LA BATTAGLIA DI MARETH E LA MANOVRA DA MARETH ALL'AKARIT
16-31 marzo 1943
Comando 1a Armata - Stato Maggiore -
Z.O., 5 aprile 1943
N. 338/2205 di prot.
Segreto Oggetto: Relazione.
Al Comando Supremo
- a mezzo ufficiale -
Trasmetto una relazione complessiva sulla battaglia di Mareth
e sul ripiegamento dalla linea di Mareth a quella dell'Akarit.
// Generale d'Armata Comandante
G. MESSE
TESTO DELLA RELAZIONE
1º - La notte sul 17 marzo, dopo la preparazione di
artiglieria che per violenza, durata, numero di batterie e
munizioni, trova riscontro soltanto nella battaglia di El Alamein
dello scorso ottobre, i due terzi dell'8a armata britannica
iniziano l'attacco alla linea di Mareth. Contemporaneamente, un
terzo delle forze nemiche, per le poco agevoli vie del deserto,
punta minaccioso all'aggiramento della nostra destra, oltre il
massiccio gebelico di Matmata, protetto da un sottile velo disteso
fra Melab e Tebaga.
Dopo sei giorni di lotta accanita nel settore costiero, il
nemico non ha conseguito che successi modesti, in proporzione dei
mezzi impiegati e del prezzo di sangue pagato: la Ia armata, che
finora ha reagito essenzialmente con continui, pronti, fulminei
contrassalti di reparti in posto e con la manovra di fuoco delle
sue artiglierie, pone ora, per la prima volta, il quadro della
battaglia sul piano di un contrattacco di grande unità. La 15a
divisione corazzata germanica(ridotta peraltro, per i precedenti
combattimenti in altri settori tunisini, alle proporzioni di un
terzo dei suoi effettivi) in unione ad altre forze italo-tedesche
della linea di Mareth, nei giorni 22 e 23 marzo recide alla base
il saliente nemico incuneatesi fra le nostre linee.
Questo contrattacco di stile stronca ogni velleità britannica
sulla linea di Mareth. L'8a armata, che indubbiamente ha
sottovalutato la capacità reattiva delle nostre truppe (sono i
prigionieri che lo affermano) e le possibilità di resistenza della
linea stessa, non rinunzia alla lotta: sposta la massa dei propri
effettivi a rinforzo delle unità già in marcia contro il nostro
settore sud-occidentale, trasformando in azione principale quella
che nel piano originale doveva essere soltanto concomitante.
L'attacco viene sferrato nella notte sul 22 dalle avanguardie
corazzate del primo scaglione britannico; anche qui la lotta si fa
estremamente dura, ma le nostre contromisure, in perfetto
sincronismo con il delinearsi della manovra inglese, sono già in
atto: già è affluita in loco gran parte della 21a divisione
corazzata, messa a disposizione dal comando gruppo armate, mentre
è in corso il movimento della 164a divisione di fanteria, ritirata
dalle linee. Con queste ed altre forze che vengono man mano
sottratte alla linea di Mareth, la situazione nel settore
meridionale viene prontamente fronteggiata prima, e nettamente
dominata poi.
Quando, nel quadro di una situazione strategica che investe
tutte le forze dell'Asse nel settore centro-meridionale tunisino,
la 1a armata riceve ordine di ripiegare, il comandante propone di
portare anzitutto a termine la battaglia, che ritiene di poter
risolvere vantaggiosamente anche in questo settore, e di procedere
soltanto dopo al movimento retrogrado. Ricevuta conferma di
iniziare senz'altro il ripiegamento, l'armata può affrontare ed
eseguire la difficile manovra, con esattezza prodigiosa, in virtù
delle predisposizioni già attuate, della reazione manovrata che
continua ad opporre all'attacco nemico il quale, puntando su El
Hamma, costituisce una prossima minaccia che occorre parare ed è
infatti parata, lasciando il nemico incerto e perplesso, per
effetto anche della precedente vittoria sulla linea di Mareth, di
fronte alla quale le truppe nemiche rimaste battute e depauperate
di mezzi a vantaggio della massa aggirante, non sono in grado di
contrastare efficacemente lo sganciamento.
Al 31 marzo, con il rientro delle retroguardie oltre la linea
dell'Akarit, dopo una breve sosta sulla linea di El Hamma-Gabès,
la manovra è conclusa: il nemico registra al proprio attivo un
modesto guadagno territoriale e la cattura di qualche migliaio di
prigionieri, presi con l'arma in pugno dopo aver sparato l'ultima
cartuccia; prigionieri che una situazione logistica meno tesa
nell'ambito dei trasporti avrebbe indubbiamente ridotto di numero.
