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Operazioni militari nell'odierno Iraq 114-177 D.C.
by Gianfranco Cimino - 10/10/02
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OPERAZIONI MILITARI NELL'ODIERNO IRAQ, 114 - 117 d.C.

Premessa
Tutte le voci, che in questi giorni si rincorrono, di una possibile guerra all'Iraq, fanno tornare alla mia memoria di vecchio appassionato di storia miltare romana, la Mesopotamia dell'antichità, che fu uno dei teatri operativi privilegiati dagli eserciti romani dai tempi del tramonto della repubblica fino alla vigilia delle invasioni arabe. Generali ed Imperatori come Crasso, Antonio, Traiano, Lucio Vero, Settimio Severo, Odenato, Galerio, Giuliano ed altri ancora operarono in quelle remote regioni o in quelle circostanti.

Mi è sembrato perciò opportuno approfittare di questo ritorno di interesse per l'area del Golfo, per propinarvi la descrizione di alcune campagne romane in quelle zone; se avrò abbastanza tempo vorrei descrivervi le operazioni di Traiano, Antonio, Giuliano ed Eraclio, per poi, in un ultimo post, tentare un'analisi comparata di queste quattro campagne. Se poi uno dei tanti e bravi esperti in cose militari contemporanee di questo newsgroup vorrà aggiungere delle considerazioni sulle operazioni condotte nella stessa zona in epoca contemporanea (non c'è solo la prima guerra del Golfo, so che durante il primo conflitto mondiale gli Inglesi tentarono di impadronirsi dell'allora Mesopotamia turca), magari con qualche riferimento alle campagne da me descritte, sono sicuro che il tutto sarà ancora più interessante.

Limiti della trattazione
In questo post mi limiterò strettamente alla descrizione delle operazioni militari condotte dall'Imperatore Traiano dall'invasione dell'Armenia fino alla presa di Ctesifonte ed alla successiva spontanea sottomissione della Characene (114 - 117 d.C.circa). Saranno quindi escluse dalla narrazione le succesive ribellioni avvenute nei territori appena conquistati, e quelle, contemporanee, degli Ebrei nella parte orientale dell'Impero, i tentativi di Traiano di domarle, la sua morte e l'ascesa al trono di Adriano, con la conseguente decisione di abbandonare i territori orientali conquistati dal suo predecessore. Ciò potrebbe sembrare limitativo, ma in realtà questi avvenimenti successivi, e soprattutto la nuova politica di sicurezza inagurata da Adriano, sia pur contigui agli accadimenti che qui tratterò, sono talmente importanti da meritare una completa narrazione a parte.

Fonti primarie e secondarie
Le nostre informazioni sulla campagna partica di Traiano, avvenuta tra gli anni 114 e 117 della nostra era sono scarse e contrastanti. Le fonti principali sono il libro 68 della Storia di Cassio Dione, che non ci è pervenuto integralmente, ma in una versione ridotta attribuita principalmente a Xiphilinus, la Cronographica di Malas di Antiochia, storico del VI sec. d.C. di dubbia affidabilità, e qualche frammento dell'opera di Arriano, Parhica, sulla quale pare basato il lavoro di Malalas. Purtroppo quello che ci rimane della Parthica è così frammentario da essere praticamente di pochissimo uso, ed è un vero peccato, considerando che Arriano era un militare di una certa esperienza. Nella trattazione successiva, quindi utilizzerò come fonte primaria quasi esclusivamente l'epitome di Cassio Dione. Come fonti secondarie ho tenuto presente l'articolo "How did Trajan Succeed in subduing Parthia where Mark Antony Failed?" di Graham Wylie, apparso sul The Ancient History Bulletin nel 1990 (4.2), e, per alcune informazioni di ordine cronologico, la discussa opera di Luttwak "La grande strategia dell'Impero Romano", edito in Italia nella BUR (1986). Per seguire meglio le varie località geografiche citate è opportuno usare un atlante storico, al cuni di essi sono disponibili anche on line. E' ovvio che la scarsità di fonti disponibili mi ha reso abbastanza difficile l'esposizione dei fatti.

Cronologia
A causa quindi della scarsezza di fonti primarie, anche la cronologia è assai incerta, alcuni (Longden - "Notes on the Parthian Campaign of Trajan", JRS 21 (1931) e Debevoise - History of Parthia (New York 1968)), ritengono che la conquista della Mesopotamia Superiore e della Media Adiabene (rispettivamente nell' odierno Iraq settentrionale e ai confini tra Iraq ed Iran) avvenne nel 114, immediatamente dopo quella dell'Armenia, e che Ctesifonte sia stata presa nel 115: Garzetti (L'Impero da Tiberio agli Antonini, Istituto di Storia Romana, Storia di Roma, Vol. 6, Bologna: Licinio Cappelli) sostiene invece che la Mesopotamia Superiore e la Media Adiabene siano state conquistate nel 115, e che nello stesso anno sia stato organizzato il limes tra il Tigri e l' Eufrate, e quindi Ctesifonte sia stata presa nel 116 d.C. In effetti tutto dipende dalla data di un terremoto che l'epitome di Cassio Dione (68.24-5) afferma aver avuto luogo ad Antiochia, mentre Traiano svernava in questa città, e prima della conquista della Mesopotamia. Per questo terremoto Malalas dà la data del 23 Dicembre 115, ma Longden ritiene che questo evento debba essere spostato all'indietro di un anno. Per completezza vanno citate le opinioni di Lepper "Trajan's Parthian wars" Londra 1948, e di Guey "Essai sur la guerre Parthique" Bucarest 1937. Lepper ritiene che, dopo la conquista dell'Armenia (114 d.C.), nell'anno successivo fu conquistata la Mesopotamia Settentrionale, e nel 116 d.C. presa l'Adiabene e Ctesifonte, mentre nel 117 d.C, prima dello scoppio delle rivolte, fu conquistata la Mesene, oltre i Tigri. Guey invece crede che, dopo la conquista dell'Armenia nel 114 d.C., nel 115 d.C. fu conquistata la Mesopotamia Settentrionale, nel 116 d.C. furono prese la Mesopotamia Settentrionale, l'Adiabene, Ctesifonte, Babilonia ed ulteriori terre oltre il Tigri, mentre nel 117 d.C. scoppiarono le rivolte. E' difficile cercare di mettere ordine in questa confusione di date, ma comunque mi sembra che le opinioni di Longden e Garzetti siano le più plausibili, e, se si ci affida a Malas, la tesi dello studioso italiano parrebbe la più probabile. Ho cercato quindi di narrare gli eventi attenendomi a Dione, ma, per quanto detto prima la sequenza cronologica di essi non è certa.

