ECC.MO TRIBUNALE SUPREMO MILITARE Motivi di ricorso per il ten. col. HERBERT KAPPLER avverso la sentenza pronunziata il 20.07.1948 dal Tribunale Militare Territoriale di Roma I A rt. 103 u. e. Costituzione, art. 34 p. I. e 475 n. 3 cpp, art. 387 p. I n. 3 CPMP.Subordinatamente alla questione dell'attuale difetto di giurisdizione di qualsiasi autorità italiana, in primo grado la difesa del ricorrente aveva chiesto dichiararsi l'incompetenza del giudice militare. Per la norma costituzionale citata, l'esercizio alla giurisdizione penale militare in tempo di pace è vincolato a due presupposti, uno oggettivo, la natura militare del reato, l'altro subiettivo, l'appartenenza del soggetto attivo di esso alle Forze armate. La sentenza impugnata afferma l'esistenza del presupposto obiettivo senza occuparsi di dimostrarla. In realtà, circa la " violenza mediante omicidio " non v'è dubbio. La " requisizione arbitraria ", invece, è stata sostituita, a richiesta del PM in sede di discussione, alla originaria "estorsione". Riservando separata doglianza sulla condanna per fatto diverso di quello enunciato nella richiesta di citazione e non altrimenti contestato, si osserva esse sino alla fine proceduto per un reato comune, sottratto, come tale, al giudice militare, e che ad esso, per connessione, sottrae anche il reato militare concorrente di violenza mediante omicidio. Quanto al presupposto subiettivo, la sentenza afferma che nella dizione dell' art. 103 "appartenenti alle Forze armate" vanno compresi anche i militari nemici, motivando il suo assunto colla differenza fra tale dizione e quella dell'art. 26 della Legge di guerra, "Forze armate dello Stato italiano", e dell'art. 2 CPMP, "Forze armate dello Stato". Certo, queste due norme, dirette a indicare un criterio di appartenenza, non potevano prescindere da simili specificazioni; tuttavia la formula costituzionale, diversa perché intesa ad altro scopo, ha eguale contenuto. Nè valgono in contrario le considerazioni di opportunità addotte. Infatti, l'indubbia maggiore attitudine del giudice militare a conoscere dei reati militari, non toglie che quando il soggetto attivo non appartenga ad alcuna forza armata l'incompetenza sia a tutti ammessa. Parimenti il riferimento all'art. 32 p. I n. 5 CPMG non serve, trattandosi appunto di vedere se la Costituzione abbia o meno innovato al riguardo. Che ad essa non sia sfuggita l'esigenza derivante dalla maggiore attitudine del giudice speciale, nella sentenza si afferma, ma non si dimostra, cade dinanzi alla precedente osservazione sui reati militari per mancanza della qualità militare nel soggetto attivo attribuiti alla cognizione del giudice ordinario. Infine, l'identità di trattamento processuale, prevista, non fra militari nazionali e militari nemici in genere, come la sentenza pretende, ma dall'art. 63 della Convenzione di Ginevra 27/07/1929 tra militari nazionali e militari nemici prigionieri di guerra, è qui irrilevante, poiché il ricorrente non è prigioniero italiano. Si tratta, comunque, di una norma che vale in quanto ricevuta nel diritto interno (per il RD 23/10/1930 n. 1615, sulla esecutività della Convenzione in Italia); e una successiva norma di diritto interno, quale la Costituzione, può quindi, prescindendo dagli obblighi internazionali, modificarne l'applicazione nello Stato. Piuttosto, la sentenza ha trascurato - nonostante la difesa vi avesse insistito in arringa - il criterio decisivo per l'interpretazione della formula costituzionale, l'impiego, cioè, della stessa formula nello stesso testo in significato non equivoco. La dizione "Forze armate" ricorre negli art. 52 u.e. 87 comma 9; in entrambi i casi è indubbio che essa equivale a "Forze armate dello Stato". Se dunque l'art. 103 avesse voluto intendere qualcosa di diverso lo avrebbe detto. Nè in contrario vale richiamarsi alla genericità consueta delle norme costituzionali: altro è infatti esprimersi genericamente, altro usare termini identici in accezioni diverse. La giurisdizione del giudice militare pertanto escluse; in ogni caso, la sentenza difetta di motivazione sul punto. II e segg. a presentarsi successivamente. Roma 2 novembre 1948
ITALO GALASSI |