse al loro fianco sinistro ..Prevedevano inevitabile l'occupazione da parte nostra di Corfù come era stato previsto da noi e come era indispensabile. Consideravano che l'azione della nostra arma aerea si sarebbe sviluppata in tutta la sua potenza come era necessario e vitale per noi. L'identità delle premesse, delle argomentazioni e delle deduzioni nei piani dei due avversari .. provava l'assenza di errori sostanziali nell'impostazione dei reciproci progetti d'azione"..(14)

La forza aerea italiana è sicuramente di gran lunga superiore a quella ellenica, ma i campi di aviazione in Albania sono pochi e di fortuna, e con le piogge si trasformano in vere paludi. L'imperversare dl maltempo ostacola i voli ed i bombardamenti, mentre l'appoggio tattico alle truppe - in un terreno montano, accidentato e ricco di caverne ed anfratti naturali- è di scarso apporto. La cronica mancanza di cooperazione tra i comandi delle forze di terra e quelle dell'aria completano il quadro e contribuiscono a spiegare il marginale ruolo che la nostra aviazione avrà nella campagna di Grecia.

Per una serie di circostanze che non si possono ascrivere alla sola fatalità, la nostra azione inizierà, quindi, senza il vantaggio della sorpresa, senza il massiccio apporto dell'aviazione, senza il vantaggio dell'alleanza bulgara e senza i vagheggiati cedimenti dell'esercito greco. Gli errori di Visconti Prasca non assolvono gli errori altrettanto gravi di Roma. Ma quando il generale tenta di far ricadere le maggiori responsabilità sullo Stato Maggiore, che non ha inviato tempestivamente altre unità, non può essere in buona fede: era stato lui a dare scarsa importanza ai rinforzi.

"Attesi invano quei rinforzi, nelle ansie del combattimento, nella constatazione dell'aumento delle truppe nemiche. Tenuto conto del tempo necessario per riunirli nelle basi marittime, i rinforzi avrebbero dovuto iniziare il loro afflusso in Albania una settimana dopo il 15 ottobre".(15)

Per di più, gli insuccessi si verificheranno così presto che, se pure l'invio delle nuove divisioni fosse stato organizzato a tambur battente, difficilmente il piano del comandante delle truppe in Albania avrebbe avuto sorte diversa.

Gli schieramenti

In Albania abbiamo, dunque, solo otto divisioni più alcuni reggimenti, che vengono inquadrate in quattro nuclei:

- Il XXV Corpo d'Armata "Ciamuria", comprendente una divisione corazzata e due divisioni di fanteria, con il compito offensivo di penetrazione in Epiro

- Il XXVI Corpo d'Armata, composto di quattro divisioni di fanteria, con compiti prevalentemente difensivi lungo il confine della Macedonia occidentale

- La divisione alpina "Julia", attestata a ridosso della catena montuosa del Pindo, a cerniera dello schieramento tra i due Corpi d'Armata

- Il "Raggruppamento del Litorale", schierato lungo la costa, composto di due reggimenti di cavalleria, uno di artiglieria, uno di Granatieri di Sardegna ed un battaglione di Camicie Nere. In pratica, un'altra divisione.

In definitiva disponiamo di circa centomila uomini, alle cui spalle c'è il retroterra albanese e linee di comunicazioni difficili via mare e davanti ai quali c'è il territorio di una nazione da invadere. Il nemico è pronto all'urto, ha già mobilitato e continua a mobilitare rapidamente, è stato provocato ed aizzato, conosce le nostre probabili direttrici di marcia e può arrivare a radunare fino a diciotto divisioni. Visconti Prasca ha scritto che "le forze mobili italiane schierate sul fronte greco erano più che doppie di quelle schierate dai greci", ma queste affermazioni sono smentite da varie fonti greche.(16) "L'occasione per sfruttare questa situazione a noi favorevole svaniva giorno per giorno col mancato tempestivo afflusso dei rinforzi, che ci avrebbe permesso di raccogliere e di consolidare i risultati vantaggiosi ottenuti negli attimi fuggenti di quella fortunata e vittoriosa situazione iniziale .. Noi eravamo ancora padroni dell'offensiva e con l'intervento massiccio dell'aviazione avremmo potuto controbilanciare, per parecchio tempo, l'aumento prevedibile delle forze greche".(17)

Si fronteggiano due eserciti analoghi per armamento ed addestramento. Solo in due punti siamo superiori: abbiamo forze corazzate ed una netta superiorità aerea. Ma la nostra cosiddetta divisione corazzata - la "Centauro" - ha un organico di 5.000 uomini, con 24 pezzi di artiglieria, 8 cannoncini anticarro e 170 carri leggeri. Una forza d'urto limitatissima, niente di paragonabile alle valanghe di acciaio e fuoco con le quali tedeschi ed inglesi combatteranno in Europa ed Africa. E se i nostri carri da tre tonnellate avrebbero potuto avere una certa forza penetrativa su altri terreni ed in stagioni adatte, nel pantano fangoso in cui si troveranno serviranno a poco o niente.