Le motivazioni della spedizione
Come sempre quando si ci interroga sulle motivazioni dell'imperialismo romano di età imperiale, si presentano due tipi di spiegazione, una basata su considerazioni pratiche di tipo economico e politico non molto diverse da quelle che ancora sono valide nel mondo moderno, ed una basata su concetti quali la gloria, il desiderio di potenza, la volontà di rivalsa. La storiografia più recente ha molto rivalutato quest'ultimo tipo di motivazioni, anche come reazione alle tesi del Luttwak, che presuppongono una politica estera e di sicurezza romana caratterizzate da una razionalità ed una metodicità quasi di tipo moderno. Comunque sia spesso i due tipi di motivazione si intrecciavano strettamente tra di loro, e, nel caso della campagna partica di Traiano, anche se Cassio Dione parla di "amore per la gloria" (68.17.1), obiettivi più pratici furono sicuramente il desiderio di sistemare una volta per tutte le frontiere orientali dell'Impero (non dimentichiamoci che Traiano aveva definito già quelle renane e soprattutto danubiane con le sue campagne in Germania ed in Dacia), assicurando la sicurezza della Siria ed acquisendo nel contempo territori già ricchi, e la volontà di controllare le vie di commercio con l' Oriente, che drenavano grosse quantità di denaro dallo stato romano. Il pretesto per l'inizio delle operazioni militari fu fornito dallo stesso Re dei Parti, Osroe, che pose sul trono di Armenia il proprio fratello, detronizzando Re Axidares, nominato con l'approvazione di Roma, e lui stesso appartenente alla stirpe degli Arsacidi. Questo avvenimento era pericoloso per la sicurezza del limes orientale, visto che un'Armenia divenuta sogetta alla Parthia poteva essere usata come un trampolino di lancio per un attacco in profondità alle importanti province della Siria e della Cappadocia. Inoltre la nomina di Parthamasiri a Re di Armenia, senza l'assenso romano, violava i termini di un accordo Parto - Romano del 63 d.C., e costituiva un'inaccettabile diminuzione della potenza romana.

Descrizione delle operazioni militari
Traiano dunque, lasciata Roma nell'Ottobre del 113 d.C., raggiunse Antiochia nei primi giorni del nuovo anno, e di lì proseguì per l'Armenia durante la primavera seguente; da notare che, nonostante ci siano stati contatti diplomatici tra le due parti, essi non siano stati portati avanti con molta convinzione, non giungendosi a nessun tipo di acordo; ad esempio l'ambasceria dei Parti che raggiunse Traiano ad Atene fu mandata indietro senza risposta, e senza che neppure i doni fossero accettati. Ciò fa pensare che probabilmente Traiano (e forse lo stesso Osroe) aveva già deciso per una soluzione militare.

L'epitome di Dione non ci dà molti dettagli sulla campagna, ma sembra che Traiano arrivasse a Arsamosata, sul Tigri, (nell'odierna Turchia) marciando lungo il fiume Murad senza incontrare praticamente resistenza, in ciò indubbiamente favorito dalle divisioni politiche che laceravano l'Armenia (e la Parthia stessa, come si vedrà nel seguito).

Nella tarda primavera dello stesso anno l'esercito romano raggiunse Satala, dove confluirono truppe di rinforzo provenienti da Cappadocia e Galazia. Dopo aver ricevuto queste unità, Traiano doveva contare 11 legioni, circa 55.000 uomini, a cui penso si dovessero aggiungere un numero alquanto più basso di truppe ausiliarie, per arrivare ad un totale di almeno 80.000 uomini, forse più..

A Satala giunsero anche ambascerie di pace dalla maggior parte delle popolazioni tribali dalle regioni del Caucaso e del Caspio. Traiano arrivò poi ad Elegia (nei pressi dell'odierna Erzerum - Turchia), e colà, durante un'udienza, depose il Re armeno Parthamasiris, informandolo personalmente che oramai l'Armenia era una provincia Romana (Dione 68.19.3). Poco tempo dopo l'ex monarca veniva terminato, probabilmente su ordine di Traiano stesso.

La conquista e pacificazione dell'Armenia veniva quindi completata entro la fine della stagione di campagna, apparentemente senza molte ostilità (Dione 68.18.3b), dato che la maggior parte dei capi locali preferì sottomettersi spontaneamente. I Mardii ad est del Lago Van, rimasti ostili, vennero invece soggiogati da una colonna comandata da Lusio Quieto, un brillante ufficiale di cavalleria di origine Mora.

L. Catilio Severo fu nominato governatore dell'Armenia da Traiano, il quale si spostò poi verso sud, probanilmente attraverso i monti della Tauride per raggiungere il suo obiettivo successivo, la Mesopotamia Settentrionale, odierno Iraq, allora formata da diversi piccoli stati sotto controllo dei Parti; per i Romani fu facile prendere il controllo di queste zone, anche perché la Parthia era nel pieno di una crisi dinastica. Così Traiano prese Nisibi e Batnae, mentre Singara, Libbana (vicino Ninivhe), dove fu stabilita una guarnigione e Thebeta furono occupate da Lusio Quieto senza scontri; guarnigioni furono stabilite per tenere sotto controllo le regioni conquistate.

