REPUBBLICA ITALIANA IL TRIBUNALE MILITARE TERRITORIALE DI ROMA Composto dai Signori: Generale di Brigata PARLATO Giovanni - Presidente Colonnello G.M. STELLACCI Piero - Giudice Relatore Colonnello Art. GRAMAZIO Werther - Giudice Colonnello A.A. MICHELUZZI Attilio - Giudice Ten. Colon. Ftr. GIRELLI Giovanni - Giudice riunito in Camera di consiglio, Vista la sentenza pronunciata il 20 luglio 1948 dal tribunale Militare Territoriale di Roma nei confronti di: KAPPLER Herbert, nato il 23 settembre 1907 a Stoccarda (Germania) - Ten.Col. delle SS TEDESCHE - (condannato alla pena dell'ergastolo (con isolamento diurno per anni quattro) per i reati di : Sull'istanza avanzata in data 27 dicembre 1959 dal difensore del Kappler, per l'applicazione a detti reati dell'amnistia concessa con l'art. 1, lett. a), del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460; Sentito il P.M., che, con richiesta in data 1° febbraio 1960, ha concluso per il rigetto di tale istanza; C O N S I D E R A L'art. 1, lett. a), del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, concede amnistia " per i reati politici ai sensi dell'art. 8 del codice penale, commessi dal 25 luglio 1943 al 18 giugno 1946 ". Il Kappler, con la sentenza sanzionata dal Tribunale Militare Territoriale di Roma, è stato condannato: a) per il reato di violenza contro cittadini italiani nemici, consistente in omicidio continuato aggravato, commesso in Roma, località " Cave Ardeatine ", il 24 marzo 1944; e b) per il reato di requisizione arbitraria, commesso in Roma il 26 settembre 1943. Entrambi i reati, dunque, rientrerebbero nell'amnistia, avuto riguardo al tempo in cui furono commessi, ove possano ritenersi reati politici a sensi dell'art. 8 del codice penale. L'art. 8 del codice penale, nel fornire la nozione di delitto politico, stabilisce: " agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino " (ed è questo il delitto politico in senso proprio, qualificato con riguardo al criterio oggettivo dell'interesse offeso); " è altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici " (ed è questo il delitto politico in senso improprio, qualificato con riguardo al criterio soggettivo del motivo a delinquere). Delitti politici in senso proprio non sono quelli - reati militari contro le leggi e gli usi della guerra, preveduti nel titolo IV del libro III del codice penale militare di guerra - per i quali il Kappler fu condannato. Secondo, infatti, ha affermato il T.S.M. (con sentenza 13 marzo 1950, ric. Wagener, Riv.Pen.,1950, II,p. 756 ) " i reati contro le leggi e gli usi della guerra non possono essere considerati delitti politici, poiché non offendono un interesse politico di uno Stato determinato, ovvero un diritto politico di un suo cittadino. Essi, invece, sono reati di lesa umanità, e.le norme relative hanno carattere universale, e non semplicemente territoriale. Tali reati sono, di conseguenza, per il loro oggetto giuridico e per la loro particolare natura, proprio di specie opposta e diversa da quella dei delitti politici. Questi, di norma, interessano solo lo Stato in danno del quale sono stati commessi; quelli, invece, interessano tutti gli Stati civili, e vanno combattuti e repressi, come sono combattuti e repressi il reato di pirateria, la tratta delle donne e dei minori, la riduzione in schiavitù, dovunque siano stati commessi ". Il principio ( ribadito dal T.S.M., con sentenza 21 febbraio 1956, ric Reder, in Riv.Pen., 1957, II, p. 713 ) trova una conferma nella L. 11 marzo 1952, n. 153, per l'adesione dell'Italia alla convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite quantunque, invero, l'art. 26 della Costituzione Repubblicana - che è una Costituzione rigida - stabilisce che l'estradizione del cittadino " non può in alcun caso essere ammessa per reati politici ", lo Stato Italiano, non considerando delitto politico il genocidio - che tanta affinità ha con i reati per cui fu condannato il Kappler - ha potuto accettare e fissare in una legge ordinaria l'impegno di accordare l'estradizione per il delitto di genocidio. La stessa istanza qui esaminata - nella sua veramente pregevole e misurata formulazione - si limita, del resto, a qualificare soggettivamente politici i delitti commessi dal Kappler. Trattasi, perciò, di vedere se essi siano delitti politici in senso improprio, perché determinati, in tutto o in parte, da motivi politici. A questo proposito, si deve preliminarmente rilevare che, poiché nell'ultima parte dell'art. 8 C.P., relativa al delitto politico in senso improprio, è menzionato " il delitto comune " determinato da motivi politici - a differenza della parte precedente, relativa al delitto politico in senso proprio, dov'è menzionato " ogni delitto " - e il reato militare non è, a rigore, un delitto comune, i delitti per cui il Kappler fu condannato parrebbero esclusi anche dall'ambito dei delitti soggettivamente politici. Ha, peraltro, riconosciuto il T.S.M. ( con sentenza 1° luglio 1949, ric. Benetti, in Giust.Pen. 1949, II, col. 839, m. 520 ) che " non possono essere esclusi, con un criterio di massima, dal novero dei reati politici quelli militari, anche con riferimento a quella politicità soggettiva che si manifesta attraverso il movente, perché, sebbene l'art. 8 del C.P. stabilisca che è considerato delitto politco quello comune, determinato, in tutto o in parte, da motivi politici, il termine " comune " trova, nella specie, limiti del suo contenuto in