2º - L'8a armata, che da 34 mesi l'Inghilterra alimenta di
uomini, di cannoni, di carri e di mezzi d'ogni genere, ha subito
sulla linea di Mareth e nella successiva manovra uno scacco
clamoroso, di cui non ha fatto mistero, in forma velata, il
Premier britannico, e che in forma più esplicita un corrispondente
del Times ha così riassunto, sia pure attribuendo il merito, per
motivi di propaganda, al maresciallo Rommel: "Rommel non sarà
tagliato fuori, dato che la maggior parte delle sue truppe ha già
passato la stretta di Gabès. La speranza di catturare la massima
parte delle forze nemiche si è dovuta abbandonare. Tutto quello
che è stato possibile fare è il rastrellamento di posizioni
fortificate di piccola importanza. Questa situazione ritengo sia
stata provocata dai rovesci subiti dall'8a armata nel contrattacco
sferrato da Rommel la scorsa settimana. Tutto ciò ci delude molto,
ma anche le possibilità per le truppe americane, che avrebbero
potuto compiere il principale attacco sul fianco nemico, non sono
state molto migliori delle nostre".
Riassunto sinteticamente il bilancio di un'operazione che
ritorna ad onore e gloria delle truppe e dei comandi della Ia
armata, sembra utile passare in rassegna gli elementi essenziali
che hanno originato, sviluppato, concluso questo indiscutibile
successo delle nostre armi.
3º - Verso il 15 febbraio, col rientro delle ultime nostre
retroguardie dietro la linea di Mareth, l'inseguimento britannico,
iniziato ad El Alamein il 4 novembre e protrattosi per oltre 2.500
chilometri, è finito. Le nostre truppe, facendo ovunque fronte al
nemico e contenendone gli attacchi nei momenti più salienti di
questa gigantesca epopea, hanno scritto una pagina di storia che
rimarrà memorabile. Ma sarebbe illusorio nascondere che questo
immane travaglio durato per mesi non abbia agito profondamente,
oltre che sui fattori materiali, anche su quelli morali del nostro
potenziale bellico. Il comando della 1a armata, nell'iniziare il
suo funzionamento, ne ha la sensazione netta e precisa: si apre e
viene affrontata da tutti, con la massima energia, tutta una fase
di intenso lavoro di ricostruzione materiale e morale.
In questo sguardo panoramico non trova luogo una minuta
disamina dei provvedimenti adottati e rapidamente condotti a
termine per potenziare nel modo migliore le nostre forze; basti
accennare che si è dato il massimo impulso all'avvicendamento di
quegli elementi che, superati i 36 mesi di permanenza in colonia,
per i disagi sofferti e lo stato morale depresso, rappresentavano
più un elemento di debolezza che di forza; si sono completati, in
uomini e mezzi, numerosi reparti, altri sono stati disciolti,
altri ricostituiti; sono stati sostituiti comandanti anche di
grado elevato che, pur avendo dato ottima prova in passato, non
apparivano in condizioni di fisico e di spirito tali da affrontare
nuove prove che si approssimavano, ancora più dure di quelle
trascorse; si è con ogni mezzo riavvicinato - anche materialmente
- i comandi alle truppe; si è cercato, nei limiti dei modesti
mezzi concessi, di migliorare le condizioni materiali del soldato;
sono stati ripresi energicamente alla mano e riordinati i servizi
di intendenza; è stata ridata in pieno ai comandi di grandi unità
la loro integrale funzione tattico-organico-logistica che si era
smarrita attraverso sistemi di comando che, attuabili in eserciti
stranieri, sono innegabilmente da scartare presso il nostro
esercito.
Soldati, quadri, comandi hanno avvertito da sé che, dopo le
gloriose ma dolorose vicende trascorse, una fase nuova si andava
iniziando, verso la quale si poteva guardare, se non con la
certezza di una vittoria sicura, certo con tranquilla fiducia.
Le posizioni assegnate alla Ia armata sono conosciute
attraverso una fama immeritata di "Maginot del deserto"; questa
Maginot era costituita in sostanza da una trentina di bunker nella
zona costiera pianeggiante, a sbarramento delle principali
comunicazioni; naturalmente buone le posizioni della zona montana,
dove una vasta soglia di circa 13 chilometri non offre
assolutamente ostacolo alla manovra di forze corazzate.
Nel concetto francese la "Maginot del deserto" doveva
rappresentare il primo ostacolo alle forze italiane della Libia,
notoriamente sprovviste di mezzi corazzati, per dar tempo a tutta
una serie di contromanovre, per lo sviluppo delle quali era stata
costruita a tergo delle posizioni una fitta rete stradale; questa,
che offre indubbiamente possibilità controffensive, presenta ai
fini della difesa un fondamentale difetto: essa confluisce nella
zona di Gabès, che viene a rappresentare perciò una stretta, la
perdita della quale (in conseguenza di sfondamento alla linea di
Mareth) porrebbe in crisi tutta la difesa di parte della zona
costiera, di tutta la zona montana e del settore sud-occidentale.
Si aggiunga che l'esistenza di un cordone collinoso degradante
verso il mare davanti alla zona fortificata pone quest'ultima, nel
settore costiero, in condizioni di essere dominata da un nemico
che riesca ad impadronirsene.