Finita la prima stagione di campagna Traiano svernò ad Antiochia (o ad Edessa, capitale dello stato cliente dell'Osroene, le fonti non sono chiare su ciò), per poi proseguire la campagna in Gordiene ed Adiabene. Il controllo di queste due regioni, situate oltre il Tigri, nella zona di confine tra gli attuali Iraq ed Iran, era indispensabile per proteggere i nuovi possedimenti della Mesopotamia Settentrionale da un'eventuale controffeniva Partica. Il passaggio dell'alto Tigri, davanti ai monti della Gordiene, ed in fronte all'opposizione nemica, è indicativo del grado di efficienza operativa raggiunto dall'esercito imperiale. Traiano disponeva di un gran numero di imbarcazioni, fabbricate nei dintorni di Nisibi, e trasportate su carri fino alla zona di operazioni (che era priva di legname per fabbricare le barche), e le usò per fabbricare dei ponti galleggianti. Nel frattempo altre imbarcazioni, cariche di soldati, fingevano di sbarcare in diversi punti del fiume; mentre altre ancora, ancorate nel fiume, e cariche di arcieri e macchine da guerra, coprivano col tiro le imbarcazioni. Di fronte ad un'operazione di tale grandezza e complessità, non appena i ponti furono gettati, la resistenza nemica crollò. In seguito a questa vittoria Traiano creò la nuova provincia dell'Assiria, che comprendeva Adiabene, Gordiene e l a regione del Kirkuk. Una volta assicuratosi il fianco l'esercito romano si diresse verso Babilonia, non seguendo il Tigri, ma, probabilmente, l'Eufrate, e di là a Ctesifonte; gli Imperiali potevano ususfruire dell'appoggio di una flottiglia di imbarcazioni che traportavano rifornimenti ed attrezzature. Probabilmente, visto che il Tigri non aveva ancora raggiunto il massimo livello (lo raggiungeva in Luglio), gli Imperiali furono obbligati a scegliere la via dell'Eufrate. Traiano avrebbe voluto collegare l'Eufrate con il Tigri con tramite un canale, ma ciò non fu possibile, dato il dislivello tra i due fiumi; così le imbarcazioni furono traportate per terra fino al Tigri, attraversato il quale l'esercito romano entrò a Ctesifonte.

E' da notare che si potrebbe avanzare l'ipotesi che l'esercito romano fosse stato diviso in due corpi, uno operante lungo il Tigri, l'altro lungo l'Eufrate, comandati da Traiano in tempi successivi. Che vi fosse un esercito romano operante sull'eEufrate si può dedurre da Dione 68.28, e da Ammiano 23.5.17. L'esistenza di un arco eretto dalla legione III Cyrenaica a Duro-Europus (Thapsacus), sebbene di dubbia datazione, ed il fatto che l'Imperatore abbia passato in rassegna le truppe Ozogardana (citata con riferimento al tribunale di Traiano da Ammiano 24.2.3), più a sud, nei pressi dell'odierna Hit giocano a favore di questa ipotesi.

Allo stesso modo rimane il dubbio che tra la conquista della provincia dell'Assiria e la conquista di Ctesifonte vi sia stato un intervallo invernale.

Comunque tutte queste ultime operazioni vennero condotte senza quasi opposizione, vista la condizione di guerra civile che esisteva in Parthia. Per l'estate le operazioni militari erano praticamente terminate: la successiva marcia verso l'Oceano Indiano fu una pura formalità, giacchè la Characene, corrispondente grosso modo all'attuale Iraq meridionale fino al mare, si era già spontaneamente sottomessa.

Analisi delle operazioni militari
Paradossalmente la campagna Partica, una delle più imponenti, se non la più imponente, operazioni militari della storia del Principato, fu portata a termine felicemente senza che fosse combattuta nessuna battaglia campale vera e propria. Nonostante ciò, se vogliamo esaminare alcuni dei punti di forza (ma anche delle debolezze), dell'esercito primo imperiale romano al suo apogeo, e sotto uno dei più valenti generali della storia, è a questa campagna, oltre che a quella Dacica, che ci dobbiamo rifare.

Il primo elemento da considerare è, da sempre, sottovalutato un po' da tutti, con la dovuta eccezione degli esperti di cose militari: la logistica infatti, tra le discipline in cui si divide l'arte militare certo non è certo la più popolare. Essa è invece sempre stata uno dei punti di forza degli eserciti imperiali romani, i cui apparati logistici, mutatis mutandis, erano paragonabili a quelli dei migliori eserciti di oggi. Un soldato romano dell'epoca di Traiano aveva la certezza di essere ben nutrito e curato (nei limiti della scienza medica dell'epoca, beninteso), ben equipaggiato, qualitativamente e quantitativamente, con armi ed altri equipaggiamenti (artiglieria compresa) di prestazioni almeno pari, ma il più delle volte superiori, a quelle del nemico, ben rifornito di tutto quello che occorreva per la condotta della guerra; in queste condizioni l'esercito poteva condurre campagne prolungate anche lontano dalle proprie basi principali, poteva concentrarsi a piacimento ed anzi aveva una netta superiorità in quelle operazioni, quali le ossidionali o quelle in zone desertiche o semidesertiche, nelle quali un adeguato supporto logistico è fondamentale.