relazione, appunto, all'altro " politico ", e si riferisce a qualunque reato, anche se preveduto da leggi speciali ". Intesa, quindi, la espressione " delitto comune ", che si rinviene nell'ultima parte dell'art. 8 C.P., come equivalente dell'altra " ogni delitto ", si deve, ora, valutare da quali motivi siano stati determinati i delitti commessi dal Kappler, ed è, questa, valutazione da compiere, assumendo i dati fissati con la sentenza di condanna, che costituisce ormai cosa giudicata. Con tale sentenza il Kappler fu ritenuto sicuramente responsabile del reato di violenza contro cittadini italiani nemici, limitatamente a quindici uccisioni avvenute alle " Cave Ardeatine ", potendosi, invece, dubitare che, per le altre 320 uccisioni, egli abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo: meno che mai, dunque, sono apprezzabili i motivi, veri o pretesi, della guerra nel corso della quale si è inserita l'azione criminosa del Kappler, ma soltanto i motivi che egli specificatamente si propose quando uccise 15 persone in più di quanto a lui richiesto. Si legge, al riguardo, nella motivazione della sentenza di condanna - come onestamente ammette l'istanza in esame (pag. 34): (il Kappler) " agì in maniera arbitraria, sperando che le più alte gerarchie, attraverso questa azione, avrebbero visto in lui l'uomo di pronta iniziativa, capace di colpire e di reprimere col massimo rigore ". " Non era questa la prima volta che il Kappler agiva arbitrariamente nell'intento di porre in rilievo la sua personalità, come quella di chi, superiore ad ogni pregiudizio di carattere giuridico e morale, adotta pronte, energiche e spregiudicate misure. Anche per l'oro degli ebrei ....... agì con la stessa spregiudicatezza ed illegalità. La causale dell'uno e dell'altro delitto è nella sfrenata ed aberrante ambizione dell'uomo ". " Il Kappler, poi, che è intransigente, ambizioso e permeato fino all'esasperazione di nazismo, opera con grande libertà di azione, perché vuole essere un operatore di primo piano, non un semplice esecutore di ordini, e rompe gli inciampi che vecchi uomini della Wermacht, educati a principi meno spregiudicati, potrebbero eventualmente frapporre ". Con riguardo particolarmente alla requisizione arbitraria: " il motivo ....... è dato dalla ambizione di attuare un proprio piano che sperava fosse approvato dalle autorità di Berlino ". Nel motivare il diniego, per entrambi i delitti, della circostanza attenuante di aver agito per eccesso di zelo ( art. 48, n. 1, C.P.M.P.), così afferma la sentenza: " non vi è eccesso di zelo, la dove il movente dell'azione sia dato dall'ambizione personale, dal desiderio di porre in rilievo qualità di energia e di spregiudicatezza che possano piacere a superiori educati a principi di nazismo, non già intendimento di agire, sia pure nell'orbita dell'illegalità, per difetto di controllo da parte del soggetto attivo, per una più efficace attuazione dei fini dell' A.M. " E ancora: " quando il fine personale di ambizione in genere o di carriera in ispecie, agisce, come nel caso in esame, quale elemento propulsore sulla volontà di un soggetto per spingerlo al delitto, non è più dato parlare di eccesso di zelo." La personalità del kappler, secondo i giudici di merito, era, dunque, dominata di spregiudicatezza per ambizione. L'ambizione personale di apparire più severo degli altri agli occhi dei superiori fu il vero e solo motivo determinante della sua azione, secondo la condanna irrevocabile. E non è questo, evidentemente, un motivo politico, che sussiste, invece, quando il fine specifico dell'azione trascenda l'interesse della persona dell'autore. Se pur si dovesse credere a quello che fu l'assunto dell'imputato nel corso del procedimento penale - avere, cioè, egli agito, da militare, in obbedienza di ordini insindacabili - sarebbe egualmente evidente - per la differenza che corre tra il movente politico e quello militare - l'insussistenza di motivi politici determinanti. Questa conclusione, fondata su una valutazione di fatto che è in armonia con il giudizio di merito espresso dalla sentenza di condanna, importa il rigetto dell'istanza. L'infondatezza dell'istanza stessa è rivelata anche dalla circostanza, giuridicamente ininfluente, ma moralmente assai significativa, che, sebbene già con il D.P.R. 19 dicembre 1953, n. 922, sia stato concesso l'indulto (e precisamente la computazione della pena dell'ergastolo nella reclusione per anni dieci) per i reati politici, ai sensi dell'art. 8 del Codice penale, commessi dall'8 settembre 1943 al 18 giugno 1946 (art. 2 lett. a)), con una formula identica a quella ora contenuta nell'art. 1, lett. a), del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, e la sua applicazione avrebbe già condotto alla liberazione del Kappler, nè il condannato, nè il suo difensore, ritennero di invocare il beneficio concesso con quel decreto di amnistia e indulto. P. Q. M. Visti gli artt. 1, lett. a), del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, 593, 594 C.P.P., 402 C.P.M.P. R I G E T T A l'istanza avanzata in data 27 dicembre 1959 dal difensore del Kappler - condannato con sentenza del Tribunale Militare Territoriale di Roma in data 20 luglio 1948 - per l'applicazione dell'amnistia concessa con l'art. 1, lett. a), del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460. Roma, Sedici Febbraio Millenovecentosessanta All'originale seguono le firme. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 1960 |