Tutti questi elementi, valutati nel loro insieme, in uno con
lo sviluppo della linea, di troppo superiore ai modesti effettivi
della 1a armata, avrebbero fatto preferire la scelta di posizioni
più arretrate (Akarit) che, se potenziate con apprestamenti
difensivi campali predisposti da tempo, avrebbero indubbiamente
offerto condizioni di maggiore economia e di migliore resistenza.
Il comando d'armata trovò una situazione di fatto e l'accettò
in quanto tempo e mezzi non erano più disponibili per rinnovare
altrove le difese accessorie che erano già state predisposte.
Tenne conto dei pregi e dei difetti della linea, cercando di
assicurarle profondità, di sottrarla al dominio nemico, dosando le
forze nei vari settori, in relazione alle intrinseche capacità di
resistenza ed ai presumibili sviluppi della manovra nemica sulla
quale, fin da metà febbraio, si avevano concreti elementi di
giudizio.
In relazione a questi criteri fu fatto occupare da truppe
consistenti e organizzare a difesa il cordone collinoso
sopraccennato costituendone una posizione avanzata, destinata ad
imporre al nemico un primo schieramento ed a contenere l'impeto
del primo attacco. Fu dato incremento, in tutto il settore
costiero, alla fortificazione campale (reticolati e campi minati),
furono assegnati più vasti settori alle grandi unità della zona
montana (da dove fu predisposta anche la sottrazione di una
divisione, non appena la manovra nemica si fosse precisata in ogni
dettaglio). Per la difesa del settore sud-occidentale (soglia
Tebaga-Melab) fu raccolto e rinforzato, con quanto disponibile, il
raggruppamento sahariano, scontando a priori una situazione
delicata alla quale si ritenne di poter parare (come infatti
avvenne) con la manovra delle riserve mobili, di cui l'armata non
disponeva in proprio, ma che erano state assicurate dal gruppo
armate.
Particolarmente curato fu lo schieramento e l'impiego delle
artiglierie che, favorito da buone posizioni e da ottimi
osservatori, doveva costituire uno dei cardini della nostra
resistenza. Data la minor gittata, il minor numero dei pezzi, lo
scarso munizionamento in raffronto con le artiglierie del nemico,
si dovette rinunciare, di massima, alla controbatteria, per
concentrare il fuoco sugli obiettivi più importanti, dosando il
numero dei colpi in relazione alla pericolosità degli obiettivi
stessi: la manovra del fuoco, predisposta nei minimi dettagli, ha
pienamente risposto, in ogni fase della battaglia, con risultati
di precisione, di potenza, di tempestività tali, da costituire il
più manifesto, se non essenziale, ostacolo all'avanzata nemica.
Nel quadro della rinascita di ogni energia materiale e morale
vi erano da ritoccare alcuni metodi di combattimento delle nostre
fanterie che, affermati da tutti in teoria, s'erano andati
smarrendo nella guerra del deserto, dove il ritmo della lotta era
segnato dall'azione dei carri, dei controcarri, delle artiglierie,
dell'aviazione. La fanteria, per lungo tempo anchilosata in
compiti di resistenza in posto, non contrattaccava più. A colmare
questa lacuna, a ridar vita e fede ai nostri fanti, il comando di
armata ha atteso con cura particolare, adoperando ogni mezzi,
dall'incitamento all'emulazione, della repressione al premio
meritato: fin dai primi contatti col nemico si è preteso che il
fante, la squadra, il plotone eccetera reagissero col contrassalto
ed il contrattacco, in misura proporzionale all'offesa nemica;
particolare questo di non trascurabile entità quando si pensi che
l'attacco nemico che ci apprestavamo a rigettare doveva essere,
nella fase iniziale di rottura, portato essenzialmente dalle
fanterie, sia pure potentemente appoggiate, in quanto è canone
tradizionale che grandi unità corazzate non possono (pena la
distruzione rapida) affrontare posizioni sistemate a difesa se
prima la fanteria, l'artiglieria, i carri d'appoggio e
l'aviazione non hanno aperto una breccia proporzionale al deflusso
della massa corazzata.
A metà marzo la nostra preparazione, lungi dall'essere quella
desiderabile, segnava tuttavia punti di notevole vantaggio.
Restavano invece vaste e paurose lacune: scarsezza di munizioni,
povertà di automezzi, assenza di riserve in proprio, modestia di
armi e di mezzi in ogni campo, scarso appoggio d'aviazione, per
non enumerare che le principali. Ma in complesso l'armata, rinata
dalle gloriose schiere dei valorosi che s'erano battuti ad El
Alamein, in Sirtica e sul Gebel, rinsanguata con nuovi elementi
che assorbivano lo spirito dei veterani, epurata di molte scorie
che la evacuazione della Tripolitania aveva tratto seco, aveva ora
un suo stile, una sua anima che accettava la lotta, fieramente
decisa a protrarla fino alle estreme conseguenze, su quelle
posizioni che erano state affidate all'onore dei nostri soldati.
4º - A metà febbraio le avanguardie britanniche che avevano
inutilmente, e per la verità assai fiaccamente, inseguito le
nostre truppe da Tripoli a Mareth, si arrestavano in vista delle
nostre posizioni, iniziando piccole azioni di dettaglio intese a
sondare l'andamento delle nostre linee.