L'uso delle vie fluviali per facilitare la logistica era ben conosciuto all' epoca (e d'altronde è stato frequentemente praticato durante le moderne guerre coloniali europee), e lo stesso Traiano aveva fatto ampio uso di flottiglie fluviali per il rifornimento ed il supporto delle operazioni terrestri, ad esempio durante le guerre daciche. Non ci deve perciò sorprendere la sua scelta di seguire il corso dell' Eufrate, approcciato da Nord Est (ricordiamo che le operazioni in Armenia ed oltre il Tigri avevano reso assolutamente sicuro questa via di avvicinamento) per arrivare a Ctesifonte, invece di prendere la cosiddetta strada di Alessandro, che, passando attraverso Arbela arriva in Babilonia, giacchè il Tigri, come detto prima, non è adatto per operazioni fluviali prima di Luglio. Infatti, seguendo la via di terra l'apparato logistico romano, piuttosto "pesante" avrebbe rallentato la marcia delle truppe, ed avrebbe reso più vulnerabile l'esercito, laddove operare appoggiato da una flottiglia fluviale avrebbe reso la marcia dell'esercito più veloce e sicura. Una flottiglia fluviale romana poteva infatti portare rifornimenti, equipaggiamenti vari, ivi compresi quelli, ingombranti e pesanti, per la guerra d'assedio, monte di ricambio per la cavalleria ed animali da soma. Inoltre la stessa flottiglia poteva essere usata per bloccare luoghi fortificati, costruire ponti, e supportare col tiro di arcieri e macchine da guerra le operazioni terrestri.

Ciò ci porta a considerare altri due punti forti dell'esercito romano: le operazioni anfibie (o meglio, fluviali, in questo caso), e quelle di ingegneria militare.

Abbiamo una evidente dimostrazione di ciò nell'attraversamento del Tigri, condotto in maniera coordinata con il supporto dell'artiglieria e dei tiratori a bordo delle barche, dai genieri (in effetti ogni legionario era addestrato ad operare anche come geniere) che gettavano i ponti, e da truppe d'assalto che simulavano sbarchi per distrarre il nemico. E tutto ciò avendo assemblato la flotta attorno a Nisibi, zona ricca di alberi, ed avendola trasportata via terra in una zona povera di legno come la Gordiene (il che non mancò di impressionare gli uomini di Re Mebarsapes di Adiabene, e di Manisarus di Gordiene).

Per quanto riguarda le opere di ingegneria militare, ricordiamo che Traiano avrebbe voluto riaprire il Canale Reale, che collegava l'Eufrate al Tigri, per arrivare a Ctesifonte sempre con l'appoggio della flottiglia fluviale. Non potendolo fare, a causa del dislivello tra i due fiumi, preferì far trasportare via terra la flottiglia per il breve tratto tra i due corsi d' acqua, certo che eventuali operazioni di assedio attorno a Ctesifonte sarebbero state grandemente facilitate dalla presenza delle navi. Alla fin fine Ctesifonte cadde senza combattere, ma la mossa di Traiano è indicativa del fatto che all'epoca l'esercito romano costituiva all'epoca uno strumento potente e flessibile, tale da dare ad un ottimo generale come Traiano un'ampio ventaglio di possibili opzioni militari.

Al di là delle capacità operative dell'esercito, Traiano si dimostrò ben all'altezza di esso: in particolare la scelta dell'approccio via Eufrate a Ctesifonte, gli permise di condurre le sue truppe per i terreni coltivati che sorgono ai lati del fiume, in un terreno sfavorevole alla cavalleria Partica (cfr. Senofonte, Anabasi 1.10.17). E ciò ci porta ad una domanda: cosa sarebbe successo se i Parti avessero dato battaglia, invece di assumere un atteggiamento rinunciatario dettato anche senza dubbio dai disordini interni che affliggevano il loro regno ? L'esercito romano di Traiano era non solo uno strumento potente, ma anche flessibile, molto più, ad esempio, di quello di Crasso di 150 anni prima; la cavalleria leggera romana era in grado di fronteggiare con successo i famosi arcieri a cavallo Parti, scoordinando il dispositivo tattico Partico fondato sulla stretta cooperazione tra cavalleria leggera e catafratti, e la fanteria legionaria romana era adesso appoggiata da una numerosa fanteria leggera ed ausiliaria ben dotata di armi da tiro, senza contare la netta superiorità romana nelle operazioni fluviali e di ingegneria militare. Tutte queste truppe erano inoltre molto ben addestrate e con il morale alto per la lunga serie di vittorie, i veterani dovevano essere poi assai numerosi. Inoltre il supporto logistico romano era tale da permettere all'esercito una serie di campagne prolungate, laddove l'esercito Partico, essendo semi permanente, avrebbe avuto difficoltà a tenere il campo. Infine Traiano stesso era esperto nella condotta di operazioni belliche su larga scala; tutti questi fattori fanno pensare che un tentativo diretto da parte dei Parti di affrontare l'esercito imperiale si sarebbe risolto in un fallimento, e forse, al di là dei disordini interni, fu anche questa consapevolezza che trattenne i Parti dall'intervenire direttamente. Alla lunga, alla luce degli avvenimenti poi avvenuti, la scelta dei Parti, obbligata o meno, fu la più conveniente. Dobbiamo forse allora presupporre che lo strumento militare romano fosse perfetto ?

In realtà, al di là dei problemi che spesso poteva causare un apparato logistico di alto livello, ma che a volte poteva costituire un peso per l' esercito, una reale debolezza dell'esercito romano, debolezza che a volte gli impedì di trarre vantaggi duraturi dai suoi stessi successi, fu la sua esiguità numerica, se rapportata ai suoi numerosi compiti.

Con appena circa 300.000 uomini per presidiare l'intero esercito romano avrebbe dovuto inoltre presidiare un nuovo limes costituito dalla frontiera armena fino al Caspio, e, contemporaneamente, da un confine appoggiato all'Eufrate ed al Tigri (ma con la Media Adiabene e la Gordiene da presidiare). Tutto ciò era evidentemente troppo per le risorse militari allora immediatamente disponibili, tenuto anche conto dei presidi da destinare al limes germanico ed a quello Dacico. Alla luce di tutto ciò forse le successive decisioni di Adriano sono giustificabili e non avventate.