La nostra aeronautica d'Albania dispone in tutto di circa 400 apparecchi, che soffrono dei mali congeniti del materiale della nostra aviazione: eccessiva varietà dei tipi, l'inadeguatezza e vetustà di altri (come i caccia Cr32), la scarsa efficienza di altri ancora. Ma nel complesso, di fronte ad un'aviazione debole come quella greca, la nostra può considerarsi agguerritissima.

Anche a livello di marine non c'è paragone. La Marina ellenica dispone di poche ed antiquate unità, il compito di contrastare la Regia Marina è tutto nelle mani degli inglesi. Ma l'apporto della nostra Marina, in una guerra prevalentemente terrestre, si rivelerà modesto essenzialmente per due motivi: il primo è da collegare alla decisione di non dare corso al preventivato sbarco nell'isola di Corfù, rinunciando a quella che sarebbe stata forse l'unica mossa azzeccata dell'intera campagna; il secondo, di natura prettamente logistica, è da collegare all'insufficiente capacità di sbarco dei porti albanesi. Oltre a ciò, i problemi saranno aggravati dalla scarsità di naviglio mercantile e dalla disorganizzazione generale delle nostre forze armate. Il generale Roatta ricorderà che "lo Stato Maggiore non ha mai potuto far arrivare in Albania neppure un reggimento che fosse accompagnato da tutti i suoi mezzi di vita e d'azione".(18)

Non saranno di nessun aiuto le poche unità all'ancora nell'isola di Lero, tagliate fuori dalla Mediterranean Fleet che controlla il Mediterraneo orientale; anzi, si dovranno organizzare convogli per rifornire il Dodecaneso, che raramente riusciranno a giungere a destinazione.

Inizia l'offensiva

L'aggressione è preceduta da incidenti di frontiera e "provocazioni" greche, organizzate ovviamente dagli italiani. Alle tre di mattina del 28 ottobre, il nostro ambasciatore ad Atene Grazzi consegna al dittatore greco l'ultimatum italiano: "Alors c'est la guerre" è il commento di Metaxàs, che congedando Grazzi mormora "Vous êtes les plus forts". Il no greco, lo "όχι" che diventerà lo slogan nazionale, non è esplicitamente pronunciato, ma la decisione è presa. Del resto il testo dell'ultimatum è congegnato in modo da non lasciare alternative.(19)

Nel breve tempo che rimane prima dell'apertura delle ostilità, Metaxàs si reca dall'ambasciatore inglese affinché questi solleciti la flotta di Cunningham a schierarsi in difesa di Corfù e del Peloponneso; dopo di che convoca il Consiglio dei Ministri, ai quali dichiara: "Gli interessi dell'Asse sono comuni, e presto o tardi dovremo combattere anche la Germania .. La guerra che affrontiamo oggi è dunque soltanto una guerra per l'onore .. La sorte della guerra mondiale non sarà decisa nei balcani".(20)

Metaxàs temeva fortemente per la sorte di Corfù e delle altre isole joniche, e tremava all'idea di uno sbarco nel Peloponneso, che avrebbe incontrato una resistenza molto tenue. In realtà, l'unica iniziativa non fosse un attacco in una zona dove il nemico era in attesa a piè fermo, ossia l'occupazione di Corfù, viene rinviata "sine die". La nostra campagna è di tipo tradizionale, senza alcuna immaginazione strategica, senza alcun tentativo di sfruttare i numerosi punti deboli del nemico. Non ci saranno sbarchi, non ci saranno lanci di paracadutisti, è il solito assalto frontale verso il muro nemico, iniziato oltretutto con forze insufficienti.

L'esercito greco è, per molti aspetti, simile al nostro. Nei mesi della guerra conosceremo lo spirito battagliero di questo esercito, non l'intelligenza o la fantasia tattica dei suoi comandanti. Solo che questo esercito è pronto a battersi in difesa del suolo minacciato dallo straniero, su un terreno che conosce bene, con rifornimenti regolari e sorretto dall'entusiasmo patriottico che si allarga a tutti i ceti. Il nostro Stato Maggiore, così prudente in circostanze precedenti, dovrebbe meditare su questa situazione ed intuire che stiamo per commettere un errore; ma il fronte degli interventisti, Ciano e Mussolini in testa, è troppo forte e temuto e nessuno osa prendere posizione.

      Alle sei del mattino del 28 ottobre 1940 l'offensiva italiana ha inizio.

Sei divisioni si muovono su un fronte di 250 chilometri: nei primi tre giorni l'avanzata, lenta per le avverse condizioni meteorologiche, per le cattive condizioni delle strade e per la piena di fiumiciattoli montani, è senza storia. I greci si ritirano senza opporre molta resistenza, si limitano a qualche scaramuccia e fanno saltare tutti i ponti, costringendo le nostre truppe a difficili guadi di fiumi in piena. I carri, nel tentativo di aggirare i ponti distrutti, si impantanano e la divisione corazzata Centauro diventa ben presto una divisione di fanteria.