Da questo momento, con progressione metodica e costante, man
mano che la situazione logistica riprende il suo normale
funzionamento, le forze nemiche affluiscono oltre la frontiera
libica e vanno a schierarsi a cavallo ed a nord della rotabile
Medenine-Mareth, proteggendosi fra la strada ed i monti con lavori
difensivi campali e con l'osservazione di unità autoblindo sulla
fronte e sul fianco.
Unità di fanteria, di modesta consistenza, sondano la nostra
linea avanzata anche a cavallo del Gebel Ksour, mentre si vanno
delineando i primi nuclei nemici incaricati di costituire e
proteggere una base avanzata nella zona desertica, a Ksar Rhilane,
per l'alimentazione della colonna aggirante che dovrà puntare a
suo tempo fra Tebaga e Melab.
E' evidente che il nemico potenzia, in primo tempo, il settore
costiero, dove sarà destinato il XXX corpo d'armata: divisioni di
fanteria 50a, 51a, 2a neozelandese, divisioni corazzate 1a e 7a,
truppe di corpo d'armata e di armata, costituite essenzialmente da
tre brigate carri di appoggio (1a, 23a, 24a) assegnate alle
divisioni di fanteria, brigata Guardie, assegnata per l'impiego
alla 7a divisione corazzata, reggimenti di artiglieria di piccolo e
medio calibro, aliquote minori di truppe della 4a divisione.
Al termine della prima decade di marzo il XXX corpo d'armata
ha pressoché ultimato lo schieramento delle truppe; non ancora a
punto appare lo schieramento dei servizi di questa grande unità
che però lavorano a pieno rendimento, massime dopo la riapertura
del porto di Tripoli.
Più lento, certo volutamente in ritardo, è l'afflusso del X
corpo d'armata che dovrà manovrare di sorpresa ad ovest del Gebel
Ksour, contro il nostro schieramento meridionale; finora sono
affluite fra Ksar Rhilane e Foum Tatahouine le brigate degaulliste
Ledere e Koenig con rappresentanze greche di modesto rilievo,
appoggiate alla 4a brigata leggera che, tolta alla 7a divisione
corazzata, agisce ora nell'ambito del X corpo d'armata.
Ma i tempi serrano anche per il X corpo d'armata; la
ricognizione aerea indirizzata sulle probabili vie di afflusso di
questa grande unità già dal 13 marzo rileva intenso traffico sulle
rotabili nord e sud-gebeliche in Tripolitania e sulle piste
Tatahouine-Doutrat-Ksar Rhilane; il 16 marzo, alla vigilia
dell'attacco del XXX corpo di armata non sussiste più dubbio che
una divisione corazzata (la 10a) sta attraversando la soglia di Bir
Amir, 40 chilometri a sud-ovest di Foum Tatahouine, per dirigersi
contro il nostro settore meridionale da cui dista all'incirca
cinque tappe: è così individuato il X corpo d'armata, forte di una
divisione corazzata e di altre forze (degaullisti, greci, indiani)
pari ad una robusta divisione di fanteria.
Il nemico spera che questa improvvisa minaccia in un settore
assai delicato del nostro fronte ci induca a distrarre colà parte
delle nostre riserve, per facilitare alla massa principale di
attacco (XXX corpo) il compito di rottura nel settore che esso
ancora ritiene risolutivo: quello costiero.
Alla data del 16 marzo le forze nemiche che ci fronteggiavano
possono essere riassunte sinteticamente nel seguente specchio, che
comprende anche le forze rimaste oltre la frontiera libica, ma
alle quali il nemico può attingere per alimentare la battaglia nel
tempo:
FORZE 8a ARMATA |
Btg. ftr |
Pezzi c.c. |
Pezzi art. |
Autoblindo |
Carriarmati |
ad ovest linea di confine |
56 |
720 |
550 |
150 |
475 |
ad est linea di confine |
14 |
220 |
160 |
- |
145 |
Totale |
70 |
940 |
710 |
150 |
620 |
Tale specchio, che esprime abbastanza esattamente, in quanto
confermato nel corso della battaglia, l'ordine di grandezza delle
forze nemiche, non può esprimere altrettanto chiaramente il
potenziale bellico che esse rappresentano in quanto prodotto,
oltre che di quantità, di qualità e di fattori morali (1).
E' noto, e non varrebbe la pena di ripeterlo se troppo facili
valutazioni del nemico non ci fossero già costate care nel corso
della presente guerra, che l'8a armata rappresenta la più moderna
ed attrezzata forza che sia dato riscontrare oggi nei vari
scacchieri di questa guerra veramente mondiale.
Le fanterie con cui l'Inghilterra alimenta il Medio Oriente
sono fanterie di qualità per fisico, per addestramento, per
spirito combattivo; il loro armamento ed il loro equipaggiamento
sono all'avanguardia e superano nel confronto qualunque fanteria
del mondo: nessuno oggi dispone di un armamento controcarro
potente, numeroso, mobile, come quello della fanteria britannica.
