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Processi militari per crimini di guerra
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LA CORTE MILITARE DI APPELLO DI ROMA

Riunita in Camera di consiglio nelle persone dei Signori:

Dott. Marcello RONCA - Presidente
Dott. Giuseppe MONICA - Consigliere Dott. Mauro ROSELLA - Consigliere
T. Col. E.I. Gianfranco AMADIO - Giudice militare
T. Col. E.I. Andrea PRANDI - Giudice militare

nel procedimento di ricusazione del dott. Agostino QUISTELLI, Presidente del Tribunale militare di ROMA, proposto il 5 luglio 1996 dalla parte civile Giuseppe NOBILI nel procedimento contro PRIEBKE Erich, nato a Berlino (Germania) il 29 luglio 1913, già capitano delle SS, attualmente ristretto presso il Carcere militare di Forte Boccea di ROMA perché imputato di concorso in violenza con omicidio continuato in danno di cittadini italiani (art. 13 e 185, co 1 e 2 c.p.m.g. in relazione agli artt 81, 110, 573 e 577 nn. 3 e 4, 61 n.4 c.p.).

 

 

 

OSSERVA

 

I

 

Con atto del 3 luglio 1996, depositato nella cancelleria della Corte militare di Appello in data 5 luglio 1996, la parte civile Signor Giuseppe NOBILI dichiarava di ricusare ai sensi dell'art. 37 comma I, lett.a) con riferimento all'art.36 comma I lett. c) c.p.p., il Presidente del Tribunale militare di Roma dott. Agostino QUISTELLI per avere egli manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle fimzioni giudiziarie in un colloquio avuto con il Generale dei Carabinieri in ausiliaria Francesco MOSETTI.
Assumeva la parte civile che ha proposto la ricusazione di essere venuta a conoscenza dell'episodio solo il giorno 3 luglio 1996, "in occasione della camera di consiglio relativa alla istanza di ricusazione proposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale militare di Roma".
Il NOBILI allegava la dichiarazione resa dal generale CC. MOSETTI il 21 giugno 1996 alla Procura militare di ROMA, nella quale l'alto ufficiale riferiva che il dott. QUISTELLI, Presidente del Tribunale militare di ROMA, alcuni mesi prima dell'inizio del processo nei confronti del PRIEBKE, commentando con lui l'operato della Procura militare, aveva manifestato alcune personali opinioni in merito al procedimento stesso, affermando che il lavoro portato avanti dalla Procura era inutile, "perché tutt'al più nella condotta dell'ufficiale tedesco si poteva ravvisare un omicidio colposo plurimo". Nell'occasione il magistrato aveva aggiunto che non era il caso di andare a rivangare il passato, trattandosi di persona avanti negli anni.
Il NOBILI allega anche il verbale di spontanee dichiarazioni rese dalla Signora Maria PACE il 16 giugno 1996 presso il Comando Compagnia CC. di ANAGNI nel quale la suddetta aveva riferito di avere saputo dall'avv. DI REZZE, difensore del PRIEBKE, che il Presidente QUISTELLI aveva fatto assicurazioni in tal senso allo stesso difensore.
Il dott. QUISTELLI, l'avv. DI REZZE, e l'avv. DI BIAGIO presentavano memorie e difensive.
La Corte in data 18 luglio 1996 assumeva informazioni direttamente dal generale MOSETTI le cui dichiarazioni, integralmente registrate e trascritte, sono state depositate in cancelleria unitamente agli atti comprovanti la trasferta del dott. INTELISANO in Argentina nell'agosto 1995.

 

 

II

 

L'istanza della parte civile è stata discussa nell'udienza del 29 luglio 1996 nel corso della quale 1'avv. DI BIAGIO ha illustrato 1'istanza di ricusazione, chiedendone l'accoglimento.
Sono intervenuti gli avv. GENTILI, MANIGA, DI LASCIO che, ulteriormente sviluppando i profili della ricusazione, hanno concluso rimettendosi alle decisioni della Corte.
L'avv. MANCINI, l'avv. LOMBARDI e l'avv. LO MASTRO, esaminando altri aspetti della vicenda, hanno sollecitato l'accoglimento della proposta istanza di ricusazione.
L'avv. DI REZZE ha, poi, concluso chiedendo in primo luogo la inammissibilità della istanza di ricusazione e nel merito il rigetto della stessa per la sua manifesta infondatezza.

