UN MAESTRO DI VITA
Mio nonno Antonio anarchico.
Mio padre Guido socialista.
Io comunista, senza dover passare come tutti i ragazzi della mia età dalle organizzazioni giovanili fasciste.
Antonio e Guido portavano all'epoca un cinturino di cuoio al polso destro a significare che erano in possesso di un pugno proibito, io no.
Guido partecipò con onore alla guerra del '15 '18 ritornando a casa con una croce di guerra e una medaglia di bronzo, diceva lui per aver salvato un sergente ferito, per aver portato dal Friuli a Firenze, al tempo di Caporetto, sostenevano gli amici la mula della compagnia e una ragazza che diventò mia mamma.
Prima di passare alla visita di Hitler a Firenze mi è doveroso ricordare il nonno Antonio come l'anarchico più amante della buona tavola e del buon vino che un giorno mi lasciò, disse, mio padre per un lungo viaggio, per andare in cielo disse la zia, a cui rispose la mamma con un "Umh" prolungato di smentita, perché per gli anarchici non c'è paradiso.
Da qui passiamo direttamente alla visita di Hitler in Italia e poi a Firenze e questa fu una disgrazia per Firenze e per Guido.
Hitler fece due sbagli nel venire a Firenze nella primavera del '38 (queste date si prendano con il beneficio della distanza del tempo): il primo sbaglio fu di venire in concomitanza con l'uso di purgare i bambini al cambio della stagione, il secondo di andare a vedere dalla terrazza degli Uffizi il Ponte Vecchio.
Visto e innamorato della struttura del ponte, questo vecchio imbecille se ne ricordò sei anni dopo quando ordinò di far saltare il Ponte a Santa Trinità, con un quarto della Firenze trecentesca e salvare quel ponte di cui era infatuato. Tanto da mandare a Firenze a controllare che il ponte fosse rispettato, il Maresciallo Kesserling.
La visita si svolse normalmente e il dittatore tedesco tornò nella patria dei Nibelunghi, lasciando per le strade ed attaccati ai muri della città manifesti inneggianti al duce alla milizia al re insomma a tutti.
Tutto questo movimento avvenne nei giorni del cambiamento di stagione, ove la zia (come da precise istruzioni mediche) mi mollò non un cucchiaino d'olio di ricino ma tre cucchiai da tavola. Che c'entra? Ve lo spiego. Come al solito Guido, senza sapere niente del cambio di stagione e dei tre cucchiai di purga) mi portò a passeggiare alla Fortezza da Basso dove c'era e c'è una vasca con pesci e altro. Per la strada la purga mi fulminò, in conclusione mi cacai addosso, Guido non perse tempo: strappò un manifesto (di quelli lasciati dalla visita hitleriana) dal muro e un poco alla meglio mi pulì.
La storia sarebbe finita così, invece c'è sempre l'imponderabile: un "signore" vide Guido strappare il manifesto e lo accusò apertamente di sabotaggio! Il discorso presumo che andò così:
Lei ha strappato il manifesto del Duce io la denuncio.
Guardi che l'ho fatto perché dovevo pulire il bambino e meglio di quello non c'era.
Credo che grosso modo i discorsi proseguissero su questo tema fino a che Guido si ricordò di due cose: la prima che aveva quel cinturino al polso destro la seconda che aveva in mano un fagotto di merda. Lo schiacciò tutto sul capo del malcapitato Centurione Squadrista, Marcia su Roma, che chiameremo Paolone, e venne via.
Non dette più importanza al fatto e non disse niente in casa, salvo che bestemmiò con la deficiente della cognata che mi aveva purgato senza dire niente.
15 giorni dopo Guido fu convocato alla Casa del Fascio Filippo Corridoni a Rifredi ed invitato a recarsi alla stanza nº ? nel sotterraneo, seppe dopo che quella era la stanza denominata della "Civetta"; lo attendevano il segretario (credo) che chiameremo Piermatti, Paolone il Centurione, ed altri tre.
Lo accompagnarono poi all'Ospedale di Careggi e denunciarono che aveva bevuto un po' troppo, era scivolato dalle scale e si era fatto male ad una spalla.
Il referto fu lussazione del polso sinistro e rottura della spalla guaribile in 30 giorni s.c. e una piccola lesione polmonare, che (però) lo portò in seguito alla morte.