Gianfranco Cimino

Reply di Francesco

Grazie per questo scritto interessante.
Sarei interessato ad aspetti di logistica.
1. Quanti viveri servono al giorno ( ad esempio in quintali) per nutrire un esercito di 80000 unomini ?
2. Quanti di questi viveri erano deperibili (in termini di quintali)?
3. Come funzionava l'approvigionamento dei viveri deperibili ?
4. E per gli animali ? Quanti cavalli, quanti buoi ? Quanti quintali di fieno mangiavano al giorno ?
Vi sarei molto grato per rispondere a queste mie curiosità.
Francesco

Reply di Gianfranco Cimino

1. Quanti viveri servono al giorno ( ad esempio in quintali) per nutrire un esercito di 80000 unomini ?

Tieni conto che il fabbisogno medio di cibo solido (farinacei e carne freschi o conservati) per un uomo che compie un lavoro pesante è di circa 1350 grammi giornalieri (questo dato è tratto da Keegan, ma personalmente credo che sia un po' basso). Così vengono consumati 100 ton. circa di cibo al giorno. Webster calcola in 15 ton. giornaliere il fabbisogno di una legione romana, foraggio per animali da soma compresi. Ovviamente poi c'è il problema dell'acqua, che limitava a due tre - giorni l'autonomia di un esercito da una fonte di rifornimento idrico all'altra, anche se ho sentito di eserciti Arabi capaci di performances migliori, da questo punto di vista.

2. Quanti di questi viveri erano deperibili (in termini di quintali)?

Niente, era tutto grano, farinacei conservati, carne conservata ecc. 3. Come funzionava l'approvigionamento dei viveri deperibili?

Per il cibo fresco si precedeva a requisizioni, saccheggi o mercati (ma ovviamente in guerra non sempre ciò era possibile). Mi ricordo che una delle preoccupazioni di Senofonte durante l'Anabasi (ma anche di Wellington) era l'organizzazione di mercati per integrare le scorte portate dai soldati.

4. E per gli animali ? Quanti cavalli, quanti buoi ? Quanti quintali di fieno mangiavano al giorno ?

Qui cominciano le dolenti note; due buoi potevano portare mezza ton. di vettovaglie in un carro, ma se lo mangiavano in 8 - 12 giorni massimo. Penso che un bue abbia bisogno di una quindicina di Kg di foraggio al giorno. Coi cavalli era ancora peggio (sono meno resistenti). Questo era un serio problema, tenuto anche conto dei fabbisogni dei conduttori dei carri, ed un punto in più a favore dei rifornimenti navali o fluviali.

Come facevano allora i Romani?

Fin quando rimanevano in territorio amico, usavano depositi già prima preparati. In territorio nemico, se non potevano "vivere della terra" e questo era sempre il caso contro i Persiani, che praticavano la politica della terra bruciata ( e comunque avevano un bel po' di territorio desertico o semidesertico ), i Romani o dovevano trascinarsi dietro un enorme bagaglio su carri, o dovevano usare una flotta fluviale.

Dato che una nave fluviale può portare anche un centinaio di tonnellate di vettovaglie, si capisce quale era il sistema preferito dai Romani. Tieni inoltre presente che fuori dall'Impero buone strade non erano in generale disponibili (e ciò era un problema per i carri), ed inoltre avere un enorme treno bagagli rallentava l'esercito, lo rendeva più "lungo" e quindi più esposto alla minaccia nemica.

Vedi come la logistica, influenzata anche dalla morfologia del terreno, dettava allora la condotta delle operazioni?

Ciao
Gianfranco

Reply di Roby Wan Kenoby

Potrei rispondere com e Gianfranco (=Mariangela Gamboni) e fare i calcoli. Non servirebbe a niente perché il problema di far mangiare gli 80mila (teorici) nella pratica non esiste. Potrebbe sussistere a livello di curiosità intellettuale ma, poiché questo è un newsgroup di *storia* militare e non di *fantascienza* militare, il problema va posto in termini storicamente significativi. Vi sono due ragioni per cui il problema non esiste:

1) Innanzi tutto non vi erano 80mila uomini nello scenario in questione nè in alcuno scenario di guerra all'esterno che riguardi i romani in tutta la storia di Roma.

2) Anche disponendo di un numero elevato di uomini, questi non sarebbero sempre concentrati in un medesimo luogo da dover pesare gravemente sui rifornimenti.

3) L'unico bene di cui bisogna avere un continuo rifornimento è l'acqua. Ma stiamo marciando lungo l'Eufrate...

Analizziamo i punti in dettaglio:

1) Gli 80mila.

C'è da notare che al di là degli effettivi teorici, cioè 6000 uomini, le legioni (consideriamo qui il periodo da Caio Mario a Diocleziano escluso, prima e dopo le cose sono diverse) disponevano mediamente di 4000 soldati, le ale ausiliarie di 500 mentre i reparti ausiliari circa 1000 uomini.

Così, restando sulla campagna in questione, l'esercito proposto da Gianfranco (Mariangela Gamboni) con 10-11 Legioni (ovvero 40-44 mila fanti) aliquote di cavalleria (non più di 5mila) e fanti armati alla leggera (non più di 11mila) per un totale di 56-60mila rappresenta l'insieme di tutte le truppe operanti nella Syria e nella Cappadocia a disposizione di Traiano all'inizio della campagna (*).

2) La concentrazione e la sussistenza.

Di questi alcuni sono stati senz'altro lasciati indietro come guarnigioni e i restanti soldati (come ha scritto Gianfranco) non sempre (anzi quasi mai) sono restati concentrati in un unico punto da dover gravare completamente e pesantemente sul bagaglio.