"Il compito delle forze dell'Epiro" - spiegherà il generale Papagos - "consisteva nell'opporre una difesa elastica fintanto che non si chiariva la situazione nel Pindo. Volevamo evitare che queste truppe si logorassero eccessivamente nel tentativo di arrestare il nemico sulla prima linea di difesa .. ceder lembi di territorio nazionale non aveva tanta importanza quanta ne avrebbe avuta invece l'isolamento delle forze dell'Epiro dalle loro vie di comunicazione verso la Tessaglia, e lo spalancamento delle porte della Grecia all'invasore".(21)

      La macchina da guerra italiana rischia di entrare in crisi per la totale mancanza di coordinamento: Mussolini è a Grottaglie, lontano dallo Stato Maggiore che è rimasto a Roma; Ciano, anziché svolgere le sue funzioni di Ministro degli Esteri, preferisce compiere azioni di bombardamento alla guida del suo velivolo; altri ministri sono corsi in Grecia a conquistarsi una facile medaglia; il generale Pricolo fa l'osservatore in Albania; Visconti Prasca sposta il suo comando vicino alle prime linee, ma lontano da Roma e da Tirana, dove è rimasto il comandante delle forze aeree in Albania, il generale Ranza.

La nostra attrezzatura per il gittamento di ponti è inadeguata e avanziamo lentamente; più le linee si allungano e più i rifornimenti diventano irregolari. I soldati italiani sperano di trovare qualcosa da mangiare nei villaggi che attraversano, ma le case sono abbandonate e svuotate dalla popolazione. L'artiglieria nemica, seppur molto antiquata, risulta efficace: i potenti obici da 105, ben mimetizzati tra gli anfratti montani, iniziano a martellare le nostre truppe. Il generale Papagos è un generale vecchio stile, di quelli che avanzano solo se hanno i fianchi coperti: non pensa ad una controffensiva in grande stile, vuole solo condurre una battaglia d'arresto. Non è un fulmine di guerra, ma è un buon tattico. Ormai certo che le frontiere con la Bulgaria e con la Turchia sono sicure, sposta le truppe a guardia di quei confini verso il punto più debole del nostro schieramento, nella Macedonia occidentale, ed il primo novembre inizia il contrattacco. Per cinque giorni le truppe greche continuano gli attacchi, senza conseguire successi spettacolari ma ottenendo progressi significativi. La nostra flessione è di pochi chilometri, la situazione è sotto controllo, ma l'effetto psicologico è disastroso. Il soldato riconosce la guerra com'è, non la facile passeggiata ma la portatrice di morte, e lo dice nel suo modo infantile: "Tenente, ma i greci sparano".(22)

In questa occasione i battaglioni albanesi, schierati all'interno della divisione Venezia, forniscono così cattiva prova di sé da indurre il Comando italiano a ritirarli definitivamente dalle nostre fila. A causa della spinta dei greci in Macedonia e di quella degli italiani in Epiro, l'asse del fronte inizia a ruotare pericolosamente, mentre la Julia, che doveva fare da perno, si trova terribilmente esposta.

      Mentre in Albania ci si lamenta del "mancato contributo del nostro bombardamento aereo, di giorno in giorno promesso e mai mantenuto e si osserva che per l'attacco occorrerebbero forze fresche, quantità di artiglieria assai maggiore sia come numero sia come calibro, ma sia alle une sia alle altre non è il caso di pensare",(23) a Roma la preoccupazione cresce, si cerca di correre ai ripari e la posizione di Visconti Prasca diventa precaria. In una riunione presso il Comando Supremo, Badoglio dichiara: "In Albania verrà subito sbarcata la divisione Bari: per ora non ci occuperemo di Corfù; dedicheremo invece tutto quanto possiamo a sovvenzionare i servizi logistici e ad inviare truppe in Albania .. Da rilevare che l'invio di tali divisioni non era stato chiesto per l'occupazione dell'Epiro studiata da Visconti con le forze di cui disponeva, forze che io ho già fatto rinforzare con un reggimento e due gruppi tolti dalla frontiera jugoslava e che ora rinforzeremo con un'altra divisione, la Bari, che non era stata richiesta".(24)

Il 10 novembre, dopo aver commentato che "le cose non sono andate come si poteva pensare e come ci avevano fatto sperare il Luogotenente Generale per l'Albania e il generale visconti Prasca", Mussolini invia in Albania il generale Soddu a sostituire l'incauto Visconti Prasca. Il 30 dello stesso mese lo stratega sconfitto è posto in congedo assoluto.

