Sent. n° 397
in data 15 dicembre 1976 |
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE SUPREMO MILITARE
composto dei signori:
deliberando in Camera di Consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso interposto dal Pubblico Ministero avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale Militare Territoriale di Roma, in data 10 novembre 1976, nei confronti dell'ex tenente colonnello delle S.S. tedesche KAPPLER Herbert, nato a Stoccarda il 23.9.1907. Udita la relazione fatta dal Giudice dott. Orazio ROMANO, consigliere relatore aggiunto del Tribunale supremo militare; Lette le requisitorie scritte dal P.M., in persona del sostituto procuratore generale militare della Repubblica dott. Saverio MALIZIA, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso, con annullamento dell'ordinanza impugnata e rinvio al Tribunale Militare Territoriale di Roma; PREMESSO: KAPPLER Herbert, allora tenente colonnello delle S.S. tedesche, con sentenza in data 20 luglio 1948 del Tribunale Militare Territoriale di Roma, divenuta irrevocabile il 25 ottobre 1952, veniva dichiarato responsabile di omicidio continuato pluriaggravato di 335 persone (l'eccidio delle Cave Ardeatine), commesso in Roma il 24 marzo 1944 in concorso con circa cinquanta militari tedeschi a lui inferiori in grado ( artt. 13, 185 I e II comma c.p.m. di guerra; 575, 577 nn. 3 e 4 in relazione a 61 nn. 4 e 5, 82 c.p.; 47 n.2 e 58 c.p.m. pace) e di requisizione arbitraria di cinquanta chili d'oro commessa in Roma, in danno di un numero imprecisato di cittadini italiani di religione ebraica, il 26 settembre 1943 ( art. 224 I e II comma c.p.m. guerra) . L'imputato veniva condannato all'ergastolo con l'isolamento diurno per anni quattro. Il Tribunale Militare Territoriale di Roma, con ordinanza del 31.1.74, fissava la data di inizio della detenzione del KAPPLER, con le conseguenze di legge circa la decorrenza dell'espiazione della pena, al 4 aprile 1946, giorno in cui egli era stato sottoposto a privazione della libertà personale, a opera delle Forze armate alleate, per i crimini di guerra poi giudicati in Italia; e il condannato, con istanza indirizzata al Ministero della Difesa il 4 aprile 1974 (e quindi allo scadere dei 28 anni previsti dall'art. 176, cpv. II, c.p., quale risulta dalle modifiche apportate con l'art. 2 della legge 25 novembre 1962 n.1634), chiedeva di essere ammesso alla liberazione condizionale. Sulla istanza veniva ritenuto poi competente a decidere - a seguito delle sentenze n.204 del 1974 e n. 192 del 1976 della Corte Costituzionale - il giudice dell'esecuzione, e quindi il Tribunale Militare Territoriale di Roma: e questo Giudice, con ordinanza del 10.11.1976, adottata su parere favorevole del giudice militare di sorveglianza e sulle difformi conclusione del P.M., ammetteva il condannato alla liberazione condizionale, ne ordinava la scarcerazione, e disponeva che egli fosse sottoposto a libertà vigilata. La motivazione dell'ordinanza, nella parte che qui interessa, parte dal rilievo che l'istituto della liberazione condizionale, disciplinato dall'art.176 c.p. con le modifiche introdotte dall'art. 2 della legge 25.11.1962 n.1634, ha di recente avuto nel nostro ordinamento una netta evoluzione, da una parte con la giurisdizionalizzazione del provvedimento di concessione (legge 12.2.1975 n.6; si veda anche la sentenza n.192 del 1976 della Corte Costituzionale), dall'altra con il riconoscimento che "......il condannato ha diritto a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma sostanziale, venga riesaminata la sua situazione in ordine alla prosecuzione della esecuzione della pena, al fine di accertare se quella già scontata abbia o no assolto il suo fine rieducativo e quindi se il suo ulteriore protrarsi sia o no giustificabile" (Corte Costituzionale, sentenza n.192/76; ma il principio era stato già affermato nella sentenza n.204/74, della stessa Corte). "Consegue" - si legge nell'ordinanza - "che, rispetto al condannato, l'istituto della liberazione condizionale non ha più il carattere di "beneficio' (cioè d'interesse riconosciuto e tutelato dalla legge ma non costituente diritto soggettivo), che ne rendeva la concessione sempre esclusivamente facoltativa, ancorché nel caso concreto concorressero tutte le condizioni che si esigevano per la sua concedibilità." Dopo aver passato in rassegna, ritenendole nel caso in esame pienamente sussistenti le condizioni volute dalla legge (con approfondita disamina, in particolare, degli elementi dimostrativi del ravvedimento del KAPPLER), il giudice - contrastando la tesi esposta dal P.M. - esprimeva quindi decisamente e chiaramente il parere che" ...l'istituto