L'artiglieria inglese, che dispone in misura larghissima
dell'ottimo pezzo da 87,6 modello 1939 (superato solamente dall'88
tedesco), ha larga disponibilità di eccellenti medi calibri quali
il 114 e il 152; è ricca di mezzi d'osservazione corazzati d'ogni
genere ed ha possibilità di rapidi collegamenti radio ed a filo.
Le unità corazzate inglesi, per qualità di materiali,
addestramento, abbondanza di mezzi, sono sul piano delle migliori
forze corazzate di tutti gli eserciti moderni.
Nell'ambito dei collegamenti, che in un'armata moderna hanno
la stessa importanza delle armi, 1'8a armata è in primissimo
piano.
Ogni specialità del genio è riccamente dotata,
meticolosamente addestrata, tecnicamente preparata ad assolvere
qualunque compito tecnico-tattico.
Capi e stati maggiori sono collaudati e selezionati con
severità sul campo di battaglia e non infarciti di macchinose
teorie costruite a fatica nei chiusi ambulacri delle speculazioni,
fuori della realtà del combattimento. Ai capi sono concesse
libertà pari alla responsabilità e alla dovizia dei mezzi che sono
loro affidati.
La situazione logistica dell'8a armata, che conta gli
automezzi a decine di migliaia, che ha al suo servizio flotta
marittima e flotta aerea, non richiede spesa di parole.
La cooperazione fra la R.A.F. e le forze di superficie può
essere presa a modello da ciascuno: essa si basa sull'abbondanza
dei mezzi aerei e di collegamento, sulla praticità dei metodi,
collaudati in 34 mesi di effettiva collaborazione, sullo spirito
di sacrificio del personale della R.A.F. che non disdegna le prime
linee per collegare queste con gli aerei in volo, sulla unicità di
comando, sulla ferrea disciplina.
5º - II disegno di manovra nemico, di cui implicitamente si è
detto parlando del suo schieramento, mirava a ripetere
l'operazione vantaggiosamente sperimentata ad El Alamein; anche
qui, come là, 1'8a armata doveva svolgere due attacchi: uno
principale nella zona costiera, uno concorrente nel settore
meridionale desertico. Il piano appariva logico alla stregua dei
seguenti dati di fatto:
- era noto agli inglesi, attraverso una documentazione minuta
e precisa fornita dagli ufficiali degaullisti della Tunisia,
passati nelle loro file, che la linea di Mareth non costituiva
ostacolo formidabile per i mezzi dell'armata britannica;
- lo sfondamento a Mareth, per le ragioni precedentemente
accennate, avrebbe posto in assai gravi condizioni le nostre
truppe schierate su tutta la linea fino alla soglia desertica; la
perdita della stretta di Gabès avrebbe dato via libera alle
divisioni corazzate inglesi per quelle manovre in profondità che
c'erano costate il disastro di El Alamein (perdita dei centri
logistici costieri, accerchiamento delle unità non direttamente
investite, eccetera);
- l'attacco concorrente al nostro settore meridionale,
oltreché costituire una seria minaccia per la forza intrinseca
delle truppe che vi erano destinate, mirava a dissociare verso gli
estremi della fronte le nostre riserve mobili.
D'altra parte il nemico dovette ben ritenere che, dopo un
ripiegamento di 2.500 chilometri, le nostre forze poste a difesa
di Mareth, inquadrate in una situazione strategica che non poteva
sfuggire a nessuno, avrebbero opposto una resistenza blanda,
gravate com'erano da tanti fattori negativi: ma proprio in questo
campo il nemico ha dovuto registrare la più amara delusione.
Quando le forze di Montgomery, dopo sei giorni di lotta
spaventosa che ha ammucchiato i cadaveri inglesi di fronte ai
nostri capisaldi, che ha annientato unità di primissimo ordine
come la brigata Guardie, come i battaglioni Black Watch e Durham
Light delle divisioni 50a e 51a, che ha ridotto in briciole i 150
carri della 23a brigata corazzata d'appoggio, che ha reso vano il
dispendio di oltre un centinaio di migliaia di colpi di
artiglieria, che ha ingoiato mezzo milione di bombe della R.A.F.