Badoglio capisce che anche lui sarà posto presto sul banco degli imputati ed inizia a preparare le "pezze d'appoggio" della sua autodifesa: "(Duce), il 14 ottobre avete convocato me e il generale Roatta e ci avete chiesto quante divisioni occorrevano per occupare la Grecia: abbiamo risposto venti .. Il giorno dopo .. senza più interpellarci avete dato ordine di attaccare il 26, divenuto poi il 28 .. di questi fatti non può essere reso responsabile né lo S.M. Generale, né lo S.M.R. Esercito".(25) Lo Stato maggiore, cui i primi rovesci hanno aperto gli occhi, dispone affannosamente l'afflusso di altre divisioni. L'"adeguamento" dell'Esercito, cioè la smobilitazione di mezzo milione di uomini, inopinatamente decisa di pari passo con la campagna di Grecia, crea non pochi problemi. Le unità che erano state avviate verso un assetto di pace vengono precipitosamente riportate sul piede di guerra, ed i reparti sono avviati verso l'Albania nel più completo disordine.

Il nuovo assetto, per la frammentazione degli arrivi in prima linea, consente di arginare qualche falla, non certo di riprendere decisamente l'iniziativa. Per oltre tre mesi le immissioni al fronte di reparti sganciati dalle loro unità, privi di salmerie, prive di servizi e con comandanti sconosciuti, non cesseranno più. Le divisioni perderanno la loro unità organica e i battaglioni saranno dispersi, mandati via via a riempire un vuoto qualsiasi in un settore qualsiasi.

Sarà questa una delle peggiori piaghe della campagna di Grecia, una delle principali cause dei nostri insuccessi.

Il disastro in Albania ed il "muro"

La nomina di Soddu coincide con l'inizio del periodo per noi peggiore, i mesi di novembre e dicembre saranno disastrosi. Quella che doveva essere una campagna rapida e vittoriosa, si è trasformata in una lunga guerra di logoramento.

L'11 novembre gli aerosiluranti inglesi ci infliggono la batosta della "notte di Taranto" - della quale abbiamo narrato in precedenza - ed il 14 inizia la nuova offensiva greca nella Macedonia occidentale. Si muovono tre robuste divisioni ternarie agli ordini del generale Pitsikas, l'attacco è violento e le posizioni italiane si trovano presto in condizioni critiche. Non è una rotta generale, ma il sistema italiano si dimostra debole e le varie unità accusano sbandamenti e perdite di collegamento. Nasci, che comanda il settore, chiede a Roma "l'invio urgente di tutto quanto è possibile" e stabilisce l'arretramento sul crinale del Morova; ma è già troppo tardi, il presidio di Erseke ha ripiegato senza preavvertire, lasciando scoperto il fianco sinistro della divisione Bari. Questo e altri episodi analoghi denunciano la disorganizzazione dei comandi, nelle retrovie regna la confusione, i servizi logistici sono carenti, mancano viveri, medicine, ospedali da campo. Alcuni reparti combattono rabbiosamente, altri rimangono come storditi dal repentino capovolgimento di fronte; ma nel complesso ufficiali e soldati si battono bene, questa guerra alpina difensiva è ancora a loro misura, non è la valanga di fuoco ed acciaio da cui saranno travolti in Africa ed in Russia.

La prima robusta controffensiva ellenica è bastata per mettere lo scompiglio in un'organizzazione poco accurata, fondata sul comodo ed illusorio presupposto di una costante condotta offensiva. I battaglioni di rinforzo che man mano affluiscono in linea non mutano gli equilibri, i greci hanno riserve a sufficienza per mantenere il predominio. Mussolini cerca di risollevare il morale di un'opinione pubblica sempre più sgomenta, affermando in un discorso che rimarrà celebre che le "aspri valli dell'Epiro e le loro strade fangose non si prestano a guerre lampo come pretenderebbero gli incorreggibili che praticano la comoda strategia degli spilli sulla carta .. con certezza assoluta, ripeto assoluta, dico che spezzeremo le reni alla Grecia".(25) Ma il giorno seguente, 19 novembre, Soddu deve far arretrare ancora il fronte, ripiegando su una linea che implica l'abbandono di Coriza, lasciando al nemico una grossa fetta di territorio albanese. L'intero fronte greco si muove, procedendo nel vuoto per una ventina di chilometri e recuperando il materiale, tra cui vari carri L3, abbandonato dal nostro esercito in ritirata.

L'impressione in Grecia e nel mondo è enorme: i greci scendono festanti nelle piazze di tutto il paese, la "grande potenza" è stata umiliata da un piccolo paese; alla Camera dei comuni lord Halifax tributa un elogio solenne "all'eroico popolo greco"; nella Parigi occupata dai nazisti gli strilloni offrono i giornali gridando "les grecs à Coriza, les italiens dans la merde"; al confine di Mentone i doganieri espongono un sarcastico cartello che recita "Grecs, arretez-vous. Ici France!" (26)