 

III

 

 

La Corte rileva preliminarmente che non può essere condivisa la richiesta avanzata dal dott. QUISTELLI volta alla dichiarazione della inammissibilità della ricusazione per mancata apposizione della attestazione di conformità sulla copia della dichiarazione depositata presso la Corte militare di Appello in quanto la legge non prevede tale attestazione.
Il dott. QUISTELLI eccepisce, inoltre, la inammissibilità della richiesta di ricusazione per decorso del termine di cui all'art. 38 co. II c.p.p..
A tal fine fa rilevare che la dichiarazione rilasciata dal generale MOSETTI il 21 giugno 1996 alla Procura militare di ROMA è stata depositata presso la Corte militare di Appello il 24 giugno 1996, cioè nei dieci giorni che hanno preceduto la discussione della prima ricusazione fissata per la Camera di Consiglio del 3 luglio 1996.
Pertanto, l'assunto della parte civile di avere avuto conoscenza della dichiarazione del Gen. MOSETTI solo il 3 luglio 1996 è contestato per la immediata pubblicità ricevuta sulla stampa e in TV nei successivi giorni; inoltre, per il fatto che il difensore del NOBILI è collega di studio dell'avv. MANCINI, altro difensore di parti civili, che aveva presentato memorie difensive entro il 27 giugno 1996 (art. 41 co. III c.p.p. in relazione all'art. 127 co.II stesso codice).
Si potrebbe così ipotizzare la esistenza di un fatto notorio processuale, cioè di un fatto notorio comune a tutti i soggetti partecipanti al processo (tanto più logico in relazione a pluralità di parti civili anche organizzate in associazioni) senza neppure necessità di richiamarsi a quella notorietà a livello nazionale data dai mass-media.
Ritiene invece la Corte che, superando le difficoltà probatorie ricollegabili alla sola autocertificazione della parte civile, sia necessario dare alla richiesta di ricusazione una risposta sostanziale.
Va subito precisato, per quanto riguarda la dichiarazione rilasciata dalla Maria PACE (la quale integrerebbe l'ipotesi di cui all'art. 37 co. I lett.b) c.p.p.) che la stessa è manifestamente infondata per le ragioni di cui all'ordinanza emessa da questa Corte il 3 luglio 1996 e depositata 1'8 luglio 1996. Trattasi di persona, infatti, non affidabile per i precedenti giudiziari di truffa e per gli episodi di labilità psichica riferiti dalla stessa figlia, nonché per la netta smentita data all'episodio dal teste di riferimento, avv. DI REZZE.
Invece, la Corte, nell'ambito dell'istruttoria prevista dal comma II dell'art. 41 c.p.p., ha ritenuto opportuno sentire sui fatti lo stesso Gen. MOSETTI, proprio al fine di acquisire ulteriori e più completi elementi di valutazione sull'oggetto del colloquio intercorso tra lui ed il Presidente dott. QUISTELLI. E' così emerso che tale colloquio, già rappresentato alla Procura militare come avvenuto nel novembre - dicembre 1995, in realtà era da riportare più indietro nel tempo, almeno al periodo in cui il Procuratore militare dott. INTELISANO si era recato in Argentina per interrogare formalmente il PRIEBKE, quindi almeno all'agosto 1995.
L'ufficiale ha, poi, chiarito alla Corte che il colloquio con il Presidente dott. QUISTELLI, col quale aveva rapporti di conoscenza da antica data, era avvenuto in occasione di una sua visita fatta all'ufficio giudiziario militare di Roma, presso il quale egli aveva completato il suo servizio attivo.
Da tale dichiarazione (registrata fonicamente e trascritta) è poi risultato che la conversazione ha avuto un carattere assai meno tecnico-giuridico di quanto si potrebbe supporre alla stregua dello scritto rilasciato il 21 giugno 1996.
L'ufficiale ha precisato, anche, che le manifestazioni verbali del dott. QUISTELLI erano in realtà finalizzate ad una critica, anche severa, nei confronti delle metodologie di lavoro della Procura militare più che all'esame del procedimento PRIEBKE, dei cui atti il dott. QUISTELLI non aveva alcuna conoscenza.

 

 

IV

 

