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La battaglia di Capo Ecnomo (le differenti tattiche navali)
by Antonio - 13/07/03
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Nel 256 a.C. la flotta romana e quella cartaginese, anche se dispongono dello stesso tipo di nave, la quinquereme, adottano due tecniche di combattimento molto diverse, basate sull'abbordaggio la romana e sullo speronamento la punica. Questa scelta è dettata dalla diversa capacità di manovra dei rispettivi equipaggi, ancora grezza quella romana che si è dotata di una marina da guerra da soli quattro anni, evoluta, al contrario, quella punica. Si legge in Polibio che le quinqueremi romane "erano di struttura goffa e inadatte al movimento veloce". Infatti questo tipo di nave era sconosciuto ai carpentieri italici che solo allora presero a metterla in cantiere affidandosi a un modello punico. Inoltre nè Roma nè le città italiche alleate disponevano di equipaggi esperti in numero sufficiente da armare delle flotte tanto grandi come quelle varate in quegli anni. La marina da guerra di Cartagine, invece, era da secoli signora incontrastata del Mediteranneo occidentale. "Le loro navi erano costruite meglio, e gli equipaggi erano più pratici", dichiara Polibio.

Nel mondo antico le tattiche navali, nella loro varietà, possono essere ricondotte a due tipi fondamentali a seconda che la nave venga utilizzata come piattaforma da combattimento o come arma di combattimento. Nel primo caso l'obiettivo della manovra è, essenzialmente, l'abbordaggio della nave avversaria, nel secondo il suo speronamento. Nulla impediva che le due tattiche si combinassero nella singola azione e che quindi due navi rostrate prima si dessero di cozzo e poi, una volta venute a contatto, si procedesse all'abbordaggio.

La tattica di abbordaggio si avvaleva della presenza di fanti di bordo che, una volta accostate le navi, combattevano tra loro come in uno scontro sulla terraferma. E' giocoforza che una nave prevaleva se la sua fanteria di bordo conquistava la nave avversaria. In genere l'abbordaggio era preceduto dallo scambio di armi da lancio che nelle navi più grandi, come le enormi pluriremi degli stati ellenistici, erano catapulte che scagliavano grossi proiettili per colpire e danneggiare l'apparato di voga e ridurne la forza di propulsione. La nave avversaria poteva essere "agganciata" in vari modi e per mezzo di strumenti diversi, lunghi arpioni, grappini di arrembagggio o veri e propri ponti levatoi, i famosi "corvi" romani.

Il "corvo" è adottato poco prima della battaglia di Milazzo del 260 e, così come descritto da Polibio, consisteva in una passerella mobile, posta a prua, lunga circa 10,50 metri. e larga 1,20 e dotata di un basso parapetto su entrambi i lati che, al momento dello scontro, veniva sollevata per mezzo di una fune legata ad un anello inchiodato alla fine della passerella, fune che passava per una carrucola fissata alla cima di un palo alto all'incirca 7 metri, per poi essere lasciata cadere sulla tolda avversaria quando le navi si fossero avvicinate. poiché all'estremità della passerella era applicato un grosso rostro di ferro, quando il "corvo" calava pesantemente sulla nave avversaria questo penetrava nel tavolato della sua tolda unendo saldamente le due navi. Inoltre la passerella per mezzo di un foro alla propria base poteva ruotare intorno al palo di sostegno e quindi essere calata oltre che davanti anche di lato. Con la conseguenza che, scrive Polibio: "Quando i corvi impigliatisi nei tavolati della tolda nemica avevano unito le navi, se queste erano congiunte per i fianchi, i soldati abbordavano da ogni parte, se erano unite a prua, a due a due salivano in fila attraverso il rostro stesso: i primi si difendevano opponendo gli scudi, gli altri si proteggevano i fianchi appoggiando l'orlo degli scudi sul parapetto." Grazie ai ponti di abbordaggio la fanteria di bordo, che sulle navi romane fu sempre numerosa, poteva passare sulla nave nemica e neutralizzarne l'equipaggio dopo aver massacrato i fanti nemici, generalmente meno numerosi e di minore qualità. Il "corvo", inoltre, ebbe da subito un effetto dissuasivo dopo l'amara esperienza fatta dai Cartaginesi a Milazzo i quali, dopo l'iniziale stupore per la novità dei marchingegni, si precipitarono contro le navi romane e" mano a mano che cozzavano le (loro) navi venivano attanagliate dalle macchine". Infatti la presenza del "corvo" rendeva estremamente rischioso avvicinarsi per speronare, manovra che a Ecnomo i punici si guardarono bene dall'eseguire con leggerezza.