In particolare la cavalleria poteva allontanarsi a piacere per foraggiare cosa senz'altro fequente perché fra i suoi compiti vi era l'esplorazione e quindi l'avremmo trovata divisa in numerose pattuglie molto piccole e lontane dal corpo principale dell'esercito.

Pertanto, anche trascurando eventualmente le guarnigioni, dividendo l'esercito in due tronconi come fece Traiano il problema reale è quello di nutrire 28-30mila uomini.

Diamo prima un po' di dati: in estate un territorio pianeggiante e coltivato come quello in questione riusciva a sostentare circa 24mila uomini Una città mediamente altri 8mila. Quindi ad esempio Ninive ed il suo territorio circostante supportavano senza patemi uno dei due tronconi dell'esercito. Così diviso l'esercito è perfettamente supportato anche dal territorio fra il Tigri e l'Eufrate senza problemi.

Naturalmente nessun esercito poteva muovere senza i rifornimenti: un treno di rifornimenti medio era costituito da 2-300 carri trainati da buoi. Questi fornivano cibo per 120-130mila razioni per 1 mese, questo nell'estrema ratio di mangiare anche i buoi che trainavano i carri (**). Il problema maggiore del bagaglio non era quello della sua sufficienza ma quello della sua velocità essa era meno della metà di quella dei legionari che si muovono su territorio amico e 1/4 di quella dei cavalieri. Ciò significa che i rifornimenti erano consumati principalmente perché si doveva portarli dietro!

Naturalmente nessun comandante avrebbe consumanto in un sol mese tutte le scorte ma, mediamente avrebbe fatto sì che queste, in virtù di continui reintegri e grazie alla sussistenza operata sul territorio, fossero consumate con un ritmo adeguato. I treni di provviste venivano realizzati/comprati nelle città (dai popoli civilizzati), per cui l'abilità del comandante consisteva nel raggiungere in tempi ragionevoli una città ove reintegrare le scorte.

Partendo da questi dati si capisce perfettamente cosa avviene nella campagna di Traiano.

La campagna descritta da Gianfranco è una campagna "tipica" dei romani contro i parti da quel periodo in poi. Se vediamo cosa avviene. Da Antiochia, in poco più di 1 mese si raggiunge Edessa. Prima pausa per reintegrare le scorte Da Edessa, un altro mese e siamo a Ninive. Seconda Pausa. Un altro mese e siamo a Seleucia. Le porte di Ctesifonte sono aperte. Da Traiano al crollo del regno di Parthia e l'ascesa dei Sassanidi le campagne romane contro i parthi seguiranno questo iter. Prima non era possibile agire così perché la cavalleria romana era insufficiente e Crasso ne pagherà le conseguenze mentre Antonio sceglierà saggiamente la via delle montagne verso Fraaspa. Successivamente i Sassanidi introdurranno un cavalleria pesante chiamata clibanaria ma dopo che i romani ne creeranno una simile si ricomincia come sopra.

Note:

(*) Da un punto di vista alimentare, un cavallo "pesa" più o meno come 3 uomini quindi un ala di cavalleria di 500 cavalieri consuma le provviste di 2000 fanti. Anche pesando in questo modo il dato e quadruplicando il valore dei cavalli abbiamo in termini di razione-fante: 71-75mila razioni. Ma anche questo problema esiste solo nell'imminenza di una battaglia non nella routine della campagna. Questo è spiegato nel punto 2.

(**) Un treno di rifornimenti (ossia buoi+conducente) consumava più o meno le medesime razioni di 4mila uomini.

Reply di Gianfranco Cimino

Ringrazio per le spiegazioni date, che mi hanno fatto aumentare i dubbi. Vi sono grato per leggerli e per cercare di delucidarmi. Dunque si parla di 108 tonnellate al giorno di cibo, ma nulla o quasi di deperibile. La campagna di questo esercito di 80000 uomini e' durata circa 3 anni, vale a dire 118260 tonnellate di cibo non deperibile. A cui si aggiungeva la cavalleria (ovvero i cavalli), indispensabile per tenere lontano i parti. Di questi 3 anni un certo ammontare sono stati passati in pieno territorio nemico. Immagino si agisse ad elastico, tipo 7/10 giorni fuori casa, poi il rientro dietro le linee amiche. Poi, piano piano, spostamento in avanti delle varie roccaforti e delle forze strategiche.

Per chiarire meglio le cose bisogna partire dalla preparazione della campagna, che iniziava mesi prima dell'avvio delle operazioni. Venivano raccolte, ogni anno, per tutta la durata della campagna, vettovaglie ed equipaggiamenti, e venivano organizzati depositi, in territorio amico, lungo la linea di avanzata dell'esercito, in modo che esso, sfruttando strade e depositi, potesse muoversi velocemente senza molto bagaglio, almeno fin quando si ci muoveva in territorio controllato. Nelle basi logistiche vere e proprie situate immediatamente al di qua della frontiera (alcuni casi al di là, come sulla frontiera danubiana o renana) venivano quindi accumulate le scorte per la marcia in territorio nemico.. Ecco perché le campagne romane, almeno quelle condotte dai generali migliori, erano graduali: prima di attaccare in profondità un territorio, si cercava di avere delle basi logostiche da cui far partire l'offensiva. Così Ctesifonte fu attaccata solo quando il possesso dell'alta Mesopotamia garantì le necessarie basi sull' Eufrate Per dare un'idea della grandezza delle operazioni logistiche, quando Costanzo si preparava alla guerra (mai poi avvenuta) contro Giuliano, furono raccolti diversi milioni di bushels di grano. A volte poteva accadere che una campagna partisse in ritardo proprio perché non erano state preparate in tempo le scorte.