      Alle sconfitte e ai danni sul campo di battaglia si può ancora rimediare, ma per quelli al prestigio ed all'immagine delle forze armate italiane non c'è più nulla da fare. E ciò, in una guerra iniziata soprattutto per questioni di prestigio, equivale già ad una sconfitta. Hitler invia a Mussolini una lettera nella quale elenca tutti gli errori e le leggerezze della condotta italiana: l'azione sarebbe dovuta essere "procrastinata a stagione più propizia" ed ha avuto "conseguenze psicologiche spiacevoli e conseguenze militari molto gravi". Il duce è costretto a rispondere in tono conciliante, giustificando i primi insuccessi con il "maltempo che ha arrestato la marcia delle forze meccanizzate", con la "defezione quasi totale delle forze albanesi" e con l'"atteggiamento della Bulgaria", aggiungendo a fine lettera che ritiene indispensabile, nelle condizioni attuali, intensificare la collaborazione fra le nostre forze aeree .(27) Sono bastate tre settimane per smorzare le velleità di "guerra parallela" e per pentirsi della decisione di aver voluto mettere Hitler di fronte al fatto compiuto.

      Mentre le nostre truppe devono indietreggiare e marciano scorate verso le retrovie, il generale Papagos esita a dare l'ordine di una ripresa a fondo dell'offensiva. Teme di allungare troppo le linee, teme una trappola. Ha il dubbio che le strade albanesi siano piene di mine, che le zone da noi abbandonate siano imbottite di tonnellate d'esplosivo; ma non siamo attrezzati per misure del genere, nella foga dell'arretramento abbiamo ben altro a cui pensare. Dopo aver preparato malissimo un'avanzata, non siamo in grado di proteggere una ritirata se non col fuoco ed il sacrificio delle truppe. Quando, dopo tre giorni di stasi, i greci si decidono all'attacco, la nostra nuova linea di resistenza si dimostra presto troppo debole. I difensori, appena sistemati sulle nuove e sconosciute posizioni, non reggono l'urto e il 28 novembre i greci prendono anche Pogradec, uno dei pilastri del fronte ricostruito. La crisi militare e politica del regime diventa gravissima.

Visconti Prasca aveva già pagato le sue leggerezze, ora è il turno di Badoglio. La sconfitta non è più celabile, l'opinione pubblica è esacerbata, indignata: è necessario trovare un importante capro espiatorio, bisogna dimostrare la volontà di far pulizia negli alti comandi. Il 4 dicembre il duce comunica a Badoglio: "da questo momento siete in libertà".

A sostituirlo viene chiamato il generale Ugo Cavallero, che dopo la designazione a Capo di Stato Maggiore generale confida al figlio: "siamo di nuovo a Caporetto, e come allora devo rimediare agli errori di Badoglio". Non è Caporetto, ma Soddu si comporta come se lo fosse: non vede "possibilità di una ripresa, neanche di un equilibrio" e sollecita "una soluzione politica del conflitto".(28) Cavallero riesce a reagire a questo collasso psicologico, portando in uno Stato Maggiore abulico e demoralizzato una sferzata di attivismo.

      La nostra situazione al momento dell'insediamento di Cavallero è ben illustrata dal capo ufficio operazioni in Albania, t. col. Fornara:

"I) La campagna fu impostata sul presupposto che la Grecia abbandonasse le armi e che la nostra azione potesse ridursi ad un movimento logistico. Quindi:

Forze del tutto insufficienti

Schieramento lineare e fronti amplissime

Comandi sforniti di personale e mezzi

Organizzazione logistica rudimentale riferita ai porti, alle strade, agli automezzi, ai collegamenti, alle scorte, e più di tutto la convinzione di dover affrontare una marcia militare anziché una battaglia

II) L'offensiva iniziale in Epiro può quindi definirsi come un'azione concepita con lineamenti strategici e condotta con forze e mezzi insufficienti, anche per un'azione tattica di modesto raggio .." (29)

L'intendente generale Scuero, da parte sua, ha pronto l'inventario sulla consistenza dei nostri magazzini: "Viveri di riserva, nulla. Equipaggiamento, minimo. Indumenti di lana, zero. Munizioni di fanteria, zero. Munizioni di artiglieria, insignificanti. Armi ed artiglierie, esaurite tutte le possibilità. Materiale del genio, praticamente nullo. Materiale sanitario, insufficiente".(30)

      I servizi logistici sono di qualità infima, le strade sono in gran parte impraticabili e i porti non sono attrezzati per grandi sbarchi. Cavallero riesce nell'operazione di riorganizzare in qualche modo i rifornimenti: a Durazzo si costruiscono nuovi pontili e negli altri porti si fa il possibile per aumentare le capacità di sbarco. La difesa contraerea guadagna in efficienza e riesce finalmente a proteggere i punti di sbarco, mentre la Marina aumenta la sua attività. Dopo il caos iniziale, i convogli diventano regolari e possono assicurare un rifornimento costante, ma il fronte ha una fame di uomini e materiali che anche con questi rafforzamenti non può essere saziata.