disperse su tutte le linee e sulle immediate retrovie, si son
guardate intorno cercando deluse i mirabolanti successi promessi
ma non consentiti, hanno rinunziato alla lotta su questa
"infernale" linea di Mareth per correre dietro al miraggio di una
soluzione migliore, verso l'ala occidentale del nostro
schieramento. Così, fin dalla sera del 20, il comando nemico ha
netta sensazione che la linea di Mareth non si infrange ed in
conseguenza accetta l'idea di Freyberg, il comandante della 2a
divisione neozelandese, di spostare la massa delle forze nel
settore sud-occidentale, trasformando l'attacco concomitante in
attacco principale: è una soluzione di ripiego non priva di
straordinarie conseguenze;
- devono essere messe in movimento la 1a divisione corazzata e
la 2a divisione neozelandese con la 24a brigata carri d'appoggio,
massa imponente di circa 12 battaglioni motorizzati, 6 battaglioni
corazzati, 150 pezzi di artiglieria e relativi servizi; un
movimento del genere, operato a contatto delle nostre posizioni,
non poteva (e non potè) sfuggire alla nostra indagine, che fu
pronta a cogliere all'inizio la basilare variazione
dell'atteggiamento britannico;
- le forze suddette, per giungere sulla stretta Tebaga-Melab,
non avevano a disposizione che malagevoli passi montani, in via di
frettoloso riattamento dopo le nostre interruzioni; era
indispensabile che la maggior parte di esse dalla zona di Medenine
per Foum Tatahouine si spostasse indietro di 100 chilometri, alla
soglia di Bir Amir, per risalire alla stretta di Tebaga, dopo un
percorso di altri 150 chilometri di terreno vario; movimento già
difficile se predisposto, difficilissimo se originato da
circostanze contingenti; per non essere colto in crisi logistica
il comando dell'8a armata dovette depauperare di mezzi e di
dotazioni le forze che rimanevano a fronteggiare la linea di
Mareth, togliendo ad esse ogni possibilità di ulteriori rapidi e
decisivi interventi nella battaglia.
Fu davvero somma iattura di non poter disporre di una massa
aerea adeguata, a diretta dipendenza dell'armata, per martellare
durame il duro e malagevole cammino questa massa di forze che
sarebbe giunta depauperata ed assai malconcia alla battaglia.
In ogni modo il comando d'armata, anche senza massa aerea
intravide la possibilità di assestare un duro colpo alle forze di
Montgomery, accettando battaglia a fondo nel settore di El Hamma
verso il quale affluivano tutte le unità corazzate poste alla sua
dipendenza (divisioni 15a e 21a, pari ad un centinaio di carri) e le unità
che poteva sottrarre alla linea di Mareth (164a divisione ed altre
aliquote minori). In questo senso il comando di armata mosse
proposta al comando gruppo armate che fu costretto a non
accettarla, ma anzi a rinnovare l'ordine di ripiegamento, in
relazione all'aggravarsi della situazione nel settore ovest
tunisino.
Ed invero il piano di azione britannico non era circoscritto
al solo impiego dell'8a armata: la tenaglia di Montgomery (a
Mareth-El Hamma) si inseriva nel più vasto piano strategico
affidato alle forze anglo-americane della 5" armata che fin dal
giorno 16 avevano sferrato attacchi poderosi al passo dell'Halfaya
(fra Gebel Berda e Gebel bu Serra), alla sella di El Guettar (fra
Gebel Berda e Gebel Orbata) e nel settore Sened-Maknassy,
concentrando lo sforzo principale alla sella di El Guettar,
nell'ambizioso disegno di piombare alle spalle della 1" armata,
impegnata da El Hamma a Mareth.
E' doveroso ricordare qui che a sventare il vasto disegno
strategico di Alexander molto ha contribuito la valorosa divisione
italiana Centauro che, comandata da un magnifico soldato di
grandissimo cuore il generale conte Calvi di Bergolo, con mezzi
limitati di fronte alla strapotenza nemica, ha fatto muro sui
capisaldi di El Guettar, accettando l'impari lotta in dodici
giornate cruente che valgono da sole tutta una epopea.
6º - Lo svolgimento complessivo della battaglia sembra possa
trarre sufficiente rilievo dalla sintesi introduttiva e dalle note
che precedono. Sarà qui sufficiente delineare alcuni momenti
caratteristici, accennare ad alcune situazioni locali ed ai
provvedimenti adottati per fronteggiarle, al comportamento delle
nostre unità che da questa lotta escono con l'onore e la gloria
dei forti.
L'inizio dell'offensiva nemica non è questa volta preceduto,
come in passato, da imponente spiegamento di forze aeree: è
difficile dire se la R.A.F. si sia astenuta da questo primo inizio
della battaglia per accumulare le forze e i mezzi da impiegare nei
momenti culminanti (come è avvenuto e come avevano dichiarato
alcuni prigionieri) o per non svelare implicitamente l'inizio
dell'attacco: possono aver concorso l'una e l'altra causa;
tuttavia l'attacco non era meno atteso dalle nostre truppe di
Mareth. Infatti nel bollettino di informazioni del 16 marzo del
comando 1' armata si legge: "Circa l'epoca dell'offensiva nemica
vi è da rilevare che mentre il XXX corpo d'armata ha già serrato
sotto in zona avanzata ed ha verosimilmente ultimato la propria
preparazione, movimenti sono ancora in corso nell'ambito del X
corpo d'armata; un'azione nemica nel settore costiero è fin da ora
possibile; ad ovest del Gebel Ksour occorrerà ancora qualche
giorno".