Una volta che le operazioni erano cominciate bisognava fare affidamento sui rifornimenti trasporati dal treno logistico dell'esercito; nel caso della campagna di Traiano, per quanto possibile, si usarono grossi corsi d'acqua come il Tigri e l'Eufrate, in modo da evitare di fare affidamento sulle bestie da soma, che, come i loro conduttori, consumavano vettovaglie. Ancora per dare un'idea dei preparativi, Giuliano raccolse per la sua campagna sull'Eufrate una flotta di un migliaio di vascelli; ipotizzando un ragionevole carico di 50 ton. per vascello (in realtà conosciamo vascelli fluviali romani di capacità maggiori), si arriva alla notevole cifra di 50.000 ton. di rifornimenti.

Ma la necessità di trasportare vettovagliamento non era così alta, giacchè, l'esercito non stava in campagna per più di 4 - 6 mesi a volta (si cominciava di solito a primavera inoltrata e si finiva prima della fine dell'estate). Dopo di che l'esercito veniva ritirato in basi sicure in territorio conquistato o comunque amico, per svernare. Bisogna anche tener conto che man mano le forze romane avanzavano, stabilivano una linea di rifornimento centrata su forti, città fortificate o apprestamenti logistici fortificati (ad es. granai fortificati), di modo che fosse possibile comunque rifornire l'esercito che svernava in territorio occupato, e soprattutto le guarnigioni che venivano lasciate indietro alla fine della campagna. Ecco perché il controllo delle città fortificate della Mesopotamia (Singara, Nisibi, Hatra ecc. ) era ritenuto fondamentale per il felice esito delle operazioni. Le operazioni non venivano poi certo condotte ad elastico (e delle operazioni in Mespotamia nel IV sec. d.C. c'è la testimonianza di Ammiano, per quelle del VI d.C. quella di Procopio, ambedue molto accurate e date da militari professionisti). L'esercito veniva ritirato per svernare in basi rifornite e sicure, lasciando indietro guarnigioni, solo alla fine della stagione di campagna. Queste considerazioni spiegano perché i Romani preferissero impadronirsi di tutti i luoghi e le città fortificate lungo la loro direttrice di avanzata, per poi non aver problemi di interruzione del flusso logistico, e contemporaneamente acquisire e negare al nemico punti di appoggio logistico. In base a queste considerazioni, la quantità di vettovagliamento, per gli 80.000 soldati di Traiano, necessari per 4 - 6 mesi, scende a circa 12.000 - 18.000 ton, pari al carico di 240 -360 battelli fluviali.

Bisogna tenere in ulteriore conto che probabilmente gli 80.000 di Traiano ben poche volte si trovarono tutti concentrati assieme, ho già detto che probabilmente vi erano contemporaneamente due eserciti, uno sul Tigri e l'altro sull'Eufrate, inoltre molti uomini restavano di guarnigione in località conquistate.

In ogni caso ho serie difficoltà a credere che a quel tempo esistevano eserciti da 80000 uomini, ma forse sono solo un po' scettico. In ogni caso i miei dubbi si basano su questi ragionamenti: un uomo non può nutrirsi per lunghi periodi di cibo conservato (del tipo da te indicato), altrimenti si becca lo scorbuto e muore. Quindi vi doveva essere un modo per reperire cibi deperibili (ovvero vegetali e frutta).

Prima di prendere lo scorbuto ci vuole diverso tempo, in realtà se la catena logistica non funzionava gli uomini letteralmente morivano prima di fame, come successe a quelli di M. Antonio. In realtà i soldati Romani di quel periodo, durante le operazioni in territorio nemico mangiavano una serie abbastanza varia di alimenti; innanzi tutto portavano macine e forni da campo con sé, e così dal grano trasportato dal treno logistico traevano pane fresco, che integravano (nella misura di quasi 1 a 1) con farinacei conservati (ad es. il famoso buccellatum). Inoltre avevano regolari distribuzioni di carne conservata suina ed ovina, di vino, olio ed aceto (nel nord Europa, nel IV sec. anche di birra), so inoltre che usavano legumi, cipolle e aglio. Tutto ciò veniva integrato (ma solo integrato), sempre in territorio nemico, con requisizioni e saccheggi, e anche cercando di intercettare la catena logistica nemica, intercettando convogli o prendendo forti o città fortificate (di ciò ancora sono testimoni Ammiano e Procopio) In realtà questi mezzi erano sufficienti a provvedere l'eventuale integrazione di cibo fresco: anche un nemico che praticava la politica della terra bruciata non riusciva a distruggere tutto. Una volta tornati ai quartieri d'inverno, o comunque in territorio controllato la situazione logistica migliorava, mediante l'acquisto sul libero mercato o la requisizione di cibo fresco.

La razzia non è una garanzia seria per una campagna di guerra continuativa. Una volta razziato ai contadini del luogo, il mese dopo o l'anno dopo non trovi più nulla ed il tuo esercito deve andare a casa.

Poche volte ho letto di eserciti romani che "vivessero della terra", e la maggior parte rischiava di fare una brutta fine.

Quindi secondo me esistevano solo due modi seri per rifornirsi: chiedere un pagamento di tributi ai contadini del luogo oppure fare venire le scorte dai porti del Mar Nero o del Meditteraneo (in questo caso il costo di trasporto era senz'altro alto, tu indicavi un paio di buoi che trasportano 0.5 t , ma ne mangiano l'equivalente in 8-10 giorni). Tutte due le ipotesinon stanno in piedi secondo me: (1) i contadini del luogo non erano certamente talmente cosi' produttivi da nutrire loro stessi ed allo stesso tempo sfamare 80.000 persone (credo che anche oggi ci sarebbero seri problemi). (2) i viveri non potevano arrivare dai porti del Mar Nero o Meditteraneo, perché la catena di rifornimento era troppo lunga (quindi soggetta a guasti) e troppo costosa.