Sotto Natale, dopo l'ennesimo successo dei greci che conquistano Himara, il fronte appare stabilizzato. Il muro, seppur sottile, è stato eretto e sembra poter tenere; ma temendo il peggio, Cavallero si preoccupa perfino della possibilità di costituire un campo trincerato a Tirana.

Il 28 dello stesso mese Soddu manda al Capo di Gabinetto alla Guerra una dura lettera, che causerà la sua destituzione. "La nostra linea" - scrive il generale - "è tenuta da truppe la cui capacità di reazione è ben scarsa. Da settimane, alcune da mesi, attendono il cambio, sempre promesso, che mai giunge .. Di fronte ad un attacco un po' nutrito possiamo essere sfondati in qualsiasi punto .. Il continuo precipitarsi quaggiù di "teste" di divisioni, nonché il guaio della "binaria" hanno fatto sì che l'Albania sia piena di comandi .. senza che in linea esista adeguato numero di combattenti, tanto che io proporrò tra poco che, senza mandarmi nuove grandi unità, mi si invii un terzo reggimento di divisione .. le truppe in linea sono sfinite, quelle che contrattaccano si logorano prima di essere al completo .. la linea è rimasta un velo. Se io logoro in contrattacchi le poche forze fresche che ho, chi resisterà poi al nuovo urto?" (31) Convocato a Roma "per conferire", Soddu non tornerà più in Albania: il suo incarico di comandante delle truppe operanti su quel fronte è assunto dal Capo di Stato Maggiore generale.

I tedeschi, sempre più preoccupati dell'andamento delle operazioni, propongono l'invio di un loro corpo di spedizione composto di una divisione alpina e di forze corazzate, che dovrebbero sfondare il fronte macedone. Cavallero sarebbe senz'altro d'accordo, ma Mussolini non può accettare e prende tempo: se il corpo d'armata tedesco risolvesse la campagna partendo dalle posizioni italiane, l'umiliazione sarebbe cocente.

Inizia il nuovo anno ma, a dispetto delle buone intenzioni, sono sempre i greci a comandare l'azione. Le forze che si fronteggiano hanno ormai parità numerica, ma la consistenza e l'organizzazione dei reparti nemici è migliore. I movimenti delle forze elleniche, ostacolati ma non paralizzati dalla nostra supremazia aerea, non devono sottostare alle strettoie dei porti e, a differenza di Cavallero, Papagos può permettersi anche qualche avvicendamento per riorganizzare le truppe più provate.

Mussolini è in preda all'ansia e, attendendo con impazienza che il vento cambi direzione, scrive a Cavallero: ".. a) la decisione di attaccare può e deve capovolgere la situazione soprattutto dal punto di vista morale. Dopo 60 giorni di incudine si diventa martello; b) quest'azione .. deve eliminare ogni motivo di speculazione mondiale sul prestigio militare italiano .. c) la Germania .. prepara un esercito destinato ad attaccare, in marzo, la Grecia dalla Bulgaria. Mio desiderio, mia certezza è che grazie al vostro impegno e al valore delle vostre truppe si renda superfluo l'aiuto diretto della Germania sul fronte albanese .." (32)

Parole al vento: mentre stiamo preparando il progetto di un'offensiva lungo la costa, i greci ci prendono in contropiede. Il 10 gennaio i greci riescono, con una manovra avvolgente, ad occupare Klisura. Questa volta anche la "Julia", la più solida ma anche la più martoriata delle nostre divisioni, deve cedere e la divisione "Lupi di Toscana", mandata precipitosamente a chiudere le falle, è travolta.

La conquista di Klisura sarà l'ultimo importante successo greco. Le truppe di Papagos hanno espresso il meglio delle loro energie, le abbondanti nevicate ed il muro che Cavallero è riuscito ad erigere con i nuovi rinforzi immobilizzano il fronte albanese e i progressi delle truppe elleniche finalmente si bloccano.

L'offensiva di primavera e la superiorità insufficiente

Il 29 gennaio muore Metaxàs, ma i greci continuano a tener botta. Gli italiani hanno ormai raggiunto una chiara superiorità numerica, ma il fronte è stabilizzato e i due eserciti sono ridotti ad una guerra di posizione che ricorda il '14-'18. Mussolini pretende una vittoria, almeno parziale, e la pretende subito. Le sconfitte che abbiamo subito in Africa dagli inglesi sono sopportabili, non così lo scacco a causa di un piccolo paese balcanico. I tedeschi stanno preparando il loro blitz nei Balcani, è necessario riuscire a sconfiggere l'esercito greco prima che questi irrompano dalla Bulgaria in Macedonia.

Siamo i più forti, abbiamo in linea il fiore delle divisioni alpine, abbiamo inviato il meglio delle nostre risorse militari ed i principali problemi logistici sono risolti. Mussolini annuncia che "i successi ellenici non esorbitano il campo tattico .. le perdite greche sono altissime, tra poco sarà primavera e, come vuole la stagione, la nostra stagione, verrà il bello".(33) L'offensiva di primavera, che in realtà si svolgerà nella prima metà di marzo, sarà onorata dalla diretta presenza del duce.