La ricusazione del Presidente del Tribunale militare di Roma dott. QUISTELLI è stata proposta ai sensi dell'art. 37 comma I lett. a), in relazione alla lettera c) c.p.p. (avere dato consigli o manifestato parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie).
Per una migliore comprensione dell'istituto della ricusazione e della sua concreta portata operativa è necessario partire dall'art. 25 co. I Costituzione, il quale stabilisce che il giudice deve essere predeterminato per legge; le ipotesi di ricusazione si configurano, dunque, come norme eccezionali in quanto limitano la normale capacità processuale del soggetto titolare dell'ufficio giurisdizionale.
Ne consegue che i casi di ricusazione devono essere tassativi non solo nel senso che non possono essere applicati in via analogica, ma anche nel senso che la stessa interpretazione deve essere solo letterale (vd. Cass. Sez. II, CC 5 giugno 1992, FALBO, in Cass. Pen. 1993, doc. 1386, p. 2293).
La ricusazione è, dunque, uno strumento eccezionale al quale fare ricorso soprattutto nell'ottica delle attività che il giudice è chiamato a porre in essere (ecco perché i motivi di ricusazione devono essere immediatamente fatti valere, non appena riconosciuti, a pena di inammissibilità).
Con la procedura di ricusazione il legislatore ha inteso e intende, così, garantire a tutte le parti di un procedimento giudiziario la sostanziale obbiettività e serenità del giudice nell'adempimento della sua funzione giurisdizionale; in tale contesto la ricusazione tende ad escludere il magistrato dalle sue funzioni di giudice di un determinato processo, trovandosi egli in una delle situazioni espressamente previste dalla legge.
In altri termini con la ricusazione si garantisce alle parti di un processo la doverosa imparzialità del giudice, il quale deve formare e maturare il proprio convincimento esclusivamente all'interno delle procedure tipiche, seguendo l'itinerario probatorio offertogli dalle parti, rispetto al quale l'anticipazione del giudizio prima della definitiva pronuncia della sentenza ovvero la manifestazione di un parere fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie rappresenta sicuramente un vulnus capace di inficiare la necessaria serenità ed oggettività di giudizio che il magistrato, oltre che avere, deve anche dimostrare di possedere; serenità ed oggettività che esulano nel caso in cui egli manifesti il proprio parere o dia consigli sul procedimento al di fuori delle funzioni giudiziarie.
Occorre, però, subito affermare che la manifestazione di un parere fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie deve concretarsi pur sempre in una attività che si ricollega in senso tecnico con provvedimento che deve essere celebrato.
Come ha avuto modo di confermare la giurisprudenza (vds. per tutte: Cass. Sez.VI, 27 giugno 1985, ric. NICO in Giust. Pen.1986, III, 282, 263 con note; Cass. Sez.I, 14 novembre 1988, ric. COTTI COMETTI, in Giust. Pen. 1989, III, 408, 262) l'ipotesi di ricusazione delineata dall'art. 64 n.2 c.p.p. 1930, che risulta perfettamente eguale a quella prevista dall'art. 36 co.I lett. c) c.p.p. vigente, si realizza attraverso il concorso necessario di due elementi: 1) manifestazione, da parte del giudice di un parere sull'oggetto del procedimento affidatogli; 2) condizione che il parere venga manifestato al di fuori dell'esercizio della funzione giurisdizionale; in entrambi i casi laico con il procedimento che deve essere congiunta considerazione di tali elementi deve essere valutata con riferimento alle concrete circostanze di fatto in presenza delle quali sono state rese le dichiarazioni che hanno realizzato la manifestazione di pensiero dell'agente.
In altri termini la giurisprudenza ha precisato che la condizione che realizza il motivo della ricusazione si perfeziona solo nel caso in cui manifestando il proprio parere fuori del procedimento affidatogli, il magistrato dimostri al di fuori delle proprie funzioni una anticipazione del giudizio sull'oggetto del processo già sottoposto alla sua attenzione; in tale ottica la stessa giurisprudenza precisa ancora che, non si può attribuire alcuna rilevanza "all'apprensione o al senso di sfiducia che una delle parti nutra o assuma di nutrire in ordine alla obiettività del giudicante" qualora tali apprensioni non trovino riscontro nella realtà concreta mostrata dai fatti.
Esaminando, allora, i fatti così come riferiti dal generale MOSETTI alla stregua dei principi sopra individuati, si rileva, innanzi tutto, che le dichiarazioni rilasciate dal dott. QUISTELLI risalgono ad oltre un anno fa, ad un'epoca in cui il procedimento a carico del PRIEBKE si trovava ancora pendente davanti al P.M. nella fase delle indagini preliminari e non era dato sapere (neppure da parte del presidente QUISTELLI) se lo stesso sarebbe sfociato nel dibattimento.
Il tono del colloquio fu poi estremamente amichevole e confidenziale: nell'occasione il dott. QUISTELLI concentrò la sua attenzione piuttosto sul lavoro della Procura, a suo avviso troppo attenta solo a particolari tematiche, che non sul caso specifico del procedimento PRIEBKE portato proprio come esempio dei rilievi mossi all'ufficio di Procura e certamente non come manifestazione di un convincimento giuridico compiutamente maturato.