Paolone non lo sapeva ma quel giorno della primavera (credo) del '38 firmò una cambiale senza scadenza ma ad alto tasso d'interesse.
Scadenza che avvenne puntualmente la mattina del 26 luglio 1943, quando il Re fece arrestare Mussolini senza avvisare Paolone, che trovato per la strada dovette inghiottire prima la "cimice" o "brigidino" e poi si trovò vinto da Guido a pari e dispari con un'altra scadenza, quella di Mario, che dovette intervenire insieme a me, per riportare Guido alla ragione.
Sei anni d'interessi, sei anni senza lavorare due giorni di seguito, (in flessibilità, direbbero ora) sei anni passati a mendicare un lavoro da amici e no, sei anni che per mancanza di soldi abbiamo cambiato otto appartamenti (in affitto s'intende), sulle spalle della mamma che trovò un lavoro di colf direbbero ora, di serva dicevano allora, da un bravo architetto fiorentino, sei anni che per vivere Guido ha fatto tutti i mestieri, in sei anni tante volte è dovuto venire a scuola e spiegare che io non potevo andare alle adunate perché non avevo la divisa di Balilla, ed era ovvio che la miseria gli impediva di comprarla. (Però, quando il maestro B. gli dette un buono per andare a ritirarla alla Federazione Fascista di Via dei Servi se ne guardò bene, e lo ringrazio).
Ricordo quando Guido al mio compimento della 5a classe elementare mi disse ad occhi bassi per la vergogna che non potevo più studiare, ma che mi aveva trovato un buon posto di lavoro alla mensa del Dopolavoro dei Ferrovieri alla stazione centrale a Firenze.
Non era un lavoro fisso, ma durò poco.
Non poteva stare in un Dopolavoro Fascista il figlio d'un...
Mi iscrissero anche se in ritardo alle scuole medie.
Il tempo passava e le cose in Italia andavano sempre peggio, si cominciava a sentire parlare di scioperi, di fame, di bombardamenti, di morti. Circolavano le prime barzellette sul duce, insomma gli italiani cambiavano.
E se per Paolone il tasso d'interesse era stato alto e la scadenza di lunga durata, per me fu la salvezza: con l'8 settembre le strade si sono divise, Paolone nelle brigate nere io qualcosa nella Resistenza, Guido ad aspettare.
Il mio aiuto alla resistenza era portare i volantini, scrivere sul muro; sognavo uno Sten, una Machinpistole, quando mi hanno dato una pistola è stata (per me) la fine del mondo: ho sparato a Dio!
Dovevo scrivere in occasione di uno sciopero e scrissi col catrame anche un VIVA STALIN, Ero lì che scrivevo, quando sentii un ferro alla testa e un dire: "Girati piano o t'ammazzo". Che fare? mi giro e riconosco Paolone, che riconosce me. Abitava 5 porte più giù di dove abitavo io, ed ecco che tutte quelle botte che s'era preso da Guido mesi prima fecero effetto.
Dice Paolone: "Vai a casa e dillo al tuo babbo, cosa è successo e non lo rifare più, cammina, cammina". è più facile dirlo che farlo, ma presi pennello e secchio e via di corsa, a casa non dissi niente: avevo giurato su Stalin di non dire niente a nessuno.
A marzo 1944 Guido aveva trovato lavoro alla Fortezza da basso nel magazzino dell'esercito ed io in una agenzia immobiliare in Via dell'Arte della Lana nel centro di Firenze.
Guido mostrava orgoglioso un paio di scarpe da soldato ed io con il primo mensile comprai all'Upim una saliera che regalai a mia madre.
A maggio gli alleati bombardarono Firenze per distruggere l'impianto ferroviario: sbagliarono un po' la mira e invece distrussero le strade intorno alla stazione di Rifredi dove abitavo, alcune case intorno alla stazione del Campo di Marte, e alcune bombe finirono nella Fortezza che è a due passi dalla Stazione Centrale di Santa Maria Novella.
Vi furono morti e feriti.
Un morto mi colpì: aveva le scarpe di mio padre, era coperto con un lenzuolo, i barellieri mi mandarono via e portarono quel morto nella Chiesa del Romito, io li seguì piangendo e piangendo tornai a casa rimuginando nella mia testa cosa dovevo dire a casa. Entrato nel cortile, la casa dove abitavo era un antico convento, urlai che Guido era morto, la comunità si strinse intorno alla mia famiglia.