La reazione delle nostre truppe e delle nostre artiglierie è
fulminea: la brigata Guardie viene contrattaccata e travolta; solo
più a nord la 51a divisione di fanteria inglese, favorita da
migliori condizioni di terreno e da un'occupazione più leggera
della nostra posizione avanzata, resta, a prezzo di sanguinosi
sacrifici, in possesso di qualche elemento della nostra posizione
avanzata; intravedendo in questi fattori (terreno-forze) probabili
elementi di miglior successo, il nemico, nella notte sul 18,
concentra nuovi attacchi nel settore della nostra divisione
Giovani Fascisti (bersaglieri e CC.NN.) che si batte con intrepido
ardore; la penetrazione nemica è lenta, le perdite sono sanguinose
da entrambe le parti, i prigionieri britannici, che pure hanno
beneficiato di un appoggio di artiglieria mastodontico,
definiscono la reazione delle nostre artiglierie "terribile";
"terribili" sono pure i campi minati da attraversare malgrado
l'impiego del nuovo apparecchio per la rimozione delle mine (lo
"scorpione") e definiscono malinconicamente sbagliata la
propaganda inglese che fa loro credere modesta la reazione delle
truppe italiane che "si battono invece ferocemente, malmenando le
unità britanniche in modo imprevisto".
Questo dell'imprevisto è un motivo nuovo che durante la
battaglia ha influenzato indubbiamente le decisioni di Montgomery
e che perfino radio Londra coglierà successivamente nei suoi
commenti: "Rommel ha accettato la battaglia come forse non ci
aspettavamo", mentre la situazione tanto strombazzata per
l'innanzi diventa improvvisamente "fluida": l'aggettivo che
maschera malamente gli insuccessi britannici.
Nei giorni 18 e 19 la lotta si svolge in tono minore: il
nemico sta prendendo fiato e porta alla battaglia una nuova
divisione: la 50a, appoggiata dalla 20a brigata corazzata; con
questo complesso di forze egli spera, in un tentativo supremo, di
sfondare la linea di Mareth, per aprire la via alle divisioni
corazzate che finora impegna moderatamente e limitatamente alle
brigate motorizzate ed alle artiglierie.
Nella notte sul 20 un nuovo potente attacco viene sferrato nel
settore della divisione Giovani Fascisti, mentre altre forze
nemiche premono un po' dovunque su tutto il settore del XX corpo
d'armata; la R.A.F., che finora aveva svolto attività limitata,
entra in azione con tutti i suoi apparecchi; dal fronte al
parallelo degli Chott non vi è metro di terreno che non riceva una
bomba; la lotta al Mareth si spezzetta in mille episodi: ad ogni
attacco nemico corrisponde un nostro contrattacco; le perdite sono
gravi da entrambe le parti; morti e feriti ricoprono il terreno.
L'attacco prosegue con pari violenza nella notte sul 21:
bersaglieri, volontari GG.FF., tedeschi del reggimento Menton
subiscono falcidie pari a quelle inflitte al nemico che, dopo sei
giorni di lotta in questo settore, è riuscito ad intaccare la
nostra posizione di resistenza su un fronte di circa due
chilometri per una profondità di un chilometro e mezzo. Il giorno
21 la 15a divisione corazzata germanica, che era stata già
avvicinata al fronte, viene posta alle dipendenze del XX corpo
d'armata, perché, in unione alle truppe della GG.FF. che tengono
magnificamente tutte le altre posizioni, conduca, nel quadro del
corpo d'armata, un immediato contrattacco cui sarà dato il
massimo concorso di artiglieria.
Questo contrattacco, che decide delle sorti della battaglia
sul Mareth, si sviluppa nei giorni 22 e 23 proprio nel momento in
cui il nemico sta faticosamente organizzando il passaggio dei
carri attraverso il tratto di fosso anticarro conquistato dalla
50" divisione inglese. I poderosi concentramenti della nostra
artiglieria, lo slancio dei carristi, in unione a quello dei
nostri fanti, hanno ragione d'un nemico che, è giusto riconoscere,
mostra una tenacia ed una ostinazione degne della posta in gioco.
Alla sera del 22 il nemico è battuto; sulle nostre vecchie
posizioni non resta più che qualche sparuto nucleo inglese, che si
batte con disperata tenacia, mentre i nostri soldati vanno
rioccupando, oltre la linea di resistenza, i centri di fuoco della
posizione avanzata.
Churchill, più tardi, alla Camera dei Comuni, nell'invitare
il popolo britannico a desiderare dai facili ottimismi, darà
l'annuncio che "la testa di ponte costituita a prezzo di sangue
dall'8a armata nelle posizioni nemiche, è stata eliminata dal
contrattacco germanico".
L'asse della battaglia si sposta alla soglia fra Melab e
Tebaga. Le avanguardie del X corpo, alla sera del 21, hanno
attestato alle piste di Kebili, a 5 chilometri di distanza dalle
posizioni del raggruppamento sahariano. Dette avanguardie, nella
notte sul 22, tentano di travolgere di slancio le nostre unità,
alcune delle quali, investite di fronte e quindi da carri
infiltratisi a tergo, sono costrette a cedere, mentre il nostro
schieramento alle ali della stretta tiene tenacemente, contro
ripetuti attacchi delle fanterie e dei carri nemici. Ma la
situazione può essere guardata serenamente anche in questo
settore, verso il quale è già stata inviata la 21a divisione
corazzata germanica, e verso cui sta affluendo la l64a divisione
tedesca, che ha ceduto le sue posizioni montane alla divisione
Pistola la quale, a sua volta, ha passato in consegna parte del
proprio settore alla contigua Spezia: complesso di movimenti che,
per essere stati studiati e preordinati da tempo, non hanno luogo
al minimo inconveniente.