Per questa offensiva, che deve a tutti i costi infliggere un duro colpo all'esercito greco prima dell'intervento tedesco, è stato studiato un piano dopo vivaci contrasti tra Guzzoni e Cavallero. Il primo avrebbe voluto un'azione a fondo nel settore di Pogradec, che aprisse alle truppe italiane una breccia verso Coriza ed oltre; il secondo, che si imporrà, preferisce un attacco limitato in Val Desnizza, verso Klisura. Questa azione non ha successive possibilità di sviluppo e non può collegarsi all'intervento tedesco, ma il timore di una nuova controffensiva greca porta i generali ad evitare un'offensiva generale di dubbio esito. Ci si accontenta di ricercare una vittoria dimostrativa, prima che a vincere si pensa a non perdere.

Il poco brillante piano operativo preparato dal generale Gambara prevede l'attacco frontale in un punto dove le difese greche sono ben munite e scaglionate in profondità. Lo sfondamento dovrà avvenire grazie alla decisa superiorità numerica e all'utilizzo di oltre trecento bocche da fuoco su un breve tratto di fronte.

All'alba del 9 marzo ha inizio l'offensiva di primavera: sotto gli occhi del duce comincia l'intenso fuoco di preparazione dell'artiglieria, che finalmente dispone anche di grossi calibri, che spara centomila colpi in un paio d'ore. Anche l'aeronautica prepara la strada con massicci bombardamenti, ma quando infine si muove la fanteria i progressi sono lentissimi. Si combatte una battaglia di stile "carsico", con assalti, lanci di bombe a mano e violenti corpo a corpo per la conquista di qualche metro di terreno. Le perdite sono altissime, ma lo sfondamento non avviene. Per cinque giorni gli assalti vengono ripetuti, tra morti e feriti sacrifichiamo più di diecimila uomini ma la "vittoria militare assolutamente necessaria per il prestigio dell'esercito italiano" non arriva: "il nemico ha sfruttato il tempo che noi impegnavamo a formare il fronte per fare una sistemazione difensiva molto efficace".(34)

L'offensiva italiana - l'ultima organizzata e condotta in autonomia prima dell'intervento tedesco - è fallita, e i motivi sono molteplici: la scarsa fantasia strategica dei nostri generali, che non sanno immaginare qualcosa di diverso dal solito sanguinoso attacco frontale; l'impreparazione militare e psicologica dei nostri soldati, il cui basso morale si ripercuote inevitabilmente sull'impeto dell'assalto; la scarsità degli ufficiali di carriera alla testa dei battaglioni; l'inefficienza dei bombardamenti aerei da alta quota; la mancanza di coordinamento tra i gruppi di artiglieria ed i battaglioni che partono all'assalto. Superati infatti i primi 50, 60 metri di slancio, le batterie non allungano il tiro per tempo e rimangono ferme sulle coordinate iniziali, consentendo al nemico un limitato ripiegamento ed un rapido contrattacco.(35)

Ma nell'esito deludente dell'offensiva di marzo c'è la profonda giustizia della storia. Sarebbe stato troppo comodo poter cancellare, con il colpo di spugna di un successo sanguinosamente pagato, gli errori nefasti dei mesi precedenti e far dimenticare, col narcotico di una brillante avanzata, i congelati, i morti e le umiliazioni subite sul campo di battaglia. La nostra classe politica e militare, che per vent'anni si era ammantata di bellicismo e di retorica guerriera, non ha più seri appigli o scusanti: la sua incapacità è ormai palesata, la già barcollante fiducia nella vantata potenza delle nostre armi raggiunge il suo punto più basso.

La fine della "guerra parallela"

Pur nell'imminenza dell'ormai certo attacco tedesco, la Grecia non adotta contromisure di rilievo. Il re Giorgio II e Papagos sanno bene che la "Linea Metaxàs" non può reggere all'urto della Wehrmacht e puntano solo sulla vittoria morale che deriverà dal fatto che l'offensiva tedesca troverà le truppe greche ancora in territorio albanese.

La penetrazione dei tedeschi in Grecia avviene, infatti, in maniera travolgente. Il 9 aprile cade Salonicco e il 12 Papagos deve ordinare alle sue divisioni in Epiro e Macedonia di ripiegare. Lo schieramento italiano può quindi iniziare l'avanzata, Cavallero manda bersaglieri, fanti ed alpini all'inseguimento di un nemico che ripiega combattendo, riuscendo a tenerci a distanza. Il 18 aprile Argirocastro torna in mani italiane ed il 20 alcuni alti generali greci decidono, scavalcando il re e Papagos, di chiedere l'armistizio ai tedeschi. Mussolini monta su tutte le furie, ordina il proseguimento delle operazioni e pretende che i greci facciano un'esplicita richiesta di resa al comando italiano. I tedeschi tergiversano per non urtare la sensibilità del duce. Il generale Halder annota sul suo diario: "Il Führer ha ordinato che l'armistizio non sia applicato senza la sua approvazione. Questo per dare agli italiani una scappatoia. Ma questa soluzione consolida il mito che gli italiani abbiano costretto i greci ad arrendersi. In realtà al momento dell'armistizio non c'era contatto tra greci e italiani.".(36)

Finalmente, dopo incidenti tra italiani avanzanti all'inseguimento dei reparti greci ormai in dissoluzione e i tedeschi che ritengono la guerra finita, il 23 aprile viene firmato l'armistizio definitivo.