Per quanto riguarda il punto 1 ti ripeto che ai contadini delle zone controllate veniva chiesta solo un'integrazione della dieta dei soldati, per lo più sotto forma di cibo fresco, quindi nulla di onerosissimo, considerato che si trattava di solito di frutta, verdura, uova ecc. Al cibo non deperibile ci pensava la logistica. La quale era così efficiente che assicurava il rifornimento di generi alimentari all'esercito in Mesopotamia dall'Egitto, via mare fino ad Antiochia, e poi via terra fino circa ad Edessa, dove si poteva usare l'Eufrate. Il tratto via terra era relativamente breve, e se pensi a quello che ti ho detto circa l'esistenza di depositi di vettovaglie lungo le strade, anche il problema del foraggio per le bestie da soma poteva essere risolto: gli animali (ed i loro conduttori) non mangiavano le vettovaglie che si portavano appresso perché ricevevano cibo e foraggio in questi depositi e nelle città, fino alle ultime basi logistiche in territorio amico.

Vegezio, le istituzioni di Giustiniano ed altre fonti dell'epoca ci danno una regolare descrizione di questo complesso sistema che permetteva, ad es, ai legionari sul Reno di essere riforniti dalla Britannia.

Se poi consideri le difficoltà di rifornire Roma con i suoi abitanti di grano, direttamente dall'Egitto, o di carne di maiale proveniente da Campania e Lucania, capirai che le capacità dell'Impero potevano far ben fronte a queste necessità. Secondo me (ma anche secondo molti storici militari) le capacità logistiche di Roma imperiale furono superate solo nel XIX sec.

I problemi di ordine sociale che crea un esercito di 50000 uomini dislocati per 3 anni sono enormi. Mica si potevano accampare dovunque!, poi.... quante donne servivano per sfamare le voglie di 50000 legionari ? Che la sifilide non girava ? Ed i conflitti con la popolazione locale all'interno delle linee amiche? Un esercito di 50000 uomini era senz'altro in grado di destabilizzare una provincia romana, magari da poco conquistata.

Tieni presente che, lmeno durante il Principato, si cercava di ridurre al minimo i contatti con la popolazione locale, alloggiando i soldati in accampamenti lontani dai grossi centri abitati, e d'altronde la Mesopotamia era abbastanza grande per accogliere tutti questi soldati senza tanti problemi, ed era già stata precedentemente sottoposta ad una profonda influenza ellenistica, e quindi era culturalmente abbastanza vicina a Roma. In realtà molti studiosi hanno rilevato che i problemi con la popolazione civile non erano immediati, ma seguivano a distanza di qualche anno (come in Britannia, ad es.), quando i locali si accorgevano che vivere con i Romani in casa poteva essere davvero difficile. Poi, superati questi problemi (che a volte causavano vere e proprie ribellioni), lo stile di vita romano veniva accolto senza grandi difficoltà, almeno nelle città e tra i ceti alti e medio alti. Ed in effetti in Oriente la rivolta ci fu, nel 117 d.C. Ma l'impatto della presenza romana in una determinata zona merita uno studio molto approfondito (alcuni autori ci hanno anche provato) e non era certo riconducibile alla mera presenza di 50.000 soldati).

I problemi di natura sessuale dei soldati in migliaia di anni non hanno mai impedito l'effettuazione delle guerre e delle conquiste. In effetti, dato il relativo benessere del soldato romano medio rispetto a quello della popolazione circostante, penso che fossero le donne locali ad attaccare i Romani. I casi di matrimoni fra soldati romani e donne deldelle province conquistate sono stati talmente tanti da poter essere studiati statisticamente. In quanto alla sifilide, non fu introdotta in Europa dal Nuovo Mondo?

Insomma secondo me si trattava di un esercito ben minore (diciamo 5000->10000?).

Ma di questo mini esercito le nostre fonti primarie non dicono nulla, mentre i ritrovamenti archeologici ci parlano di grosse fortezze legionarie (ad es. Dura Europos) costruite per decine di migliaia di uomini. Le campagne precedentemente condotte da Traiano, e quelle successivamente condotte in zona da L. Vero, S. Severo, Galerio, Giuliano ecc. furono, secondo le fonti di allora, condotte da eserciti di diverse decine di migliaia di uomini. E, ti ripeto, questi numeri sono confermati dalla grandezza e complessità delle strutture militari ritrovate.

E questo potrebbe essere vero considerando l'accortezza di Traiano nel condurre la campagna (non si e' mai messo in posizione di svantaggio). In effetti i parti come tutti i popoli della steppa, non ti attaccano se debbono rischiare gravi perdite (non hanno il culto dello scontro frontaleo della battaglia risolutiva come abbiamo noi europei dell'ovest).

Un esercito parto di qualche decina di migliaia di arcieri a cavallo avrebbe potuto distruggere con facilità un esercito romano di 5.000 - 10.000 uomini semplicemente tirandogli addosso (anche i Parti non scherzavano a logistica, si portavano appresso anche i rifornimenti di frecce per gli arcieri a cavallo per essere sicuri di non rimanerne senza). Fu esattamente quello che successe ad una colonna romana durante la spedizione di M. Antonio.

Possiamo convenire che 80000 uomini per 3 anni di campagna è un numero eccessivo oppure vi sono elementi che spiegano come questi numeri così alti (anche per le battaglie di oggi) possano essere veri?

Non è un numero eccessivo, soprattutto se pensi che, applicando i tuoi ragionamenti all'epoca napoleonica i grandi eserciti di quel periodo non sarebbero potuti esistere. Inoltre le fonti più attendibili dell'epoca ci parlano di tali numeri che sono stati anche confermati dai ritrovamenti archeologici (ci sono anche papiri con le registrazioni dei ruolini delle truppe romane). Quanto sopra da me illustrato penso possa essere stato utile a farti un'idea delle capacità logistiche romane.. In quanto alle battaglie di oggi, 80.000 uomini sono su per giù un corpo di armata, penso, ma altri del NG ti potranno rispondere meglio.

Ciao
Gianfranco
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