Nella stessa giornata del 22 il contrattacco della 21a
corazzata contiene lo slancio avversario che registra un modesto
guadagno di terreno. Entra successivamente in linea la l64a, mentre
accorrono alla battaglia anche il 125º reggimento fanteria
(Spezia) e altri reparti minori italiani; tutte queste forze, nel
loro complesso, costituiscono il gruppo di combattimento
Liebenstein che ha per compito iniziale l'arresto dell'attacco
nemico e, successivamente, rinforzato con la 15a divisione
corazzata germanica ed il battaglione Luftwaffe rapidamente
sottratti al settore costiero, potrà passare senz'altro al
contrattacco. Altre forze potrebbero essere sottratte alla linea
di Mareth, dove il nemico, in conseguenza di predisposti
spostamenti di forze da noi esattamente percepiti, ha perduto ogni
capacità offensiva. Si predispone all'uopo lo sganciamento della
90a divisione e di altre aliquote delle divisioni italiane,
proponendo al comando gruppo armate di accettare battaglia a fondo
nel settore di El Hamma, come precedentemente accennato.
Si sono chiarite più sopra le ragioni che, all'infuori della
situazione nell'ambito della 1a armata, hanno indotto il comando
gruppo armate a rifiutare la proposta italiana ed a rinnovare
l'ordine per il previsto ripiegamento. Mentre questo veniva
iniziato, la notte sul 27, forti reparti corazzati nemici
ottenevano successo contro il settore della 164' divisione del
gruppo Liebenstein e tentavano di sfruttarlo in profondità, ma
venivano arrestati prontamente ad El Hamma (dove erano state
avviate altre aliquote di fanteria e di artiglieria) e quindi
costretti a contro manovrare per parare un nostro energico
contrattacco portato sul loro fianco destro dalle nostre divisioni
corazzate, che si appoggiavano al saldo schieramento dei reparti
ancora in linea, sulle posizioni iniziali, dove infrangevano da
più giorni tutti gli attacchi nemici.
Sotto la protezione incrollabile dell'ala destra e dietro lo
schermo della posizione avanzata sulla linea di Mareth, l'intera Ia
armata effettuava lo spostamento a scaglioni in tre successive
aliquote, schierandosi, al mattino del 28, con parte dell'armata
sulla linea dell'Akarit e parte sulla linea di Gabès-El Hamma.
Data l'enorme deficienza di automezzi, la favorevole
circostanza di aver potuto imporre al nemico di ritardare la sua
pressione frontale, la necessità di potenziare al massimo e il più
rapidamente possibile la linea dell'Akarit e soprattutto per non
offrire al nemico l'occasione di un nuovo impari urto sulla debole
linea di El Hamma-Gabès, il comando di armata decideva di lasciare
su tale linea solo unità mobili, cioè il gruppo Liebenstein: la 90a
divisione, la 15a divisione corazzata, il 125º reggimento Spezia
sotto il comando del XXI corpo d'armata.
Nella sera del 28 queste forze venivano violentemente
attaccate da forti masse corazzate che minacciavano di
sopraffarle; di fronte a tale minaccia e nella considerazione che
lo schieramento delle altre unità sulla linea dell'Akarit si
svolgeva in ordine perfetto ed era ormai imbastito, il comando di
armata ordinava a queste forze di ripiegare lentamente, tenendo il
contatto con le unità nemiche.
Anche questa fase della difficile manovra è stata condotta
felicemente a termine; il nemico confessa, attraverso il traffico
radio intercettato, di "aver perduto, ancora una volta, un'ottima
occasione".
A questa constatazione, che, data la fronte, non ammette né
dubbi, né interpretazioni, fanno eco le dichiarazioni della stampa
e delle radio nemiche, costrette ad affermare che la battaglia del
Mareth "non sarà forse l'ultima disfatta degli alleati" (Times,
25-3), e che Rommel (notoriamente assente dalla Tunisia) (1) "è un
ottimo lottatore ed un maestro nel condurre la manovra delle sue
truppe".
E' ancora presto per trarre conclusioni da avvenimenti il cui
ritmo incalza vertiginosamente.
Ma una cosa è certa però: la 1" armata, rinata a nuova vita,
detentrice di tutte le tradizioni di dolori e di glorie che son
trascorsi sul campo di battaglia dell'Africa settentrionale, ha
dato nella presente battaglia tutta la misura delle sue alte
capacità tecniche e morali.
La 1a armata, per quanto diminuita nel suo potenziale bellico,
di uomini e di armi, va incontro ai nuovi avvenimenti con
incrollabile fede e con la ferma determinazione di essere pari
all'altezza del momento storico che la Patria trascorre.
Il generale d'armata
comandante della 1a armata italiana
GIOVANNI MESSE
5 aprile 1943