La campagna di Grecia termina in maniera ancor più umiliante di come era iniziata, e Churchill dichiara alla Camera dei Comuni:

".. il dittatore italiano si è congratulato con l'esercito italiano in Albania per gli allori gloriosi che ha conquistato con la sua vittoria sui greci. Questo è senz'altro il record mondiale del ridicolo e dello spregevole. Questo sciacallo frustrato, Mussolini, che per salvare la pelle ha reso l'Italia uno stato vassallo dell'impero di Hitler viene a far capriole a fianco della tigre tedesca con latrati non solo di appetito - il che si potrebbe comprendere - ma anche di trionfo"..(37)

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Da qualsiasi prospettiva la si voglia guardare, la campagna di Grecia fu la più disastrosa di tutta la guerra e le sue ripercussioni furono traumatiche per l'immagine dell'Italia e del regime che la governava. Fino a quel momento, benché la potenza militare italiana si fosse rivelata alquanto debole, nessuno poteva onestamente prevedere che non sarebbe riuscita ad avere la meglio sulla piccola Grecia. Invece era accaduto anche questo. Le ambizioni di Mussolini di condurre in piena autonomia dall'alleato una "guerra parallela" erano definitivamente frustrate. Il bluff era definitivamente scoperto, da allora in poi l'Italia avrebbe potuto proseguire la guerra solo come satellite della Germania.


Note

1. Cervi Mario, Storia della guerra di Grecia, BUR 2001, p. 50 [torna su]

2. Visconti Prasca S., Io ho aggredito la Grecia, Rizzoli 1946, p. 42 [torna su]

3. Ibid., p. 44 [torna su]

4. Cervi Mario, op. cit., p. 54 [torna su]

5. Visconti Prasca S., Io ho aggredito la Grecia, cit., p. 39 [torna su]

6. Montanari Mario, L'esercito italiano nella campagna di Grecia, Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio storico, Roma 1999, p. 58 [torna su]

7. Ibid., p. 59 [torna su]

8. Ibid., pp. 66,67 [torna su]

9. Gonzato Franco, Spezzeremo le reni alla Grecia, www.cronologia.it/storia/a1940h.htm (giugno 2004) [torna su]

10. Montanari Mario, L'esercito italiano nella campagna di Grecia, cit., pp. 67, 68 [torna su]

11 Montanelli Indro, Storia d'Italia Vol.8, cit., p. 338 [torna su]

12. Bocca Giorgio, op. cit., p. 217 [torna su]

13. Cervi Mario, op. cit., p. 88 [torna su]

14. Visconti Prasca S., op. cit., pp. 53-60 [torna su]

15. Ibid., p. 82 [torna su]

16. Cervi Mario, op. cit., p. 100 [torna su]

17. Visconti Prasca S., op. cit., p. 114 [torna su]

18. Zizzo Remigio (a cura di), Ottobre 1940: la campagna di Grecia, Italia editrice 1995, p. 70 [torna su]

19. Montanelli Indro, Storia d'Italia Vol.8, cit., p. 343 [torna su]

20. Cervi Mario, op. cit., p. 113 [torna su]

21. Montanari Mario, op cit., p. 176 [torna su]

22. Bocca Giorgio, op. cit., p. 225 [torna su]

23. Cervi Mario, op. cit., p. 125 [torna su]

24. Zizzo Remigio (a cura di), op. cit., p. 81 [torna su]

25. Ibid., p. 91 [torna su]

26. Bocca Giorgio, op. cit., p. 247 [torna su]

27. Lettere di Mussolini e Hitler in Cervi Mario, op. cit., allegati 28 e 29, pp. 308-313 [torna su]

28. Montanelli Indro, Storia d'Italia Vol.8, cit., p. 361 [torna su]

29. Montanari Mario, op cit., p. 329 [torna su]

30. Zizzo Remigio (a cura di), op. cit., p. 109 [torna su]

31. Ibid., pp. 427-428 [torna su]

32. Cervi Mario, op. cit., pp. 178-179 [torna su]

33. Bocca Giorgio, op. cit., p. 288 [torna su]

34. Montanelli Indro, Storia d'Italia Vol.8, cit., p. 386 [torna su]

35. Zizzo Remigio (a cura di), op. cit., p. 133 [torna su]

36. Montanelli Indro, Storia d'Italia Vol.8, cit., p. 391 [torna su]

37. Ibid., p. 394 [torna su]
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