della liberazione condizionale ... non è più di applicazione facoltativa, talché se si accerta l'esistenza di tutti i requisiti voluti dalla legge, deve la norma essere applicata, esplicandosi la discrezionalità del giudice, alla stregua dei principi vigenti del nostro ordinamento, soltanto nel libero apprezzamento degli elementi costitutivi della fattispecie". D'altro canto - nota ancora il giudice dell'esecuzione con riferimento alle argomentazioni svolte, nelle sue richieste dal Pubblico Ministero presso il Tribunale Militare di Roma - non esiste una norma particolare che regoli la liberazione condizionale nei riguardi dei militari, e non si possono quindi aggiungere altri e diversi requisiti a quelli richiesti dall'art.176 c.p. quando si tratti appunto di condannato militare e di condanna inflitta da un tribunale militare: i valori specifici dell'ordinamento militare devono essere presi in considerazione non già con riferimento all'entità della loro lesione a causa dei fatti per i quali è intervenuta la condanna, bensì nell'ambito dell'accertamento del requisito del ravvedimento. Diversamente ragionando ( conclude, su questo punto, l'ordinanza), si dovrebbe giungere ad ammettere, contro l'opposto principio pacificamente accolto nel mondo del diritto, "l'esistenza di crimini che non consentono, in nessun caso, l'emenda e il recupero sociale". L'ordinanza veniva impugnata con atto in data 16 novembre 1976 del Procuratore militare di Roma. Nei motivi, ritualmente e tempestivamente presentati, il ricorrente deduce:
II) Mancanza e contraddittorietà della motivazione(art. 387 n. 3 c.p.m. pace e 524 n. 3 c.p.p., in relazione agli artt. 631, I cpv., e 475 n. 3 c.p.p.). Anche a voler seguire la tesi secondo la quale i valori specifici dell'ordinamento militare vanno considerati nell'ambito dell'accertamento del requisito del ravvedimento, appare evidente la mancanza di motivazione sul preteso recupero di tali valori: il giudice non ha infatti detto in base a quali elementi potesse evincersi la restaurazione delle attuali esigenze di tutela e di disciplina delle Forze armate, pur sotto la specie del sicuro ravvedimento. Sotto questo profilo, il buon comportamento durante l'esecuzione della pena non può considerarsi sufficiente. La motivazione dell'ordinanza appare poi anche contraddittoria, in quanto prima afferma il recupero dei valori dell'ordinamento militare e poi conclude che la strage suscita ancora "profondo raccapriccio, esecrazione per gli autori e commossa pietà per le vittime innocenti". OSSERVA IN DIRITTO Il primo motivo di ricorso è pienamente fondato, e basterà al riguardo porre in evidenza, accogliendo gli esatti rilievi prospettati dal Pubblico Ministero ricorrente e dal Procuratore Generale presso questo Tribunale supremo, alcuni punti fondamentali. La lettera e la struttura della norma che si tratta di applicare (art. 176 c.p., secondo le modificazioni introdotte con l' art. 2 della legge 25. 11. 1962 n. 1634) non possono portare che a due conclusioni: la prima, che per la concessione della liberazione condizionale devono essere soddisfatte alcune condizioni preliminari, che, nell'ipotesi del condannato all'ergastolo, sono l'espiazione effettiva di almeno ventotto anni di pena, l'avere adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato (salva la dimostrata impossibilità di adempierle) e l'aver tenuto, durante il tempo di esecuzione della pena, un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento; la seconda, che, verificata la sussistenza di tali condizioni, il giudice ha facoltà, e non obbligo, di concedere la liberazione condizionale. Condizioni cui non sembra si possa ragionevolmente sfuggire, ove si consideri che la legge adopera un verbo ("può") che non si presta a indicare una e una sola soluzione obbligata, e che di tale verbo è soggetto appunto il condannato all'ergastolo che abbia tenuto quel comportamento durante l'espiazione, che abbia scontato quel periodo di pena, e che abbia adempiuto (salvo il caso dell'impossibilità) le obbligazioni civili derivanti dal reato. Del resto, l'istituto della liberazione condizionale, fin dalla sua originaria formulazione e nelle successive leggi modificatrici, sia nel codice penale comune (art. 176 c.p. e 2 e 3 legge 25.11.1962 n. 1634) che nel codice penale militare di pace (art. 71), oltre che nella legge istitutiva del tribunale per i minorenni (art. 21 R.D.L. 20.7.1934 n. 1404), è stato sempre disciplinato dal legislatore mediante l'uso dello stesso verbo: " Il condannato può essere ammesso oppure per i minori degli anni diciotto la liberazione condizionale ... può essere ordinata"; e non sembra si possa