- I' che l'è successo?
Era la voce di Guido che tornava dalla Fortezza con un papero e due polli bombardati. Presi ancora uno schiaffo dalla mamma, un buffetto da Guido ed un sonoro - Che bischero! dalla comunità del casamento, ma fui ricompensato dei miei pianti filiali con una coscia di pollo.
Poi rimanemmo isolati dal fronte e portati in massa nell'ospedale di Careggi ed in 25 giorni si visse come in una bolgia infernale.
Il padiglione dei tubercolotici era pieno di partigiani tagliati fuori dal fronte che tentavano l'uscita dalle fogne (e molti passarono); una mattina i tedeschi misero delle mine che uccisero e ferirono, i morti furono sepolti, i feriti curati e poi fucilati alla presenza delle loro famiglie.
Al tempo notai che le tombe crescevano ed i tedeschi diminuivano. I rimasti organizzarono un rastrellamento interno all'ospedale, e fu una deportazione in massa, ma non tra i tubercolotici, dove anche Guido era ricoverato. Io giravo nel complesso ospedaliero in pantaloni corti per far vedere che ero un bambino, e facevo i miei comodi. Girando scoprii dove i medici facevano gli esperimenti, non credevo ai miei occhi: conigli grassi, maialini d'india, piccioni, e due maiali da tre quintali.
Informai di questo i tubercolotici e in due giorni avevamo mangiato tutto il reparto esperimenti: i maiali ci avevano anche purgato tutti (non dimentichiamo che siamo in agosto).
Venne il 31 agosto, la liberazione di Firenze, che trovò Guido e altri due Arditi del Popolo in postazione con una mitragliatrice, credo Saint Etienne, sul cancello dell'Ospedale.
Gli fu fatto osservare due cose: che gli mancavano le munizioni e che si sperava che gli alleati non li vedessero con le armi puntate verso di loro!
Ma insomma, il gesto fiero c'era.
Altri tre giorni di gioia, poi la tragedia di Nino, che vedremo in un altro tempo.
A gennaio (1945) si aprì la campagna per l'arruolamento volontario nell' Armata di Liberazione Nazionale, dalla casa del Popolo partimmo in 20.
A Cesano e poi al fronte arrivarono in 19, sulla porta del Distretto Militare trovai Guido che spiegò che non mi poteva lasciare andare, o tutti e due o nessuno, il maresciallo compiacente testimoniò che non si poteva arruolare padre e figlio e i compagni mi invitarono a lavorare per il Partito, così ho fatto.
Guido morì nel '55 e fece in tempo a farmi una visita nel Carcere delle Murate dove ero trattenuto per questioni politiche riuscendo a mobilitare tutto l'apparato del Partito per tirarmene fuori, ed a portare con sé nella visita la futura compagna della mia vita.
Guido morì per una complicazione polmonare, con il contributo anche di quella visita di Hitler e della purga di primavera.
In un momento di lucidità mi chiese di essere seppellito con il fazzoletto rosso e la tessera del Partito, e se qualcuno voleva portare la bandiera della Brigata Partigiana sarebbe stato contento.
Morì l'11 aprile 1955 era il lunedì in Albis di quello che mi ha chiesto l'ho accontentato.
Partigiani, Arditi del Popolo, portarono la salma, bandiere rosse e della Pace, uomini e donne del rione e perfino l'Unità gli dedicò non otto colonne come a Stalin , ma un trafiletto che diceva:
è morto il Compagno Guido
Combattente per la Libertà
Padre del Compagno Pomero.
Di questo Guido ed io siamo grati al Partito
Pomero
sull'onda dei ricordi
10 giugno 1940
Sono passati 64 anni ma il ricordo è sempre vivo, si sapeva che il duce doveva parlare e il sig Enzo l'unico del casamento che aveva un Radiomarelli ci informò dell'avvenimento e aprì la radio a tutta valvola.
C'erano una quindicina di persone.
Io non capì quasi niente ma quando da Piazza Venezia il boato delle persone coprì la voce del duce, e il Sig Enzo vestito in montura, disse viva il duce: è la guerra! Io intonai Faccetta nera.