Nella tattica finalizzata allo speronamento la nave è essa stessa un arma in quanto dotata di rostro, un appendice acuminata della chiglia di prua, per urtare e danneggiare la carena della nave avversaria. Questa tattica, inoltre, richiedeva un elevata capacità di manovra. Le manovre utilizzate per avvicinarsi al fianco scoperto del nemico erano diverse, improvvisate sul momento dall'estro e dall'abilità del capitano o realizzate seguendo schemi codificati. Le due principali erano quelle dell'accerchiamento (perìplus) e dello sfondamento (dièkplus).

Nella manovra di accerchiamento le navi si muovono per aggirare le ali della linea nemica e volteggiare intorno all'avversario, in modo da ridurne sempre più il campo d'azione e scompaginarne le file, in vista di un attacco di fianco o di spalle. Scrive Polibio che, a Ecnomo, l'ammiraglio cartaginese Annone "disponeva di navi rostrate e di quinqueremi, le unità più adatte, per la loro velocità, ad aggirare le ali nemiche." Una manovra di perìplus è descritta anche nell'azione dell'ala sinistra cartaginese: "la terza squadra (romana) serrata verso terra dall'ala sinistra dei Cartaginesi... era come assediata; senonché i Cartaginesi per timore dei rostri (i corvi) li avevano circondati ma non osavano attaccarli da vicino per non restare impigliati e, senza accostarsi troppo, li respingevano verso terra." Le navi accerchiate potevano utilmente difendersi disponendosi a cerchio, con le prue rivolte all'esterno e le poppe verso il centro. E se dotate di buona capacità manovriera potevano a loro volta attaccare, come i Greci all'Artemisio contro i Persiani nel 480. Tuttavia, la flotta romana non aveva una tale capacità di manovra nel 256.

La manovra di sfondamento, il dièkplus, consisteva nel muovere frontalmente verso la linea nemica e attraversarla cercando di spezzare, coi rostri, quanti più remi possibile alle navi avversarie, per poi fare una conversione è attaccare alle spalle una nave dalla ridotta capacità di voga. Anche questa manovra, praticata dalla flotta punica, non era alla portata di quella romana perché, afferma Polibio: "era impossibile, data la pesantezza dei loro navigli ed anche per l'imperizia dei marinai, sgusciare attraverso le navi nemiche per attaccare poi alle spalle gli avversari, già impegnati nella lotta contro altri, come si suole fare con grande vantaggio nelle battaglie navali." E' evidente che ancora nel II secolo il dièkplus era considerato molto efficace nelle battaglie navali. Un accorgimento difensivo per contrastare la manovra del dièkplus era quello di schierare le proprie navi su una doppia linea in modo che gli attaccanti, dopo il primo sfondamento, si esponevano a loro volta al rischio di essere speronati dalle navi della linea difensiva più arretrata. E' intuitivo osservare che anche un mezzo come il ponte d'abbordaggio, che poteva essere calato di lato, creava seri problemi al tentativo di speronare il fianco della nave che si era puntata, durante il passaggio di sfondamento. Questa difficoltà é ben espressa da Polibio in un passo relativo alla descrizione della battaglia di Milazzo quando una parte della flotta punica lanciata all'attacco "vista la sorte toccata alle navi che per prime si erano lanciate in avanti, ripiegarono e manovrarono per evitare l'attacco dei corvi." Le flotte cartaginesi possedevano ben altre tecniche di manovra che non le più statiche flotte romane della metà del III secolo ma, come appare dallo stesso episodio, nemmeno questa superiorità monovriera talvolta bastava. Infatti, "fidando sull'agilità delle loro navi, speravano di poter riuscire senza danno nell'attacco, accostandosi alle navi nemiche dai fianchi o da poppa. Infine però, poiché da ogni parte i corvi incombevano minacciosi, di modo che inevitabilmente chi si avvicinava ne veniva attanagliato i Cartaginesi cedettero e presero la fuga, atterriti dalla nuova esperienza, dopo aver subito la perdita di cinquanta navi."

Queste, dunque, erano, per sommi capi, le differenti tattiche navali adottate dalle marine da guerra romana e punica all'epoca della battaglia di Capo Ecnomo nella primavera del 256 a.C.

Antonio
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