Infatti, il dott. QUISTELLI, sullo specifico caso PRIEBKE, ha fatto riferimento a giudizi correnti nell'opinione pubblica (spesso enfatizzati da giornalisti di fama) e non ad una analisi di tipo tecnico giuridico; in tal senso, quindi, di nessun rilievo sotto il profilo del concreto impegno di giudizio, considerato che il magistrato ha parlato senza conoscere gli atti, senza alcuna cognizione e consapevolezza delle tematiche che il processo avrebbe potuto suscitare e sulle quali soltanto assume rilievo la pretesa ricusatoria della parte che ha ragione di esigere dal giudice il massimo di obbiettività, ma non può certo pretendere che il magistrato non abbia alcuna idea (soprattutto su un fatto di rilievo storico quale è l'eccidio delle ARDEATINE) e che soprattutto non possa manifestarla, come per qualsiasi cittadino, quando le vicende appartengono ancora alla sfera del possibile e non siano state calate nel concreto della sua attività professionale.
Ciò che si vuole sottolineare è la superficialità delle opinioni espresse dal dott. QUISTELLI al generale MOSETTI, che certamente non potevano pregiudizialmente impegnare il magistrato sui temi del processo che poi si sarebbe trovato a svolgere (ma che al momento apparteneva alla sfera della mera possibilità).
Del resto la tradizionale interpretazione da dare ai concetti di consiglio e di parere esclude che in essi possano essere ricomprese le generiche frasi riferite dal dott. QUISTELLI.
Secondo l'univoco insegnamento di dottrina e giurisprudenza, dare consiglio significa dare suggerimenti od avvertimenti sul comportamento personale che la parte deve tenere nel procedimento sia in ordine alla scelta della difesa, sia in ordine ai mezzi per combattere le deduzioni avversarie; manifestare il proprio parere sull'oggetto del procedimento significa dare un formale giudizio, una opinione su quelle che potranno essere le definitive decisioni sul procedimento o sul modo come potranno essere risolte le questioni giuridiche ad esso connesse.
Come già questa Corte ha avuto modo di notare, scendendo nel merito della dichiarazione resa dal generale MOSETTI, la sostanziale inutilità e superficialità delle opinioni espresse dal dott. QUISTELLI è apparsa conferrnata dall'esame delle sentenze emesse nel procedimento contro Herbert KAPPLER ed altri, il 20 luglio 1948 dal Tribunale militare di ROMA e dal Tribunale Supremo militare il 25 ottobre 1952, dalle quali non si può prescindere nell'analisi giuridica della posizione del PR1EBKE: tali sentenze, confermando la condanna del principale imputato per il reato di omicidio volontario plurimo per l'uccisione di 335 cittadini italiani, escludono qualsiasi riferimento ad una ipotesi colposa di omicidio.
Analoghe considerazioni sono ricollegabili, altresì, con il valore che alle opinioni del dott. QUISTELLI è stato attribuito dal Procuratore militare dott. INTELISANO e dal sostituto dott. BARONE i quali giustamente non si sono affatto preoccupati di tale manifestazione di pensiero, proprio perché hanno apprezzato la situazione per quella che effettivamente era: una chiacchierata tra conoscenti su una vicenda della quale entrambi non avevano alcuna diretta cognizione di atti processuali e di indicazioni probatorie le quali in un procedimento giudiziario rappresentano i soli elementi capaci di orientare il giudizio.
In tale ottica, quindi, l'accusa rivolta al dott. QUISTELLI di avere anticipato i proprio giudizio e i propri convincimenti sul procedimento PRIEBKE al di fuori del processo, considerata nei termini in cui l'ha riferita il generale MOSETTI, perde ogni connotazione di legittima suspicione, per essere riportata, così come deve essere, nell'alveo di una manifestazione  verbale, certamente non sintomatica di una decisione precostituita, che sola legittimerebbe l'ipotesi ricusatoria.
Tutte le indicazioni, sulle quali la Corte si è voluta soffermare, confermano la inesistenza di prove che dimostrino da parte del dott. QUISTELLI una anomala ed irrituale anticipazione del giudizio, sia pure attraverso la manifestazione di un sommario parere al di fuori dello stesso e per tale motivo la ricusazione proposta nei suoi confronti deve essere rigettata.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

Visti ed applicati gli artt. 37 e segg., 107 c.p.p.; 288 c.p.m.p.; 3 legge 180/1981;

 

 

RIGETTA

 

 

l'istanza di ricusazione del dott. Agostino QUISTELLI presentata il 5 luglio 1996 dalla parte civile Giuseppe NOBILI;

 

 

 

ORDINA

 

 

che la presente ordinanza sia comunicata e notificata dalla Cancelleria ai sensi dell'art. 41 u.c. c.p.p..

Roma, 29 luglio 1996

 

Seguono le firme

 

 

 

 

 

 

La Corte Suprema di Cassazione - Sezione Prima Penale - con sentenza in Camera di Consiglio in data 15 ottobre 1996, in accoglimento dei ricorsi del Procuratore Generale presso la Corte Militare di Appello e delle parti civili, ha annullato senza rinvio l'ordinza impugnata. Ha dichiarato 1' inefficacia di tutti gli atti del giudizio cui si riferisce la dichiarazione di ricusazione della parte civile Giuseppe Nobili e, per l'effetto, ha dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale Militare di Roma in data 1.8.1996.

Ha rigettato il ricorso di Erich Priebke e lo ha condannato al pagamento delle spese processuali.

Segue la firma

 

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