Dissi solo faccetta; il nera rimase fulminato da due labbrate (che a Firenze sono sonori schiaffi) uno di mio padre combattente decorato di medaglie di bronzo (credo) della guerra '15 - '18 l'altro di mia madre profuga friulana che aveva visto la sua casa e la sua terra distrutta.
So cosa provò S. Paolo (il paragone è irriverente) quando rimase folgorato sulla via di Damasco.
E da quel giorno dopo cominciarono le lente spiegazioni, di cosa era una guerra, di cosa cantavano gli Arditi del Popolo e soprattutto che non erano fascisti, che faccetta nera la cantavano coloro che come prima cultura portarono in Abissinia i "casini" e alla domanda, cosa sono la mamma rispose "domanda a tuo padre" che rimandò il quesito ad anni a venire, le altre cose dell'Abissinia (i gas asfissianti, le impiccagioni, ed altro le apprendemmo in seguito) mi insegnarono una bella canzone che diceva "Allosenfan, (così tutto attaccato) e de la patrie" raccomandando di non cantarla a scuola e mi spiegarono tante cose che ho imparato bene e le ho portate per tutta la vita.
Quel giorno cominciò un tremendo periodo per il popolo italiano. Alle incerte vittorie subentrarono le certe sconfitte: stiamo zappando significava che torniamo addietro e abbiamo zappato per tutta la Libia, le nostre vittorie di mare ci hanno portato a non avere più navi, i nostri ragazzi portati in India in America nelle Hawai i più fortunati.
Bombardamenti sulle nostre città Napoli, Livorno, Pontassieve, San Ruffillo, Napoli, San Ruffilo e Pontassieve sembrava che non ci fosse altro.
Li fermeremo sul bagnoasciuga disse Mussolini riferendosi al paventato sbarco in Sicilia ma non disse su quale spiaggia era il bagno e loro seguitarono ad avanzare. Lo sbarco lo ricordo perché nel periodo ero a fare il commesso alla mensa delle Ferrovie e tornando dalla cantina entrai in sala da pranzo dove tutti in piedi seguivano come obbligo il Giornale radio, al mio commento "speriamo che finisca presto" un signore con camicia nera e alamari mi menò una manatina gli risposi con un va in c..o e il tutto finì. Il 26 luglio vidi un popolo italiano che non conoscevo e che non immaginavo, mia madre mi spedì dietro a mio padre con un generico "Stagli attento perché stamani va a pagare qualcuno".
"I debiti vanno pagati, i crediti vanno riscossi" mi disse mio padre, ordinandomi di non stargli troppo vicino. Non finiva più quante ne aveva da saldare, perfino quello con camicia e alamari, si vede che qualcuno lo aveva informato.
Questo successe dopo tre anni di patimenti di morti e distruzioni ma il 10 giugno 1940 Mussolini iniziò a scavarsi la fossa.
Nella labbrata di mio Padre c'era tutto un insegnamento valido per una vita, vorrei che altri imparassero, come la guerra sia facile iniziarla e difficile smetterla nessuna guerra porta pace, a 64 anni ancora ne discutiamo, ancora divide.
Pomero
3 settembre 1944
Il 27 agosto i tedeschi mi presero ma fu possibile fuggire, grazie ad una scarica di mortaio che ferì i rastrellatori e il mio amico Mario, che di costituzione più robusta della mia venne ripreso dal tedesco che gli montò a cavalcioni e si fece portare al comando situato in una delle ville signorili sopra Careggi. Il ragazzo tornò nel luglio 1945.
I partigiani della 3a Brigata Rosselli il 31 agosto del 1944 liberano il complesso ospedaliero di Careggi dove avevano vissuto diverse migliaia di malati, sfollati delle zone limitrofe ricoverati per 25 giorni sotto l'arbitrio e la dominazione tedesca e sotto l'incubo dei cannoneggiamenti di chi non si sa, noi contavamo i proiettili arrivati senza sapere chi ringraziare.
In questi bombardamenti a casaccio morirono sfollati e malati, morì anche la compagna Primetta staffetta della Brigata. Per sostenersi fummo costretti a mangiare granturco in chicchi, tralci di vite, erba dei giardini, e grande festa gli animali, polli, conigli, cavie del reparto sperimentazione dell'ospedale.