dubitare che tali espressioni non possono ritenersi equivalenti a altre che, quelle si, indicherebbero un obbligo del giudice: per esempio, " Il condannato è ammesso", ovvero deve essere ammesso". In realtà, la diversa enunciazione letterale del precetto è chiaramente indicativa del diverso carattere del relativo potere decisorio, che risulta discrezionale nel primo gruppo di espressioni, vincolato nel secondo. Su tale punto, anche la dottrina è del tutto concorde. La volontà delle legge è dunque chiara. Ma tanto più evidente appare la facoltatività della concessione del beneficio in esame, quando si consideri che per la riabilitazione (anch'essa causa di estinzione della pena) il legislatore comune ( art. 179 c.p.) ha usato l'espressione "è conceduta", mentre il legislatore militare per il corrispondente istituto della riabilitazione militare (che presuppone la già avvenuta concessione della riabilitazione comune), si è espresso in modo ben diverso (art. 412 c.p..m. pace): "Il Tribunale Supremo Militare ... può ordinare...": di talchè, mentre la Corte Suprema di Cassazione (25.10.1950), Aiello, in "Giustizia Penale" 1951, II, 277, 213) ha insegnato che, in concorso di tutte le condizioni stabilite dalle legge, il beneficio previsto dal codice penale comune deve essere concesso, indipendentemente dalla natura e dalla gravità dei delitti per i quali la condanna o le condanne furono pronunciate, questo Tribunale Supremo (21.1.63. Bossi, in "Rivista Penale" 1963 II, 749) ha precisato che la concessione della riabilitazione militare ha carattere del tutto potestativo. Nè è possibile ritenere, come fa l'ordinanza impugnata, che la obbligatorietà del provvedimento scaturisca ormai dai principi affermati dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 204 del 1974 e n. 192 del 1976. Tali principi hanno limitato i loro effetti sul piano processuale, nel senso che la decisione è stata trasferita dal Ministro (della Giustizia o della Difesa) a un organo giurisdizionale, e hanno conferito al condannato - secondo testualmente si legge nella sentenza n.192 della Corte - "il diritto a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma sostanziale, venga riesaminata la sua situazione in ordine alla prosecuzione della esecuzione della pena", ma non hanno certamente attribuito al condannato medesimo, pur nella sussistenza dei presupposti di legge, il diritto alla concessione della libertà condizionale. Non vi è, nelle sentenze citate, alcuna espressione che possa intendersi in tal senso. Il Tribunale Militare Territoriale di Roma ha dunque erroneamente applicato la legge penale quando ha stabilito che la concessione della liberazione condizionale sia da ritenere, nel senso e alle condizioni più sopra ampiamente chiariti, obbligatoria: pertanto, e su tale punto, la sua ordinanza deve essere annullata, in accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero, con rinvio allo stesso giudice per nuovo esame (art. 543, n. 1, c.p.p.). Il secondo motivo di ricorso resta assorbito, dovendo il giudice del rinvio nuova e ovviamente diversa motivazione circa le ragioni in base alle quali, appunto nel giudizio di rinvio, la liberazione condizionale richiesta dal KAPPLER sarà concessa o negata. In conclusione, il giudice di rinvio si atterrà al principio secondo cui il comportamento tenuto dal condannato durante l'espiazione della pena è, per l' art. 176 c.p., l'unico indice di ravvedimento che al giudice sia consentito valutare. Gli altri elementi che, sotto tale profilo, l'ordinanza impugnata ha esaminato, riconducendoli nell'ambito del ritenuto ravvedimento, dovranno invece essere valutati dal giudice di rinvio per la loro pregnante funzione di valori etici, specifici dell'ordinamento militare, in un quadro di sintesi in cui - ovviamente - potrà e dovrà rientrare anche ogni altro elemento e ragione che le parti riterranno di sottoporre al controllo del giudice stesso. Il quale dovrà valutare la fattispecie con l'equilibrio e la serenità che si addicono a chi, nel libero adempimento del suo alto dovere, è soggetto - lo sancisce la Costituzione della Repubblica - soltanto alla legge. P. Q. M. Visti gli articoli di legge citati e l'art. 397 c.p.m. pace, annulla per violazione di legge, in accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero, l'ordinanza emessa dal Tribunale Militare Territoriale di Roma in data 10 novembre 1976, nei confronti di KAPPLER Herbert, e rinvia, per nuovo esame, allo stesso Tribunale. Roma, quindici dicembre millenovecentosettantasei.
IL CANCELLIERE f.to Franco PULITI Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 1977. IL CANCELLIERE MILITARE f.to Franco PULITI |