Trovammo una strada per fuggire, era un po' scomoda, 2500 metri nelle fogne dall'interno dello Ospedale a Piazza Dalmazia: andammo a tirare una corda e cominciammo l'esodo, qualcuno ci vide e fece la spia, i tedeschi minarono le fogne per impedire la fuga dall'ospedale, ferirono e catturarono 2 sfollati, li curarono e poi li fucilarono alla presenza dei familiari.
Grande fu l'aiuto che il personale, dottori ed infermieri dettero a tutti ricoverando perfino nel reparto tubercolosi dei partigiani della Fanciullacci. I tedeschi scansavano quel reparto da come erano terrorizzati, tanto é vero che degli uomini validi mettevano in bocca della polvere d'uovo e tossendo sputavano delle patacche gialle che facevano fuggire i tedeschi.
Poi la mattina del 31 agosto vengono i partigiani della 3a Rosselli, liberano e rastrellano il complesso ospedaliero tra lacrime di gioia, saluti, urla: come erano belli! Oddio! Il primo non era certo un bel Ribelle della Montagna, piccolo e secco scuro al di fuori dei canoni della immaginazione popolare seppi dopo che era un calabrese che aveva fatto tutta la trafila in montagna da l'8 settembre in poi, e che aveva posato l'occhio su una bella "Luger" che avevo alla cintola dei pantaloni.
Arrivarono anche i compagni conosciuti e mi sentii meglio, il calabrese mi guardò con l'occhio meno cupido e tutto fu risolto.
La vita riprese e si ritornò nelle case si facevano grandi progetti.
Intanto i tedeschi avevano fatto saltare delle abitazione e nascosto sotto le macerie delle mine, erano da per tutto nei campi dietro le porte, sotto i letti, su gli alberi, le "mine" divennero il terrore delle genti.
Tante furono individuate e segnalate secondo le istruzioni ricevute dal Gen Alexander, segnalate con un cartello "MINEN" e ci prendemmo le prime critiche per la strana dizione italiana.
Il 1º settembre di sera ci fu uno scontro con una pattuglia di guastatori tedeschi: uno fu preso prigioniero, poi silenzio, i compagni mi dissero che non era stato possibile consegnarlo agli alleati perché fece un tentativo di fuga.
Fu stabilito di organizzare per il 3 Settembre una festa per i partigiani e ci demmo da fare con Nino, andammo a caccia di bevande. In una casa vinicola trovammo una vasca di marsala, ma trovammo anche una diecina di soldati inglesi che bevevano con il tipico elmetto a scodella, dopo un poco erano sufficientemente ubriachi per farsi portar via un revolver a tamburo che avrebbe fatto invidia ad un cowboy, e una piccola damigiana di marsala.
Ritornammo verso la casa del popolo, si doveva passare sulle macerie, all'andata un anziano era scivolato, la mina non era scoppiata e gli esperti che ci sono sempre in ogni momento dissero che erano finte.
Nel ritorno Nino disse "dammi la damigiana la porto io, tu vai avanti" io ubbidii avevo appena passato le macerie quando fui investito da uno spostamento d'aria e sassi che mi scaraventò 5 metri più in là.
Mi alzai stordito e dolorante, mi girai e Nino non c'era più; era stato squartato e buttato a 20 - 25 metri sulle macerie: il busto senza gambe, la testa mezza staccata: come un automa cominciai a raccogliere i pezzi , piangevo e tremavo, la gente guardava come sbigottita, in un momento di rabbia presi la pistola e sparai a Dio tutti i colpi del caricatore.
Poi vennero i compagni e mi portarono via, mi dissero dopo che avevo raccolto quasi tutto quanto era possibile. Poco distante trovai il babbo e la mamma di Nino mi domandarono cosa era successo, mi senti soffocare e svenni.
La sera del 4 Settembre chiesi la tessera del PCI che mi venne consegnata il 12 Settembre in forma solenne.
La madre di Nino non resse al dolore del secondo figlio morto in guerra e morì poco dopo.
Il padre veniva a tutte le riunioni mi guardava e mi accarezzava i capelli.
Nino non è un'astrazione, la sua tomba è nel cimitero di Rifredi in Firenze.
Pomero
Che dopo 60 anni rivive la scena come allora.